Nuova Discussione
Rispondi
 

COME FAR TESORO DEI PROPRI SBAGLI

Ultimo Aggiornamento: 10/08/2013 18:16
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
10/08/2013 17:16
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

5. - Quanto i Direttori di anime debbano fare per rianimare alla confidenza.

San Francesco di Sales voleva che le persone incaricate di sorvegliare la condotta degli altri, avessero cura d'incoraggiarli alla confidenza, e scriveva così a una Superiora (12) rimasta tristemente celebre, a proposito di una giovane che il Santo le aveva raccomandata: “Ma guardate, che siete un po' troppo severa con quella povera figliuola. Non bisogna farle tanti rimproveri, poiché ha buona volontà. Ditele invece che, per quanto numerose siano le sue cadute, non deve turbarsi né indispettirsi; ma ricordare che Nostro Signore la guarda dal Cielo e fa come il padre col suo bambino ancor debole e malfermo: piano, piano, gli dice, e se cade lo rianima dicendo: Ha fatto un bel salto; ma bravo! non piange neppure! poi si avvicina e gli dà mano. Se questa figliuola resta nell'umiltà, come una bambina, e pensa di essere veramente tale, non si meraviglierà neppure di essere caduta, poiché non può cadere mai da grandi altezze” (13).
OFFLINE
10/08/2013 17:16
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota


6. - S. Francesco di Sales insegna ai confessori la maniera di accogliere i peccatori.

Il soave Dottore dava simili istruzioni, e in modo ancora più preciso, ai confessori. Dopo aver loro ricordato che i penitenti li chiamano col nome di Padre, e che essi devono avere “un cuore molto paterno, per riceverli con grande affabilità, nonostante i loro difetti”, aggiunge: “Così, sebbene il figliuol prodigo torni a casa nudo, sporco, puzzolente di tra i porci, tuttavia il suo buon padre l'abbraccia, lo bacia con trasporto e versa sopra di lui lacrime di consolazione; perché gli era padre, e il cuore dei padri è sempre tenero verso i figliuoli”. Il Santo indica poi la maniera di ricevere un penitente inclinato allo scoraggiamento e alla disperazione: “Se vedete che uno è timoroso, abbattuto o comunque sfiduciato d'ottenere il perdono dei peccati, risollevatelo subito dimostrandogli il gran piacere che Dio prova a vedere far penitenza i grandi peccatori; e più la nostra miseria è grande e più Dio ne resta glorificato; che Gesù pregò il Divin Padre per quelli stessi che lo crocifiggevano, per farci capire che perdonerebbe di tutto cuore anche a noi, qualora con le nostre proprie mani lo avessimo crocifisso; che Dio stima tanto la penitenza che, anche la più piccola, se è sincera, gli fa dimenticare qualunque peccato; tanto che se potessero farla anche i dannati e gli stessi diavoli, i loro peccati sarebbero tosto perdonati; che i più grandi santi sono stati grandi peccatori: S. Pietro, S. Matteo, S. Maria Maddalena, Davide, ecc.; e infine che il più gran torto che possa farsi alla bontà di Dio e alla Passione e Morte di Gesù Cristo, è di non aver fiducia d'ottenere il perdono dei nostri peccati, e che per dogma di fede siamo obbligati a credere alla remissione dei peccati, in modo da non dubitare punto d'ottenerla, quando ricorriamo al Sacramento che Nostro Signore ha istituito proprio per questo” (14).
OFFLINE
10/08/2013 17:17
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

7. - Affabilità di S. Francesco di Sales coi penitenti.

Tutti sanno con quale perfezione praticasse questa mansuetudine verso i penitenti, lo stesso S. Francesco di Sales. Era ripieno di questi sentimenti e ne faceva largo uso, come ci testimoniano i suoi contemporanei. “ Sovente l'ho udito lodare, riferisce Mons. Le Camus, quella propensione che aveva S. Teresa a leggere le vite di quei Santi che erano stati grandi peccatori, perché in esse vedeva rifulgere la magnificenza della misericordia di Dio sulla loro grande miseria” (15).
“Io non so perché, scriveva il Santo alla Chantal, ma per quanto miserabile mi senta, non mi turbo mai, anzi qualche volta provo una certa gioia pensando che dò un gran da fare alla misericordia di Dio” (16).
Infine il Padre La Rivière, parlando del santo Vescovo dice: “Non è possibile esprimere il dolore amoroso che egli concepiva per ogni mancanza, e che era accompagnato da un timore filiale, da un certo sentimento agrodolce, e da un abbandono assoluto e intero nella Bontà divina. Non è possibile esprimere questo, perché S. Francesco di Sales, fin dalla giovinezza, dallo Spirito Santo era stato illuminato a vedere in Dio un Padre sommamente buono e amabile, anche in mezzo alle imperfezioni, ch'egli distrugge fino all'ultima, se noi ce ne pentiamo, inabissandole nell'oceano della sua misericordia e consumandole col fuoco dell'infinita sua carità. Se quindi alle volte inciampava un po' o veniva meno ai buoni propositi, si riprendeva soavemente senza affanno e impazienza, gettando con perfetta confidenza gli occhi sul benigno Redentore” (17).
OFFLINE
10/08/2013 17:17
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

CAPO V

UTILIZZARE LE PROPRIE COLPE
PER CONSOLIDARSI
NELLA PERSEVERANZA


1. - L'esperienza delle nostre cadute ci rende più prudenti.

L'argomento di questo capitolo è già stato implicitamente trattato nelle pagine precedenti e non è altro che la logica conseguenza degli ultimi due capitoli. Le colpe, procurandoci una conoscenza più esatta della nostra debolezza e dandoci maggiori diritti alla misericordia divina, ci inducono anche a essere più guardinghi e a ricorrere con più fiduciosa umiltà a Colui, senza del quale nulla possiamo, e col quale invece possiamo tutto. Ora si sa che la diffidenza di noi stessi e la confidenza in Dio sono due garanzie di vittoria nel combattimento spirituale.
Frattanto le nostre colpe, nei disegni dì Dio, sono destinate a rendere importanti servigi alla nostra perseveranza. E prima di tutto hanno da renderci più vigilanti. E uno dei significati che gli interpreti danno a quel testo sacro: una grande infermità rende l'anima cauta (Ecli 31, 2). “Senza dubbio, dice S. Giovanni Crisostomo, dovrebbe bastarci la vista delle cadute di uomini ben più santi di noi, per diventare più circospetti, camminare con più attenzione e usare una severa prudenza (1). Ma le disgrazie personali ci ammaestrano sempre meglio. La nostra natura è così fatta, che, per constatare un pericolo, ha bisogno di urtarvi contro” (2).
Oltre che dall'esperienza, questa verità vien confermata anche dallo Spirito Santo: che cosa può sapere colui che non è stato mai tentato? (Ecli 34, 9). E un antico Padre, commentando queste parole, aggiungeva: “Una gioia troppo tranquilla si trova esposta al pericolo, mentre il timore di ricadere in un'insidia nella quale si è già incappati altra volta, rende l'uomo più vigilante. Così il marinaio che già altra volta si è trovato in pericolo, sta più attento, e il solo ricordo di un naufragio subìto per colpa della propria imprudenza, è sufficiente a tenerlo lontano dai porti inospitali” (3).
OFFLINE
10/08/2013 17:18
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

2. - Le cadute ci suggeriscono soprattutto di fuggire le occasioni di peccato.

Il primo insegnamento che la vigilanza deve trarre dalle colpe passate è questo: studiare e combattere le cause, evitare la spensieratezza e leggerezza, e soprattutto fuggire le occasioni volontarie: questo demonio dei demoni - come vengono chiamate - che è causa della rovina di tante anime. I marinai hanno la loro carta su cui segnano con cura gli scogli che hanno incontrati. Alla luce delle colpe passate tracciamo anche noi la carta della nostra navigazione spirituale, dove saranno notate le cause delle defezioni avvenute in passato, le tendenze, le illusioni, le mancanze di precauzioni che ci hanno fatto sbagliare; e, istruiti dalla nostra triste esperienza, eviteremo in avvenire gli scogli che furono causa di naufragi.
Non mancano a questo riguardo, i consigli di S. Francesco di Sales: “Dalle lettere ho constatato le vostre piccole imperfezioni, per le quali né io né voi dobbiamo meravigliarci, poiché non sono altro che piccoli avvisi di tenerci umili, bassi ai nostri occhi e farci stare desti in vedetta (4). Sia le febbri spirituali, come quelle corporali, sono seguite ordinariamente, in chi ne guarisce, da residui che riescono utili per diverse ragioni, e prima di tutto perché finiscono di distruggere... gli umori cattivi che erano stati cagionati dalla malattia, fino a toglierne anche i segni; poi perché, ricordandoci il male passato, ci fanno paventare la ricaduta che facilmente incorreremmo se quei residui, come tante minacce, non ci frenassero e tenessero in guardia, finché siamo completamente guariti” (5). - “Per non diventar peggiori, non bisogna mai dimenticare quel che siam stati in passato” (6).
OFFLINE
10/08/2013 17:18
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

3. - Fedeltà ai mezzi di perseveranza suggeriti da S. Giovanni Crisostomo e da S. Epifanio.

A questo primo vantaggio ricavato dalle colpe seguirà spontaneamente un secondo: la fedeltà ai mezzi di perseveranza. Ogni caduta sarà come un predicatore irresistibile che inculca la necessità della grazia e il dovere di meritarcela colla preghiera e con la frequenza dei Sacramenti. Questi ricordi spiacevoli scuoteranno la nostra sonnolenza, stimoleranno l'ardore al servizio di Dio e all'avanzamento nella virtù. “Non c'è destriero più veloce, dice il P. Pinamonti, del cavallo che è riuscito a liberarsi dalle zanne del lupo. Crede sempre d'avere ai fianchi il nemico e quindi non corre, ma vola. Lo stesso effetto producono le cadute dei santi: esse li rendono più ardenti nel bene” (7).
S. Giovanni Crisostomo constatava questo felice risultato nel suo amico Teodoro di Mopsuestia: “Se il cacciatore - gli scriveva - riesce solo a scalfire la pelle del leone, non fa che renderlo più furioso e terribile; così il nemico del genere umano col tentar di ferirti, ha solo raddoppiato la tua generosità e slancio verso le buone opere” (8).
S. Epifanio traduce la stessa idea con un grazioso apologo: “Quando il cervo si accorge d'invecchiare, va a cercare nelle rocce qualche covo di serpenti e, mettendo la bocca all'apertura, aspira e ingoia un serpente; improvvisamente ravvivato dalla morsicatura velenosa, e sovraeccitato da sete divoratrice, si slancia in cerca d'una sorgente d'acqua pura, e, se entro tre ore la trova, vi attinge altri cinquant'anni di vita. Così è per te, o uomo spirituale! Se il serpente del peccato ti è penetrato in cuore vola alle sorgenti della grazia e là, facendo penitenza, non solo ti verrà cancellato il peccato, ma ti saranno anche rinnovate le forze” (9).
“Il bambino che si è allontanato dalla mamma perché vuole camminare da solo, dice il P. Grou, se poi cade, ritorna subito e con più tenerezza per essere guarito del male che s'è fatto, e impara a non più allontanarsi da lei. L'esperienza della sua debolezza e la bontà con cui la mamma l'accoglie, gl'infondono un attaccamento più forte” (10).
OFFLINE
10/08/2013 17:50
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

4. - Fedeltà ai mezzi di perseveranza secondo S. Francesco di Sales.

Tutti questi pensieri si ritrovano sotto la penna del nostro amabile S. Francesco: “Riprendete il vostro cuore e rimettetelo dolcemente tra le mani di Nostro Signore, supplicandolo che lo guarisca; e da parte vostra fate tutto quel che potete: rinnovate i propositi, leggete libri adatti a farvi guarire e usate altri mezzi ancora; così facendo, riuscirete a trarre profitto dalle stesse perdite e sanità dalla stessa malattia” (11).
“L'amor proprio, la stima di noi stessi, la falsa libertà di spirito, sono radici che non si strappano tanto facilmente dal cuore umano, ma si può solo impedire che producano i loro frutti, ossia i peccati. I primi impeti e trasporti, i loro polloni, ossia le prime scosse e movimenti non si possono impedire del tutto, finché si è in questa vita mortale; ma si può solo moderarli e diminuirne il numero e l'ardore, con la pratica delle virtù contrarie e specialmente dell'amor di Dio. Bisogna adunque aver pazienza a correggere e togliere a poco a poco le nostre cattive abitudini, vincere le avversioni e superare le inclinazioni e umori, man mano che si presenta l'occasione; poiché alla fin fine, figlia mia, questa vita è una continua battaglia, e nessuno può dire: io non ne sono attaccato. Il riposo è riservato in Cielo, dove ci attende la palma della vittoria. Sulla terra occorre sempre combattere fra il timore e la speranza, a patto però che la speranza sia sempre più forte del timore, in considerazione dell'onnipotenza di Colui che ci soccorre” (12).
“Mio Dio, com’è gioioso il regno interiore, quando vi domina l'amor santo! Come godono le facoltà dell'anima quando obbediscono a un Re così santo e sapiente! No, mia cara cugina, restando sotto la sua obbedienza, Egli non permetterà che abitino nell'anima i grandi peccati e l'affetto ad essi. E vero che li lascia avvicinare ai confini, ma per esercitare le virtù alla lotta e renderle più eroiche; è vero che permette alle spie, ossia ai peccati veniali e imperfezioni, di scorazzare qua e là nel suo regno, ma solo per far conoscere che senza di Lui, noi resteremmo in preda a tutti i nostri nemici” (13).
“Orsù, figlia mia, cosa volete che vi dica sulla persistenza delle vostre miserie, se non che al ritorno del nemico bisogna riprendere le armi e il coraggio per combattere più strenuamente che mai?... Ma, fate bene attenzione a non scoraggiarvi in nessun modo; perché la divina Bontà non vi lascia cadere per abbandonarvi, ma solo per umiliarvi e far sì che vi teniate più stretta alla mano della sua misericordia” (14).
OFFLINE
10/08/2013 17:50
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

5. - La caduta di Salomone ci ricorda la nostra debolezza e la malizia dei nostri nemici.

“Alle volte, sorella cara, proprio quando pensiamo d'esserci liberati dai vecchi nemici, li vediamo ricomparire, e proprio dalla parte che meno sospettavamo. Ahimè, anche il sapientissimo Salomone, che in gioventù aveva fatto meraviglie stimandosi sicuro nella virtù per la lunga esperienza, fu sorpreso dal nemico proprio quando sembrava ormai lontano da ogni assalto, e dalla parte che, a quanto sembra, temeva di meno.
Questo c'insegna due cose: l'una che dobbiamo sempre diffidare di noi stessi, camminare in un santo timore, chiedere continuamente l'aiuto del Cielo e vivere in umile sottomissione; l'altra che i nostri nemici possono essere respinti, ma non uccisi. Se alle volte ci lasciano in pace, è solo per muoverci dopo una guerra più spietata.
Ma non per questo, mia cara sorella, bisogna scoraggiarsi... queste scosse servono a farci tornare alla considerazione della nostra fragilità e a farci ricorrere con più fede al nostro protettore. S. Pietro camminava già sicuro sulle acque; ma a un tratto si leva un vento furioso e i flutti sembrano volerlo inghiottire. Allora grida: Signore, salvami! E il Signore, afferrandolo: uomo di poca fede, gli dice, perché dubiti? E’ specialmente in mezzo ai torbidi delle passioni, ai venti e tempeste delle tentazioni, che ci ricordiamo d'invocare il Salvatore; ed Egli le permette, appunto per indurci a invocarlo con più ardore” (15).
“Umiliamoci, confessiamo che se Dio non fosse nostro scudo e corazza, saremmo subito colpiti e trafitti da ogni sorta di peccati. Teniamoci quindi bene stretti a Dio, con la continuità delle pie pratiche: sia questa la nostra grande preoccupazione e ad essa subordiniamo tutto il resto” (16).
“Ancorché alle volte sentiate forti scosse d'amor proprio e di debolezza, non vi sgomentate, perché Dio le permette affinché vi teniate stretta alla sua mano, vi umiliate e invochiate il suo aiuto paterno” (17).
OFFLINE
10/08/2013 17:51
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

6. - Non è necessario sentire in sé il coraggio e la forza: basta sperare d'averli a tempo e luogo.

“Non bisogna mai porre in dubbio la possibilità di confidare in Dio, neppure quando sentiamo difficoltà a evitare il peccato o temiamo di non poter resistere alle occasioni e alle tentazioni. Oh, no Signore, poiché la diffidenza nelle proprie forze non è segno d'irresolutezza, ma umile riconoscimento della nostra miseria.
E’ meglio diffidare di poter resistere alla tentazione, anziché credersi sicuri e forti, purché speriamo poi dalla grazia di Dio quello che non possiamo ottenere con le nostre forze. Per questo, tanti che avevano promesso di compiere meraviglie per la gloria di Dio, giunto il momento buono, non mantennero; mentre gli altri che prima avevano diffidato e temuto delle loro forze, alla prova operarono davvero delle meraviglie; perché il sentimento della propria debolezza li spinse a cercare l'aiuto di Dio, a vigilare, a pregare e umiliarsi per non cadere in tentazione.
Aggiungo che non dobbiamo rattristarci, se non sentiamo la forza e il coraggio di resistere a una tentazione che si presentasse sul momento, ma basta che abbiamo almeno il desiderio di resistere e la speranza che Dio ci darebbe aiuto e noi glielo chiederemmo, se realmente la tentazione venisse. Non è necessario sentirsi sempre forti e coraggiosi, ma basta sperare e desiderare di esserlo a tempo e luogo; e non è necessario presentire che il coraggio ci sarà di sicuro, ma basta sperare che Dio ci aiuterà. Il forte Sansone non sentiva le forze soprannaturali, con le quali Dio lo favoriva, se non quando l'occasione lo richiedeva, e perciò leggiamo che quando incontrava i leoni o i nemici, lo Spirito di Dio lo investiva per ucciderli. Dio che non fa nulla di superfluo, non ci dà la forza e il coraggio quando non sono necessari; ma all'occasione non ce li fa mancare mai. Perciò dobbiamo sempre confidare che Egli ci aiuterà in ogni occorrenza, purché lo invochiamo, servendoci delle parole di Davide: Perché sei triste, o anima mia, e perché mi turbi? Spera nel Signore (Sal 42, 5), e della sua supplica: Non mi abbandonare, o Signore, quando verrà meno la mia forza (Sal 70, 9)” (18).
OFFLINE
10/08/2013 17:51
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota


7. - Ancorché fossimo i più perfetti dovremmo stimarci imperfetti.

“Il gran segreto per perseverare nella divozione è una grande umiltà. Siate umile e Dio resterà con voi e apprezzerà la vostra buona volontà; donatevi a Lui senza finzione e senza riserva, dicendogli dal profondo del cuore che abbia la bontà di perdonarvi se finora non l'avete servito bene, che renda stabile il proposito fatto di staccarvi da tutti gli affetti mondani, di non attaccarvi ad altro che all'amor di Dio e servirlo fedelmente con tutto il cuore... Non dobbiamo turbarci per le offese fattegli, perché alle volte questo Spirito divino è più largo di doni, proprio con quelli che gli sono stati più avari nel consacrargli il cuore e gli affetti” (19).
“Io spero nel Signore che vi terrete sempre a Lui unito e che per conseguenza non farete dei passi falsi; se poi, urtando in qualche pietra, inciamperete ugualmente, ciò servirà solo a farvi stare più attenta e a indurvi a invocare l'aiuto e il soccorso del Padre celeste, che io supplico affinché sempre vi protegga. Amen...” (20).
“Anche se fossimo le persone più perfette del mondo, non dobbiamo mai saperlo né crederlo, ma continuar sempre a stimarci imperfetti. Il nostro esame di coscienza non deve mai mirare a conoscere se siamo ancora imperfetti, perché di questo non dobbiamo mai dubitare. Di conseguenza, non bisogna che ci meravigliamo di vederci imperfetti, perché in questa vita non dobbiamo mai credere altrimenti; né bisogna che ci contristiamo al constatare che non v'è rimedio, ma piuttosto umiliarci e correggerci con dolcezza, per riparare i difetti con l'umiliazione. Infatti, le imperfezioni vengono lasciate appunto perché ci esercitiamo in questa umiltà; e mentre non saremo scusati se tralasciamo di correggerci, saremo invece scusabilissimi, se nonostante lo sforzo di correggerci, non vi riusciremo interamente; perché per le imperfezioni avviene diversamente che per i peccati” (21).
OFFLINE
10/08/2013 17:52
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota


8. - Il ricordo dei rimorsi e delle sofferenze causate dai peccati sono valido aiuto contro le tentazioni.

Infine, un ultimo vantaggio che si può ricavare dalle proprie colpe, sotto il punto di vista che stiamo considerando, sta nel ricordo dei rimorsi e dei tormenti che ci cagionarono e delle riparazioni che ci condannarono a fare. Serviamoci della ripugnanza verso questi fastidi per tenerci lontani dalle ricadute, e al momento della tentazione, diciamo a noi stessi: “Ricordati, o anima mia, delle molestie che hanno seguito queste colpe, quando altre volte hai avuto la disgrazia di commetterle. Rammenta quel che ti son costate per poterle ritrattare, cancellarne le tracce e ripararne le conseguenze. Ricorda le angosce che ti han tormentato mentre simili peccati ti pesavano addosso, i terrori che ti opprimevano al pensare al Giudizio di Dio e la vergogna che hai dovuto superare per svelare le tue miserie al tribunale della penitenza. Ricorda tutto questo e risparmiati, con una fedeltà più generosa, il ritorno di tali pene, di tali tormenti e di tali umiliazioni” (22).
Senza dubbio, questi motivi son lungi dall'essere perfetti e sono ispirati più dal timore che dall'amore. Tuttavia in molti casi possono essere utili e meritavano di essere ricordati con gli altri mezzi dell'arte di utilizzare le proprie colpe. S. Francesco non vi insiste molto, ma non li omette neppure. L'amore, per coraggioso che sia, trova molta difficoltà a mantenersi fermo, a causa della condizione e del posto che egli occupa, ossia il cuore che è volubile e caparbio. Allora l'amore, per respingere il nemico, fa anche uso del timore.
OFFLINE
10/08/2013 17:52
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota


CAPO VI

UTILIZZARE LE PROPRIE COLPE
PER DIVENTARE PIU’ FERVOROSI


1. - L'umile confessione delle nostre colpe le trasforma in meriti.

Siamo ormai al termine, e questo capitolo deve portarci allo scopo finale dell'Arte di utilizzare le proprie colpe, e all'apice della perfezione: il fervore nell'amor di Dio.
Rimandiamo agli ultimi capitoli del Trattato dell'Amor di Dio i lettori desiderosi di conoscere la misteriosa origine dell'Amore dalla penitenza: qui basti ricordare che la materia della virtù della penitenza sono i nostri peccati, e si comprenderà subito l'utilità che essi devono procurarci.
La penitenza abbraccia diversi atti. Noi li compendieremo in quelli stessi che, in linguaggio teologico e popolare, vengono chiamati Atti del penitente: la confessione, la contrizione e la soddisfazione, e che sono materia e almeno parti essenziali del Sacramento della riconciliazione.
Su ciascuno di questi tre punti, il nostro amabile Dottore dà sublimi insegnamenti, e noi, alla luce della sua parola, potremo scoprire i tesori che ci procurano le colpe con l'alimentare questi atti nell'anima penitente.
L'accusa, considerata negli sforzi che richiede e nelle benedizioni che ci attira, appare subito come un potente mezzo per trasformare le nostre cadute in sorgenti di meriti.
“Il cuore amoroso del nostro Redentore dispone e dirige tutti gli avvenimenti del mondo a vantaggio delle anime che si vogliono assoggettare senza riserva al suo amore... E’ vero, figlia mia, che le colpe, finché restano nell'anima, sono delle spine; ma scacciate con l'accusa volontaria, esse si mutano in rose profumate; e come la malizia le attira nei nostri cuori, così la bontà dello Spirito Santo le scaccia fuori” (1).
“Lo scorpione è velenoso quando punge, ma se si prende e se ne ricava l'olio, diventa un rimedio efficace contro le sue stesse punture. Il peccato è vergognoso solo quando si commette, ma confessarsene e farne penitenza è cosa onorevole e salutare” (2).
“La contrizione e la confessione sono tanto belle ed efficaci, che cancellano la bruttezza e dissipano il fetore del peccato. Simone il Lebbroso pensava che la Maddalena era una peccatrice; invece nostro Signore gli dice di no e non parla che dei profumi da lei versati e della grandezza del suo amore. Se siamo umili davvero, Filotea, il nostro peccato ci dispiacerà sommamente, perché Dio ne resta offeso; ma l'accusarcene sarà cosa gradita, perché Dio ne resta onorato. E’ una specie di sollievo per noi far conoscere al medico il male che ci tormenta. Quando sarete giunta davanti al vostro padre spirituale, immaginate di essere sul monte Calvario, sotto i piedi di Gesù Crocifisso, e che il Sangue prezioso scenda da ogni parte per lavarvi delle vostre iniquità. Infatti, quantunque non sia propriamente il Sangue del Salvatore, è però sempre il merito del Sangue da lui sparso che irrora copiosamente i penitenti al confessionale. Aprite dunque il vostro cuore, per farne uscire i peccati con la confessione; e a misura che essi usciranno, vi entreranno i meriti preziosi della Passione divina, per riempirvi di benedizioni” (3).
“Così facendo (con la confessione), praticherete l'umiltà, l'ubbidienza, la semplicità e la carità, in modo che eserciterete più atti di virtù in una sola confessione che in qualsiasi altro esercizio di pietà” (4).
OFFLINE
10/08/2013 17:53
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota


2. - La confessione e la penitenza rendono l'uomo infinitamente più degno d'onore di quanto il peccato l'abbia reso biasimevole.

“La confessione e la penitenza rendono l'uomo infinitamente più degno d'onore di quanto il peccato l'abbia reso biasimevole” (5). “O Dio! quale contento è per il cuore di un padre amantissimo, udire la figlia confessare umilmente d'essere stata invidiosa e maligna! Come diventa preziosa quest'invidia dal momento che è seguita da un'accusa sincera! La vostra mano, scrivendo quella lettera, compiva un'opera ben più valorosa di quelle fatte da Alessandro” (6).
Il Padre Da Ponte ha sullo stesso argomento delle riflessioni meravigliose. Egli mette in rilievo gli atti di virtù che, nella confessione delle nostre colpe, si moltiplicano addirittura, e non esita a chiamarla opera di virtù sovrumane. E quello che sembra insinuare Giobbe quando protesta davanti a Dio, di non aver mai, come gli altri uomini, nascosto il suo peccato, né celato la sua iniquità (Gb 30, 33).
S. Gregorio afferma che si richiede più coraggio a confessare che a evitare il peccato, e si sa che S. Agostino diceva: “Dio accusa le tue colpe; ma se le accuserai tu stesso, ecco che ti troverai di nuovo a lui unito”.
Ora se si pensa che un peccato commesso una sola volta può diventare, con l'accusarlo cento volte, occasione di virtù e di meriti innegabili, come si avrà sempre più diritto di esclamare: Felix culpa, o colpa felice!

3. - Meravigliosi effetti della contrizione sul peccato.

Le stesse riflessioni si applicano, e a più forte ragione, alla contrizione. Qui l'Autore del Teotimo ci svelerà l'ufficio vivificatore che compie la divina carità col “suo amoroso dolore e amore doloroso”.
“La natura, per quanto io sappia, non cambiò mai il fuoco in acqua, sebbene al contrario, certe acque si mutino in fuoco. Una volta però, Dio fece questo, con un miracolo. Infatti si legge nel libro dei Maccabei (7), che quando gli Israeliti furono condotti in Babilonia, al tempo di Sedecia, i sacerdoti, per consiglio di Geremia, nascosero il fuoco sacro in un pozzo secco, situato in fondo a una valle. Al ritorno dall'esilio, i loro figli andarono a ricercarlo, secondo che loro era stato detto dai padri; ma lo trovarono mutato in acqua fangosa. L'attinsero e, come ordinò loro Neemia, la sparsero sulle vittime pronte per il sacrificio; e appena i raggi del sole nascente l'ebbero toccata, si cambiò improvvisamente in un gran fuoco.
“Ben spesso Dio, in mezzo alle tribolazioni e rimpianti causati da un vivo pentimento, mette in fondo al cuore, o Teotimo, il sacro fuoco del suo amore. Quest'amore poi si cambia in acqua di molte lacrime, le quali, per un secondo mutamento, si cambiano in un nuovo e più grande fuoco d'amore. Così la grande peccatrice penitente dapprima amò il Salvatore, poi l'amore si mutò in lacrime, e queste in puro amore, per cui Gesù disse che le erano rimessi molti peccati, perché molto aveva amato.
Come il fuoco converte il vino in un'acqua che vien chiamata acquavite o anche acqua ardente, perché concentra e nutre con molta facilità il fuoco; così la considerazione amorosa della divina Bontà offesa col peccato, produce nell'anima l'acqua del pentimento, dalla quale nasce poi il fuoco dell'amor di Dio, per cui essa si potrebbe chiamare con parola appropriata acqua di vita e ardente” (8).
“Osservate, o Teotimo, come la diletta Maddalena piange d'amore: Hanno portato via il mio Signore e non so dove l'han posto; ma quando, tra i sospiri e le lacrime, l'ha trovato se lo tiene e custodisce con amore. L'amore imperfetto lo desidera e lo cerca, la penitenza lo cerca e lo trova, l'amor perfetto lo tiene e se lo stringe. Si dice che i rubini d'Etiopia hanno per natura un fuoco assai pallido, ma se vengono posti nell'aceto splendono e mandano forti bagliori; così l'amore che precede il pentimento: ordinariamente è imperfetto; ma temprato nell'asprezza del pentimento, si rafforza e diventa amor puro” (9).
“Non è giusto che il peccato abbia tanta forza contro la carità, quanta ne ha la carità contro il peccato, poiché mentre il peccato nasce dalla nostra debolezza, la carità nasce dalla potenza divina. Se il peccato abbonda di malizia per rovinare, la grazia sovrabbonda per riparare; e la misericordia con la quale Dio cancella il peccato, trionfa sempre sul rigore della giustizia (Gc 2, 13). Così nelle guarigioni corporali che Nostro Signore operava miracolosamente, non solo ridava la salute, ma aggiungeva nuove benedizioni per far maggiormente risplendere la guarigione sulla malattia: tanto egli è buono verso gli uomini! ” (10).
S. Bernardo parla di un profumo speciale che chiama “profumo della contrizione, unguentum contritionis”. “E quello, dice, che l'anima coperta di molti peccati, si prepara quando, mettendosi a riflettere sul proprio stato, raccoglie, unisce e pesta nel mortaio della coscienza una moltitudine di peccati di ogni specie, e gettandoli poi nella caldaia d'un cuore tutto infiammato, li fa cuocere, per così dire, a fuoco nel pentimento del dolore. Allora essa può ripetere col profeta: Il mio cuore s’è acceso e un fuoco divampa e mi divora, tutte le volte che penso ai miei peccati (Sal 38, 4) (11). La materia di questo profumo non è molto lontana, ma possiamo trovarla senza fatica e raccoglierla in abbondanza nel nostro giardino, tutte le volte che ne abbiamo bisogno. Chi infatti - a meno di farsi illusioni - non trova in se stesso un cumulo più che sufficiente di peccati e d'iniquità?” (12).
OFFLINE
10/08/2013 17:53
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

4. - Sentimenti atti a incoraggiare il penitente al ricordo dei suoi peccati.

Tutti i più forti e potenti sentimenti vengono a stimolare l'anima che vuol fare veramente penitenza e la penetrano intimamente, attraverso la breccia aperta dal peccato, per centuplicare il suo amore verso la Divinità oltraggiata: il rimorso d'aver amareggiato il cuore di Dio, la riconoscenza per la sua pazienza e per l'elargizione ininterrotta dei suoi doni e per la generosità del suo perdono; il bisogno di fargli dimenticare le infedeltà passate, e un non so che di amaro e di vergognoso che muove a piangere con la Maddalena davanti al Salvatore e a raddoppiare il pianto a misura che egli si lascia baciare i piedi e raccoglie amorevolmente il nostro pentimento. E non basterà questo per accendere nell'anima contrita una potente fiamma di carità fino allora sconosciuta? E a quale celeste incendio potrà giungere chi si nutre in tale disposizione col ricordo dei propri peccati!
“Più uno s'immerge nel divino amore, dice Suor Benigna Gojos (13), e più questo ricordo si fa pungente e stimola ad amare l'Essere così indegnamente oltraggiato”. La colpa non è durata che un istante e l'incendio d'amore dura tutta la vita, anzi può raddoppiarsi ogni volta che vi pensiamo, che dico? può diventare eterno; e S. Luigi Gonzaga godrà per tutti i secoli dei torrenti ineffabili di gioia, proprio a causa di una o due imperfezioni, senza delle quali forse non l'avrebbe neppur gustata.
Come infatti ogni ricordo volontario che approva e si compiace d'un peccato commesso, è una nuova macchia che si contrae, così è anche giusto che l'anima in grazia acquisti nuovi meriti ogni volta che condanna, rimpiange, e disapprova i suoi antichi peccati. E chi potrà calcolare il cumulo di questi meriti, dal momento che tali rimpianti potranno moltiplicarsi all'indefinito?
Per antica usanza, non c'è pellegrino che, passando davanti al sepolcro di Assalonne, non lanci un'invettiva alla memoria di questo figlio snaturato e non scagli una pietra contro il suo sepolcro. Così, sotto i sassi accumulati dalla pubblica indignazione, il sepolcro di questo scellerato è divenuto un monumento di rispetto che i popoli hanno per il quarto comandamento: Onora il padre e la madre.
Allo stesso modo, ognuna delle nostre colpe, diventando causa di continui rimpianti, può servire di base a un cumulo di meriti.
E come esprimere il valore e la fecondità che a questi rimpianti aggiunge l'assoluzione sacramentale, ogni volta che in confessione ripetiamo le colpe passate? Allora, non solo la grazia santificante rifiorisce più splendida e abbondante, ma il Sangue di Gesù Cristo ricopre, come d'una porpora divina, il posto delle sozzure cancellate, e infonde una linfa di energia soprannaturale, superiore ancora a quella che si aveva prima del peccato (14).
Bisogna mettersi da questo punto di vista per capire certe espressioni, apparentemente esagerate, di coloro che trattano dell'arte di utilizzare le proprie colpe. Un religioso molto illuminato diceva un giorno in una fervente comunità: “Sorelle mie una colpa vi può, alle volte, giovare più di una comunione”. In certo senso è proprio così! Poiché le riparazioni e le penitenze che cagiona una colpa, producono effetti più duraturi, o almeno più sensibili, che lo stesso ricevere l'Autore della grazia.
C'è in tutti questi pensieri un oceano infinito di consolazioni e siamo portati ad applicare al peccato quello che il profeta Osea e l'Apostolo S. Paolo dicevano della morte: Esso è stato assorbito dalla vittoria (15), dalla vittoria dell'amore.
OFFLINE
10/08/2013 17:57
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

CAPO VII

UTILIZZARE LE PROPRIE COLPE
CON LA PRATICA DELLA SODDISFAZIONE


1. - Le nostre mancanze sono sorgente di una grande umiltà e di un'abbondante soddisfazione.

Ma l'amore non può restare inattivo: “La miglior prova che esso ci sia son le opere”, dice S. Gregorio, e uno dei modi migliori per farle sbocciare è di utilizzare il ricordo delle nostre colpe. Il fervore generato dall’amore non deve fermarsi al sentimento, ma deve regnare sulla volontà e fecondare la nostra condotta. La tristezza del peccatore pentito, dice il nostro amabile Santo, più che tristezza si potrebbe chiamare dispiacere e detestazione del male. La sua non è una malinconia inquietante o che intorpidisca lo spirito, bensì una tristezza che lo rende attivo, pronto, diligente; che non avvilisce il cuore, ma lo eleva con la preghiera e lo fa prorompere in accenti di pentimento, d'amore... Tristezza attenta e pronta a detestare e rigettare il male passato e a impedirlo per l'avvenire” (1).
“Le nostre imperfezioni... sono un grande motivo di umiltà, e l'umiltà fa nascere e crescere la generosità e la confidenza” (2).
Questo risultato della vera penitenza si fonda principalmente sulla soddisfazione. Soddisfare, secondo S. Anselmo, vuol dire restituire a Dio l'amore rubatogli; e secondo S. Agostino, distruggere le occasioni del peccato e non più consentire alle sue suggestioni. San Tommaso (3) giustifica le due definizioni e le concilia mirabilmente fra loro e sia l'una che l'altra servono perfettamente a indicarci quale profitto dobbiamo trarre dalle colpe.
Se pensiamo alla malizia, in certo senso infinita, dell'ingiuria fatta a Dio col più piccolo peccato, quale fervore sarà sufficiente a compensare i latrocini di cui ci siam resi colpevoli verso la divina Maestà? Non ci obbligheranno le colpe a una fedeltà tanto più generosa, quanto più enorme è stata la loro gravità e numero, secondo la frase del profeta: L'abisso della vostra malizia, sia la misura della vostra conversione? (4). Le creature che han servito a peccare, dal peccato stesso prenderanno motivo per guidarci: Recedite, abite, nolite me tangere! Indietro, non mi toccate (5). O almeno d'ora in avanti non usatemi ad altro che a riparare le colpe passate! E non sentiremo noi la necessità di “raddoppiare e triplicare le ore che Dio ci concede” (6), per riparare il tempo perduto? Di qui, la pazienza per sopportare le conseguenze umilianti e penose dei peccati; le sante industrie per vendicare in noi, con la mortificazione, i violenti diritti di Dio; la preoccupazione di consacrargli tutte le nostre facoltà e tutti gli istanti della vita. E’ quel che ci suggerisce e raccomanda anche S. Francesco di Sales: “Mia carissima figlia, siate perfettamente tranquilla: le vostre confessioni sono state ottime. Ormai pensate solo a progredire nella virtù e non rammentate più i peccati trascorsi, se non per umiliarvi dolcemente davanti a Dio e benedire la sua misericordia che ve li ha perdonati con l'applicazione dei Santi Sacramenti” (7).
“T'accorgi di restare indietro nel cammino della perfezione, per tua colpa? Ebbene, umiliati davanti a Dio, implora la sua misericordia; prostrato avanti a quel volto di bontà domandagli perdono e, ai piedi del confessore, ringrazialo e confessagli il tuo peccato per riceverne l'assoluzione. Ma fatto questo resta tranquillo, e dopo aver detestato il peccato, abbraccia con amore l'abiezione causata dall'esserti arrestato nella via del bene. Vedi, Teotimo, le anime del Purgatorio sono laggiù per scontare quei peccati che già tante volte hanno pianto e detestato; ma esse abbracciano volentieri la pena della privazione temporanea del Paradiso dove potrebbero godere coi beati, esse soffrono con amore e lodano divotamente la divina giustizia: Tu sei giusto, o Signore, e retti sono i tuoi giudizi (Sal 118, 137).
Ma ancora, se un'opera fatta dietro una buona ispirazione, fallisce per colpa di colui al quale venne affidata, come si può dire che bisogna conformarsi ugualmente alla volontà di Dio? Poiché, dirà qualcuno, non è per volere di Dio che l'opera fallisce, ma per mia colpa. E vero, figlio mio, la tua colpa non fu voluta da Dio, perché Dio non può essere autore del peccato, tuttavia è volontà di Dio che, in punizione della tua colpa, l'impresa sia seguita dal fallimento. Perché, se la Bontà non permette a Dio di voler la tua colpa, la Giustizia però gli fa esigere la pena che ne porterai. Così, Dio non fu causa del peccato di Davide, ma non mancò di infliggergliene il castigo; non fu causa del peccato di Saul, ma volle che per punizione gli sfuggisse di mano la vittoria.
Quando dunque avviene che i disegni di Dio non riescono, perché egli vuoi punire le nostre colpe, bisogna detestare ugualmente la colpa e accettarne la pena; giacché se il peccato è contrario alla volontà di Dio, la pena è ad essa conforme” (8).
OFFLINE
10/08/2013 17:59
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

2. - Bisogna imitare i Santi che furono coraggiosi nel rialzarsi dalle cadute.

San Francesco di Sales non si contenta che uno accetti con rassegnazione le tristi conseguenze delle cadute, come loro meritato castigo, ma vuole anche che vengano riparate con l'accelerare il passo nella virtù. “Ma, direte, come si fa a ricuperare il tempo perduto? Si ricupera col fervore e la diligenza nel percorrere la via che ancor ci resta da fare” (9).
S. Giovanna di Chantal, da vera discepola di S. Francesco, ripeteva spesso questi avvisi alle consorelle. “Come si fa, mi domandate, a scorgere la volontà di Dio nelle nostre mancanze e imperfezioni? Ecco, figliuole carissime, noi potremo sempre vedere in esse la sua volontà permissiva, che ci lascia cadere in questa o in quella mancanza, affinché ci umiliamo, ce ne accusiamo e prendiamo amore alla nostra abiezione, e con questa pratica possiamo riparare e ottenere il perdono delle colpe” (10).
Tale è la pratica dei Santi: “Essi si rialzano dalle cadute, dice S. Ambrogio, più robusti e fortificati per altri combattimenti; tanto che esse non solo non riescono a ritardare la loro corsa, ma ne raddoppiano lo slancio” (11).
“Gli uomini che sono precipitati con impeto nel male, aggiunge S. Giovanni Crisostomo, portano poi lo stesso ardore nel bene, anche perché conoscono l'enormità dei loro debiti: meno ama cui meno si perdona (Lc 7, 48). Divorati dal fuoco della penitenza, essi rendono la loro anima più pura dell'oro e, sotto l'impulso della coscienza e al ricordo delle antiche colpe, come al soffio di un vento impetuoso, vogano a gonfie vele verso il porto della virtù. In questo superano coloro che non sono mai caduti... La stessa Sacra Scrittura ci prova come la penitenza conferisca ai peccatori convertiti uno splendore alle volte più grande di quello dei giusti. E per questo che certi pubblicani e meretrici andranno più avanti di altri nel regno dei Cieli (Mt 21, 31); è per questo che molti da primi diverranno ultimi e molti ultimi saranno primi (Mt 19, 30)” (12).
OFFLINE
10/08/2013 18:00
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota


3. - Come il Salva/ore sa mutare in grazie le miserie del peccatore penitente.

Ma se è così, osserverà qualcuno, non sembra che i peccatori vengano a trovarsi in una condizione superiore a quella dei giusti che non hanno mai peccato, e che la virtù riparata superi l'innocenza intemerata? Lungi da noi il pensiero di stabilire un parallelo tra la virtù conservata intatta e la virtù riparata, e di esaltare la seconda a detrimento della prima. L'innocenza s'avvicina di più all'infinita santità di Dio, la imita più perfettamente e sarà sempre la prediletta del Divin Figlio, il quale l'ha voluta per sé e per la sua Madre. Gli aspri profumi della penitenza non saranno mai come l'aroma che emana da una vita immacolata; e come il giglio tra i fiori, l'innocenza conserverà sempre il suo abbagliante candore e il suo olezzo particolare. Di più, perdendola, l'uomo perde una dignità che appartiene solo ad essa e che, una volta perduta, non si può assolutamente riconquistare.
Tuttavia, pur non ricuperando l'innocenza perduta, l'uomo peccatore che fa penitenza si procura, secondo la dottrina di S. Tommaso, un tesoro, e riconquista una più grande fortuna (aliquid maius), poiché, dice S. Gregorio (Homil. de Centum ovibus), chi riflette seriamente sui traviamenti passati, ripara le perdite avute in passato coi guadagni susseguenti, e in Cielo è oggetto d'una gioia più grande; allo stesso modo che in un combattimento il soldato che ha voltato le spalle, ma poi è tornato con più coraggio ad assalire il nemico, è più caro al capitano d'un altro che è rimasto fedele al suo posto, ma non si è distinto per nessun atto straordinario di valore (13).
Da parte sua, il Salvatore serba tali favori ai colpevoli che a lui ricorrono, cosparge la loro penitenza con effusione di sangue così generosa, e fa talmente sovrabbondare la sua grazia sugli eccessi della nostra malizia, che, al dire del nostro Santo, egli cambia “le miserie in grazie, le spine in rose, il veleno delle iniquità in contravveleno e farmaco di salute; e il peccatore riceve, come Giobbe - figura innocente del peccatore pentito - il doppio dei beni perduti” (14).
OFFLINE
10/08/2013 18:00
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

4. - Le lacrime della penitenza sono un mezzo per riguadagnare il tempo perduto.

Infine, come ci ha insinuato il Santo Dottore, consiste proprio in questo il trionfo dell'amore (15). “Vi può essere, si domanda un autore già citato più volte, vi può essere un segreto per riconquistare il tempo perduto?
O è come pretendere d'incatenare i venti delle tempeste?” E risponde: “Grazie a Dio il segreto esiste; l'amore l'ha inventato e l'amore l'ha svelato: che l'amore che alberga in voi se ne sappia impossessare! Questo segreto consiste nelle lacrime sante: non quelle degli occhi, che Dio non concede a tutti e non esige da nessuno, ma le lacrime del cuore, il pentimento, lo strazio dell'anima, la contrizione. Coprite con queste lacrime invisibili quella parte di vostra vita che è rimasta sterile, perché non illuminata dall'amore, di quell'amore che tornerà in voi portato dalle acque del pentimento. E chi sa che davanti a Dio questi anni deplorati non diventino con la penitenza più belli, più floridi e più preziosi, di quel che sarebbero stati con l'innocenza?
Ognuno compatirà i vostri peccati come quelli della Maddalena, se come essa li piangerete” (16).
OFFLINE
10/08/2013 18:00
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota


5. - Esempio di S. Maria Maddalena che è la regina dei peccatori pentiti.

L'esempio della Maddalena conferma perfettamente questa dottrina, e S. Francesco di Sales non ha tralasciato di usarne. Esso sarà come il coronamento delle citazioni che siam venuti facendo dell'amabile Dottore, l'ultimo fiore dei suoi soavi insegnamenti e la sintesi di questo ultimo capitolo: “La Maddalena si convertì in un modo così ammirevole, che da creatura piena di iniquità, divenne un vaso purissimo e mondo, capace di ricevere e conservare in se stessa il liquore preziosissimo e olezzante della grazia, con la quale poco dopo profumò il Salvatore. Colei che per i peccati era stata una sentina di pessimi odori, divenne, con la conversione, un giglio bellissimo e un fiore di soavissimo profumo; fu purificata e rinnovata dalla grazia nella stessa misura che prima era apparsa avvizzita e impudente.
Tutti i giorni noi osserviamo questa meraviglia di natura: i fiori ricevono incremento e bellezza dal letame; e più la terra ne riceve, più i fiori crescono e diventano belli. Così la nostra Santa, dopo la conversione, divenne tanto più bella, per la contrizione e il fervore, quanto prima era stata infetta di peccati.
Onde possiamo giustamente chiamarla regina di tutti i cristiani e figli della Chiesa, i quali sono divisi in tre categorie: giusti, peccatori, penitenti che non vogliono morire in peccato e peccatori ostinati e impenitenti che non vogliono emendarsi e muoiono nelle loro iniquità. Per ora non intendo parlare di questi ultimi infelici, i quali non aspirano più al Cielo e hanno l'inferno per loro retaggio.
Né certo S. Maria Maddalena è regina di questi peccatori, ma solo di quelli che vogliono uscire dal carcere delle loro iniquità; poiché pur essendo stata peccatrice, come osserva la S. Scrittura: Mulier erat in civitate peccatrix (Lc 7, 35), si liberò dai peccati e ne chiese perdono a Dio con vero pentimento e proposito di abbandonarli, invitando così tutti i peccatori a seguire il suo esempio.
Oh quanto fu grande e generosa la sua penitenza! Cosa non fece questa donna sia prima che dopo la morte del Salvatore, per cancellare col pianto i suoi peccati?... Come prima aveva usato il cuore, l'anima e il corpo per offendere Dio, così dopo usò anche tutto il cuore, tutta l'anima e tutto il corpo per fare penitenza, impegnandovisi interamente e senza riserva. Con ragione dunque possiam chiamarla regina dei penitenti, perché tutti li ha sorpassati nella penitenza.
Ordinariamente vediamo che quando gli uomini hanno ricevuto qualche offesa, esigono riparazione in misura del torto ricevuto: se sono stati derubati di uno scudo, vogliono indietro lo scudo, e se hanno subito un danno, richiedono una soddisfazione pari al danno. Nell'antica legge chi dava uno schiaffo al prossimo doveva riceverne un altro da lui, e chi cavava un occhio o un dente al fratello poteva essere sottoposto alla stessa pena.
Ora questa legge, pur essendo stata abolita presso gli uomini, viene ancora praticata da Gesù Cristo con quelli che si consacrano al suo servizio. Egli domanda loro che gli restituiscano, per quanto è possibile, l'equivalente delle colpe commesse, ossia che facciamo per lui quanto abbiam fatto per il mondo. Né questo è troppo, poiché se abbiamo fatto tanto per il mondo, lasciandoci trascinare dalle sue vane lusinghe, cosa non dovremmo fare per seguire le attrattive della grazia che sono così dolci e soavi? Non ci fa certamente torto, domandandoci questo scambio, essendo più che giusto, che il cuore, l'anima, gli occhi, le parole, i capelli, i profumi, prima usati per il mondo, ora vengano usati e sacrificati al servizio dell'amor divino, senza nessuna riserva”.
OFFLINE
10/08/2013 18:01
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

6. - Santa Maria Maddalena regina dei giusti.

“In secondo luogo, la Maddalena è anche regina dei giusti. Quantunque non venga chiamata vergine, si può tuttavia in certo senso chiamarla arcivergine, per la grande purità che conservò dopo la conversione; poiché essendosi purificata nella fornace del divino amore, fu ristabilita in una castità eccellentissima e fu ripiena d'un amore così perfetto che, dopo la SS. Vergine, è quella che più ha amato N. S. Gesù Cristo. Ella lo amò come i Serafini, anzi si può dire che il suo amore fu più ammirabile del loro, poiché i Serafini hanno un amore perfettissimo, ma lo posseggono senza sforzo e senza timore di perderlo; la Santa invece l'acquistò con sforzi e con pena, e lo conservò fra timori e sollecitudini. E Dio per ricompensare tanta fedeltà le diede un amore così forte e ardente, congiunto a tanta purità, che come lo Sposo Celeste feriva continuamente il cuore di lei, così ella con brame slanci e sospiri feriva il cuore del suo Diletto. Onde possiamo credere che la Santa ripetesse sovente le parole della Sposa dei Cantici: Oh, mi baciasse col bacio della sua bocca! (Cn 1, 1), bacio tanto desiderato dalla natura umana e tanto sospirato dai Patriarchi e dai Profeti; bacio che altro non è se non l'Incarnazione e l'unione della natura divina con l'umana, unione, precisamente, che tanto sospirava questa divina amante.
Vedete dunque che la Maddalena è veramente regina dei giusti, poiché qual altra cosa poteva renderla più giusta di quell'amore che, unito all'umiltà e alla compunzione, la facevano restar sempre ai piedi del Salvatore? E Gesù che la ricambiava con quell'amore tenero e delicato che usa coi giusti, non poté soffrire che qualcuno la toccasse o la biasimasse, senza ch'egli ne prendesse le difese” (17).
In altro luogo S. Francesco di Sales torna a parlare della celebre Penitente e conferma con una bella frase tutto quello che abbiamo qui riferito: “ Gesù ristabilì la Maddalena nella verginità,. non essenziale, ma riparata; la quale è talvolta più preziosa di quella che, pur non essendo stata macchiata, è accompagnata da meno umiltà” (18).
Infine il Santo della dolcezza conclude: “La Maddalena non sarebbe stata mai così innamorata del Salvatore, se egli non le avesse perdonati tanti peccati; né glieli avrebbe perdonati se essa non li avesse commessi. Ammira dunque, mia cara figlia, l'arte di questo grande Maestro di misericordia: egli cambia le miserie in grazie e con le vipere delle nostre iniquità prepara il prezioso farmaco per le nostre anime” (19).
OFFLINE
10/08/2013 18:02
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

CAPO VIII

UTILIZZARE LE PROPRIE COLPE
COL RADDOPPIARE LA DIVOZIONE
VERSO LA SS. VERGINE


1. - Maria, porto dei naufraghi, riceve dalle mani di Gesù la Maddalena convertita.

Nel preparare la terza edizione di questa operetta ci venne il pensiero di aggiungere un capitolo, che ci pentiamo di non aver scritto prima. Come cantare le misericordie divine senza consacrare un inno di lode alla Madre della misericordia? Potremmo noi, studiando l'arte di utilizzare le nostre colpe, alla scuola del più amabile dei Santi, dimenticare il Rifugio dei peccatori, di cui il Santo Vescovo ha tanto celebrato la bontà? Abbiamo toccato questo argomento nel corso dell'opera (1); ma non basta. Conveniva consacrarvi una trattazione a parte.
Queste riflessioni ci hanno maggiormente persuaso ai piedi di Nostra Signora del porto a Clermont. In questo antico Santuario ci sembra d'aver compreso meglio che Maria è il Porto dei naufraghi, Portus naufragorum e assieme la loro Stella, Amica stella naufragis (2).
S. Francesco di Sales l'ha detto: “La SS. Vergine è sempre stata la stella polare e il porto di rifugio di tutti gli uomini che hanno navigato sulle onde del mare di questo misero mondo... Quelli che dirigono la loro navigazione alla luce di questa divina Stella, evitano, per mezzo suo di sbattere negli scogli e non cadono nei precipizi del peccato” (3); mentre coloro che si sono disgraziatamente allontanati dalla sua tutela, non riescono a trovare un altro porto più sicuro per riparare le avarie subite e per volgerle in profitto (4), che il Cuore Immacolato della più tenera delle madri.
Quindi sembra che il nostro buon S. Francesco ci domandi questo capitolo supplementare e ci indica pure come collegarlo alle pagine precedenti, nelle quali presenta la Maddalena, modello dei peccatori che desiderano rendere utili le loro cadute nel tempo stesso che le riparano.
In una lettera alla S. Chantal, egli torna sull'argomento e, riferendo l'estasi che lo aveva trasportato in spirito nella casa di Simone il Lebbroso, esclama: “Mi sembrava di vedere il Salvatore in aspetto gioviale; ma non osavo andare ai suoi piedi, per un certo riguardo alla Santa Maddalena. Mi buttai allora ai piedi di Maria SS., la quale, se non erro, si trovava presente. Ero dolente di non avere tante lacrime e tanti profumi come la Maddalena; ma la Madonna si contentò di alcune goccioline versate appena sul lembo della sua veste, poiché non si sarebbe osata toccare i suoi santi piedi. Una cosa mi consolò molto: dopo il convito, Gesù affidò la cara convertita alla Madonna; per cui si può mirare la Peccatrice quasi sempre assieme alla SS. Vergine, la quale le fu molto larga di carezze. Questo m'infuse grande coraggio e ne fui infinitamente consolato” (5).
E altrove: “Fu proprio per mezzo della Madre di Dio e sul suo esempio che la Maddalena, ch'era stata come una caldaia annerita di mille immondezze e ricettacolo d'impurità, venne dopo la conversione arruolata sotto lo stendardo della purezza dalla Madonna e divenne un cristallo tutto terso e splendente, capace di ricevere e custodire i liquori più preziosi e le acque più salutari” (6).

2. - Gesù, mediatore presso il Padre, ha costituito Maria mediatrice presso se stesso.

O Padre Santo, comunicate a tutti i peccatori quel coraggio e quella lieta confidenza che loro deve ispirare il ricorso a Maria! Persuadeteli che se il cumulo della loro miseria, nonostante tutte le ragioni sviluppate in questo libro, li trattiene ancora dal gettarsi sul Cuore infinitamente buono di Gesù, deve però comunicar loro uno slancio irresistibile che li porti tra le braccia di Maria, la quale riserva le più tenere carezze a quelli che sono più infermi.
Il Salvatore stesso ha voluto che fosse così, e ha prevenuto in tal modo i timori che doveva necessariamente ispirare ai colpevoli la sua divinità in ufficio di Giudice, malgrado tutte le manifestazioni della sua tenerezza. Senza cessare d'essere nostro avvocato e mediatore presso il Padre, egli s'è degnato costituire tra sé e noi una mediatrice, un'avvocata alla quale tutti potessimo avvicinarci senza timore, perché nostra Madre, e che potesse tutto ottener da Dio, perché sua Madre. E così ella intercede sempre vittoriosamente presso il Figlio, mostrandogli il seno che l'ha nutrito, come il Figlio intercede presso il Padre mostrandogli il suo Cuore e le sue piaghe.
Le testimonianze dei Padri sono concordi a confermarci che questa è l'economia del piano divino. Gesù da solo poteva bastare alla restaurazione del genere umano, poiché da lui viene tutto quel che ci è necessario: ma non era bene che l'Uomo fosse solo. Conveniva che, come l'uno e l'altro sesso avevano concorso alla rovina, così anche tutti e due contribuissero alla riabilitazione (7). Gesù adunque ha posto in Maria il riscatto del genere umano (8). Ha voluto che tutto ci venga da lei (9). Essa è l'acquedotto per cui la grazia scende a noi, la scala che ci conduce a Dio, la porta che ci apre l'accesso alla sua Bontà, il collo per cui giungono all'intero Corpo della Chiesa i meriti del suo Capo. Nessuno si salva, nessuno ottiene il perdono se non per lei (10).
OFFLINE
10/08/2013 18:02
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

3. - Maria, novella Ester, è la plenipotenziaria presso la Divina Misericordia.

Come Ester, Maria ha trovato davanti al Signore grazia per tutti gli uomini e ha ottenuto la metà del suo divino impero. Essa tiene lo scettro della misericordia, mentre il suo Figlio è Re della giustizia (11).
Sì, Maria è Ministra plenipotenziaria della Misericordia. La misericordia è il suo Dicastero. Come negli stati moderni, quelli che hanno da trattare affari di finanze, di marina o d'agricoltura, devono rivolgersi agli appositi Ministri incaricati, così devono ricorrere alla Madre di Dio quelli che han bisogno di misericordia; e più la loro miseria è profonda e più han motivo di ricorrere al suo cuore materno.
Un abisso chiama l'altro (12), e come dice S. Francesco di Sales, “Nulla è tanto gradito a una larga liberalità, quanto una bisognosa indigenza; e più il bene affluisce e più l'inclinazione ad espandersi e comunicarsi è forte... tanto che non si saprebbe dire se trova più gioia il bene nell'espandersi, o l'indigenza nel ricevere e prendere, se già Nostro Signore non avesse detto che è più felice colui che dona di colui che riceve” (13).
OFFLINE
10/08/2013 18:03
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

4. - Spesso il nome di Maria sembra più efficace del nome di Gesù.

S. Anselmo va oltre. Non esita a dire che sovente uno è ascoltato più presto invocando il nome di Maria che non invocando quello di Gesù. “Non già, continua egli, che la Madre sia più potente del Figlio, poiché ella riceve da lui ogni potere; ma Gesù, essendo il Padrone e il Giudice di tutti, e conoscendo i meriti di ciascuno, agisce sempre con giustizia anche se tarda ad esaudire; al nome di Maria invece, la sua giustizia resta soddisfatta, si placa e i meriti di questa incomparabile creatura intervengono a far ottenere ogni cosa” (14).
Un'altra ragione, largamente sviluppata dagli antichi autori e fondata sulla S. Scrittura che essi commentano, ci svela ancora più chiaramente il mistero. Nell'Antico Testamento, dicono essi, Dio è chiamato il Signore degli eserciti, il Dio delle vendette, il Leone di Giuda. E’ rappresentato circondato di fiamme, tonante dall'alto dei Cieli, lanciando folgori, affilando la spada, tendendo l'arco e scagliando le sue frecce; seppellisce la terra con le acque del diluvio e le città colpevoli con una pioggia di zolfo; affoga i suoi nemici nei gorghi del mare e li sprofonda negli abissi della terra, aperta dalla sua via.
A un tratto, nel Vangelo, lo stesso Dio ci appare sotto l'emblema d'un agnello. Egli non ha quasi coraggio di spezzare la canna fessa, né di smorzare il lucignolo che fumiga ancora. Che cosa è dunque avvenuto? Ecco: Dio si è incarnato nel seno di Maria!
Come il Sole, finché percorre il ciclo zodiacale, i segni del Cancro, del Toro, dello Scorpione, della Bilancia e del Leone, manda raggi infuocati, ma poi s'addolcisce entrando nel seno della Vergine (15); come il liocorno dimentica la sua ferocia appena poggia la testa sulle ginocchia d'una fanciulla (16); così il Sole di giustizia diventa un placido astro e trasforma le fiamme della sua collera in dolce tepore, dopo che ha celato il suo splendore nel seno della Vergine di Nazareth. La giustizia rimane in Cielo: Justitia de Coelo prospexit, e la misericordia scende ad abitare sulla terra: Dominus dabit benignitatem; non più collera, non più indignazione: Mitigasti omnem iram tuam, avertisti ab ira indignationis tuae, quando la terra virginale del seno di Maria ha dato il suo frutto: Terra dedit fructum suum (17).
OFFLINE
10/08/2013 18:03
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

5. - Commoventi considerazioni del teologo Cristoforo De Vega sulla misericordia di Maria.

Il Leone di Giuda ha preso nel seno della più amabile delle donne, inter omnes mitis il morbido vello e la naturale mansuetudine dell'agnello (18). Ha succhiato, col latte materno, la dolcezza di questa tenera pecorella. Latte che è migliore del vino, dice un illustre interprete del Cantico dei Cantici, poiché il vino può inebriare l'uomo, fargli dimenticare le ingiurie ricevute e renderlo facile al perdono; ma il latte della SS. Vergine ha avuto come la potenza di inebriare Dio stesso. Appena egli ne ha bevuto, succhiando con esso la misericordia, ha gettato lontano il ricordo dei nostri peccati e s'è fatto largo di perdono (19). Sì, aggiunge senza timore Riccardo di S. Vittore, in voi, o Maria, si accrebbe l'affluenza della divina misericordia, e da voi si è effusa sopra di noi (20). Dalla pietra è uscito del miele, perché la radice di Jesse ha germogliato un fiore che dà questo succo soave, rimedio a tanti mali (21). Al passaggio del Mar Rosso, le onde infuriate seppellirono gli Egiziani, figura dei peccatori: non c'era l'arca. Invece al passaggio del Giordano non vi furono vittime: l'arca propiziatrice dell'alleanza teneva lontano i castighi. Senza Maria, tutto si può temere da un Dio vendicatore, ma quando egli abita in quest'arca di propiziazione, non c'è che da aspettarsi dei benefici. Così Simeone, finché vede il Messia fra le braccia di sua Madre, lo proclama salvezza d'Israele; ma quando lo tiene fra le proprie braccia, vede in lui la causa della rovina e della risurrezione di molti (22).
Trema, o peccatore, se tu separi il Cristo da Maria; ma pregalo con confidenza, quando si trova fra le braccia di questa amabile Regina; è la misericordia che si trova sul proprio piedistallo, il fiore sulla propria radice, l'acqua nel proprio oceano.
Nel seno del Padre, il Figlio di Dio fatto uomo attinse gli attributi della paternità divina; nel seno di sua madre invece riveste sentimenti materni; e un celebre teologo (23), che ci ha fornito la maggior parte delle citazioni precedenti, non trova difficoltà a concludere, fondato sull'autorità di un testo di S. Ambrogio (24), che Maria ha ingrandita la clemenza del Dio che ha generato e ha cinto la sua testa con un diadema di eterna misericordia.
O stolte, riprende questo teologo, veramente stolte le vergini del Vangelo che s'addormentarono senza olio; ma più stolte ancora quando, respinte dallo Sposo, non implorarono il soccorso della Sposa, cioè di Maria! Esse gridarono: Signore, Signore! apriteci (25)! Si rivolgono al Giudice e ricevono il giustissimo rimprovero che meritano: Non vi conosco. Perché non si sono rivolte alla Sposa, gridandole: Signora, Signora? Con questo solo nome, esse avrebbero ottenuto grazia.
OFFLINE
10/08/2013 18:04
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

6. - S. Bernardo, S. Brigida e S. Francesco di Sales invitano il peccatore a ricorrere a Maria.

Peccatore, chiunque, tu sia, avessi anche un piede nell'abisso, e la disperazione avesse invaso il tuo cuore, guarda Maria, pensa a Maria (26) e ricupererai l'innocenza e la pace. Nessuno - è la Vergine stessa che l'ha rivelato a S. Brigida - nessuno, a meno che non sia un dannato, invoca questo nome con volontà di lasciare il peccato, senza che il demonio se ne fugga subito (27); e se, come amabilmente racconta l'Apostolo del Chiablese, un timido uccello, articolando il nome di Maria che aveva imparato a ripetere in un monastero fu subito abbandonato da uno sparviero che già lo teneva fra gli artigli, quale sarà il colpevole che non possa sfuggire agli artigli del demonio, invocando questo potentissimo nome? Esso dev'essere secondo l'espressione scritturale, il nostro respiro, poiché, dice un santo Padre, è veramente per Maria che l'anima colpevole respira e si apre alla speranza del perdono (28).
OFFLINE
10/08/2013 18:05
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

7. - Paragone del duplice battito del cuore applicato a Gesù ed a Maria.

Uno scrittore moderno è più esplicito ancora, e indica con un paragone altrettanto giusto che ardito, qual è l'ufficio della Madre di Dio e come debbano servirsene tutti quelli che sono stati uccisi o feriti dal peccato.
“Ogni battito di cuore è duplice e si compone di due movimenti: l'uno ritira dagli organi il sangue morto e l'altro vi lancia il sangue vivo. Il cuore stesso è come doppio e ha due cuori in uno: l'uno è attivo, l'altro piuttosto passivo; l'uno spande la vita, l'altro riprende la morte per dar posto alla vita. L'uno vivifica, l'altro purifica. Tale è anche, in mezzo all'umanità rigenerata, l'ufficio del Cuore, di quel Cuore che è come composto di due anime viventi in una, l'anima di Gesù forma il lato vivificante del cuore del mondo e l'anima di Maria forma, per la grazia di Gesù, il lato per cui passa ciò che è morto, per ritornare a vita.
Ella porta a Colui che è la stessa Vita, il sangue morto dell'umanità, affinché vi si riversi la vita, e Gesù lo ridoni al mondo vivificato e divinizzato. Il Verbo, incarnandosi, ha divinizzato il sangue; ma è la Vergine, che ha dato al Verbo la materia da divinizzare” (29).
OFFLINE
10/08/2013 18:05
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

8. - Parole consolanti dei Ss. Ignazio, Bonaventura, Pier Damiano e Gregorio Nazianzeno sulla misericordia di Maria.

Chi mai potrebbe contare le anime ricondotte da Maria sulla via di Dio? Bisognerebbe annoverarsi tutte le conversioni, poiché non ve n’ è una che si sia operata senza il suo materno concorso. Impossibile, dice S. Ignazio Martire, che un peccatore si salvi senza il concorso di Maria. Non è la giustizia di Dio che ci salva, ma l'infinita sua misericordia, sollecitata dalle preghiere di Maria (30).
Novella Rut, continua S. Bonaventura, essa raccoglie le spighe sfuggite all'attenzione dei mietitori, ossia le anime che restano sorde a tutti gli appelli della grazia, le prende e le ripone nel granaio del padre di famiglia.
Grazie alle preghiere di questa Vergine benedetta, il ladrone del Calvario divenne penitente e martire, dice S. Pier Damiani. E Giuda il traditore non si sarebbe impiccato, se avesse aspettato fino al momento in cui Gesù morente affidò gli Apostoli a sua Madre (31).
Ad essa ricorse il Principe degli Apostoli dopo il triplice rinnegamento, e S. Giovanni Nazianzeno ci presenta con linguaggio poetico Maria mentre dice a Gesù: O Verbo di Dio, il peccare è proprio dell'uomo: perdona a Pietro! E Gesù risponde: Lo hai salvato, o Madre mia, poiché io accondiscendo a tutti i tuoi desideri: per tuo solo riguardo, io perdono a Pietro tutte le sue colpe. S. Paolo, dicono gli antichi biografi (32), attribuiva all'intercessione della Madre di Dio il colpo di grazia che lo aveva trasformato.
Se tale fu la misericordia di Maria durante la sua vita d'esilio, riprende S. Bonaventura (33), quale sarà ora, che regna nel Cielo? Essa si moltiplica in proporzione della moltitudine sterminata dei peccatori che vede sulla terra, e la Chiesa afferma che il suo ufficio in Paradiso è appunto quello di pregare per i peccatori (34).
E non son forse questi che hanno accresciuto grandemente la sua gloria? e sarebbe ella Madre del Redentore, se non vi fossero stati dei peccatori da riscattare?
“Sono essi, scrive l'Olier, che hanno procurato a questa Vergine benedetta l'onore di essere Madre del Salvatore degli uomini; perché, senza il peccato, Gesù non sarebbe venuto al mondo sotto sembianze di carne peccatrice” (35). Maria è in certo modo debitrice ai peccatori della sua qualità di Madre di Gesù Cristo.
OFFLINE
10/08/2013 18:05
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

9. - Motivo per cui Maria protegge particolarmente i peccatori.

Siamo noi, aveva già detto S. Tommaso da Villanova (36), siamo noi in certo modo l'occasione della sua esaltazione. Il medico divino non sarebbe disceso dal Cielo, se sulla terra non vi fosse stata la malattia del peccato da guarire. Maria è divenuta Madre di Dio, perché noi eravamo dei colpevoli. Dio non si sarebbe fatto uomo, se l'uomo non avesse peccato (37). Senza dubbio, o Vergine Santissima, voi non ci dovete nulla, poiché causa di tutto questo non fu il nostro merito, ma il nostro demerito. Ma, considerando la vostra grandezza, vogliate, per vostra bontà, ricordarvi della nostra miseria. Davvero dunque sarete l'avvocata dei peccatori, poiché a causa dei loro peccati siete stata esaltata così in alto; e benché il peccato ci ispiri un vivo dolore, la vostra sublimità ci è sommamente gradita e la vostra gloria compensa i danni cagionatici dalle colpe (38).
Quanto, esclama un pio autore, quanto l'enormità dei miei falli mi disperava, o Maria! Voi siete la Madre di tutti ma in special modo dei peccatori (39).
Sì, sono proprio i peccatori che incessantemente rinnovano a questa Vergine le glorie e le gioie della sua divina maternità, poiché in essi ella rigenera Cristo tutte le volte che, con la sua intercessione, lo fa rivivere nella loro anima (40).
Nella conversione di ogni peccatore, ossia nella sua rinascita alla grazia e rinnovazione nella figliolanza divina, nel momento in cui il Padre celeste convivificante in Cristo (41) gli dice: tu sei il mio figlio, oggi ti ho generato! (42) l'Angelo custode del fortunato convertito può, mostrandolo a Maria, salutarla con le parole di Elisabetta: benedetto sia questo frutto del tuo seno, perché realmente è frutto del suo seno.
Essa è madre dei membri, come è Madre del Capo del corpo mistico della Chiesa e nessun giusto entra a farvi parte, se non è generato alla vita divina per mezzo di questa nuova Eva, vera madre di tutti i viventi.
OFFLINE
10/08/2013 18:06
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota


10. - Maria, rifugio dei peccatori, nulla tralascia per ottenere la loro conversione.

Un antico interprete (43) del Cantico dei Cantici, commentando il passo: pasce haedos tuos, pasci i tuoi capretti, lo applica, senza difficoltà, a Maria in relazione dei peccatori.
Sono essi i capretti e giustamente vengono chiamati gregge di Maria. Non già che ella li voglia, così come sono, destinati a essere messi alla sinistra del Giudice supremo, ma li adotta a fine di assicurar loro un posto alla destra, col trasformarli in agnelli fedeli.
Così pure il medico chiama in linguaggio usuale suo malato colui che ha preso in cura, ma è ben lontano dal volere la sua malattia.
In questi due paragoni si trova una quantità di incoraggiamenti.
L'agnello è senza dubbio preferibile al capretto, e nulla vale quanto il candore di una anima innocente. Fortunati coloro che, simili ad agnelli senza macchia, si meritano le Carezze della Vergine delle Vergini, chiamata anche “la divina Pastora”. Ma anche ai peccatori resta una immensa consolazione. Confessando di meritare, per i loro delitti, d'essere messi alla sinistra del Giudice, come capretti maledetti, dipende unicamente. da loro, con un ricorso confidente a Maria, diventare suoi peccatori, ed essere bentosto convertiti in agnelli.
Così ancora: la salute sarà sempre stimata più preziosa della malattia, e felici coloro che non han bisogno del medico. Ma se si è malati, quale gioia e sicurità è il poter avere le cure di un principe della scienza medica, essere suo cliente, e annoverarsi fra i suoi malati!
Per infermi che siamo, per quanto disperato appaia lo stato della nostra anima, se vogliamo, Maria ci adotterà per suoi malati. E poiché non si danno quaggiù malattie spirituali incurabili e nessuna può resistere alle cure dell'onnipotente Madre di Dio, ella ci guarirà. La sua gloria, come quella d'un abile medico, risplenderà in proporzione della gravità dei mali dai quali ci salverà.
Poi, una volta guariti e strappati alla morte, durante i languori e i pericoli d'una convalescenza lunga come la nostra vita, questa dolce Madre sempre ci amerà e veglierà su noi, come il medico segue i suoi malati, anche dopo la loro guarigione. Noi avremo un titolo tutto speciale alla sua materna protezione. L'onor suo la farà premurosa della nostra perseveranza nello stato di grazia che ella ci avrà reso a prezzo delle sue preghiere e dei suoi dolori.
E, infedeli alle sue cure, ricadremo ancora in peccato? Forse che il medico abbandona i suoi malati nelle loro ricadute? Si vendicherà forse così, dell'indocilità alle sue cure? O non raddoppierà le industrie della sua capacità e dedizione per ottenere una guarigione divenuta più difficile?
OFFLINE
10/08/2013 18:07
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

11. - Preghiera di riconoscenza del peccatore a Maria.

O buona Madre di Colui che ha detto: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, e: perdonate fino a settanta volte sette, quando dunque le nostre ricadute potranno stancare la vostra potenza o la tenerezza delle vostre sollecitudini? Voi andate in cerca, come dice il vostro divoto S. Bonaventura (44), andate in cerca del peccatore rigettato da tutti, lo abbracciate, lo riscaldate e non vi date requie finché non l'abbiate guarito.
Io sono un Vostro malato, salvatemi: tuus sum ego, salvum me fac (45). Questo sarà il mio grido di speranza per tutti i giorni del mio esilio. Quanto più mi torneranno in mente le cadute passate, tanto più ricorderò che voi avete ricevuto il potere e la bontà di rialzarmi, e che per nulla li avete perduti; e tanto più mi terrò sicuro che non mi abbandonerete fino a guarigione compiuta.
La mia riconoscenza per le vostre cure, il desiderio di manifestare la vostra potenza, mi aiuteranno a seguire i vostri consigli. Io vi amerò, vi glorificherò, perché mi avete tratto dall'abisso (46). Finalmente in Cielo, prendendo posto fra coloro che vi devono la loro salvezza, per aver posto, in mezzo alle loro miserie, tutta la loro speranza in voi, io sarò la vostra gloria, come un malato è gloria del medico che l'ha strappato alle porte della morte non una, ma molte volte. Allora, e questo sarà il più bel trionfo della grazia, le mie stesse colpe saranno divenute il piedistallo della vostra glorificazione e il trono della divina misericordia che io voglio eternamente cantare: Misericordias Domini in aeternum cantabo (47).
Amen! Amen! Amen!
Nuova Discussione
Rispondi
Questa è la vita: che conoscano Te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo. Gv.17,3
 
*****************************************
Feed | Forum | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra | Regolamento | Privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 12:17. Versione: Stampabile | Mobile - © 2000-2024 www.freeforumzone.com