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PERLE PATRISTICHE

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2017 23:57
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14/04/2016 07:00
 
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Dal Trattato «Contro le eresie» di sant'Ireneo, vescovo.

(Lib. 5, 2, 2-3; SC 153, 30-38)
L'Eucaristia pegno di risurrezione

Se la carne non viene salvata, allora né il Signore ci ha redenti col suo sangue, né il calice dell'Eucaristia è la comunione del suo sangue, né il pane che spezziamo è la comunione del suo corpo. Il sangue infatti non viene se non dalle vene e dalla carne e da tutta la sostanza dell'uomo nella quale veramente si è incarnato il Verbo di Dio. Ci ha redenti con il suo sangue, come dice anche il suo Apostolo: in lui abbiamo la redenzione e la remissione dei peccati per mezzo del suo sangue (cfr. Ef 1, 7).
Noi siamo sue membra, ma siamo nutriti dalle cose create, che egli stesso mette a nostra disposizione, facendo sorgere il suo sole e cadere la pioggia come vuole. Questo calice, che viene dalla creazione, egli ha dichiarato che è il suo sangue, con cui alimenta il nostro sangue. Così pure questo pane, che viene dalla creazione, egli ha assicurato che è il suo corpo con cui nutre i nostri corpi.
Il vino mescolato nel calice e il pane confezionato ricevono la parola di Dio e diventano Eucaristia, cioè corpo e sangue di Cristo. Da essi è alimentata e prende consistenza la sostanza della nostra carne. E allora come possono alcuni affermare che la carne non è capace di ricevere il dono di Dio, cioè la vita eterna, quando viene nutrita dal sangue e dal corpo di Cristo, al quale appartiene come parte delle sue membra? Lo dice l'Apostolo nella lettera agli Efesini: Siamo membra del suo corpo, della sua carne e delle sue ossa (cfr. Ef 5, 30), e queste cose non le dice di un uomo spirituale e invisibile - uno spirito infatti non ha né ossa né carne (cfr. Lc 24, 39) - ma di un uomo vero, che consta di carne, nervi e ossa, e che viene alimentato dal calice che è il sangue di Cristo e sostenuto dal pane, che è il corpo di Cristo.
Il tralcio della vite, piantato in terra, porta frutto a suo tempo, e il grano di frumento caduto nella terra, e in esso dissolto, risorge moltiplicato per virtù dello Spirito di Dio, che abbraccia ogni cosa. Tutto questo poi dalla sapienza è messo a disposizione dell'uomo, e, ricevendo la parola di Dio, diventa Eucaristia, cioè corpo e sangue di Cristo. Così anche i nostri corpi, nutriti dall'Eucaristia, deposti nella terra e andati in dissoluzione, risorgeranno a suo tempo, perché il Verbo dona loro la risurrezione, a gloria di Dio Padre. Egli circonda di immortalità questo corpo mortale, e largisce gratuitamente l'incorruzione alla carne corruttibile. In questa maniera la forza di Dio si manifesta pienamente nella debolezza degli uomini.
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16/04/2016 09:13
 
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Dal «Commento sul vangelo di san Giovanni» di san Cirillo d'Alessandria, vescovo

(Lib. 4, 2; PG 73, 563-566)
Cristo ha dato il suo corpo per la vita di tutti

Muoio, dice il Signore, per tutti, per vivificare tutti per mezzo mio. Con la mia carne ho redento la carne di tutti. La morte infatti morrà nella mia morte e la natura umana, che era caduta, risorgerà insieme con me.
Per questo infatti sono divenuto simile a voi, uomo cioè della stirpe di Abramo, per essere in tutto simile ai fratelli.
Ben comprendendo il progetto divino lo stesso san Paolo dice: «Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch'egli ne è divenuto partecipe, per ridurre all'impotenza, mediante la morte, colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo» (Eb 2, 14). Infatti in nessun'altra maniera si sarebbe potuto distruggere chi aveva il potere della morte, e con lui la morte stessa, se non con il sacrificio di Cristo. Uno solo si è immolato per la redenzione di tutti, perché la morte regnava su tutti.
Cristo, offrendo se stesso a Dio Padre per noi come ostia immacolata, dice nel salmo: «Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto. Non hai chiesto olocausto e vittima per la colpa. Allora ho detto: Ecco, io vengo. Sul rotolo del libro di me è scritto che io faccia il tuo volere. Mio Dio, questo io desidero» (Sal 39, 7-9).
Fu poi crocifisso per tutti e a causa di tutti, perché, morto uno per tutti, viviamo tutti in lui. Infatti non poteva accadere che la vita per se stessa fosse sottoposta alla morte o soccombesse alla corruzione. Che Cristo, poi, abbia offerto la sua carne per la vita del mondo, lo sappiamo con certezza dalle sue parole: Padre santo, custodiscili (cfr. Gv 17, 11). E di nuovo: Per loro io santifico me stesso (cfr. Gv 17, 19). Santifico, dice, cioè: mi consacro e mi offro quasi ostia immacolata di soave odore. Veniva santificato infatti, veniva chiamato santo, secondo la legge, ciò che era offerto sull'altare. Cristo dunque diede il suo corpo per la vita di tutti e così di nuovo innestò in noi la vita.
Dopo che il Verbo vivificante di Dio abitò nella carne, la ristabilì nel suo bene, cioè nella vita. Stabilì con essa una comunione misteriosa e così la rese partecipe della sua stessa vita.
Perciò il corpo di Cristo vivifica coloro che comunicano con esso. Scaccia la morte dai mortali e la corruzione dai corruttibili in virtù di quella potenza rigeneratrice che porta sempre con sé.
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20/04/2016 07:13
 
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Dal trattato «Sulla Trinità» di sant'Ilario, vescovo

(Lib. 8, 13-16; PL 10, 246-249)
La naturale unità dei fedeli in Dio
mediante l'incarnazione del Verbo
e il sacramento dell'Eucaristia

È indubitabile che il Verbo si è fatto carne (cfr. Gv 1, 14) e che noi con il cibo eucaristico riceviamo il Verbo fatto carne. Perciò come non si dovrebbe pensare che dimori in noi con la sua natura colui che, fatto uomo, assunse la natura della nostra carne ormai inseparabile da lui, e unì la natura della propria carne con la natura divina nel sacramento che ci comunica la sua carne? In questo modo tutti siamo una cosa sola, perché il Padre è in Cristo, e Cristo è in noi.
Dunque egli stesso è in noi per la sua carne e noi siamo in lui, dal momento che ciò che noi siamo si trova in Dio.
In che misura poi noi siamo in lui per il sacramento della comunione del corpo e del sangue, lo afferma egli stesso dicendo: E questo mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete; poiché io sono nel Padre e voi in me e io in voi (cfr. Gv 14, 19-20).
Se voleva che si intendesse solo l'unione morale o di volontà, per quale ragione avrebbe parlato di una graduatoria e di un ordine nell'attuazione di questa unità? Egli è nel Padre per natura divina. Noi siamo in lui per la sua nascita nel corpo. Egli poi è ancora in noi per l'azione misteriosa dei sacramenti.
Questa è la fede che ci chiede di professare. Secondo questa fede si realizza l'unità perfetta per mezzo del Mediatore. Noi siamo uniti a Cristo, che è inseparabile dal Padre. Ma pur rimanendo nel Padre resta unito a noi. In tal modo arriviamo all'unità con il Padre. Infatti Cristo è nel Padre connaturalmente perché da lui generato. Ma, sotto un certo punto di vista, anche noi, attraverso Cristo, siamo connaturalmente nel Padre, perché Cristo condivide la nostra natura umana. Come si debba intendere poi questa unità connaturale nostra lo spiega lui stesso: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui» (Gv 6, 56).
Nessuno sarà in lui, se non colui nel quale egli stesso verrà, poiché il Signore assume in sé solo la carne di colui che riceverà la sua.
Il sacramento di questa perfetta unità l'aveva già insegnato più sopra dicendo: «Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me» (Gv 6, 57). Egli vive in virtù del Padre. E noi viviamo in virtù della sua umanità così come egli vive in virtù del Padre.
Dobbiamo rifarci alle analogie per comprendere questo mistero. La nostra vita divina si spiega dal fatto che in noi uomini si rende presente Cristo mediante la sua umanità. E, mediante questa, viviamo di quella vita che egli ha dal Padre.
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22/04/2016 08:03
 
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Dalla «Lettera ai Corinzi» di san Clemente I, papa

(Capp. 36, 1-2; 37-38; Funk, 1, 145-149)
Molte sono le membra, uno il corpo

Carissimi, la via, in cui trovare la salvezza, è Gesù Cristo, sacerdote del nostro sacrificio, difensore e sostegno della nostra debolezza.
Per mezzo di lui possiamo guardare l'altezza dei cieli, per lui noi contempliamo il volto purissimo e sublime di Dio, per lui sono stati aperti gli occhi del nostro cuore, per lui la nostra mente insensata e ottenebrata rifiorisce nella luce, per lui il Signore ha voluto che gustassimo la scienza immortale. Egli, che è l'irradiazione della gloria di Dio, è tanto superiore agli angeli, quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato (cfr. Eb 1, 3-4).
Prestiamo servizio, dunque, o fratelli, con ogni alacrità sotto i suoi comandi, santi e perfetti.
Guardiamo i soldati che militano sotto i nostri capi, con quanta disciplina, docilità e sottomissione eseguiscono gli ordini ricevuti. Non tutti sono capi supremi, o comandanti di mille, di cento, o di cinquanta soldati e così via. Ciascuno però nel suo rango compie quanto è ordinato dal re e dai capi superiori. I grandi non possono stare senza i piccoli, né i piccoli senza i grandi. Gli uni si trovano frammisti agli altri, di qui l'utilità reciproca.
Ci serva di esempio il nostro corpo. La testa senza i piedi non è niente, come pure i piedi senza la testa. Anche le membra più piccole del nostro corpo sono necessarie e utili a tutto l'organismo. Anzi tutte si accordano e si sottomettono al medesimo fine che è la salvezza di tutto il corpo.
Tutto ciò che noi siamo nella totalità del nostro corpo, rimaniamo in Gesù Cristo. Ciascuno sia sottomesso al suo prossimo, secondo il dono di grazia a lui concesso.
Il forte si prenda cura del debole, il debole rispetti il forte. Il ricco soccorra il povero, il povero lodi Dio perché gli ha concesso che vi sia chi viene in aiuto alla sua indigenza. Il sapiente mostri la sua sapienza non con le parole, ma con le opere buone. L'umile non dia testimonianza a se stesso, ma lasci che altri testimonino per lui. Chi è casto di corpo non se ne vanti, ma riconosca il merito a colui che gli concede il dono della continenza.
Consideriamo dunque, o fratelli, di quale materia siamo fatti, chi siamo e con quale natura siamo entrati nel mondo. Colui che ci ha creati e plasmati fu lui a introdurci nel suo mondo, facendoci uscire da una notte funerea. Fu lui a dotarci di grandi beni ancor prima che nascessimo.
Pertanto, avendo ricevuto ogni cosa da lui, dobbiamo ringraziarlo di tutto. A lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.
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25/04/2016 08:03
 
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Dal trattato «Contro le eresie» di sant'Ireneo, vescovo

(Lib. 1, 10, 1-3; PG 7, 550-554)
La proclamazione della verità

La Chiesa, sparsa in tutto il mondo, fino agli ultimi confini della terra, ricevette dagli apostoli e dai loro discepoli la fede nell'unico Dio, Padre onnipotente, che fece il cielo la terra e il mare e tutto ciò che in essi è contenuto (cfr. At 4, 24). La Chiesa accolse la fede nell'unico Gesù Cristo, Figlio di Dio, incarnatosi per la nostra salvezza. Credette nello Spirito Santo che per mezzo dei profeti manifestò il disegno divino di salvezza: e cioè la venuta di Cristo, nostro Signore, la sua nascita dalla Vergine, la sua passione e la risurrezione dai morti, la sua ascensione corporea al cielo e la sua venuta finale con la gloria del Padre. Allora verrà per «ricapitolare tutte le cose» (Ef 1, 10) e risuscitare ogni uomo, perché dinanzi a Gesù Cristo, nostro Signore e Dio e Salvatore e Re secondo il beneplacito del Padre invisibile «ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua lo proclami» (Fil 2, 10) ed egli pronunzi su tutti il suo giudizio insindacabile.
Avendo ricevuto, come dissi, tale messaggio e tale fede, la Chiesa li custodisce con estrema cura, tutta compatta come abitasse in un'unica casa, benché ovunque disseminata. Vi aderisce unanimemente quasi avesse una sola anima e un solo cuore. Li proclama, li insegna e li trasmette all'unisono, come possedesse un'unica bocca.
Benché infatti nel mondo diverse siano le lingue, unica e identica è la forza della tradizione. Per cui le chiese fondate in Germania non credono o trasmettono una dottrina diversa da quelle che si trovano in Spagna o nelle terre dei Celti o in Oriente o in Egitto o in Libia o al centro del mondo. Come il sole, creatura di Dio, è unico in tutto l'universo, così la predicazione della verità brilla ovunque e illumina tutti gli uomini che vogliono giungere alla conoscenza della verità. E così tra coloro che presiedono le chiese nessuno annunzia una dottrina diversa da questa, perché nessuno è al di sopra del suo maestro.
Si tratti di un grande oratore o di un misero parlatore, tutti insegnano la medesima verità. Nessuno sminuisce il contenuto della tradizione. Unica e identica è la fede. Perciò né il fecondo può arricchirla, né il balbuziente impoverirla.
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26/04/2016 05:58
 
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Dal «Commento sul vangelo di Giovanni» di san Cirillo d'Alessandria, vescovo

(Lib. 10, 2; PG 74, 331-334)
Io sono la vite, voi i tralci

Il Signore dice di se stesso di essere la vite, volendo mostrare la necessità che noi siamo radicati nel suo amore, e il vantaggio che a noi proviene dall'essere uniti a lui. Coloro che gli sono uniti, ed in certo qual modo incorporati e innestati, li paragona ai tralci. Questi sono resi partecipi della sua stessa natura, mediante la comunicazione dello Spirito Santo. Infatti lo Spirito Santo di Cristo ci unisce a lui.
Noi ci siamo accostati a Cristo nella fede per una buona deliberazione della volontà, ma partecipiamo della sua natura per aver ottenuto da lui la dignità dell'adozione. Infatti, secondo san Paolo, «Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito» (1 Cor 6, 17).
Noi siamo edificati su Cristo, nostro sostegno e fondamento e siamo chiamati pietre vive e spirituali per un sacerdozio santo e per il tempio di Dio nello spirito. Non possiamo essere edificati se Cristo non si costituisce nostro fondamento. La medesima cosa viene espressa con l'analogia della vite.
Dice di essere lui stesso la vite e quasi la madre e la nutrice dei tralci che da essa spuntano. Infatti siamo stati rigenerati da lui e in lui nello Spirito per portare frutti di vita, ma di vita nuova che consiste essenzialmente nell'amore operoso verso di lui. Quelli di prima erano frutti marci di una vita decadente.
Siamo poi conservati nell'essere, inseriti in qualche modo in lui, se ci atteniamo tenacemente ai santi comandamenti che ci furono dati, se mettiamo ogni cura nel conservare il grado di nobiltà ottenuto, e se non permettiamo che venga contristato lo Spirito che abita in noi, quello Spirito che ci rivela il senso dell'inabitazione divina.
Il modo con il quale noi siamo in Cristo ed egli in noi, ce lo spiega san Giovanni: «Da questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha fatto dono del suo Spirito» (1 Gv 4, 13).
Come la radice comunica ai tralci le qualità e la condizione della sua natura, così l'unigenito Verbo di Dio conferisce agli uomini, e soprattutto a quelli che gli sono uniti per mezzo della fede, il suo Spirito, concede loro ogni genere di santità, conferisce l'affinità e la parentela con la natura sua e del Padre, alimenta l'amore e procura la scienza di ogni virtù e bontà.
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27/04/2016 08:22
 
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Dalla «Lettera a Diogneto»

(Capp. 5-6; Funk, pp. 397-401)
I cristiani nel mondo

I cristiani non si differenziano dal resto degli uomini né per territorio, né per lingua, né per consuetudini di vita. Infatti non abitano città particolari, né usano di un qualche strano linguaggio, né conducono uno speciale genere di vita. La loro dottrina non è stata inventata per riflessione e indagine di uomini amanti delle novità, né essi si appoggiano, come taluni, sopra un sistema filosofico umano.
Abitano in città sia greche che barbare, come capita, e pur seguendo nel vestito, nel vitto e nel resto della vita le usanze del luogo, si propongono una forma di vita meravigliosa e, per ammissione di tutti, incredibile. Abitano ciascuno la loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutte le attività di buoni cittadini e accettano tutti gli oneri come ospiti di passaggio. Ogni terra straniera è patria per loro, mentre ogni patria è per essi terra straniera. Come tutti gli altri si sposano e hanno figli, ma non espongono i loro bambini. Hanno in comune la mensa, ma non il talamo.
Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Trascorrono la loro vita sulla terra, ma la loro cittadinanza è quella del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, ma, con il loro modo di vivere, sono superiori alle leggi.
Amano tutti e da tutti sono perseguitati. Sono sconosciuti eppure condannati. Sono mandati a morte, ma con questo ricevono la vita. Sono poveri, ma arricchiscono molti. Mancano di ogni cosa, ma trovano tutto in sovrabbondanza. Sono disprezzati, ma nel disprezzo trovano la loro gloria. Sono colpiti nella fama e intanto si rende testimonianza alla loro giustizia.
Sono ingiuriati e benedicono, sono trattati ignominiosamente e ricambiano con l'onore. Pur facendo il bene, sono puniti come malfattori; e quando sono puniti si rallegrano, quasi si desse loro la vita. I giudei fanno loro guerra, come a gente straniera, e i pagani li perseguitano. Ma quanti li odiano non sanno dire il motivo della loro inimicizia.
In una parola i cristiani sono nel mondo quello che è l'anima nel corpo. L'anima si trova in tutte le membra del corpo e anche i cristiani sono sparsi nelle città del mondo. L'anima abita nel corpo, ma non proviene dal corpo. Anche i cristiani abitano in questo mondo, ma non sono del mondo. L'anima invisibile è racchiusa in un corpo visibile, anche i cristiani si vedono abitare nel mondo, ma il loro vero culto a Dio rimane invisibile.
La carne, pur non avendo ricevuto ingiustizia alcuna, si accanisce con odio e muove guerra all'anima, perché questa le impedisce di godere dei piaceri sensuali; così anche il mondo odia i cristiani pur non avendo ricevuto ingiuria alcuna, solo perché questi si oppongono al male.
Sebbene ne sia odiata, l'anima ama la carne e le sue membra, così anche i cristiani amano coloro che li odiano. L'anima è rinchiusa nel corpo, ma essa a sua volta sorregge il corpo. Anche i cristiani sono trattenuti nel mondo come in una prigione, ma sono essi che sorreggono il mondo. L'anima immortale abita in una tenda mortale, così anche i cristiani sono come dei pellegrini in viaggio tra cose corruttibili, ma aspettano l'incorruttibilità celeste.
L'anima, maltrattata nei cibi e nelle bevande, diventa migliore. Così anche i cristiani, esposti ai supplizi, crescono di numero ogni giorno. Dio li ha messi in un posto così nobile, che non è loro lecito abbandonare.
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01/05/2016 09:08
 
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Dal «Commento sulla seconda lettera ai Corinzi» di san Cirillo di Alessandria, vescovo

(Cap. 5, 5 - 6; PG 74, 942-943)
Dio ci ha riconciliati per mezzo di Cristo
e ci ha affidato il ministero della riconciliazione

Chi ha il pegno dello Spirito e possiede la speranza della risurrezione, tiene come già presente ciò che aspetta e quindi può dire con ragione di non conoscere alcuno secondo la carne, di sentirsi, cioè, fin d'ora partecipe della condizione del Cristo glorioso. Ciò vale per tutti noi che siamo spirituali ed estranei alla corruzione della carne. Infatti, brillando a noi l'Unigenito, siamo trasformati nel Verbo stesso che tutto vivifica. Quando regnava il peccato eravamo tutti vincolati dalle catene della morte. Ora che è subentrata al peccato la giustizia di Cristo, ci siamo liberati dall'antico stato di decadenza.
Quando diciamo che nessuno è più nella carne intendiamo riferirci a quella condizione connaturale alla creatura umana che comprende, fra l'altro, la particolare caducità propria dei corpi. Vi fa cenno san Paolo quando dice: «Infatti anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così» (2 Cor 5, 16). In altre parole: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14), e per la vita di noi tutti accettò la morte del corpo. La nostra fede prima ce lo fa conoscere morto, poi però non più morto, ma vivo; vivo con il corpo risuscitato al terzo giorno; vivo presso il Padre ormai in una condizione superiore a quella connaturale ai corpi che vivono sulla terra. Morto infatti una volta sola non muore più, la morte non ha più alcun potere su di lui. Per quanto riguarda la sua morte egli morì al peccato una volta per tutte; ora invece per il fatto che egli vive, vive per Dio (cfr. Rm 6, 8-9).
Pertanto se si trova in questo stato colui che si fece per noi antesignano di vita, è assolutamente necessario che anche noi, calcando le sue orme, ci riteniamo vivi della sua stessa vita, superiore alla vita naturale della persona umana. Perciò molto giustamente san Paolo scrive: «Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le vecchie cose sono passate, ecco ne sono nate di nuove!» (2 Cor 5, 17). Fummo infatti giustificati in Cristo per mezzo della fede, e la forza della maledizione è venuta meno. Poiché egli è risuscitato per noi, dopo essersi messo sotto i piedi la potenza della morte, noi conosciamo il vero Dio nella sua stessa natura, e a lui rendiamo culto in spirito e verità, con la mediazione del Figlio, il quale dona al mondo, da parte del Padre, le benedizioni celesti.
Perciò molto a proposito san Paolo scrive: «Tutto questo viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo» (2 Cor 5, 18). In realtà il mistero dell'incarnazione e il conseguente rinnovamento non avvengono al di fuori della volontà del Padre. Senza dubbio per mezzo di Cristo abbiamo acquistato l'accesso al Padre, dal momento che nessuno viene al Padre, come egli stesso dice, se non per mezzo di lui. Perciò «tutto questo viene da Dio, che ci ha riconciliati mediante Cristo, ed ha affidato a noi il ministero della riconciliazione» (2 Cor 5, 18).
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02/05/2016 10:04
 
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Dai «Discorsi» di sant'Atanasio, vescovo

(Disc. sull'incarnazione del Verbo, 8-9; PG 25, 110-111)
L'incarnazione del Verbo


Il Verbo di Dio, immateriale e privo di sostanza corruttibile, si stabilì tra noi, anche se prima non ne era lontano. Nessuna regione dell'universo infatti fu mai priva di lui, perché esistendo insieme col Padre suo, riempiva ogni realtà della sua presenza.
Venne dunque per amore verso di noi e si mostrò a noi in modo sensibile. Preso da compassione per il genere umano e la nostra infermità e mosso dalla nostra miseria, non volle rimanessimo vittime della morte. Non volle che quanto era stato creato andasse perduto che l'opera creatrice del Padre nei confronti dell'umanità fosse vanificata. Per questo prese egli stesso un corpo, e un corpo uguale al nostro perché egli non volle semplicemente abitare un corpo o soltanto sembrare un uomo. Se infatti avesse voluto soltanto apparire uomo, avrebbe potuto scegliere un corpo migliore. Invece scelse proprio il nostro.
Egli stesso si costruì nella Vergine un tempio, cioè il corpo e, abitando in esso, ne fece un elemento per potersi rendere manifesto. Prese un corpo soggetto, come quello nostro, alla caducità e, nel suo immenso amore, lo offrì al Padre accettando la morte. Così annullò la legge della morte in tutti coloro che sarebbero morti in comunione con lui. Avvenne che la morte, colpendo lui, nel suo sforzo si esaurì completamente, perdendo ogni possibilità di nuocere ad altri. Gli uomini ricaduti nella mortalità furono resi da lui immortali e ricondotti dalla morte alla vita. Infatti in virtù del corpo che aveva assunto e della risurrezione che aveva conseguito distrusse la morte come fa il fuoco con una fogliolina secca. Egli dunque prese un corpo mortale perché questo, reso partecipe del Verbo sovrano, potesse soddisfare alla morte per tutti. Il corpo assunto, perché inabitato dal Verbo, divenne immortale e mediante la risurrezione, rimedio di immortalità per noi. Offrì alla morte in sacrificio e vittima purissima il corpo che aveva preso e offrendo il suo corpo per gli altri liberò dalla morte i suoi simili.
Il Verbo di Dio a tutti superiore offrì e consacrò per tutti il tempio del suo corpo e versò alla morte il prezzo che le era dovuto. In tal modo l'immortale Figlio di Dio con tutti solidale per il comune corpo di morte con la promessa della risurrezione rese immortali tutti a titolo di giustizia. La morte ormai non ha più nessuna efficacia sugli uomini per merito del Verbo, che ha posto in essi la sua dimora mediante un corpo identico al loro.
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03/05/2016 08:13
 
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Dal Trattato «Sulla prescrizione degli eretici» di Tertulliano, sacerdote

(Cap. 20, 1-9; 21, 3; 22, 8-10; CCL 1, 201-204)
La predicazione apostolica

Cristo Gesù, Signore nostro, per tutto il tempo che visse sulla terra manifestò chi egli era, chi era stato, qual era la volontà del Padre, che cosa l'uomo dovesse fare. Questa rivelazione la fece apertamente al popolo e separatamente ai discepoli, fra i quali scelse i Dodici, come partecipi del suo magistero universale.
Perciò, escluso uno di loro, sul punto di ritornare al Padre, dopo la risurrezione, ordinò agli altri Undici di andare e di ammaestrare le nazioni, battezzandole nel Padre e Figlio e Spirito Santo.
Gli apostoli, il cui nome significa «mandati», sorteggiarono come dodicesimo del loro gruppo Mattia al posto di Giuda e ciò in ossequio all'autorità profetica del salmo di Davide. Avendo ricevuto, secondo la promessa, lo Spirito Santo che doveva renderli capaci di fare i miracoli e di predicare, testimoniarono la fede in Gesù Cristo prima in Giudea e poi in tutto il mondo istituendo ovunque chiese particolari. Ovunque fecero risuonare il medesimo insegnamento e annunziarono la medesima fede.
Così fondarono chiese in ogni città. Da queste ricevettero la linfa della fede e i segni della dottrina tutte le altre chiese e tutte le altre popolazioni che tendono a divenire chiese. Tutte queste chiese venivano considerate apostoliche come figlie delle chiese degli apostoli.
È necessario che ogni cosa risalga alle sue origini. Perciò tra tante e tanto grandi chiese, unica è la prima fondata dagli apostoli e dalla quale derivano tutte le altre. Così tutte sono prime e tutte apostoliche, perché tutte sono una. La comunione di pace, la fraternità che le caratterizza, la vicendevole disponibilità dimostrano la loro unità. Titolo di queste prerogative è la medesima tradizione e il medesimo sacro legame.
Che cosa poi gli apostoli abbiano predicato, cioè che cosa Cristo abbia loro rivelato, non può essere altrimenti provato che per mezzo delle chiese stesse che gli apostoli hanno fondato, e alle quali hanno predicato sia a viva voce, sia in seguito per mezzo di lettere.
Un giorno il Signore aveva detto apertamente: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso»; aveva tuttavia soggiunto: «Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera» (Gv 16, 12-13). Dimostrò con questo che essi non ignoravano nulla. Essi avevano la promessa di ricevere «tutta la verità» per mezzo dello Spirito di verità. La promessa fu mantenuta come provano gli Atti degli Apostoli quando narrano la discesa dello Spirito Santo.
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07/05/2016 07:51
 
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Dalle «Omelie sul Cantico dei cantici» di san Gregorio di Nissa, vescovo

(Om. 15; PG 44, 1115-1118)
La gloria che hai dato a me l'ho data ad essi

Se davvero l'amore riesce ad eliminare la paura e questa si trasforma in amore, allora si scoprirà che ciò che salva è proprio l'unità. La salvezza sta infatti nel sentirsi tutti fusi nell'amore all'unico e vero bene mediante quella perfezione che si trova nella colomba di cui parla il Cantico dei cantici: «Unica è la mia colomba, la mia perfetta, l'unica di sua madre, la preferita della sua genitrice» (Ct 6, 9).
Tutto ciò lo mostra più chiaramente il Signore nel vangelo.
Gesù benedice i suoi discepoli, conferisce loro ogni potere e concede loro i suoi beni. Fra questi sono da includere anche le sante espressioni che egli rivolge al Padre. Ma fra tutte le parole che dice e le grazie che concede una ce n'è che è la maggiore di tutte e tutte le riassume. Ed è quella con cui Cristo ammonisce i suoi a trovarsi sempre uniti nelle soluzioni delle questioni e nelle valutazioni circa il bene da fare; a sentirsi un cuor solo e un'anima sola e a stimare questa unione l'unico e solo bene; a stringersi nell'unità dello Spirito con il vincolo della pace; a far un solo corpo e un solo spirito; a corrispondere a un'unica vocazione, animati da una medesima speranza.
Ma più che questi accenni sarebbe meglio riferire testualmente le parole del vangelo: «Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17, 21).
Il vincolo di questa unità è un'autentica gloria. Nessuno infatti può negare che lo Spirito Santo sia chiamato «gloria». Dice infatti il Signore: «La gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro» (Gv 17, 22). Egli possedette tale gloria sempre ancora prima che esistesse questo mondo. Nel tempo poi la ricevette quando assunse la natura umana. Da quando questa natura fu glorificata dallo Spirito Santo, tutto ciò che si connette con questa gloria, diviene partecipazione dello Spirito Santo.
Per questo dice: «La gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità» (Gv 17, 22-23). Perciò colui che dalla fanciullezza è cresciuto raggiungendo la piena maturità del Cristo, viene a trovarsi in quello stato tutto speciale, che solo l'intelligenza, illuminata dalla fede, può percepire. Allora diviene capace della gloria dello Spirito Santo attraverso una vita lontana dai vizi e improntata alla santità. Costui dunque è quella perfetta colomba, alla quale guarda lo Sposo, quando dice: «Una sola la mia colomba, la mia perfetta».
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09/05/2016 07:15
 
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Dalle «Catechesi» di san Cirillo di Gerusalemme, vescovo

(Catech. 16, sullo Spirito Santo 1, 11-12. 16; PG 33, 931-935. 939-942)
L'acqua viva dello Spirito Santo

«L'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna» (Gv 4, 14). Nuova specie di acqua che vive e zampilla, ma zampilla solo per chi ne è degno. Per quale motivo la grazia dello Spirito è chiamata acqua? Certamente perché tutto ha bisogno dell'acqua. L'acqua è generatrice delle erbe e degli animali. L'acqua della pioggia discende dal cielo. Scende sempre allo stesso modo e forma, ma produce effetti multiformi. Altro è l'effetto prodotto nella palma, altro nella vite e così in tutte le cose, pur essendo sempre di un'unica natura e non potendo essere diversa da se stessa. La pioggia infatti non discende diversa, non cambia se stessa, ma si adatta alle esigenze degli esseri che la ricevono e diventa per ognuno di essi quel dono provvidenziale di cui abbisognano.
Allo stesso modo anche lo Spirito Santo, pur essendo unico e di una sola forma e indivisibile, distribuisce ad ognuno la grazia come vuole. E come un albero inaridito, ricevendo l'acqua, torna a germogliare, così l'anima peccatrice, resa degna del dono dello Spirito Santo attraverso la penitenza, porta grappoli di giustizia. Lo Spirito appartiene ad un'unica sostanza, però, per disposizione divina e per i meriti di Cristo, opera effetti molteplici.
Infatti si serve della lingua di uno per la sapienza. Illumina la mente di un altro con la profezia. A uno conferisce il potere di scacciare i demoni, a un altro largisce il dono di interpretare le divine Scritture. Rafforza la temperanza di questo, mentre a quello insegna la misericordia. Ispira a un fedele la pratica del digiuno, ad altri forme ascetiche differenti. C'è chi da lui apprende la saggezza nelle cose temporali e chi perfino riceve da lui la forza di accettare il martirio. Nell'uno lo Spirito produce un effetto, nell'altro ne produce uno diverso, pur rimanendo sempre uguale a se stesso. Si verifica così quanto sta scritto: «A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune» (1 Cor 12, 7).
Mite e lieve il suo avvento, fragrante e soave la sua presenza, leggerissimo il suo giogo. Il suo arrivo è preceduto dai raggi splendenti della luce e della scienza. Giunge come fratello e protettore. Viene infatti a salvare, a sanare, a insegnare, a esortare, a rafforzare e a consolare. Anzitutto illumina la mente di colui che lo riceve e poi, per mezzo di questi, anche degli altri.
E come colui che prima si trovava nelle tenebre, all'apparire improvviso del sole riceve la luce nell'occhio del corpo e ciò che prima non vedeva, vede ora chiaramente, così anche colui che è stato ritenuto degno del dono dello Spirito Santo, viene illuminato nell'anima e, elevato al di sopra dell'uomo, vede cose che prima non conosceva.
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10/05/2016 09:19
 
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Dal trattato «Su lo Spirito Santo» di san Basilio Magno, vescovo

(Cap. 9, 22-23; PG 32, 107-110)
Le operazioni dello Spirito Santo

Chi è quell'uomo che, udendo gli appellativi dello Spirito Santo, non si solleva con l'animo e non innalza il pensiero alla suprema natura di Dio? Infatti è stato chiamato Spirito di Dio e Spirito di verità, che procede dal Padre: Spirito forte, Spirito retto, Spirito creatore. Spirito Santo è l'appellativo che gli conviene di più e che gli è proprio.
Tutto ciò che ha un carattere sacro è da lui che lo deriva. Di lui hanno bisogno gli esseri che hanno vita e, come irrorati dalla sua rugiada, ricevono vigore e sostegno nel loro esistere ed agire in ordine al fine naturale per il quale sono fatti.
Egli è sorgente di santificazione e luce intelligibile. Offre ad ogni creatura ragionevole se stesso e con se stesso luce e aiuto per la ricerca della verità.
Inaccessibile per natura, può essere percepito per sua bontà. Tutto riempie con la propria forza, ma si rende manifesto solo a quelli che ne sono degni. Ad essi tuttavia egli non si dà in ugual misura, ma si concede in rapporto all'intensità della fede.
Semplice nell'essenza, e molteplice nei poteri, è presente ai singoli nella sua totalità ed è contemporaneamente e tutto dovunque. Egli viene partecipato senza tuttavia subire alcuna alterazione. Di lui tutti sono partecipi, ma egli resta integro, allo stesso modo dei raggi del sole, i cui benefici vengono sentiti da ciascuno come se risplendessero solo per lui e tuttavia illuminano la terra e il mare e si confondono con l'aria. Così anche lo Spirito Santo, pur essendo presente a ciascuno di quanti ne sono capaci come se fosse presente a lui solo, infonde in tutti una grazia sufficiente ed intera. Di lui gode tutto ciò che di lui partecipa, per quanto è permesso alla natura, ma non per quanto egli può.
Per lui i cuori si elèvano in alto, i deboli vengono condotti per mano, i forti giungono alla perfezione. Egli risplende su coloro che si sono purificati da ogni bruttura e li rende spirituali per mezzo della comunione che hanno con lui.
E come i corpi molto trasparenti e nitidi al contatto di un raggio diventano anch'essi molto luminosi ed emanano da sé nuovo bagliore, così le anime che hanno in sé lo Spirito e che sono illuminate dallo Spirito diventano anch'esse sante e riflettono la grazia sugli altri.
Dallo Spirito l'anticipata conoscenza delle cose future, l'approfondimento dei misteri, la percezione delle cose occulte, le distribuzioni dei doni, la familiarità delle cose del cielo, il tripudio con gli angeli. Da lui la gioia eterna, da lui l'unione costante e la somiglianza con Dio, e, cosa più sublime d'ogni altra, da lui la possibilità di divenire Dio.
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12/05/2016 06:53
 
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Dal «Commento sul vangelo di Giovanni» di san Cirillo di Alessandria, vescovo

(Lib. 10; PG 74, 434)
Se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore

Cristo aveva compiuto la sua missione sulla terra, e per noi era ormai venuto il momento di entrare in comunione con la natura del Verbo cioè di passare dalla vita naturale di prima a quella che trascende l'esistenza umana. Ma a ciò non potevamo arrivare se non divenendo partecipi dello Spirito Santo.
Il tempo più adatto alla missione dello Spirito e alla sua venuta su di noi era quello che seguì l'ascensione di Cristo al cielo.
Finché Cristo infatti viveva ancora con il suo corpo insieme ai fedeli, egli stesso, a mio parere, dispensava loro ogni bene. Quando invece giunse il momento stabilito di salire al Padre celeste, era necessario che egli fosse presente ai suoi seguaci per mezzo dello Spirito ed abitasse per mezzo della fede nei nostri cuori, perché, avendolo in noi, potessimo dire con fiducia «Abbà, Padre» e praticassimo con facilità ogni virtù e inoltre fossimo trovati forti e invincibili contro le insidie del diavolo e gli attacchi degli uomini, dal momento che possedevamo lo Spirito Santo onnipotente.
Che lo Spirito infatti trasformi in un'altra natura coloro nei quali abita e li rinnovi nella loro vita è facile dimostrarlo con testimonianze sia dell'Antico che del Nuovo Testamento.
Samuele infatti, ispirato, rivolgendo la parola a Saul, dice: Lo Spirito del Signore ti investirà e sarai trasformato in altro uomo (cfr. 1 Sam 10, 6). San Paolo poi dice: E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore. Il Signore poi è Spirito (cfr. 2 Cor 3, 17-18).
Vedi come lo Spirito trasforma, per così dire, in un'altra immagine coloro nei quali abita? Infatti porta con facilità dal gusto delle cose terrene a quello delle sole cose celesti e da una imbelle timidezza ad una forza d'animo piena di coraggio e di grande generosità.
I discepoli erano così disposti e così rinfrancati nell'animo dallo Spirito Santo, da non essere per nulla vinti dagli assalti dei persecutori, ma fortemente stretti all'amore di Cristo.
È vero dunque quello che dice il Salvatore: È meglio per voi che io me ne ritorni in cielo (cfr. Gv 16, 7). Quello infatti era il tempo in cui sarebbe disceso lo Spirito Santo.
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13/05/2016 08:38
 
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Dal «Trattato sulla Trinità» di sant'Ilario, vescovo

(Lib. 2, 1, 33. 35; PL 10, 50-51. 73-75)
Il Dono del Padre in Cristo

Il Signore comandò di battezzare nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Il catecumeno viene battezzato professando perciò la fede nel Creatore, nell'Unigenito, nel Dono.
Unico è il Creatore di tutto. Uno infatti Dio Padre da cui hanno principio tutte le cose. Unico è anche l'Unigenito, il Signore Nostro Gesù Cristo, per mezzo del quale tutte le cose furono create, e unico lo Spirito dato in dono a tutti.
Tutto è ordinato secondo le sue virtù e meriti; una la potenza da cui tutto procede; una la prole per la quale tutto è stato fatto; uno il dono della perfetta speranza.
Non si troverà nulla che manchi ad una perfezione infinita. Nell'ambito della Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, tutto è perfettissimo: l'immensità nell'eterno, la manifestazione nell'immagine, il godimento nel dono.
Ascoltiamo dalle parole dello stesso Signore quale sia il suo compito nei nostri confronti. Dice: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso» (Gv 16, 12). È bene per voi che io me ne vada, se me ne vado vi manderò il Consolatore (cfr. Gv 16, 7). Ancora: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità» (Gv 14, 16-17). «Egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio» (Gv 16, 13-14).
Insieme a tante altre promesse vi sono queste destinate ad aprire l'intelligenza delle alte cose. In queste parole vengono formulati sia la volontà del donatore, come pure la natura e il modo stesso del dono.
Siccome la nostra limitatezza non ci permette di intendere né il Padre, né il Figlio, il dono dello Spirito Santo stabilisce un certo contatto tra noi e Dio, e così illumina la nostra fede nelle difficoltà relative all'incarnazione di Dio.
Lo si riceve dunque per conoscere. I sensi per il corpo umano sarebbero inutili se venissero meno i requisiti per il loro esercizio. Se non c'è luce o non è giorno, gli occhi non servono a nulla; gli orecchi in assenza di parole o di suono non possono svolgere il loro compito; le narici se non vi sono emanazioni odorifere, non servono a niente. E questo avviene non perché venga loro a mancare la capacità naturale, ma perché la loro funzione è condizionata da particolari elementi. Allo stesso modo l'anima dell'uomo, se non avrà attinto per mezzo della fede il dono dello Spirito Santo, ha sì la capacità di intendere Dio, ma le manca la luce per conoscerlo.
Il dono, che è in Cristo, è dato interamente a tutti. Resta ovunque a nostra disposizione e ci è concesso nella misura in cui vorremo accoglierlo. Dimorerà in noi nella misura in cui ciascuno di noi vorrà meritarlo.
Questo dono resta con noi fino alla fine del mondo, è il conforto della nostra attesa, è il pegno della speranza futura nella realizzazione dei suoi doni, è la luce delle nostre menti, lo splendore delle nostre anime.
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15/05/2016 08:49
 
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Dal trattato «Contro le eresie» di sant'Ireneo, vescovo

(Lib. 3, 17, 1-3; SC 34, 302-306)
La missione dello Spirito Santo

Il Signore concedendo ai discepoli il potere di far nascere gli uomini in Dio, diceva loro: «Andate, ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28, 19).
È questo lo Spirito che, per mezzo dei profeti, il Signore promise di effondere negli ultimi tempi sui suoi servi e sulle sue serve, perché ricevessero il dono della profezia. Perciò esso discese anche sul Figlio di Dio, divenuto figlio dell'uomo, abituandosi con lui a dimorare nel genere umano, a riposare tra gli uomini e ad abitare nelle creature di Dio, operando in essi la volontà del Padre e rinnovandoli dall'uomo vecchio alla novità di Cristo.
Luca narra che questo Spirito, dopo l'ascensione del Signore, venne sui discepoli nella Pentecoste con la volontà e il potere di introdurre tutte le nazioni alla vita e alla rivelazione del Nuovo Testamento. Sarebbero così diventate un mirabile coro per intonare l'inno di lode a Dio in perfetto accordo, perché lo Spirito Santo avrebbe annullato le distanze, eliminato le stonature e trasformato il consesso dei popoli in una primizia da offrire a Dio.
Perciò il Signore promise di mandare lui stesso il Paràclito per renderci graditi a Dio. Infatti come la farina non si amalgama in un'unica massa pastosa, né diventa un unico pane senza l'acqua, così neppure noi, moltitudine disunita, potevamo diventare un'unica Chiesa in Cristo Gesù senza l'«Acqua» che scende dal cielo. E come la terra arida se non riceve l'acqua non può dare frutti, così anche noi, semplice e nudo legno secco, non avremmo mai portato frutto di vita senza la «Pioggia» mandata liberamente dall'alto.
Il lavacro battesimale con l'azione dello Spirito Santo ci ha unificati tutti nell'anima e nel corpo in quell'unità che preserva dalla morte.
Lo Spirito di Dio discese sopra il Signore come Spirito di sapienza e di intelligenza, Spirito di consiglio e di fortezza, Spirito di scienza e di pietà, Spirito del timore di Dio (cfr. Is 11, 2).
Il Signore poi a sua volta diede questo Spirito alla Chiesa, mandando dal cielo il Paràclito su tutta la terra, da dove, come disse egli stesso, il diavolo fu cacciato come folgore cadente (cfr. Lc 10, 18). Perciò è necessaria a noi la rugiada di Dio, perché non abbiamo a bruciare e a diventare infruttuosi e, là dove troviamo l'accusatore, possiamo avere anche l'avvocato.
Il Signore affida allo Spirito Santo quell'uomo incappato nei ladri, cioè noi. Sente pietà di noi e ci fascia le ferite, e dà i due denari con l'immagine del re. Così imprimendo nel nostro spirito, per opera dello Spirito Santo, l'immagine e l'iscrizione del Padre e del Figlio, fa fruttificare in noi i talenti affidatici perché li restituiamo poi moltiplicati al Signore.
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17/05/2016 08:29
 
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Dalle «Omelie sull'Ecclesiaste» di san Gregorio di Nissa, vescovo

(Om 6; PG 44, 702-705)
Tempo di nascere e tempo di morire

«C'è un tempo per nascere», dice, «e un tempo per morire» (Qo 3, 2). Voglia il cielo che sia concesso anche a me di nascere al tempo giusto e di morire al momento più opportuno.
Noi infatti siamo in certo modo padri di noi stessi, quando per mezzo delle buone disposizioni di animo e del libero arbitrio, formiamo, generiamo, diamo alla luce noi stessi.
Questo poi lo realizziamo quando accogliamo Dio in noi stessi e diveniamo figli suoi, figli della virtù e figli dell'Altissimo. Mentre invece rimaniamo imperfetti e immaturi, finché non si è formata in noi, come dice l'Apostolo, «l'immagine di Cristo». È necessario però che l'uomo di Dio sia integro e perfetto. Ecco la vera nascita nostra.

«C'è un tempo per morire». Per san Paolo ogni tempo era adatto per una buona morte. Grida infatti nei suoi scritti: «Ogni giorno io affronto la morte» (1 Cor 15, 31) e ancora: «Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno» (Rm 8, 36). E proprio in noi stessi portiamo la sentenza di morte. È chiaro poi in che modo Paolo muoia ogni giorno, egli che non vive per il peccato, ma mortifica il suo corpo e porta sempre in se stesso la mortificazione del corpo di Cristo, ed è sempre crocifisso con Cristo, lui che non vive mai per se stesso, ma porta in sé il Cristo vivente. Questa, secondo me, è stata la morte opportuna che ha dato la vera vita. Infatti dice: Io farò morire e darò la vita (cfr. Dt 32, 39) perché ci si persuada veramente che è un dono di Dio esser morti al peccato e vivificati nello spirito. La parola di Dio, infatti, promette la vita proprio come effetto della morte.
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18/05/2016 08:18
 
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Dal «Commento all'Ecclesiaste» di san Girolamo, sacerdote

(PL 23, 1057-1059)
Cercate le cose di lassù

«Ogni uomo, a cui Dio concede ricchezze e beni, ha anche facoltà di goderli e prendersene la sua parte, e di godere delle sue fatiche: anche questo è dono di Dio. Egli non penserà infatti molto ai giorni della sua vita, poiché Dio lo tiene occupato con la gioia del suo cuore» (Qo 5, 18-19). A paragone di colui che si nutre delle sue sostanze nel turbinio delle sue preoccupazioni e dei suoi affanni e, con grave peso e tedio della vita, accumula cose destinate poi a perire, il sapiente afferma che è migliore colui che gode di quanto gli sta davanti. In questo secondo caso, infatti, per quanto piccola, una certa soddisfazione c'è e precisamente nell'uso dei beni. Nel primo caso c'è solo un cumulo di fastidi. Il sapiente dimostra anche perché deve ritenersi un dono di Dio poter godere delle ricchezze affermando: «non penserà molto ai giorni della sua vita».
Certamente il Signore concede gioia al suo cuore: non sarà nella tristezza, non sarà tormentato dall'ansia, assorbito com'è dalla letizia e dal piacere presente. Ma è meglio, secondo l'Apostolo, scorgere il bene da godere non tanto nel cibo e nella bevanda materiale, ma nel nutrimento dello spirito concesso da Dio. C'è un bene nelle fatiche proprio perché solo attraverso fatiche e sforzi possiamo arrivare alla contemplazione dei veri beni. Ed è proprio ciò che dobbiamo fare: rallegrarci nelle nostre occupazioni ed attività. Quantunque però questo sia un bene, tuttavia «fino a che Cristo nostra vita non si sarà manifestato» (cfr. Col 3, 4) non è ancora il bene completo.
Deve ritenersi veramente saggio colui che, istruito nelle divine Scritture, ha tutta la sua fatica sulle sue labbra e la sua brama non è mai sazia (cfr. Qo 6, 7), dal momento che sempre desidera di imparare. In questo il savio si trova in condizione migliore dello stolto (cfr. Qo 6, 8), perché, sentendosi povero (quel povero che è proclamato beato dal vangelo), si affretta ad abbracciare ciò che riguarda la vera vita, cammina sulla strada stretta e angusta che conduce alla vita ed è povero di opere malvage, e sa dove risiede Cristo, che è la vita.
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22/05/2016 08:47
 
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Dalle «Lettere» di sant'Atanasio, vescovo

(Lett. 1 a Serap. 28-30; PG 26, 594-595. 599)
Luce, splendore e grazia della Trinità

Non sarebbe cosa inutile ricercare l'antica tradizione, la dottrina e la fede della Chiesa cattolica, quella s'intende che il Signore ci ha insegnato, che gli apostoli hanno predicato, che i padri hanno conservato. Su di essa infatti si fonda la Chiesa, dalla quale, se qualcuno si sarà allontanato, per nessuna ragione potrà essere cristiano, né venir chiamato tale.
La nostra fede è questa: la Trinità santa e perfetta è quella che è distinta nel Padre e nel Figlio e nello Spirito Santo, e non ha nulla di estraneo o di aggiunto dal di fuori, né risulta costituita del Creatore e di realtà create, ma è tutta potenza creatrice e forza operativa. Una è la sua natura, identica a se stessa. Uno è il principio attivo e una l'operazione. Infatti il Padre compie ogni cosa per mezzo del Verbo nello Spirito Santo e, in questo modo, è mantenuta intatta l'unità della santa Trinità. Perciò nella Chiesa viene annunziato un solo Dio che è al di sopra di ogni cosa, agisce per tutto ed è in tutte le cose (cfr. Ef 4, 6). È al di sopra di ogni cosa ovviamente come Padre, come principio e origine. Agisce per tutto, certo per mezzo del Verbo. Infine opera in tutte le cose nello Spirito Santo.
L'apostolo Paolo, allorché scrive ai Corinzi sulle realtà spirituali, riconduce tutte le cose ad un solo Dio Padre come al principio, in questo modo: «Vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; e vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti» (1 Cor 12, 4-6).
Quelle cose infatti che lo Spirito distribuisce ai singoli, sono date dal Padre per mezzo del Verbo. In verità tutte le cose che sono del Padre sono pure del Figlio. Onde quelle cose che sono concesse dal Figlio nello Spirito sono veri doni del Padre. Parimenti quando lo Spirito è in noi, è anche in noi il Verbo dal quale lo riceviamo, e nel Verbo vi è anche il Padre, e così si realizza quanto è detto: «Verremo io e il Padre e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14, 23). Dove infatti vi è la luce, là vi è anche lo splendore; e dove vi è lo splendore, ivi c'è parimenti la sua efficacia e la sua splendida grazia.
Questa stessa cosa insegna Paolo nella seconda lettera ai Corinzi, con queste parole: «La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi» (2 Cor 13, 13). Infatti la grazia è il dono che viene dato nella Trinità, è concesso dal Padre per mezzo del Figlio nello Spirito Santo. Come dal Padre per mezzo del Figlio viene data la grazia, così in noi non può avvenire la partecipazione del dono se non nello Spirito Santo. E allora, resi partecipi di esso, noi abbiamo l'amore del Padre, la grazia del Figlio e la comunione dello stesso Spirito.
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01/06/2016 06:40
 
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Dagli «Atti del martirio» dei santi Giustino e Compagni

(Cap. 1-5; cfr. PG 6, 1366-1371)
Ho aderito alla vera dottrina

Dopo il loro arresto, i santi furono condotti dal prefetto di Roma di nome Rustico. Comparsi davanti al tribunale, il prefetto Rustico disse a Giustino: «Anzitutto credi agli dèi e presta ossequio agli imperatori».
Giustino disse: «Di nulla si può biasimare o incolpare chi obbedisce ai comandamenti del Salvatore nostro Gesù Cristo».
Il prefetto Rustico disse: «Quale dottrina professi?». Giustino rispose: «Ho tentato di imparare tutte le filosofie, poi ho aderito alla vera dottrina, a quella dei cristiani, sebbene questa non trovi simpatia presso coloro che sono irretiti dall'errore».
Il prefetto Rustico disse: «E tu, miserabile, trovi gusto in quella dottrina?». Giustino rispose: «Sì, perché io la seguo con retta fede».
Il prefetto Rustico disse: «E qual è questa dottrina?». Giustino rispose: «Quella di adorare il Dio dei cristiani, che riteniamo unico creatore e artefice, fin da principio, di tutto l'universo, delle cose visibili e invisibili; e inoltre il Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, che fu preannunziato dai profeti come colui che doveva venire tra gli uomini araldo di salvezza e maestro di buone dottrine. E io, da semplice uomo, riconosco di dire ben poco di fronte alla sua infinita Deità. Riconosco che questa capacità è propria dei profeti che preannunziarono costui che poco fa ho detto essere Figlio di Dio. So bene infatti che i profeti per divina ispirazione predissero la sua venuta tra gli uomini».
Rustico disse: «Sei dunque cristiano?». Giustino rispose: «Sì, sono cristiano».
Il prefetto disse a Giustino: «Ascolta, tu che sei ritenuto sapiente e credi di conoscere la vera dottrina; se dopo di essere stato flagellato sarai decapitato, ritieni di salire al cielo?». Giustino rispose: «Spero di entrare in quella dimora se soffrirò questo. Io so infatti che per tutti coloro che avranno vissuto santamente, è riservato il favore divino sino alla fine del mondo intero».
Il prefetto Rustico disse: «Tu dunque ti immagini di salire al cielo, per ricevere una degna ricompensa?». Rispose Giustino: «Non me l'immagino, ma lo so esattamente e ne sono sicurissimo».
Il prefetto Rustico disse: «Orsù torniamo al discorso che ci siamo proposti e che urge di più. Riunitevi insieme e sacrificate concordemente agli dèi». Giustino rispose: «Nessuno che sia sano di mente passerà dalla pietà all'empietà».
Il prefetto Rustico disse: «Se non ubbidirete ai miei ordini, sarete torturati senza misericordia». Giustino rispose: «Abbiamo fiducia di salvarci per nostro Signore Gesù Cristo se saremo sottoposti alla pena, perché questo ci darà salvezza e fiducia davanti al tribunale più temibile e universale del nostro Signore e Salvatore».
Altrettanto dissero anche tutti gli altri martiri: «Fa' quello che vuoi; noi siamo cristiani e non sacrifichiamo agli idoli».
Il prefetto Rustico pronunziò la sentenza dicendo: «Coloro che non hanno voluto sacrificare agli dèi e ubbidire all'ordine dell'imperatore, dopo essere stati flagellati siano condotti via per essere decapitati a norma di legge».
I santi martiri glorificando Dio, giunti al luogo solito, furono decapitati e portarono a termine la testimonianza della loro professione di fede nel Salvatore.
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05/06/2016 08:47
 
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Dalla «Lettera ai Romani» di sant'Ignazio di Antiochia, vescovo e martire

(Intr., Capp. 1, 1 - 2, 2; Funk 1, 213-215)
Non voglio piacere agli uomini, ma a Dio

Ignazio, detto anche Teoforo, alla chiesa che ha ottenuto misericordia dalla magnificenza del Padre altissimo e di Gesù Cristo, suo unico Figlio; alla chiesa amata e illuminata dalla volontà di colui che vuole tutto ciò che è secondo la fede e la carità di Gesù Cristo nostro Dio; alla chiesa che ha la presidenza nella regione dei Romani; alla chiesa gradita a Dio, meritevole di onore e di consensi, degna di essere proclamata beata; alla chiesa alla quale spetta un destino di grandezza; alla chiesa venerabile per la purezza della sua fede; alla chiesa che presiede alla comunione della carità. Essa possiede la legge di Cristo e porta il nome del Padre. Io la saluto nel nome di Gesù Cristo, Figlio del Padre.
A quanti sono uniti tra loro come lo sono il corpo e l'anima, fusi nell'obbedienza ad ogni comando di Dio, ripieni della sua grazia, compatti fra loro e alieni da ogni contaminazione estranea, a tutti auguro santamente ogni bene in Gesù Cristo nostro Dio.
Con le mie preghiere ho ottenuto da Dio di vedere il vostro venerabile volto, e l'avevo chiesto con insistenza. Ora, incatenato in Gesù Cristo, spero di salutarvi, se è volontà di Dio che io sia ritenuto degno di giungere fino alla fine. L'inizio è ben posto, mi resta da ottenere la grazia di raggiungere senza ostacolo la sorte che mi aspetta.
Temo che mi sia di danno l'affetto che mi portate. Per voi sarebbe facile ottenere ciò che volete: ma per me sarà difficile raggiungere Dio, se non avete pietà di me.
Non voglio che vi comportiate in modo da piacere agli uomini, ma a Dio, come del resto fate. Io non potrò mai trovare un'occasione più propizia per giungere al possesso di Dio, né voi potrete associare il vostro nome a un'opera più bella, se rimarrete in silenzio. Se non parlerete in mio favore, io diventerò parola di Dio. Se invece amerete questa mia vita nella carne, rimarrò una voce qualsiasi.
Non vogliate offrirmi di meglio del dono d'essere immolato a Dio, ora che l'altare è pronto. Allora, riuniti in coro nella carità, potrete cantare inni al Padre in Gesù Cristo, perché Dio ha concesso al vescovo di Siria la grazia di essere trovato in lui, facendolo venire dall'oriente in occidente. È bello tramontare al mondo per risorgere nell'aurora di Dio.
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06/06/2016 08:20
 
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Dalla «Lettera ai Romani» di sant'Ignazio di Antiochia, vescovo e martire

(Capp. 3, 1 - 5, 3; Funk 1, 215-219)
Non voglio solo chiamarmi cristiano, ma esserlo realmente

Non avete mai invidiato nessuno, anzi avete insegnato agli altri. Voglio che ciò che insegnate e raccomandate conservi tutto il suo vigore.
Chiedete per me soltanto la forza esterna ed interna perché io sia deciso non solo nel parlare, ma anche nel volere, perché non solo sia detto cristiano, ma sia anche trovato tale. Se tale sarò trovato, potrò essere chiamato cristiano e quando il mondo non mi vedrà più, allora sarò un vero fedele. Niente di quel che si vede ha valore. Il nostro Dio Gesù Cristo, ora che è tornato al Padre, si manifesta di più. Dinanzi alle persecuzioni del mondo il cristianesimo non si sostiene con parole dell'umana sapienza, ma con la forza di Dio.
Scrivo a tutte le chiese, e a tutti annunzio che morrò volentieri per Dio, se voi non me lo impedirete. Vi scongiuro, non dimostratemi una benevolenza che sarebbe inopportuna. Lasciate che io sia pasto delle belve, per mezzo delle quali mi è dato di raggiungere Dio. Sono frumento di Dio e sarò macinato dai denti delle fiere per divenire pane puro di Cristo. Sollecitate piuttosto le fiere perché diventino mio sepolcro e non lascino nulla del mio corpo, e nel mio ultimo sonno io non sia di incomodo a nessuno. Quando il mondo non vedrà più il mio corpo, allora sarò veramente discepolo di Gesù Cristo. Supplicate Cristo per me, perché per opera di queste belve io divenga ostia per Dio.
Io non vi do ordini, come Pietro e Paolo. Essi erano apostoli, io sono un condannato; essi erano liberi, io finora non sono che uno schiavo. Ma se soffrirò il martirio, diventerò un liberto di Gesù Cristo e in lui risorgerò libero. Ora, in catene, imparo a rinunziare ad ogni desiderio.
Dalla Siria fino a Roma, per terra e per mare, giorno e notte, lotto con le belve, legato a dieci leopardi, cioè al manipolo dei soldati di scorta. Più faccio loro del bene, e più mi maltrattano. Però con i loro oltraggi faccio profitto sempre più nella scuola di Cristo, ma non per questo sono giustificato. Oh, quando avrò la gioia di trovarmi di fronte alle belve preparate per me! Mi auguro che siano pronte a gettarsi sul mio corpo. Io le solleciterò perché mi divorino in un momento e non facciano come fecero con alcuni, che ebbero paura di toccare. Se poi si ostinassero nel loro rifiuto, le costringerò con la forza.
Perdonatemi, io so quello che va bene per me. Ora incomincio ad essere un vero discepolo. Nessuna delle cose visibili o invisibili mi trattenga dal raggiungere Gesù Cristo. Fuoco e croce, branchi di bestie feroci, lacerazioni, squartamenti, slogature delle ossa, taglio delle membra, stritolamento di tutto il corpo, i più crudeli tormenti del diavolo ben vengano tutti su di me, purché io possa raggiungere Gesù Cristo.
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07/06/2016 07:39
 
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Dalla «Lettera ai Romani» di sant'Ignazio di Antiochia, vescovo e martire

(Capp. 6, 1-9, 3; Funk 1, 219-223)
Un'acqua viva mormora dentro di me e mi dice: Vieni al Padre

A nulla mi gioveranno le attrattive del mondo né i regni di questa terra. È meglio per me morire per Gesù Cristo che estendere il mio impero fino ai confini della terra. Io cerco colui che è morto per noi, voglio colui che per noi è risorto. È vicino il momento della mia nascita.
Abbiate compassione di me, fratelli: non impeditemi di vivere, non vogliate che io muoia. Non abbandonate al mondo e alle seduzioni della materia chi vuol essere di Dio. Lasciate che io raggiunga la pura luce; giunto là, sarò veramente un uomo. Lasciate che io imiti la passione del mio Dio. Se qualcuno lo ha in sé, comprenda quello che io voglio e mi compatisca, pensando all'angoscia che mi opprime.
Il principe di questo mondo vuole portarmi via e soffocare la mia aspirazione verso Dio. Nessuno di quanti si troverà nel luogo gli dia mano; aiutate piuttosto la mia causa, cioè quella di Dio. Non siate di quelli che professano Gesù Cristo e amano il mondo. Non trovi posto in voi l'invidia. Anche se vi supplicassi, quando sarò tra voi, non datemi ascolto. Credete piuttosto a quel che vi scrivo ora, nel pieno possesso della mia vita. Vi scrivo che desidero morire.
Ogni mio desiderio terreno è crocifisso e non c'è più in me fiamma alcuna per la materia, ma un'acqua viva mormora dentro di me e mi dice: Vieni al Padre. Non mi diletto più di un cibo corruttibile, né dei piaceri di questa vita. Voglio il pane di Dio, che è la carne di Gesù Cristo, della stirpe di Davide, voglio per bevanda il suo sangue che è la carità incorruttibile.
Non voglio più vivere la vita di quaggiù. E il mio desiderio si realizzerà, se voi lo vorrete. Vogliatelo, vi prego, per trovare anche voi benevolenza. Ve lo domando con tutta semplicità, credetemi. Gesù Cristo vi farà comprendere che dico il vero. Egli è la bocca veritiera per mezzo della quale il Padre ha parlato in verità. Chiedete per me che io possa raggiungerlo. Non vi scrivo con mire umane, ma secondo il volere di Dio. Se soffrirò, vorrà dire che mi avete voluto bene. Se sarò rimesso in libertà, è segno che mi avete odiato.
Ricordatevi nelle vostre preghiere della chiesa di Siria, che ha Dio come pastore al posto mio. Solo Gesù Cristo la governerà come vescovo, e la vostra carità. Io mi vergogno di dirmi membro di quella comunità. Non ne sono degno, perché sono l'ultimo di tutti e come un aborto. Ma otterrò per misericordia d'essere qualcuno se raggiungerò Dio.
Vi saluta il mio spirito e la carità delle chiese, che mi hanno accolto nel nome di Gesù Cristo, e non come un semplice pellegrino. Vi salutano pure quelle chiese che, pur essendo fuori del mio itinerario, pur di potermi vedere, mi precedevano nelle città per le quali passavo.
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08/06/2016 09:03
 
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Dalle «Omelie sul libro di Giosuè» di Origène, sacerdote

(Om. 4, 1; PG 12, 842-843)
Il passaggio del Giordano

Nel Giordano l'arca dell'alleanza guidava il popolo di Dio. Si ferma la schiera dei sacerdoti e dei leviti e le acque, come per riverenza ai ministri di Dio, arrestano il loro corso e si accumulano in un ammasso rigido, concedendo un passaggio senza danno al popolo di Dio. Ora non meravigliarti, o cristiano, quando ti vengono riferiti questi avvenimenti riguardanti il popolo ebraico, dal momento che a te, uscito dal Giordano per mezzo del sacramento del battesimo, la divina parola promette cose molto più grandi ed elevate, e ti offre un viaggio e un passaggio verso il cielo, attraverso l'etere. Ascolta infatti Paolo che dice riguardo ai giusti: «Saremo rapiti tra le nubi per andare incontro al Signore nell'aria, e così saremo sempre con il Signore» (1 Ts 4, 17). Non vi è assolutamente nulla che il giusto debba temere. Ogni creatura infatti gli è soggetta.
Ascolta, infine, come anche per mezzo del profeta Dio lo assicuri dicendo: Se dovessi passare attraverso il fuoco, la fiamma non ti brucerà, poiché io sono il Signore tuo Dio (cfr. Is 43, 2). Perciò ogni luogo accoglie il giusto, e ogni creatura gli offre il dovuto servizio. E non ritenere che queste cose siano accadute solo presso gli uomini che ti hanno preceduto, come se per te, che ora stai ascoltando queste cose, non potesse accadere nulla di simile: tutto si compirà in te secondo un piano misterioso.
Mi rivolgo ora a te, che, abbandonate le tenebre dell'idolatria, desideri darti all'ascolto della legge divina e cominci a uscire anche tu dall'Egitto.
Allorché sei stato aggregato al numero dei catecumeni e hai cominciato ad ubbidire ai precetti della Chiesa, ti sei allontanato dal Mare Rosso, e fermandoti nelle diverse tappe del deserto, ti sei applicato ogni giorno ad ascoltare la parola di Dio e ad osservare il volto di Mosè, reso splendente dalla gloria del Signore. Giungerai al mistico fonte del battesimo e, quando la schiera dei sacerdoti e dei leviti avrà preso posto, sarai iniziato a quei venerandi e splendidi sacramenti, conosciuti da coloro ai quali è permesso di conoscerli. Allora, attraversato il Giordano per mezzo del ministero dei sacerdoti, entrerai nella terra promessa, nella quale dopo Mosè ti riceve Cristo.
Egli stesso ti sarà guida per il tuo nuovo viaggio.
Allora, memore di tante e così grandi meraviglie di Dio, capirai che per te si è diviso il mare e si arrestò l'acqua del fiume. Ti rivolgerai a questi elementi e dirai: Che hai tu, o mare, che ti sei ritirato? E tu, o Giordano, che ti sei voltato in senso inverso? Perché voi monti avete saltato di gioia come arieti, e voi colline come agnelli di un gregge? Risponderà la parola divina e dirà: Dall'apparizione del Signore è stata scossa la terra, dall'apparizione del Dio di Giacobbe, che ha trasformato la pietra in un pozzo d'acqua, e la rupe in zampilli di acque (cfr. Sal 113, 5-8).
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10/06/2016 12:12
 
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Dal «Commento sui salmi» di sant'Ambrogio, vescovo

(Sal 1, 4. 7-8; CSEL 64, 4-7)
Il dolce libro dei salmi

Tutta la Scrittura divina spira la bontà di Dio, tuttavia lo fa più di tutto il dolce libro dei salmi. Pensiamo a quanto fece Mosè. Egli descrisse le gesta degli antenati sempre con stile piano. Vi furono circostanze, però, nelle quali sentì il bisogno di innalzarsi ad altezze liriche. Così quando in quel memorabile evento fece passare attraverso il Mare Rosso il popolo dei padri, vedendo il re Faraone sommerso con il suo esercito, dopo aver compiuto cose superiori alle sue forze, si sentì profondamente ispirato e cantò al Signore un inno trionfale. Anche Maria, la profetessa, prendendo il cèmbalo, esortava le altre sue compagne dicendo: «Cantate al Signore perché ha mirabilmente trionfato: ha gettato in mare cavallo e cavaliere!» (Es 15, 21).
La storia ammaestra, la legge istruisce, la profezia predice, la correzione castiga, la buona condotta persuade, ma nel libro dei salmi vi è come una sintesi di tutto questo e come una medicina dell'umana salvezza. Chiunque li legge, trova di che curare le ferite delle proprie passioni con uno speciale rimedio. Chiunque voglia lottare, guardi quanto si dice nei salmi e gli sembrerà di trovarsi nella pubblica palestra delle anime e nello stadio delle virtù e gli si offriranno diverse specie di gare. Si scelga fra queste quella alla quale si riconosce più adatto, per giungere più facilmente alla corona del premio.
Se uno ama di ripercorrere e di imitare le gesta degli antenati, troverà tutta la storia dei padri raccolta in un solo salmo, e si procurerà con una breve lettura un vero tesoro per la memoria. Se altri vuol conoscere la forza dell'amore della legge che tutta sta nel vincolo dell'amore, poiché «pieno compimento della legge è l'amore» (Rm 13, 10) legga nei salmi con quanto sentimento di amore uno solo si è esposto a gravi pericoli per respingere il disonore di tutto un popolo e in questa trionfale prova di valore riconoscerà una non minore gloria di amore.
E che dirò del carisma profetico? Ciò che altri hanno annunziato in maniera confusa, solamente a Davide appare promesso con chiarezza ed apertamente. Sentì, infatti, che il Signore Gesù sarebbe nato dalla sua stessa stirpe, come gli disse Dio: «Il frutto delle tue viscere io metterò sul tuo trono!» (Sal 131, 11). Nei salmi Gesù non solamente è preannunziato nella sua nascita per noi, ma accetta anche la sua passione, come causa di salvezza. Per noi muore, risorge, sale al cielo, siede alla destra del Padre. Ciò che nessun uomo avrebbe mai osato dire, lo ha annunziato il salmista profeta e poi lo ha predicato nel vangelo lo stesso Signore.
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23/06/2016 06:37
 
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Dalle «Omelie» di san Gregorio di Nissa, vescovo

(Om. 6, sulle beatitudini; PG 44, 1263-1266)
Dio è come una roccia inaccessibile

Quanto accade a coloro che dalla vetta di un'alta montagna guardano in basso un mare profondo e insondabile, avviene anche alla mia mente quando dall'altezza della parola del Signore, guardo la profondità di certi concetti.
In molte località marittime si può vedere, dalla parte rivolta al mare, un monte quasi spaccato a metà e corroso da cima a fondo. Esso ha nella parte più alta un picco che incombe sulla profondità del mare. Orbene l'impressione di chi volge giù lo sguardo sull'abisso impenetrabile da quell'altezza da vertigini è quella stessa mia quando spingo in basso gli occhi dall'altezza del misterioso detto del Signore: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5, 8).
Dio qui è proposto alla contemplazione di coloro che hanno purificato il loro cuore. Ma «Dio nessuno l'ha mai visto» (Gv 1, 18), come afferma il grande Giovanni. Paolo con la sua sublime intelligenza conferma e aggiunge: «Nessuno fra gli uomini lo ha mai visto, né lo può vedere» (1 Tm 6, 16). Questa è quella roccia liscia, sdrucciolevole e ripida, che non offre in se stessa alcun appoggio o sostegno per i concetti della nostra intelligenza. Anche Mosè nelle sue affermazioni l'ha detta impraticabile in modo che la nostra mente non vi può mai accedere per quanto si sforzi di aggrapparsi a qualcosa e guadagnare la cima. C'è un detto che taglia a picco la nostra roccia: Non vi è nessuno che possa vedere Dio e vivere (cfr. Es 33, 20).
Comprendi ora la vertigine della nostra intelligenza incombente sulla profondità degli argomenti trattati in questo discorso?
Ma vedere Dio costituisce la vita eterna. Se Dio è vita, chi non vede Dio non vede la vita.
A quali strettezze è mai ridotta la speranza degli uomini!
Il Signore però solleva e sostiene i cuori che vacillano, come ha agito con Pietro, che stava per annegare. Egli lo rimise nuovamente in piedi sull'acqua come su un pavimento solido e resistente.
Se trovandoci pencolanti sull'abisso di queste speculazioni si accosterà anche a noi la mano del Verbo, si poserà sull'intelligenza e ci farà vedere il vero significato delle cose, saremo allora liberi dal timore e seguiremo la sua via. Ma purché il nostro cuore sia puro. Dice, infatti: «Beati coloro che hanno un cuore puro, perché essi vedranno Dio».
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25/06/2016 09:59
 
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Dalle «Omelie» di san Gregorio di Nissa, vescovo

(Om. 6, sulle beatitudini; PG 44, 1270-1271)
Dio può essere trovato nel cuore dell'uomo

Nella vita dell'uomo la salute del corpo rappresenta un bene, ma la felicità non consiste nel conoscere la ragione della salute, bensì nel vivere in salute. Se uno dopo aver celebrato le lodi della salute, prende cibi che gli causano malattie, che cosa gli possono giovare le lodi della salute ? Allo stesso modo dobbiamo intendere il presente discorso, quando il Signore dice che la felicità non consiste nel conoscere qualche verità su Dio, ma nell'avere Dio in se stessi: «Beati», infatti, «i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5, 8). Mi pare proprio che Dio voglia mostrarsi a faccia a faccia a colui che ha l'occhio dell'anima ben purificato, ma secondo quanto dice Cristo: Il regno di Dio è dentro di voi (cfr. Lc 17, 21). Chi ha purificato il suo cuore può contemplare l'immagine della divina natura nella bellezza della sua stessa anima.
Se dunque laverai le brutture che hanno coperto il tuo cuore, risplenderà in te la divina bellezza. Come il ferro, liberato dalla ruggine, splende al sole, così anche l'uomo interiore, quando avrà rimosso da sé la ruggine del male, ricupererà la somiglianza con la forma originale e primitiva e sarà buono.
Quindi chi vede se stesso, contempla ciò che desidera in se stesso. In tal modo diviene beato chi ha il cuore puro, perché mentre guarda la sua purità, scorge, attraverso questa immagine, la sua prima e principale forma. Coloro che vedono il sole in uno specchio, benché non fissino i loro occhi in cielo, vedono il sole non meno bene di quelli che guardano direttamente l'astro luminoso. Così anche voi, benché le vostre forze non siano sufficienti per scorgere e contemplare la luce inaccessibile, se ritornerete alla grazia originaria troverete in voi ciò che cercate. La divinità infatti è purezza, è assenza di vizi e di passioni, è lontananza da ogni male. Se dunque queste realtà sono in te, Dio è senz'altro in te. Quando pertanto la tua anima sarà pura da ogni sorta di vizi, libera da passioni e difetti e lontana da ogni inquinamento, allora sei felice per l'acutezza e la limpidezza della vista, perché ciò che sfuggirà allo sguardo di coloro che non si sono purificati, tu invece, purificato, lo scorgerai. Tolta dagli occhi spirituali l'oscurità materiale, avrai la beata visione nella pura serenità del cuore.
E questo sublime spettacolo in che cosa consiste? Nella santità, nella purezza, nella semplicità, e in tutti i luminosi splendori della natura divina per mezzo dei quali si vede Dio.
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28/06/2016 06:24
 
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Dal «Trattato contro le eresie» di sant'Ireneo, vescovo

(Lib. IV, 20, 5-7; SC 100, 640-642. 644-648)
L'uomo vivente è gloria di Dio; vita dell'uomo è la visione di Dio

La gloria di Dio dà la vita; perciò coloro che vedono Dio ricevono la vita. E per questo colui che è inintelligibile, incomprensibile e invisibile, si rende visibile, comprensibile e intelligibile dagli uomini, per dare la vita a coloro che lo comprendono e vedono. È impossibile vivere se non si è ricevuta la vita, ma la vita non si ha che con la partecipazione all'essere divino. Orbene tale partecipazione consiste nel vedere Dio e godere della sua bontà.
Gli uomini dunque vedranno Dio per vivere, e verranno resi immortali e divini in forza della visione di Dio. Questo, come ho detto prima, era stato rivelato dai profeti in figura, che cioè Dio sarebbe stato visto dagli uomini che portano il suo Spirito e attendono sempre la sua venuta. Così Mosè afferma nel Deuteronomio: Oggi abbiamo visto che Dio può parlare con l'uomo e l'uomo aver la vita (cfr. Dt 5, 24).
Colui che opera tutto in tutti nella sua grandezza e potenza, è invisibile e indescrivibile a tutti gli esseri da lui creati, non resta però sconosciuto; tutti infatti, per mezzo del suo Verbo, imparano che il Padre è unico Dio, che contiene tutte le cose e dà a tutte l'esistenza, come sta scritto nel vangelo: «Dio nessuno lo ha mai visto; proprio il Figlio Unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Gv 1, 18).
Fin dal principio dunque il Figlio è il rivelatore del Padre, perché fin dal principio è con il Padre e ha mostrato al genere umano nel tempo più opportuno le visioni profetiche, la diversità dei carismi, i ministeri e la glorificazione del Padre secondo un disegno tutto ordine e armonia. E dove c'è ordine c'è anche armonia, e dove c'è armonia c'è anche tempo giusto, e dove c'è tempo giusto c'è anche beneficio.
Per questo il Verbo si è fatto dispensatore della grazia del Padre per l'utilità degli uomini, in favore dei quali ha ordinato tutta l'«economia» della salvezza, mostrando Dio agli uomini e presentando l'uomo a Dio. Ha salvaguardato però l'invisibilità del Padre, perché l'uomo non disprezzi Dio e abbia sempre qualcosa a cui tendere. Al tempo stesso ha reso visibile Dio agli uomini con molti interventi provvidenziali, perché l'uomo non venisse privato completamente di Dio, e cadesse così nel suo nulla, perché l'uomo vivente è gloria di Dio e vita dell'uomo è la visione di Dio. Se infatti la rivelazione di Dio attraverso il creato dà la vita a tutti gli esseri che si trovano sulla terra, molto più la rivelazione del Padre che avviene tramite il Verbo è causa di vita per coloro che vedono Dio.
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30/06/2016 21:47
 
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Dall'«Omelia ai Neofiti sul salmo 41» di san Girolamo, sacerdote e dottore della Chiesa

(CCL 78, 542-544)
Andrò nel luogo del mirabile tabernacolo

«Come la cerva anela ai corsi d'acqua, così l'anima mia anela a te, o Dio» (Sal 41, 2). Dunque come quei cervi anelano ai corsi d'acqua, così anche i nostri cervi che, allontanandosi dall'Egitto e dal mondo, hanno ucciso il faraone nelle loro acque ed hanno sommerso il suo esercito nel battesimo, dopo l'uccisione del diavolo, anelano alle fonti della Chiesa, cioè al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo.
Che il Padre sia sorgente, è scritto nel profeta Geremia: «Hanno abbandonato me, sorgente di acqua viva, per scavarsi cisterne screpolate che non tengono l'acqua» (Ger 2, 13). Del Figlio poi leggiamo in un passo: «Hanno abbandonato la fonte della Sapienza» (Bar 3, 12). Infine dello Spirito Santo si dice: «Chi beve dell'acqua, che io gli darò … (questa) diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna» (Gv 4, 14). L'evangelista spiega il passo dicendo che questa parola del Signore si riferisce allo Spirito Santo. I testi citati provano chiarissimamente che il mistero della Trinità è la triplice fonte della Chiesa.
A questa fonte anela l'anima del credente, questa fonte brama l'anima del battezzato, dicendo: L'anima mia ha sete di Dio, fonte viva (cfr. Sal 41, 3). Non ha desiderato infatti freddamente di vedere Dio, ma l'ha desiderato con tutta la brama, ne ha avuto una sete ardentissima. Prima di ricevere il battesimo parlavano tra loro e dicevano: «Quando verrò e vedrò il volto di Dio?» (Sal 41, 3). Ecco, si è compiuto quello che domandavano; sono venuti e stanno in piedi dinanzi al volto di Dio e si son presentati davanti all'altare e al mistero del Salvatore.
Ammessi a ricevere il Corpo di Cristo e rinati nella sorgente della vita, parlano fiduciosamente e dicono: Mi avanzerò nel luogo del tabernacolo mirabile, fino alla casa di Dio (cfr. Sal 41, 5 volgata). La casa di Dio è la Chiesa, questo è il tabernacolo mirabile, perché in esso si trova «la voce della letizia e della lode e il canto di quanti siedono al convito».
Voi che vi siete rivestiti di Cristo e, seguendo la nostra guida, mediante la parola di Dio siete stati tratti come pesciolini all'amo fuori dei gorghi di questo mondo, dite dunque: In noi è mutata la natura delle cose. Infatti i pesci, che sono estratti dal mare, muoiono. Gli apostoli invece ci hanno estratti dal mare di questo mondo e ci hanno pescati perché da morti fossimo vivificati. Finché eravamo nel mondo i nostri occhi guardavano verso il profondo dell'abisso e la nostra vita era immersa nel fango, ma, dopo che siamo stati strappati ai flutti, abbiamo cominciato a vedere il sole, abbiamo cominciato a contemplare la vera luce ed emozionati da una gioia straordinaria, diciamo all'anima nostra: «Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio» (Sal 41, 6).
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02/07/2016 09:26
 
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Dalle «Catechesi» di san Cirillo di Gerusalemme, vescovo

(Catech. I, 2-3. 5-6; PG 33, 371. 375-378)
Convèrtiti nel tempo favorevole

Se vi è qualcuno schiavo del peccato, si disponga per mezzo della fede a rinascere libero nell'adozione filiale. E dopo aver abbandonato la pessima schiavitù dei peccati e aver conseguita la beata schiavitù del Signore, sia stimato meritevole di ottenere l'eredità del regno celeste. Per mezzo della conversione spogliatevi dell'uomo vecchio che si corrompe dietro i desideri ingannatori, per rivestire l'uomo nuovo che si rinnova conforme alla conoscenza di colui che lo ha creato. Acquistate attraverso la fede il pegno dello Spirito Santo, perché possiate essere accolti nelle dimore eterne. Accostatevi al mistico contrassegno, perché vi si possa distinguere bene fra tutti. Siate annoverati nel gregge di Cristo, santo e ben ordinato, così che posti un giorno alla sua destra possiate ottenere la vita preparata come vostra eredità.
Quelli infatti ai quali rimane ancora attaccata, come fosse una pelle, la ruvidezza dei peccati, prendono posto alla sinistra, per il fatto che non si sono accostati alla grazia di Dio, che viene concessa, per Cristo, nel lavacro di rigenerazione. Certamente non parlo della rigenerazione dei corpi, ma della rinnovata nascita dell'anima. I corpi infatti sono generati per mezzo dei genitori visibili, le anime invece vengono rigenerate attraverso la fede, e infatti: «Lo Spirito soffia dove vuole». Allora, se ne risulterai degno, potrai sentirti dire: «Bene, servo buono e fedele» (Mt 25, 23), sempre che tu sia trovato esente nella coscienza da ogni impurità e simulazione.
Se dunque qualcuno dei presenti pensa di tentare la grazia di Dio, si inganna da se stesso, e ignora il valore delle cose. Procurati, o uomo, un'anima sincera e priva di inganno, per colui che scruta mente e cuore.
Il tempo presente è tempo di conversione. Confessa ciò che hai commesso sia con la parola che con l'azione, sia di notte che di giorno. Convèrtiti nel tempo favorevole, e nel giorno della salvezza accogli il tesoro celeste.
Ripulisci la tua anfora, perché accolga la grazia in misura più abbondante; infatti la remissione dei peccati viene data a tutti egualmente, invece la partecipazione dello Spirito Santo viene concessa in proporzione della fede di ciascuno. Se hai lavorato poco riceverai poco, se invece avrai fatto molto, molta sarà la mercede. Quanto fai, lo fai per il tuo bene. È nel tuo interesse considerare e fare ciò che ti conviene.
Se hai qualcosa contro qualcuno, perdona. Se ti accosti per ricevere il perdono dei peccati, è necessario che anche tu perdoni a chi ha peccato.
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