|
08/06/2013 10:19 | |
Nella parabola della vite, Gesù non dice: "Voi siete la vite", ma: "Io sono la vite, voi i tralci" (Gv 15,5). Ciò significa: "Così come i tralci sono legati alla vite, così voi appartenete a me! Ma appartenendo a me, appartenete anche gli uni agli altri". E questo appartenere l'uno all'altro e a Lui non è una qualsiasi relazione ideale, immaginaria, simbolica, ma – vorrei quasi dire – un appartenere a Gesù Cristo in senso biologico, pienamente vitale. È la Chiesa, questa comunità di vita con Gesù Cristo e dell'uno per l'altro, che è fondata nel Battesimo e approfondita ogni volta di più nell'Eucaristia. "Io sono la vera vite"; questo, però, in realtà significa: "Io sono voi e voi siete me" – un'inaudita identificazione del Signore con noi, con la sua Chiesa. […] Nella parabola, il Signore Gesù dice ancora una volta: "Io sono la vite vera, e il Padre mio è l'agricoltore" (Gv 15,1), e spiega che il vignaiolo prende il coltello, taglia i tralci secchi e pota quelli che portano frutto perché portino più frutto. Per dirlo con l'immagine del profeta Ezechiele, come abbiamo ascoltato nella prima lettura, Dio vuole togliere dal nostro petto il cuore morto, di pietra, e darci un cuore vivente, di carne (cfr Ez 36,26). Vuole donarci una vita nuova e piena di forza. un cuore di amore, di bontà e di pace. Cristo è venuto a chiamare i peccatori. Sono loro che hanno bisogno del medico, non i sani (cfr Lc 5,31s.).
Omelia, Olympiastadion di Berlin, 22 settembre 2011 |