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PERLE PATRISTICHE

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2017 23:57
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17/07/2015 04:29
 
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Dal trattato «Sui misteri» di sant'Ambrogio, vescovo

(Nn. 43. 47. 49; SC 25 bis, 178-180. 182)
Sull'Eucaristia ai neofiti

Così lavata e ricca di tale abbigliamento, la schiera dei neofiti avanza verso gli altari di Cristo dicendo: «Verrò all'altare di Dio, al Dio della mia gioia, del mio giubilo» (Sal 42, 4). Infatti, deposte le spoglie dell'antico errore, e rinnovata nella giovinezza dell'aquila (cfr. Sal 102, 5), s'affretta ad accorrere a quel banchetto celeste. Viene dunque, e vedendo il sacro altare tutto adorno, esclama: «Davanti a me tu prepari una mensa» (Sal 22, 5). Davide così fa parlare ciascuna delle nuove reclute: «Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce». E più avanti: «Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza. Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici; cospargi di olio il mio capo. Il mio calice trabocca» (Sal 22, 1-5).
È mirabile che Dio abbia fatto piovere la manna per i padri e che si nutrissero con un alimento quotidiano disceso dal cielo. Per cui fu detto: «L'uomo mangiò il pane degli angeli» (Sal 77, 25). Ma quelli che mangiarono quel pane «morirono tutti» nel deserto; invece questo alimento che tu ricevi, questo «pane vivo disceso dal cielo» (Gv 6, 51) somministra il sostentamento della vita eterna, e chiunque ne avrà mangiato «non morirà in eterno» (Gv 11, 26) perché è il corpo di Cristo.
Ora fa' attenzione se sia più eccellente il pane degli angeli mangiato dagli Ebrei nel deserto o la carne di Cristo la quale è indubbiamente un corpo che dà la vita. Quella manna veniva dal cielo, questo corpo è al di sopra del cielo. Quella era del cielo, questo del Signore dei cieli. Quella, se si conservava per il giorno seguente, si guastava. Questo è alieno da ogni corruzione. Chiunque lo gusta con sacra riverenza non potrà soggiacere alla corruzione. Per gli Ebrei scaturì acqua dalla rupe, per te sangue dal Cristo. L'acqua dissetò loro per un momento, te, invece, il sangue lava per sempre. Il giudeo beve e ha sete, tu quando avrai bevuto non potrai aver mai più sete. Quell'evento era figura, questo è verità.
Se quello che tu ammiri è ombra, quanto grande è la realtà presente di cui tu ammiri l'ombra! Senti come è ombra quello che si verificò presso i padri: «Bevevano», dice, «da una roccia che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo. Ma della maggior parte di loro Dio non si compiacque e perciò furono abbattuti nel deserto. Ora ciò avvenne come esempio, per noi» (1 Cor 10, 4-6). Hai conosciuto ciò che vale di più: è migliore la luce dell'ombra, migliore la verità della figura, migliore il corpo del Creatore della manna del cielo.
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18/07/2015 06:07
 
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Dal trattato «Sui misteri» di sant'Ambrogio, vescovo

(Nn. 52-54. 58; SC 25 bis, 186-188. 190)
Questo sacramento che ricevi si compie con la parola di Cristo

Noi costatiamo che la grazia ha maggiore efficacia della natura, ma la grazia della benedizione profetica è ancora superiore. Se poi la parola del profeta, cioè di un uomo, ha avuto tanta forza da cambiare la natura, che dire della benedizione fatta da Dio stesso dove agiscono le parole medesime del Signore e Salvatore? Giacché questo sacramento che tu ricevi si compie con la parola di Cristo. Che se la parola di Elia ebbe tanta potenza da far scendere il fuoco dal cielo, la parola di Cristo non sarà capace di cambiare la natura degli elementi? A proposito delle creature di tutto l'universo tu hai detto: «Egli parla e tutto è fatto, comanda e tutto esiste» (Sal 32, 9). La parola di Cristo, dunque, che ha potuto creare dal nulla quello che non esisteva, non può cambiare le cose che sono in ciò che esse non erano? Infatti non è meno difficile dare alle cose un'esistenza che cambiarle in altre.
Ma perché servirci di argomentazioni? Serviamoci dei suoi esempi e proviamo la verità del mistero con il mistero stesso della incarnazione. Forse che fu seguito il corso ordinario della natura quando Gesù Signore nacque da Maria? Se cerchiamo l'ordine della natura, la donna suole generare dall'unione con l'uomo. È chiaro dunque che la Vergine ha generato al di fuori dell'ordine della natura. Ebbene, quello che noi ripresentiamo è il corpo nato dalla Vergine. Perché cerchi qui il corso della natura nel corpo di Cristo, mentre lo stesso Signore Gesù Cristo è stato generato dalla Vergine all'infuori del corso della natura? È la vera carne di Cristo che fu crocifissa, che fu sepolta. È dunque veramente il sacramento della sua carne.
Lo stesso Signore Gesù proclama: «Questo è il mio corpo». Prima della benedizione delle parole celesti la parola indica un particolare elemento. Dopo la consacrazione ormai designa il corpo e il sangue di Cristo. Egli stesso lo chiama suo sangue. Prima della consacrazione lo si chiama con altro nome. Dopo la consacrazione è detto sangue. E tu dici: «Amen», cioè, «È così». Ciò che pronunzia la bocca, lo affermi lo spirito. Ciò che enunzia la parola, lo senta il cuore.
Anche la Chiesa vedendo una grazia così grande, esorta i suoi figli, esorta i suoi intimi ad accorrere ai sacramenti dicendo: «Mangiate, amici, bevete; inebriatevi, o cari» (Ct 5, 1). Quello poi che mangiamo, quello che beviamo, lo Spirito Santo te lo ha specificato altrove per mezzo del Profeta dicendo: «Gustate e vedete quanto è buono il Signore; beato l'uomo che in lui si rifugia» (Sal 33, 9). In quel sacramento c'è Cristo, perché è il corpo di Cristo. Non è dunque un cibo corporale, ma un nutrimento spirituale. Onde anche l'Apostolo della sua figura dice: «I nostri padri tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale» (1 Cor 10, 3). Infatti il corpo di Dio è un corpo spirituale, il corpo di Cristo è il corpo dello spirito divino, perché Cristo è spirito, come leggiamo: Cristo Signore è spirito davanti al nostro volto (cfr. Lam 4, 20 secondo i LXX). Questo nutrimento rinsalda il nostro cuore e questa bevanda «allieta il cuore dell'uomo» (Sal 103, 15) come ha ricordato il profeta.
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19/07/2015 08:07
 
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Dalla «Lettera ai cristiani di Magnesia» di sant'Ignazio di Antiochia, vescovo e martire

(Intr.; Capp. 1, 1 - 5, 2; Funk 1, 191-195)
Non basta essere chiamati cristiani, ma bisogna esserlo davvero

Ignazio, detto anche Teoforo, alla chiesa benedetta dalla grazia di Dio Padre, in Cristo Gesù nostro Salvatore: in lui saluto questa chiesa che è a Magnesia sul Meandro e le auguro di godere ogni bene in Dio Padre e in Gesù Cristo.
Ho appreso che la vostra carità è perfettamente ordinata secondo Dio. Ne ho provato grande gioia e ho deciso di rivolgere a voi la parola nella fede di Gesù Cristo. Insignito di un'altissima onorificenza, cioè delle catene che porto ovunque con me, canto le lodi delle chiese e auguro loro l'unione con la carne e lo spirito di Gesù Cristo, nostra vita eterna, nella fede e nella carità, più desiderabile e preziosa d'ogni bene. Auspico per loro soprattutto l'unione con Gesù e il Padre. In lui resisteremo a ogni assalto del principe di questo mondo, sfuggiremo dalle sue mani e giungeremo a Dio.
Ho avuto la grazia di vedervi nella persona del vostro vescovo Damas, uomo veramente degno di Dio, dei santi presbiteri Basso e Apollonio e del diacono Sozione, mio compagno nel servizio del Signore. Possa io trarre profitto dalla presenza di Sozione, perché è sottomesso al vescovo come alla grazia di Dio e al collegio dei presbiteri come alla legge di Gesù Cristo.
Non dovete approfittare della giovane età del vescovo, ma avere per lui ogni rispetto, considerando l'autorità che gli è stata conferita da Dio Padre. So che fanno così anche i venerandi presbiteri, che non abusano della sua evidente età giovanile, ma, da uomini prudenti in Dio, gli stanno soggetti vedendo in lui non la sua persona, ma il Padre di Gesù Cristo, vescovo di tutti. Ad onore di colui che ci ama conviene ubbidire senza ombra di finzione perché altrimenti non si inganna questo vescovo visibile, ma si cerca di ingannare quello invisibile. Qui non si tratta di cose che riguardano la carne, ma Dio, che conosce i segreti dei cuori.
Non basta essere chiamati cristiani, ma bisogna esserlo davvero. Ci sono alcuni che hanno sì il nome del vescovo sulle labbra, ma poi fanno tutto senza di lui. Mi pare che costoro non agiscano con retta coscienza, perché le loro riunioni non sono legittime, secondo il comando del Signore.
Tutte le cose hanno fine, e due termini ci stanno davanti, la vita e la morte. Ciascuno andrà al posto che gli spetta. Vi sono, per così dire, due monete, quella di Dio e quella del mondo, e ciascuna porta impresso il proprio contrassegno. I non credenti hanno l'impronta di questo mondo, ma i fedeli che sono nella carità portano impressa l'immagine di Dio Padre per mezzo di Gesù Cristo. Se noi, con la grazia sua, non siamo pronti a morire per partecipare alla sua passione, la sua vita non è in noi.
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20/07/2015 08:11
 
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Dalla «Lettera ai cristiani di Magnesia» di sant'Ignazio di Antiochia, vescovo e martire

(Capp. 6, 1 - 9, 2; Funk 1, 195-199)
Una sola preghiera, una sola speranza nella carità, nella gioia santa

Nelle persone che vi ho ricordate, ho conosciuto nella fede e ho amato tutta la vostra comunità. E ora ho una raccomandazione da farvi: procurate di compiere ogni azione nella concordia di Dio, sotto la guida del vescovo che tiene il posto di Dio, dei presbiteri che rappresentano il collegio apostolico e dei diaconi a me tanto cari, ai quali è stato affidato il ministero di Gesù Cristo che era prima dei secoli presso il Padre e si è manifestato alla fine dei tempi.
Poiché partecipate agli stessi sentimenti di Dio, abbiate un grande rispetto reciproco. Nessuno giudichi il prossimo con viste puramente umane, ma amatevi sempre gli uni gli altri in Gesù Cristo. Non vi sia in noi alcun motivo di divisione. Tenetevi uniti al vescovo e a quelli che presiedono, in modo da fornire a tutti un'immagine e una prova della vita immortale nel cielo.
Il Signore Gesù, che è uno con il Padre, non ha fatto nulla senza il Padre, né da se stesso, né per mezzo degli apostoli. Così anche voi non fate nulla senza il vescovo e i presbiteri. Non cercate di far passare per buono ciò che fate in privato e per conto vostro, ma preferite la forma comunitaria. Una sola sia la preghiera, una l'invocazione, uno lo spirito, una la speranza nella carità, nella gioia santa, che è Cristo, di cui nulla c'è di più prezioso. Correte tutti, come ad un unico tempio di Dio, ad un unico altare, all'unico Gesù Cristo che è uscito dall'unico Padre, rimanendo presso di lui e a lui facendo ritorno.
Non lasciatevi sedurre da false dottrine, né da vecchie favole che non giovano a nulla. Se viviamo ancora alla maniera dei Giudei, conformandoci alla legge, dimostriamo di non aver ricevuto la grazia, mentre già i profeti, ispirati da Dio, vissero secondo Gesù Cristo.
Quei santi uomini soffrirono anche persecuzioni, sostenuti dalla sua grazia, per convincere gli increduli che c'è un solo Dio e che egli si sarebbe manifestato per mezzo del Messia, cioè di Gesù Cristo, suo Figlio, che è il suo Verbo uscito dal silenzio. Questi piacque in ogni cosa a colui che l'aveva mandato.
Quelli che vissero nel vecchio ordine di cose hanno abbracciato la nuova speranza e non osservano più il sabato, ma celebrano il giorno del Signore, nel quale abbiamo cominciato a partecipare alla vita del Cristo e anche alla sua morte, mistero che alcuni negano, e che invece è sorgente della nostra fede e della pazienza con la quale noi soffriamo, per essere trovati discepoli di Gesù Cristo, unico nostro maestro. Se così fanno quelli del vecchio ordine, come potremmo vivere noi senza di lui, quando anche i profeti, suoi discepoli in ispirito, lo aspettavano come maestro? Per questo egli, da essi santamente atteso, venuto che fu, li risuscitò dai morti.
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21/07/2015 07:49
 
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Dalla «Lettera ai cristiani di Magnesia» di sant'Ignazio di Antiochia, vescovo e martire

(Capp. 10, 1 - 15; Funk 1, 199-203)
Avete Cristo in voi

Non ci avvenga di essere insensibili alla bontà di Cristo. Se egli ci trattasse secondo le nostre opere, saremmo perduti.
Facciamoci davvero suoi discepoli e impariamo a vivere secondo le esigenze del cristianesimo. Chi si chiama con un altro nome fuori di questo non appartiene a Dio. Gettate via il cattivo fermento, vecchio e inacidito, e trasformatevi nel nuovo che è Gesù Cristo. Sia lui il sale della vostra vita e nessuno di voi si corrompa, perché sarete riconosciuti per quello che siete realmente.
È assurdo confessare Gesù Cristo e vivere da giudei. Non è il cristianesimo che credette nel giudaismo, ma è il giudaismo che deve credere nel cristianesimo, destinato ad abbracciare tutti quelli che credono in Dio.
Vi scrivo queste cose, miei cari, non perché abbia saputo che alcuni di voi seguano teorie false su questo punto, no. Voglio piuttosto mettervi in guardia, per quanto inferiore a voi, perché non siate presi nei lacci di dottrine sospette.
Siate pienamente convinti della nascita, della passione e della risurrezione di Gesù che avvenne al tempo in cui era procuratore Ponzio Pilato. Tutte queste cose le ha realmente compiute, e non c'è dubbio, Gesù Cristo, nostra speranza, e a nessuno di voi capiti la sventura di allontanarsi da lui.
Mi auguro di poter godere di voi sotto ogni aspetto, se pur ne son degno. Dico così perché, sebbene io sia in catene per la fede, non potrei paragonarmi con alcuno di voi che siete liberi. So che non vi insuperbite, perché avete in voi Gesù Cristo. Anzi, quando vi lodo, ne provate rossore come sta scritto: Il giusto accusa se stesso (cfr. Pro 18, 17).
Cercate di essere ben saldi nella dottrina del Signore e degli apostoli, perché riesca tutto quello che fate (cfr. Sal 1, 3) per la vita del corpo e dello spirito, nella fede e nella carità, nel Figlio, nel Padre e nello Spirito Santo, all'inizio e alla fine, insieme con il vostro degnissimo vescovo, con la splendida corona spirituale del vostro presbiterio e con i diaconi che sono secondo il cuore di Dio. Siate sottomessi al vescovo e anche gli uni agli altri, come Gesù Cristo, in quanto uomo, fu sottomesso al Padre e gli apostoli a Cristo, al Padre e allo Spirito Santo, perché ci sia unione perfetta in carne e spirito.
Sapendo che siete pieni di Dio, non vi faccio lunghe esortazioni. Ricordatevi di me nelle vostre preghiere perché possa giungere a Dio. Pregate anche per la chiesa di Siria, della quale non son degno di essere chiamato membro. Ho bisogno della preghiera e della carità di tutti voi: unitele e offritele insieme a Dio, perché la chiesa di Siria meriti di essere irrorata di rugiada celeste grazie alla vostra chiesa.
Da Smirne, da dove vi scrivo queste righe, vi salutano i fedeli di Efeso. Essi sono qui presenti, a gloria di Dio, e lo siete anche voi per mezzo dei vostri delegati. Tutti mi hanno confortato in ogni modo insieme a Policarpo, vescovo di Smirne.
Anche le altre chiese vi salutano ad onore di Gesù Cristo. Siate forti e uniti in Dio per il possesso dello spirito indissolubile che è Gesù Cristo.
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25/07/2015 07:25
 
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Dalle «Omelie sul vangelo di Matteo» di san Giovanni Crisostomo, vescovo

(Om. 65, 2-4; PG 58, 619-622)
Partecipi alla passione di Cristo

I figli di Zebedeo chiedono al Cristo: «Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra» (Mc 10, 37). Cosa risponde il Signore? Per far loro comprendere che nella domanda avanzata non vi è nulla di spirituale e che, se sapessero ciò che chiedono, non lo domanderebbero, risponde: «Non sapete ciò che domandate», cioè non ne conoscete il valore, la grandezza e la dignità, superiori alle stesse potenze celesti. E aggiunge: «Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?» (Mc 10, 38). Voi, sembra dir loro, mi parlate di onori e di dignità; io vi parlo, invece, di lotte e di sudori. Non è questo il tempo dei premi, né la mia gloria si manifesta ora. Il presente è tempo di morte violenta, di guerre e di pericoli.
Osservate quindi come, rispondendo loro con un'altra domanda, li esorti e li attragga. Non chiede se sono capaci di morire, di versare il loro sangue, ma domanda: «Potete voi bere il calice» e per animarli aggiunge «che io devo bere?», in modo da renderli, con la partecipazione alle sue sofferenze, più coraggiosi. Chiama la sua passione «battesimo» per far capire che tutto il mondo ne avrebbe ricevuto una grande purificazione. I due discepoli rispondono: «Possiamo!». Promettono immediatamente, senza sapere ciò che chiedono, con la speranza che la loro richiesta sia soddisfatta. E Gesù risponde: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete» (Mc 10, 39). Preannunzia loro grandi beni: Voi, cioè, sarete degni di subire il martirio e soffrirete con me; finirete la vita con una morte eroica e parteciperete a questi miei dolori. «Ma sedere però alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato» (Mc 10, 40).
Dopo aver preparato l'animo dei due discepoli e dopo averli fortificati contro il dolore, allora corregge la loro richiesta.
«Gli altri dieci si sdegnarono con i due fratelli» (Mt 20, 24). Notate come tutti gli apostoli siano ancora imperfetti, sia i due che vogliono innalzarsi sopra i dieci, sia gli altri che hanno invidia di loro. Ma, come ho già detto, osservateli più tardi, e li vedrete esenti da tutte queste miserie. Giovanni stesso, che ora si fa avanti anche lui per ambizione, cederà in ogni circostanza il primato a Pietro, sia nella predicazione, sia nel compiere miracoli, come appare dagli Atti degli Apostoli. Giacomo, invece, non visse molto tempo dopo questi avvenimenti. Dopo la Pentecoste infatti sarà tale il suo fervore che, lasciato da parte ogni interesse terreno, perverrà ad una virtù così elevata da essere ritenuto maturo di ricevere subito il martirio.
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26/07/2015 09:12
 
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Dalle «Omelie sulla seconda lettera ai Corinzi» di san Giovanni Crisostomo, vescovo

(Om. 14, 1-2; PG 61, 497-499)
Sovrabbondo di gioia in ogni tribolazione

Paolo riprende il discorso sulla carità, moderando l'asprezza del rimprovero. Dopo avere infatti biasimato e rimproverato i Corinzi per il fatto che, pur amati, non avevano corrisposto all'amore, anzi erano stati ingrati e avevano dato ascolto a gente malvagia, mitiga il rimprovero dicendo: «Fateci posto nei vostri cuori» (2 Cor 7, 2), cioè amateci. Chiede un favore assai poco gravoso, anzi più utile a loro che a lui. Non dice «amate», ma con squisita delicatezza: «Fateci posto nei vostri cuori». Chi ci ha scacciati, sembra chiedere, dai vostri cuori? Chi ci ha espulsi? Per quale motivo siamo stati banditi dal vostro spirito? Dato che prima aveva affermato: «È nei vostri cuori invece che siete allo stretto» (2 Cor 6, 12), qui esprime lo stesso sentimento dicendo: «Fateci posto nei vostri cuori». Così li attira di nuovo a sé. Niente spinge tanto all'amore chi è amato quanto il sapere che l'amante desidera ardentemente di essere corrisposto.
«Vi ho già detto poco fa, continua, che siete nel nostro cuore per morire insieme e insieme vivere» (2 Cor 7, 3). Espressione massima dell'amore di Paolo: benché disprezzato, desidera vivere e morire con loro. Siete nel nostro cuore non superficialmente, in modo qualsiasi, ma come vi ho detto. Può capitare che uno ami, ma fugga al momento del pericolo: non è così per me.
«Sono pieno di consolazione» (2 Cor 7, 4). Di quale consolazione? Di quella che mi viene da voi: ritornati sulla buona strada mi avete consolato con le vostre opere. È proprio di chi ama prima lamentarsi del fatto che non è amato, poi temere di recare afflizione per eccessiva insistenza nella lamentela. Per questo motivo aggiunge: «Sono pieno di consolazione, pervaso di gioia».
In altre parole: sono stato colpito da grande dispiacere a causa vostra, ma mi avete abbondantemente compensato e recato gran sollievo; non avete solo rimosso la causa del dispiacere, ma mi avete colmato di più abbondante gioia.
Paolo manifesta la sua grandezza d'animo non fermandosi a dire semplicemente «sovrabbondo di gioia», ma aggiungendo anche «in ogni mia tribolazione». È così grande il piacere che mi avete arrecato che neppure la più grande tribolazione può oscurarlo, anzi è tale da farmi dimenticare con l'esuberanza della sua ricchezza, tutti gli affanni che mi erano piombati addosso e ha impedito che io ne rimanessi schiacciato.
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30/07/2015 03:23
 
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Dalle «Catechesi» di san Cirillo di Gerusalemme, vescovo

(Catech. 18, 26-29; PG 33, 1047-1050)
La Chiesa, sposa di Cristo

Chiesa «cattolica»: questo è infatti il nome proprio di questa santa madre di tutti noi, la quale è veramente anche la sposa del Signore nostro Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio. Sta scritto infatti: «Cristo ha amato la Chiesa, e ha dato se stesso per lei» (Ef 5, 25), e tutto quel che segue. Essa porta in sé la figura e l'immagine della Gerusalemme di lassù, che è libera e madre di tutti noi (cfr. Gal 4, 26). Essa prima era stata infeconda, ma ora è genitrice di numerosa prole.
Dio aveva ripudiato la precedente, mentre nella seconda, vale a dire in quella cattolica, pose anzitutto gli apostoli, come afferma Paolo, in secondo luogo i profeti, in terzo luogo i dottori, poi le autorità, infine i doni delle guarigioni, gli aiuti, i governi, i generi di linguaggi (cfr. 1 Cor 12, 28), e ogni specie di virtù: sapienza e intelletto, temperanza e giustizia, misericordia e benevolenza e infine pazienza invincibile di fronte alle persecuzioni. Questa Chiesa per mezzo delle armi della giustizia a destra e a sinistra, nella gloria e nel disonore, nelle persecuzioni e nelle prove, incoronò i santi martiri di corone intrecciate con i diversi e molteplici fiori della sofferenza. Ora invece, in tempi di pace, per grazia di Dio riceve i dovuti onori dai re e da uomini d'altissimo rango, e infine da ogni classe e ceto di uomini. E mentre i re delle genti, sparse nei vari luoghi, hanno dei limiti nel loro potere, la santa Chiesa cattolica è la sola che per tutto l'orbe gode di un potere senza limiti. Dio infatti, come sta scritto, pose la pace come suo confine (cfr. Sal 147, 14).
Rimanendo dentro questa santa Chiesa cattolica e formati dai suoi precetti e dalle sue leggi di salvezza, noi possederemo il regno dei cieli, con l'eredità della vita eterna, per ottenere la quale dal Signore siamo disposti a sopportare ogni cosa. La nostra meta infatti non è una cosa da poco, perché noi tendiamo alla vita eterna. Per questo nella professione di fede ci viene insegnato a credere, oltre che «nella risurrezione della carne» cioè dei morti, anche «nella vita eterna», che deve essere la meta di tutti gli sforzi del cristiano.
Perciò la vita, nella sua stessa realtà e verità, è il Padre che come una fonte versa sopra tutti noi i suoi doni celesti. È la sua bontà infinita che comunica anche a noi uomini i beni divini della vita eterna.
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02/08/2015 07:40
 
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Dalla «Lettera», detta di Barnaba

(Capp. 1, 1 - 2, 5; Funk, 1, 3-7)
La speranza della vita è il principio e il termine
della nostra fede

Salute a voi nella pace, figli e figlie, nel nome del Signore che ci ha amato. Grandi e copiosi sono i favori che Dio vi ha concesso. Per questo molto mi rallegro sapendo quanto le vostre anime siano belle e liete per la grazia e i doni spirituali che hanno ricevuto. Ma ancor maggiore è la mia gioia sentendo nascere in me una viva speranza di salvezza nel vedere con quanta generosità la sorgente divina abbia effuso su di voi il suo Spirito. Davvero splendido lo spettacolo che avete offerto alla mia vista!
Persuaso di essermi avvantaggiato molto nella via santa del Signore parlando con voi, mi sento spinto ad amarvi più della mia stessa vita, anche perché vedo in voi grande fede e carità per la speranza della vita divina.
Per l'amore che vi porto voglio mettervi a parte di quanto ho avuto, sicuro di ricevere beneficio dal servizio che vi rendo. Vi scrivo dunque alcune cose perché la vostra fede arrivi ad essere conoscenza perfetta.
Tre sono le grandi realtà rivelate dal Signore: la speranza della vita, inizio e fine della nostra fede; la salvezza, inizio e fine del piano di Dio; il suo desiderio di farci felici, pegno e promessa di tutti i suoi interventi salvifici.
Il Signore ci ha fatto capire, per mezzo dei profeti, le cose passate e presenti, e ci ha messo in grado di gustare le primizie delle cose future. E poiché vediamo ciascuna di esse realizzarsi proprio come ha detto, dobbiamo procedere sempre più sulla via del santo timore di Dio.
Per parte mia vi voglio indicare alcune cose che giovino al vostro bene già al presente. Vi parlo però non come maestro, ma come fratello.
I tempi sono cattivi e spadroneggia il Maligno con la sua attività diabolica. Badiamo perciò a noi stessi e ricerchiamo accuratamente i voleri del Signore. Timore e pazienza devono essere il sostegno della nostra fede, longanimità e continenza le nostre alleate nella lotta. Se praticheremo queste virtù e ci comporteremo come si conviene dinanzi al Signore, avremo la sapienza, l'intelletto, la scienza e la conoscenza. Queste sono le cose che Dio vuole da noi. Il Signore infatti ci ha insegnato per mezzo di tutti i profeti che egli non ha bisogno di sacrifici, né di olocausti, né di offerte. Che m'importa, dice, dei vostri sacrifici senza numero? Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di giovenchi; il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco. Non presentatevi nemmeno davanti a me per essere visti. Infatti chi ha mai richiesto tali cose dalle vostre mani? Non osate più calpestare i miei atri. Se mi offrirete fior di farina, sarà vano; l'incenso è un abominio per me. I vostri noviluni e i vostri sabati non li posso sopportare (cfr. Is 1, 11-13).
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03/08/2015 05:40
 
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Dalla «Lettera», detta di Barnaba

(Capp. 2, 6 - 3, 1. 3; 4, 10-14; Funk, 1, 7-9. 13)
La nuova legge di nostro Signore

Dio ha abrogato i vecchi sacrifici perché la nuova legge del Signore Nostro Gesù Cristo, libera dal giogo della costrizione, avesse un'offerta che non è opera degli uomini. Dice infatti: Quando i vostri padri uscirono dall'Egitto ho forse prescritto loro di offrirmi olocausti e sacrifici? Diedi invece questo comando: Nessuno di voi serbi rancore in cuor suo contro il prossimo, e non amate il falso giuramento (cfr. Ger 7, 22-23).
Se dunque non siamo insensati, dobbiamo comprendere il sentimento di bontà del Padre nostro; egli infatti ci parla perché vuole che noi nel cercare di accostarci a lui non sbagliamo a somiglianza degli antichi Ebrei. A noi dunque dice così: Sacrificio per il Signore è un cuore contrito, odore soave per il Signore è lo spirito che glorifica colui che lo ha creato (cfr. Sal 50, 19).
Perciò, o fratelli, dobbiamo attendere con grande cura alla nostra salvezza, perché il Maligno non si insinui in noi per sedurci e farci perdere il bene della vita.
Il Signore disse anche queste parole: «Non digiunate più come fate oggi, così da fare udire in alto il vostro chiasso. È forse come questo il digiuno che bramo, il giorno in cui l'uomo si mortifica?» (Is 58, 4-5). Dio mostra chiaramente qual è la sua volontà dicendo: Ecco il digiuno che io desidero: Sciogli ogni catena di ingiustizia, spezza i legami dei contratti ottenuti con la violenza, lascia liberi gli oppressi e rimetti loro ogni debito, annulla ogni obbligazione ingiusta. Dividi il tuo pane con gli affamati, e quando vedi qualcuno che è nudo, rivestilo, e accogli in casa tua coloro che sono senza tetto (cfr. Is 58, 6-10).
Fuggiamo dunque la vanità e detestiamo assolutamente ogni male e ogni condotta cattiva. Non isolatevi, rinchiudendovi in voi stessi, come se già foste giustificati, ma riunitevi insieme e cercate quello che è di vantaggio per tutti. Infatti la Scrittura dice: «Guai a coloro che si credono sapienti e si reputano intelligenti» (Is 5, 21).
Diveniamo spirituali, rendiamoci tempio consacrato a Dio. Per quanto sta in noi meditiamo sul timore di Dio, e sforziamoci di osservare i suoi comandamenti, per trovare gioia nella sua legge.
Il Signore giudicherà il mondo senza preferenze di persone (cfr. 1 Pt 1, 17). Ciascuno riceverà secondo quello che ha fatto: se sarà stato buono, la sua giustizia camminerà davanti a lui; se sarà stato cattivo, si troverà davanti la ricompensa della sua malvagità. Non avvenga che restiamo inattivi quando siamo chiamati e ci addormentiamo nei nostri peccati, e così il principe del male acquisti potere su di noi e ci strappi dal regno di Dio.
Comprendete ancora questo, fratelli miei: se dopo tanti miracoli e prodigi fatti per il popolo eletto essi sono stati abbandonati, badiamo che non si verifichi anche di noi il detto: «Molti sono chiamati, ma pochi eletti» (Mt 22, 14).
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05/08/2015 08:04
 
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Dalla «Lettera», detta di Barnaba

(Cap. 19, 1-3. 5-6. 8-12; Funk, 1, 53-57)
La via della luce

C'è una via che è quella della luce. Se qualcuno desidera percorrerla e arrivare fino alla meta lo faccia, operando attivamente.
Le indicazioni per trovarla e seguire questa via sono le seguenti. Amerai colui che ti ha creato e temerai colui che ti ha plasmato. Glorificherai colui che ti ha redento dalla morte. Sarai semplice di cuore, ma ricco nello spirito. Non ti unirai a quelli che camminano nella via della morte. Odierai qualunque cosa dispiaccia a Dio. Disprezzerai ogni ipocrisia. Non abbandonerai i comandamenti del Signore.
Non esalterai te stesso, ma sarai umile in tutte le cose. Non ti attribuirai gloria. Non tramerai contro il tuo prossimo. Non ammetterai sentimenti di orgoglio nel tuo cuore.
Amerai il tuo prossimo più della tua vita. Non procurerai aborto e non ucciderai il bimbo dopo la sua nascita.
Non ti disinteresserai di tuo figlio e di tua figlia, ma insegnerai loro il timore di Dio fin dalla fanciullezza. Non bramerai i beni del tuo prossimo, né sarai avaro. Non ti unirai ai superbi, ma frequenterai le persone umili e giuste.
Qualunque cosa ti accada, la prenderai in bene, sapendo che nulla avviene che Dio non voglia. Non sarai volubile nel pensare né userai duplicità nel parlare; la lingua doppia infatti è un laccio di morte.
Metterai in comune con il tuo prossimo tutto quello che hai e nulla chiamerai tua proprietà; infatti se siete compartecipi dei beni incorruttibili, quanto più dovete esserlo in ciò che si corrompe? Non sarai precipitoso nel parlare; la lingua infatti è un laccio di morte.
Usa il massimo impegno per mantenerti casto. Lo esige il bene della tua anima. Non stendere la tua mano per prendere e non ritirarla invece nel dare. Amerai come la pupilla dei tuoi occhi chiunque ti dirà la parola del Signore.
Giorno e notte richiamerai alla tua memoria il giudizio finale e ricercherai ogni giorno la compagnia dei santi, sia quando ti affanni a parlare e ti accingi a esortare e mediti come possa salvare un'anima per mezzo della parola, sia quando lavori con le tue mani per espiare i tuoi peccati.
Non esiterai nel dare, né darai il tuo dono in modo offensivo. Sai bene chi è che retribuisce la giusta mercede. Custodirai intatto il deposito, che ti è stato affidato, senza sottrazioni o manipolazioni di sorta.
Odierai sempre il male. Giudicherai con giustizia. Non farai nascere dissidi, ma piuttosto ricondurrai la pace, mettendo d'accordo i contendenti.
Confesserai i tuoi peccati. Non ti accingerai alla preghiera con una coscienza cattiva.
Ecco in che cosa consiste la via della luce.
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13/08/2015 07:41
 
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Dal trattato «L'ideale perfetto del cristiano» di san Gregorio di Nissa, vescovo

(PG 46, 259-262)
Abbiamo Cristo che è la nostra pace e la nostra luce

«Egli è la nostra pace, colui che ha fatto di due un popolo solo» (Ef 2, 14). Pensando che Cristo è la pace, noi dimostreremo di portare degnamente il nome di cristiani se, per mezzo di quella pace che è in noi, esprimeremo Cristo con la nostra vita. Egli uccise l'inimicizia (cfr. Ef 2, 16), come dice l'Apostolo. Non dobbiamo dunque assolutamente permettere che essa riprenda vita in noi, ma mostrare chiaramente che è del tutto morta. Non risuscitiamola di nuovo dopo che è stata uccisa da Dio per la nostra salute, non adiriamoci a rovina delle nostre anime e non richiamiamo alla memoria le ingiurie subite, non commettiamo l'errore di riportare all'esistenza colei che è fortunatamente estinta.
Siccome possediamo Cristo che è la pace, così uccidiamo l'inimicizia per praticare nella nostra vita la fede in lui.
Egli abbatté in se stesso il muro che divideva i due uomini, ne fece uno solo, ristabilendo la pace non soltanto con quelli che ci combattono dal di fuori, ma anche con quelli che suscitano contese in noi stessi. Così la carne non potrà avere più desideri contrari allo spirito e lo spirito desideri contrari alla carne, ma la prudenza della carne sarà soggetta alla legge divina. Allora, ricostituiti in un uomo nuovo e amante della pace e, da due, fatti un uomo solo, diventeremo dimora della pace.
La pace è la concordia fra due esseri contrastanti. Quindi, ora che è stata eliminata la guerra interna della nostra natura, coltiviamo in noi la pace; allora noi stessi diverremo pace e dimostreremo che questo appellativo di Cristo è vero e autentico anche in noi.
Cristo è la luce vera lontana da ogni menzogna. Impariamo da questo che anche la nostra vita deve essere illuminata dai raggi della vera luce. I raggi del sole di giustizia son le stesse virtù che splendono e ci illuminano perché respingiamo le opere delle tenebre e camminiamo onestamente come alla luce del giorno (cfr. Rm 13, 13). Detestiamo l'agire clandestino e tenebroso e operiamo tutto alla luce del giorno, e così anche noi diventeremo luce, e, come è proprio della luce, illumineremo gli altri mediante le nostre opere buone.
Cristo è la nostra santificazione, perciò asteniamoci dalle azioni e dai pensieri malvagi e impuri. Così ci mostreremo veramente partecipi del suo nome e manifesteremo la forza della santità non solo a parole, ma anche con le opere.
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16/08/2015 07:12
 
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Dalle «Omelie sul vangelo di Matteo» di san Giovanni Crisostomo, vescovo

(Om. 15, 6. 7; PG 57, 231-232)
Sale della terra e luce del mondo

«Voi siete il sale della terra» (Mt 5, 13). Vi viene affidato il ministero della parola, dice il Cristo, non per voi, ma per il mondo intero. Non vi mando a due, o dieci, o venti città o a un popolo in particolare, come al tempo dei profeti, ma vi invio alla terra, al mare, al mondo intero, a questo mondo così corrotto. Dicendo infatti: «Voi siete il sale della terra», fa capire che l'uomo è snaturato e corrotto dai peccati. Per questo esige dai suoi quelle virtù che sono maggiormente necessarie e utili per salvare gli altri. Un uomo mite, umile, misericordioso e giusto non tiene nascoste in sé simili virtù, ma fa sì che queste ottime sorgenti scaturiscano a vantaggio degli altri. E chi ha un cuore puro, amante della pace e soffre per la verità, dedica la sua vita per il bene di tutti.
Non crediate, sembra dire, di essere chiamati a piccole lotte e a compiere imprese da poco. No. Voi siete «il sale della terra». A che cosa li portò questa prerogativa? Forse a risanare ciò che era diventato marcio? No, certo. Il sale non salva ciò che è putrefatto. Gli apostoli non hanno fatto questo. Ma prima Dio rinnovava i cuori e li liberava dalla corruzione, poi li affidava agli apostoli, allora essi diventavano veramente «il sale della terra» mantenendo e conservando gli uomini nella nuova vita ricevuta dal Signore. È opera di Cristo liberare gli uomini dalla corruzione del peccato, ma impedire di ricadere nel precedente stato di miseria spetta alla sollecitudine e agli sforzi degli apostoli.
Vedete poi come egli mostra che essi sono migliori dei profeti. Non dice che sono maestri della sola Palestina, ma di tutto il mondo. Non stupitevi, quindi, sembra continuare Gesù, se la mia attenzione si fissa di preferenza su di voi e se vi chiamo ad affrontare difficoltà così gravi. Considerate quali e quante sono le città, i popoli e le genti a cui sto per inviarvi. Perciò voglio che non vi limitiate a essere santi per voi stessi, ma che facciate gli altri simili a voi. Senza di ciò non basterete neppure a voi stessi.
Agli altri, che sono nell'errore, sarà possibile la conversione per mezzo vostro; ma se cadrete voi, trascinerete anche gli altri nella rovina. Quanto più importanti sono gli incarichi che vi sono stati affidati, tanto maggior impegno vi occorre. Per questo Gesù afferma: «Ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini» (Mt 5, 13). Perché poi, udendo la frase: «Quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e diranno ogni sorta di male contro di voi» (Mt 5, 11), non temano di farsi avanti, sembra voler dire: Se non sarete pronti alle prove, invano io vi ho scelti. Così verranno le maledizioni a testimonianza della vostra debolezza. Se, infatti, per timore dei maltrattamenti, non mostrerete tutto quell'ardimento che vi si addice, subirete cose ben peggiori, avrete cattiva fama e sarete a tutti oggetto di scherno. Questo vuol dire essere calpestati.
Subito dopo passa ad un'altra analogia più elevata: «Voi siete la luce del mondo» (Mt 5, 14). Nuovamente dice del mondo, non di un solo popolo o di venti città, ma dell'universo intero: luce intelligibile, più splendente dei raggi del sole. Parla prima del sale e poi della luce, per mostrare il vantaggio di una parola ricca di mordente e di una dottrina elevata e luminosa. «Non può restar nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio» (Mt 5, 14-15). Con queste parole li stimola ancora una volta a vigilare sulla propria condotta, ricordando loro che sono esposti agli occhi di tutti gli uomini e che si muovono dinanzi allo sguardo di tutta la terra.
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24/08/2015 07:13
 
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Dalle «Omelie sulla prima lettera ai Corinzi» di san Giovanni Crisostomo, vescovo

(Om. 4, 3. 4; PG 61, 34-36)
La debolezza di Dio
è più forte della fortezza degli uomini

La croce ha esercitato la sua forza di attrazione su tutta la terra e lo ha fatto servendosi non di mezzi umanamente imponenti, ma dell'apporto di uomini poco dotati. Il discorso della croce non è fatto di parole vuote, ma di Dio, della vera religione, dell'ideale evangelico nella sua genuinità, del giudizio futuro. Fu questa dottrina che cambiò gli illetterati in dotti.
Dai mezzi usati da Dio si vede come la stoltezza di Dio sia più saggia della sapienza degli uomini, e come la sua debolezza sia più forte della fortezza umana. In che senso più forte? Nel senso che la croce, nonostante gli uomini, si è affermata su tutto l'universo e ha attirato a sé tutti gli uomini. Molti hanno tentato di sopprimere il nome del Crocifisso, ma hanno ottenuto l'effetto contrario. Questo nome rifiorì sempre di più e si sviluppò con progresso crescente. I nemici invece sono periti e caduti in rovina. Erano vivi che facevano guerra a un morto, e ciononostante non l'hanno potuto vincere. Perciò quando un pagano dice a un cristiano che è fuori della vita, dice una stoltezza. Quando mi dice che sono stolto per la mia fede, mi rende persuaso che sono mille volte più saggio di lui che si ritiene sapiente. E quando mi pensa debole non si accorge che il debole è lui. I filosofi, i re e, per così dire, tutto il mondo, che si perde in mille faccende, non possono nemmeno immaginare ciò che dei pubblicani e dei pescatori poterono fare con la grazia di Dio. Pensando a questo fatto, Paolo esclamava: «Ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1 Cor 1, 25). Questa frase è chiaramente divina. Infatti come poteva venire in mente a dodici poveri uomini, e per di più ignoranti, che avevano passato la loro vita sui laghi e sui fiumi, di intraprendere una simile opera? Essi forse mai erano entrati in una città o in una piazza. E allora come potevano pensare di affrontare tutta la terra? Che fossero paurosi e pusillanimi l'afferma chiaramente chi scrisse la loro vita senza dissimulare nulla e senza nascondere i loro difetti, ciò che costituisce la miglior garanzia di veridicità di quanto asserisce.
Costui, dunque, racconta che quando Cristo fu arrestato dopo tanti miracoli compiuti, tutti gli apostoli fuggirono e il loro capo lo rinnegò. Come si spiega allora che tutti costoro, quando il Cristo era ancora in vita, non avevano saputo resistere a pochi Giudei, mentre poi, giacendo lui morto e sepolto e, secondo gli increduli, non risorto, e quindi non in grado di parlare, avrebbero ricevuto da lui tanto coraggio da schierarsi vittoriosamente contro il mondo intero? Non avrebbero piuttosto dovuto dire: E adesso? Non ha potuto salvare se stesso, come potrà difendere noi? Non è stato capace di proteggere se stesso, come potrà tenderci la mano da morto? In vita non è riuscito a conquistare una sola nazione, e noi, col solo suo nome, dovremmo conquistare il mondo? Non sarebbe da folli non solo mettersi in simile impresa, ma perfino solo pensarla?
È evidente perciò che, se non lo avessero visto risuscitato e non avessero avuto una prova inconfutabile della sua potenza, non si sarebbero esposti a tanto rischio.
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25/08/2015 07:16
 
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Dalle «Omelie» di san Giovanni Crisostomo, vescovo

(Om. sul diavolo tentatore 2, 6; PG 49, 263-264)
Le cinque vie della riconciliazione con Dio

Volete che parli delle vie della riconciliazione con Dio? Sono molte e svariate, però tutte conducono al cielo.
La prima è quella della condanna dei propri peccati. Confessa per primo il tuo peccato e sarai giustificato (cfr. Is 43, 25-26). Perciò anche il profeta diceva: «Dissi: Confesserò al Signore le mie colpe, e tu hai rimesso la malizia del mio peccato» (Sal 31, 5).
Condanna dunque anche tu le tue colpe. Questo è sufficiente al Signore per la tua liberazione. E poi se condanni le tue colpe sarai più cauto nel ricadervi. Eccita la tua coscienza a divenire la tua interna accusatrice, perché non lo sia poi dinanzi al tribunale del Signore.
Questa è dunque una via di remissione, e ottima; ma ve n'è un'altra per nulla inferiore: non ricordare le colpe dei nemici, dominare l'ira, perdonare i fratelli che ci hanno offeso. Anche così avremo il perdono delle offese da noi fatte al Signore. E questo è un secondo modo di espiare i peccati. «Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi» (Mt 6, 14).
Vuoi imparare ancora una terza via di purificazione? È quella della preghiera fervorosa e ben fatta che proviene dall'intimo del cuore.
Se poi ne vuoi conoscere anche una quarta, dirò che è l'elemosina. Questa ha un valore molto grande. Aggiungiamo poi questo: Se uno si comporta con temperanza e umiltà, distruggerà alla radice i suoi peccati con non minore efficacia dei mezzi ricordati sopra. Ne è testimone il pubblicano che non era in grado di ricordare opere buone, ma al loro posto offrì l'umile riconoscimento delle sue colpe e così si liberò dal grave fardello che aveva sulla coscienza.
Abbiamo indicato cinque vie di riconciliazione con Dio. La prima è la condanna dei propri peccati. La seconda è il perdono delle offese. La terza consiste nella preghiera, la quarta nell'elemosina e la quinta nell'umiltà.
Non stare dunque senza far nulla, anzi ogni giorno cerca di avanzare per tutte queste vie, perché sono facili, né puoi addurre la tua povertà per esimertene. Ma quand'anche ti trovassi a vivere in miseria piuttosto grave, potrai sempre deporre l'ira, praticare l'umiltà, pregare continuamente e riprovare i peccati, e la povertà non ti sarà mai di intralcio. Ma che dico? Neppure in quella via di perdono in cui è richiesta la distribuzione del denaro cioè l'elemosina, la povertà è di impedimento. No. Lo dimostra la vedova che offrì i due spiccioli.
Avendo dunque imparato il modo di guarire le nostre ferite, adoperiamo questi rimedi. Riacquistata poi la vera sanità, godremo con fiducia della sacra mensa e con grande gloria andremo incontro a Cristo, re della gloria, e conquisteremo per sempre i beni eterni per la grazia, la misericordia e la bontà del Signore nostro Gesù Cristo.
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02/09/2015 05:26
 
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Dal «Commento su Giovanni» di Origène, sacerdote

(Tomo 10, 20; PG 14, 370-371)
Cristo parlava del tempio del suo corpo

«Distruggete questo tempio e io in tre giorni lo farò risorgere» (Gv 2, 19). Gli uomini grossolani e limitati alla pura sfera materiale mi sembrano simboleggiati da quei Giudei che si erano irritati perché Gesù aveva cacciato i venditori dalla casa del Padre suo. Essi chiedevano un segno a prova che agiva giustamente e che operava come Figlio di Dio, cosa che essi nella loro incredulità non volevano ammettere. Ma il Salvatore rispose unendo insieme figura e realtà, cioè il tempio e il suo corpo. A coloro che gli chiedevano: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?», disse: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Ambedue, sia il tempio che il corpo di Gesù, secondo un'interpretazione possibile, mi sembrano figura della Chiesa. Questa infatti è edificata con pietre viventi. È divenuta «un edificio spirituale per un sacerdozio santo» (1 Pt 2, 5). È edificata «sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù» (Ef 2, 20) e perciò si chiama tempio. È vero però anche che «voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte» (1 Cor 12, 27). Se così è, può bensì venire distrutto ciò che congiunge le pietre del tempio. Può certo accadere che queste pietre vengano disperse come sta scritto nel salmo 21, il che significa, fuori metafora, che le ossa di Cristo possono essere scompaginate dalle tribolazioni e dalle persecuzioni di coloro che combattono l'unità del tempio. Tuttavia il tempio verrà riedificato e il corpo risusciterà il terzo giorno, cioè dopo il giorno della sua tribolazione e dopo il giorno seguente, che è il giorno della consumazione.
Ci sarà effettivamente un terzo giorno nel cielo nuovo e nella terra nuova, quando queste ossa, che sono la casa d'Israele, nel grande giorno del Signore saranno rianimate in seguito alla sua vittoria sulla morte. Così la risurrezione di Cristo, seguita alle sofferenze della croce, racchiude il mistero della risurrezione di tutto il corpo di Cristo. Il corpo sensibile di Gesù fu crocifisso e sepolto e dopo risuscitò. Così tutto il corpo dei santi di Cristo viene prima affisso alla croce con Cristo e in un certo senso cessa di vivere. In effetti, come Paolo, ciascuno di noi non si deve gloriare se non nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per il quale egli è crocifisso al mondo e il mondo a lui.
Ciascuno di noi non solo fu crocifisso insieme a Cristo e crocifisso al mondo, ma anche seppellito insieme a Cristo. Infatti «siamo stati sepolti insieme a lui», dice Paolo (Rm 6, 4). Egli però aggiunge, come se già possedesse una certa caparra della risurrezione: E con lui siamo risorti anche noi (cfr. Rm 6, 4).
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26/09/2015 04:50
 
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Dal «Commento sui salmi» di sant'Ilario, vescovo

(Sal 64, 14-15; CSEL 22, 245-246)
Un fiume e i suoi ruscelli
rallegrano la città di Dio

«Il fiume di Dio è gonfio di acque; tu fai crescere il frumento per gli uomini. Così prepari la terra» (Sal 64, 10).
Il simbolismo del fiume è chiaro. Dice infatti il profeta: «Un fiume e i suoi ruscelli rallegrano la città di Dio» (Sal 45, 5). Lo stesso Signore dice nel vangelo: «Chi beve dell'acqua che io gli darò, diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna» (Gv 4, 14). E ancora: «Chi crede in me, come dice la Scrittura, fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno. Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui» (Gv 7, 38-39). Dunque questo fiume di Dio è gonfio d'acqua. Siamo infatti inondati dai doni dello Spirito Santo e da quella fontana di vita si riversa in noi il fiume ricolmo dell'acqua di Dio. E abbiamo pronto anche il cibo. Qual è questo cibo? Certamente quello che ci prepara a condividere la vita eterna di Dio. È il suo santo corpo che riceviamo in comunione. Questa comunione poi ci predispone a quella del santo corpo, che è la Chiesa trionfante. A questo infatti allude il presente salmo che dice: «Tu fai crescere il frumento per gli uomini. Così prepari la terra», perché con quel cibo non solo siamo salvati al presente, ma veniamo anche preparati per il futuro.
Rinati, mediante il sacramento del battesimo, proviamo una grandissima gioia quando pregustiamo in noi stessi le primizie dello Spirito Santo, con la conoscenza dei misteri, la scienza della rivelazione, la parola della sapienza, la fermezza della speranza, i carismi delle guarigioni e il potere sul demonio.
Tutto ciò ci compenetra come stillicidio, e, cominciando prima a poco a poco, finisce col produrre molteplici frutti.
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27/09/2015 08:37
 
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Dalla «Lettera ai Filippesi» di san Policarpo, vescovo e martire

(Capp. 1, 1 - 2, 3; Funk, 1, 267-269)
Foste salvati gratuitamente

Policarpo e i presbiteri, che sono con lui, alla chiesa di Dio che risiede come pellegrina in Filippi: la misericordia e la pace di Dio onnipotente e di Gesù Cristo nostro salvatore siano in abbondanza su di voi.
Prendo parte vivamente alla vostra gioia nel Signore nostro Gesù Cristo perché avete praticato la parola della carità più autentica. Infatti avete aiutato nel loro cammino i santi avvinti da catene, catene che sono veri monili e gioielli per coloro che furono scelti da Dio e dal Signore nostro. Gioisco perché la salda radice della vostra fede, che vi fu annunziata fin dal principio, sussiste fino al presente e porta frutti in Gesù Cristo nostro Signore. Egli per i nostri peccati accettò di giungere fino alla morte, ma «Dio lo ha risuscitato sciogliendolo dalle angosce della morte» (At 2, 24), e in lui, senza vederlo, credete con una gioia indicibile e gloriosa (cfr. 1 Pt 1, 8), alla quale molti vorrebbero partecipare; e sapete bene che siete stati salvati per grazia, non per le vostre opere, ma per la volontà di Dio mediante Gesù Cristo (cfr. Ef 2, 8-9).
«Perciò dopo aver preparato la vostra mente all'azione» (1 Pt 1, 13), «servite Dio con timore» (Sal 2, 11) e nella verità, lasciando da parte le chiacchiere inutili e gli errori grossolani e «credendo in colui che ha risuscitato nostro Signore Gesù Cristo dai morti e gli ha dato gloria» (1 Pt 1, 21), facendolo sedere alla propria destra. A lui sono sottomesse tutte le cose nei cieli e sulla terra, a lui obbedisce ogni vivente. Egli verrà a giudicare i vivi e i morti e Dio chiederà conto del suo sangue a quanti rifiutano di credergli.
Colui che lo ha risuscitato dai morti, risusciterà anche noi, se compiremo la sua volontà, se cammineremo secondo i suoi comandi e ameremo ciò che egli amò, astenendoci da ogni specie di ingiustizia, inganno, avarizia, calunnia, falsa testimonianza, «non rendendo male per male, né ingiuria per ingiuria» (1 Pt 3, 9), colpo per colpo, maledizione per maledizione, memori dell'insegnamento del Signore che disse: Non giudicate per non esser giudicati; perdonate e vi sarà perdonato; siate misericordiosi per ricevere misericordia; con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi (cfr. Mt 7, 1; Lc 6, 36-38) e: Beati i poveri e i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli (cfr. Mt 5, 3. 10).
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28/09/2015 05:59
 
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Dalla lettera ai Filippesi di san Paolo, apostolo 1, 12-26

Ciò che importa è che Cristo venga annunziato

Desidero che sappiate, fratelli, che le mie vicende si sono volte piuttosto a vantaggio del vangelo, al punto che in tutto il pretorio e dovunque si sa che sono in catene per Cristo; in tal modo la maggior parte dei fratelli, incoraggiati nel Signore dalle mie catene, ardiscono annunziare la parola di Dio con maggior zelo e senza timore alcuno. Alcuni, è vero, predicano Cristo anche per invidia e spirito di contesa, ma altri con buoni sentimenti. Questi lo fanno per amore, sapendo che sono stato posto per la difesa del vangelo; quelli invece predicano Cristo con spirito di rivalità, con intenzioni non pure, pensando di aggiungere dolore alle mie catene. Ma questo che importa? Purché in ogni maniera, per ipocrisia o per sincerità, Cristo venga annunziato, io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene. So infatti che tutto questo servirà alla mia salvezza (Gb 13, 16), grazie alla vostra preghiera e all'aiuto dello Spirito di Gesù Cristo, secondo la mia ardente attesa e speranza che in nulla rimarrò confuso; anzi nella piena fiducia che, come sempre, anche ora Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia.
Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa debba scegliere. Sono messo alle strette infatti tra queste due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; d'altra parte, è più necessario per voi che io rimanga nella carne. Per conto mio, sono convinto che resterò e continuerò a essere d'aiuto a voi tutti, per il progresso e la gioia della vostra fede, perché il vostro vanto nei miei riguardi cresca sempre più in Cristo, con la mia nuova venuta tra voi.
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30/09/2015 07:47
 
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Dal «Prologo al commento del Profeta Isaia» di san Girolamo, sacerdote

(Nn. 1. 2; CCL 73, 1-3)
L'ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo

Adempio al mio dovere, ubbidendo al comando di Cristo: «Scrutate le Scritture» (Gv 5, 39), e: «Cercate e troverete» (Mt 7, 7), per non sentirmi dire come ai Giudei: «Voi vi ingannate, non conoscendo né le Scritture, né la potenza di Dio» (Mt 22, 29). Se, infatti, al dire dell'apostolo Paolo, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio, colui che non conosce le Scritture, non conosce la potenza di Dio, né la sua sapienza. Ignorare le Scritture significa ignorare Cristo.
Perciò voglio imitare il padre di famiglia, che dal suo tesoro sa trarre cose nuove e vecchie, e così anche la Sposa, che nel Cantico dei Cantici dice: O mio diletto, ho serbato per te il nuovo e il vecchio (cfr. Ct 7, 14 volg.). Intendo perciò esporre il profeta Isaia in modo da presentarlo non solo come profeta, ma anche come evangelista e apostolo. Egli infatti ha detto anche di sé quello che dice degli altri evangelisti: «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi, che annunzia la pace» (Is 52, 7). E Dio rivolge a lui, come a un apostolo, la domanda: Chi manderò, e chi andrà da questo popolo? Ed egli risponde: Eccomi, manda me (cfr. Is 6, 8).
Ma nessuno creda che io voglia esaurire in poche parole l'argomento di questo libro della Scrittura che contiene tutti i misteri del Signore. Effettivamente nel libro di Isaia troviamo che il Signore viene predetto come l'Emmanuele nato dalla Vergine, come autore di miracoli e di segni grandiosi, come morto e sepolto, risorto dagli inferi e salvatore di tutte le genti. Che dirò della sua dottrina sulla fisica, sull'etica e sulla logica? Tutto ciò che riguarda le Sacre Scritture, tutto ciò che la lingua può esprimere e l'intelligenza dei mortali può comprendere, si trova racchiuso in questo volume. Della profondità di tali misteri dà testimonianza lo stesso autore quando scrive: «Per voi ogni visione sarà come le parole di un libro sigillato: si dà a uno che sappia leggere, dicendogli: Lèggilo. Ma quegli risponde: Non posso, perché è sigillato. Oppure si dà il libro a chi non sa leggere, dicendogli: Lèggilo, ma quegli risponde: Non so leggere» (Is 29, 11-12).
(Si tratta dunque di misteri che, come tali, restano chiusi e incomprensibili ai profani, ma aperti e chiari ai profeti. Se perciò dai il libro di Isaia ai pagani, ignari dei libri ispirati, ti diranno: Non so leggerlo, perché non ho imparato a leggere i testi delle Scritture. I profeti però sapevano quello che dicevano e lo comprendevano). Leggiamo infatti in san Paolo: «Le ispirazioni dei profeti devono essere sottomesse ai profeti» (1 Cor 14, 32), perché sia in loro facoltà di tacere o di parlare secondo l'occorrenza.
I profeti, dunque, comprendevano quello che dicevano, per questo tutte le loro parole sono piene di sapienza e di ragionevolezza. Alle loro orecchie non arrivavano soltanto le vibrazioni della voce, ma la stessa parola di Dio che parlava nel loro animo. Lo afferma qualcuno di loro con espressioni come queste: L'angelo parlava in me (cfr. Zc 1, 9), e: (lo Spirito) «grida nei nostri cuori: Abbà, Padre» (Gal 4, 6), e ancora: «Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore» (Sal 84, 9).
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05/10/2015 07:30
 
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Dal trattato «Caino e Abele» di sant'Ambrogio, vescovo

(Lib. 1, 9. 34. 38-39; CSEL 32, 369. 371-372)
Si deve pregare in modo speciale
per tutto il corpo della Chiesa

«Offri a Dio un sacrificio di lode e sciogli all'Altissimo i tuoi voti» (Sal 49, 14). Chi promette a Dio e mantiene quello che gli ha promesso, lo loda. Perciò viene privilegiato sugli altri quel samaritano il quale, mondato dalla lebbra per comando del Signore insieme agli altri nove, ritorna a Cristo da solo, magnifica Dio e lo ringrazia. Di esso Gesù affermò: «Non si è trovato chi tornasse a rendere gloria a Dio all'infuori di questo straniero? E gli disse: Alzati e va', la tua fede ti ha salvato!» (Lc 17, 18-19).
Il Signore Gesù ti ha fatto conoscere in modo divino la bontà del Padre che sa concedere cose buone, perché anche tu chieda a lui, che è buono, ciò che è buono. Ha raccomandato di pregare intensamente e frequentemente, non perché la nostra preghiera si prolunghi fino al tedio, ma piuttosto ritorni a scadenze brevi e regolari. Infatti la preghiera troppo prolissa spesso diventa meccanica e d'altra parte l'eccessivo distanziamento porta alla negligenza.
Quando domandi perdono per te, allora è proprio quello il momento di ricordarti che devi concederlo agli altri. Così l'opera sarà una commendatizia alla tua preghiera. Anche l'Apostolo insegna che si deve pregare senza ira e senza contese perché la preghiera non venga turbata e falsata. Insegna anche che si deve pregare in ogni luogo (cfr. 1 Tm 2, 8), laddove il Salvatore dice: «Entra nella tua camera» (Mt 6, 6). Intendi non una camera delimitata da pareti dove venga chiusa la tua persona, ma la cella che è dentro di te dove sono racchiusi i tuoi pensieri, dove risiedono i tuoi sentimenti. Questa camera della tua preghiera è con te dappertutto, è segreta dovunque ti rechi, e in essa non c'è altro giudice se non Dio solo.
Ti si insegna ancora che si deve pregare in maniera tutta speciale per il popolo, cioè per tutto il corpo, per tutte le membra della tua madre: sta in questo il segno della carità vicendevole. Se, infatti, preghi per te, pregherai soltanto per il tuo interesse. E se i singoli pregano soltanto per se stessi, la grazia è solo in proporzione della preghiera di ognuno, secondo la sua maggiore o minore dignità. Se invece i singoli pregano per tutti, tutti pregano per i singoli e il vantaggio è maggiore.
Dunque, per concludere, se preghi soltanto per te, pregherai per te, ma da solo, come abbiamo detto. Se invece preghi per tutti, tutti pregheranno per te. Perché nella totalità ci sei anche tu. La ricompensa è maggiore perché le preghiere dei singoli messe insieme ottengono a ognuno quanto chiede tutto intero il popolo. In questo non vi è alcuna presunzione, ma maggiore umiltà e frutto più abbondante.
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06/10/2015 08:59
 
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Dalla «Lettera ai cristiani di Tralle» di sant'Ignazio di Antiochia, vescovo e martire

(Capp. 1, 1 - 3, 2; 4, 1 - 2; 6, 1; 7, 1 - 8, 1; Funk, 1, 203-209)
Voglio premunirvi, come figli amatissimi

Ignazio, detto anche Teoforo, alla santa chiesa, amata da Dio, Padre di Gesù Cristo, che si trova a Tralle in Asia e che, eletta da Dio e di lui degna, ha pace nel corpo e nell'anima per la passione di Gesù Cristo, nostra speranza, in attesa di risorgere in lui. La saluto nella pienezza dello spirito, secondo l'uso apostolico, e le auguro ogni bene.
So che mostrate sentimenti irreprensibili e siete saldi nella prova, non per opportunismo, ma per una educazione che in voi è ormai diventata connaturale. Me lo disse appunto il vostro vescovo Polibio quando venne a Smirne per volontà di Dio e di Gesù Cristo. Egli ne gioì con me, incatenato per Gesù Cristo, ed io potei contemplare nella sua persona tutta la vostra comunità. Ricevendo per mezzo suo prova della vostra benevolenza secondo Dio, resi gloria al Signore per avervi trovati, come già sapevo, suoi imitatori.
Infatti siete sottomessi al vescovo come a Gesù Cristo, e perciò non vivete secondo gli uomini, ma secondo Gesù Cristo che è morto per noi. Credendo nella morte di lui, sfuggite alla morte. È necessario che, come già fate, nulla facciate senza il vescovo e che siate sottomessi anche al collegio presbiterale come agli apostoli di Gesù Cristo, nostra speranza, per essere trovati in comunione con lui.
È necessario che anche i diaconi, quali ministri dei misteri di Gesù Cristo, siano accetti a tutti in ogni cosa: non sono infatti ministri di cibi o di bevande, ma della Chiesa di Dio, e devono perciò tenersi lontani da qualsiasi colpa come dal fuoco. Da parte loro, tutti rispettino i diaconi come Gesù Cristo, onorino particolarmente il vescovo, che è immagine del Padre, e i presbiteri quale senato di Dio e assemblea degli apostoli. Senza di essi non si può parlare di chiesa.
Sono certo che queste sono le vostre disposizioni al riguardo. Nella persona del vostro vescovo ho accolto e ho tuttora presso di me l'immagine della vostra carità: il suo modo di comportarsi è un grande insegnamento e la sua dolcezza una forza.
Dio si manifesta in molti modi al mio spirito, ma vado cauto nel parlare di ciò per non perdermi, cadendo nella vanagloria. Proprio adesso devo maggiormente temere, né intendo prestar orecchio alle lodi. Coloro che mi lodano, mi flagellano. Certo desidero soffrire, ma non so se ne sia degno. La mia impazienza non si manifesta ai più, ma mi tormenta senza tregua. Ho bisogno di umiltà con la quale si sconfigge il principe di questo mondo.
Vi scongiuro, non io ma l'amore di Gesù Cristo: nutritevi solo della sana dottrina cristiana e tenetevi lontani da ogni erba estranea, qual è l'eresia. Ciò avverrà se non vi lascerete gonfiare dall'orgoglio e non vi separerete da Gesù Cristo Dio e dal vescovo e dai comandi degli apostoli. Chi sta all'interno del santuario è puro; ma chi ne è al di fuori, è impuro. In altri termini: chiunque compie qualche cosa senza il vescovo, il collegio dei presbiteri e i diaconi, non agisce con coscienza pura.
Non già che abbia riscontrato in voi queste cose: ma vi scrivo per premunirvi, come figli amatissimi.
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08/10/2015 08:40
 
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Dalla «Lettera ai cristiani di Filadelfia» di sant'Ignazio di Antiochia, vescovo e martire

(Capp. 1, 1 - 2, 1; 3, 2 - 5; Funk, 1, 226-229)
Uno solo è il vescovo con i presbiteri e i diaconi

Ignazio, detto anche Teoforo, alla chiesa di Dio Padre e del Signore Gesù Cristo che si trova a Filadelfia, in Asia, che è oggetto dell'amore di Dio e da lui è resa salda nella concordia, ricolma di gioia nella passione del Signore nostro e, irremovibilmente certa della sua risurrezione, gode di ogni dono della misericordia divina.
Io saluto nel sangue di Gesù Cristo questa chiesa, che è mia gioia eterna e indefettibile, soprattutto se sono uniti tutti i suoi membri con il vescovo, con i presbiteri e con i diaconi, scelti secondo il pensiero di Gesù Cristo, e da lui resi forti e saldi, secondo la sua volontà, mediante il suo Santo Spirito.
So che il vostro vescovo non ha ottenuto né da se stesso né dagli uomini il ministero che esercita a servizio della comunità, né per propria ambizione, ma gli è stato affidato dall'amore di Dio Padre e del Signore Gesù Cristo. Sono rimasto ammirato della sua amabilità; con il suo silenzio egli fa più di quelli che si perdono in vani discorsi. I voleri divini trovano in lui una perfetta risonanza come le corde sonore nella cetra. Perciò la mia anima si compiace dei suoi sentimenti verso Dio, che so virtuosi e perfetti, e della sua fermezza e cordialità che sono un riflesso della bontà del Dio vivente.
Voi, dunque, figli della luce e della verità, fuggite le divisioni e le perverse dottrine. Siate un gregge docile e fedele, che segue ovunque il suo pastore. Quelli, infatti, che appartengono a Dio e a Gesù Cristo sono tutti con il vescovo. E quelli che si ravvedono e ritornano all'unità della Chiesa saranno anch'essi di Dio per vivere secondo Gesù Cristo.
Non illudetevi, fratelli miei, chi segue un fautore di divisioni «non erediterà il regno di Dio» (1 Cor 6, 10); chi cammina nella strada dell'eresia non è in accordo con la passione di Cristo.
Procurate dunque di partecipare ad un'unica Eucaristia, perché non vi è che un'unica carne del Signore nostro Gesù Cristo e un unico calice che ci unisce nel suo sangue e un unico altare, come uno solo è il vescovo con il collegio dei presbiteri e i diaconi, miei compagni di ministero. Comportatevi in modo che qualunque cosa facciate, la facciate secondo Dio.
Fratelli miei, il mio cuore sovrabbonda di amore per voi e con la più grande gioia cerco di premunirvi, non io, ma Gesù Cristo. Sono, è vero, incatenato per lui, ma il mio timore si è fatto più grande perché mi vedo ancora imperfetto. La vostra preghiera mi renderà perfetto dinanzi a Dio. Mi affido al Vangelo come alla carne di Cristo, e mi tengo unito al collegio dei presbiteri come agli apostoli. Così potrò ottenere l'eredità a cui la misericordia di Dio mi ha destinato.
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09/10/2015 09:25
 
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Dal «Primo Commonitorio» di san Vincenzo di Lerins, sacerdote

(Cap. 23; PL 50, 667-668)
Lo sviluppo del dogma

Qualcuno forse potrà domandarsi: non vi sarà mai alcun progresso della religione nella Chiesa di Cristo? Vi sarà certamente e anche molto grande.
Chi infatti può esser talmente nemico degli uomini e ostile a Dio da volerlo impedire? Bisognerà tuttavia stare bene attenti che si tratti di un vero progresso della fede e non di un cambiamento. Il vero progresso avviene mediante lo sviluppo interno. Il cambiamento invece si ha quando una dottrina si trasforma in un'altra.
È necessario dunque che, con il progredire dei tempi, crescano e progrediscano quanto più possibile la comprensione, la scienza e la sapienza così dei singoli come di tutti, tanto di uno solo, quanto di tutta la Chiesa. Devono però rimanere sempre uguali il genere della dottrina, la dottrina stessa, il suo significato e il suo contenuto. La religione delle anime segue la stessa legge che regola la vita dei corpi. Questi infatti, pur crescendo e sviluppandosi con l'andare degli anni, rimangono i medesimi di prima. Vi è certamente molta differenza fra il fiore della giovinezza e la messe della vecchiaia, ma sono gli stessi adolescenti di una volta quelli che diventano vecchi. Si cambia quindi l'età e la condizione, ma resta sempre il solo medesimo individuo. Unica e identica resta la natura, unica e identica la persona.
Le membra del lattante sono piccole, più grandi invece quelle del giovane. Però sono le stesse. Le membra dell'uomo adulto non hanno più le proporzioni di quelle del bambino. Tuttavia quelle che esistono in età più matura esistevano già, come tutti sanno, nell'embrione, sicché quanto a parti del corpo, niente di nuovo si riscontra negli adulti che non sia stato già presente nei fanciulli, sia pure allo stato embrionale.
Non vi è alcun dubbio in proposito. Questa è la vera e autentica legge del progresso organico. Questo è l'ordine meraviglioso disposto dalla natura per ogni crescita. Nell'età matura si dispiega e si sviluppa in forme sempre più ampie tutto quello che la sapienza del creatore aveva formato in antecedenza nel corpicciuolo del piccolo.
Se coll'andar del tempo la specie umana si cambiasse talmente da avere una struttura diversa oppure si arricchisse di qualche membro oltre a quelli ordinari di prima, oppure ne perdesse qualcuno, ne verrebbe di conseguenza che tutto l'organismo ne risulterebbe profondamente alterato o menomato. In ogni caso non sarebbe più lo stesso.
Anche il dogma della religione cristiana deve seguire queste leggi. Progredisce, consolidandosi con gli anni, sviluppandosi col tempo, approfondendosi con l'età. È necessario però che resti sempre assolutamente intatto e inalterato.
I nostri antenati hanno seminato già dai primi tempi nel campo della Chiesa il seme della fede. Sarebbe assurdo e incredibile che noi, loro figli, invece della genuina verità del frumento, raccogliessimo il frutto della frode cioè dell'errore della zizzania.
È anzi giusto e del tutto logico escludere ogni contraddizione tra il prima e il dopo. Noi mietiamo quello stesso frumento di verità che fu seminato e che crebbe fino alla maturazione.
Poiché dunque c'è qualcosa della primitiva seminagione che può ancora svilupparsi con l'andar del tempo, anche oggi essa può essere oggetto di felice e fruttuosa coltivazione.
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11/10/2015 08:22
 
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Dal «Commento su Aggeo» di san Cirillo d'Alessandria, vescovo

(Cap. 14; PG 71, 1047-1050)
Il mio nome è glorificato tra le genti

Al tempo della venuta del nostro Salvatore apparve un tempio divino senza alcun confronto più glorioso, più splendido ed eccellente di quello antico. Quanto superiore era la religione di Cristo e del Vangelo al culto dell'antica legge e quanto superiore è la realtà in confronto alla sua ombra, tanto più nobile è il tempio nuovo rispetto all'antico.
Penso che si possa aggiungere anche un'altra cosa. Il tempio era unico, quello di Gerusalemme, e il solo popolo di Israele offriva in esso i suoi sacrifici. Ma dopo che l'Unigenito si fece simile a noi, pur essendo «Dio e Signore, nostra luce» (Sal 117, 27), come dice la Scrittura, il mondo intero si è riempito di sacri edifici e di innumerevoli adoratori che onorano il Dio dell'universo con sacrifici ed incensi spirituali. E questo, io penso, è ciò che Malachia profetizzò da parte di Dio: Io sono il grande Re, dice il Signore; grande è il mio nome fra le genti, e in ogni luogo saranno offerti l'incenso e l'oblazione pura (cfr. Ml 1, 11).
Da ciò risulta che la gloria dell'ultimo tempio, cioè della Chiesa, sarebbe stata più grande. A quanti lavorano con impegno e fatica alla sua edificazione, sarà dato dal Salvatore come dono e regalo celeste Cristo, che è la pace di tutti. Noi allora per mezzo di lui potremo presentarci al Padre in un solo Spirito (cfr. Ef 2, 18). Lo dichiara egli stesso quando dice: Darò la pace in questo luogo e la pace dell'anima in premio a chiunque concorrerà a innalzare questo tempio (cfr. Ag 2, 9). Aggiunge: «Vi do la mia pace» (Gv 14, 27). E quale vantaggio questo offra a quanti lo amano, lo insegna san Paolo dicendo: La pace di Cristo, che sorpassa ogni intelligenza, custodisca i vostri cuori e i vostri pensieri (cfr. Fil 4, 7). Anche il saggio Isaia pregava in termini simili: «Signore, ci concederai la pace, poiché tu dai successo a tutte le nostre imprese» (Is 26, 12).
A quanti sono stati resi degni una volta della pace di Cristo è facile salvare l'anima loro e indirizzare la volontà a compiere bene quanto richiede la virtù.
Perciò a chiunque concorre alla costruzione del nuovo tempio promette la pace. Quanti dunque si adoperano a edificare la Chiesa o che sono messi a capo della famiglia di Dio (cfr. Ef 2, 22) come mistagoghi, cioè come interpreti dei sacri misteri, sono sicuri di conseguire la salvezza. Ma lo sono anche coloro che provvedono al bene della propria anima, rendendosi roccia viva e spirituale (cfr. 1 Cor 10, 4) per il tempio santo, e dimora di Dio per mezzo dello Spirito (cfr. Ef 2, 22).
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17/10/2015 08:53
 
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Dalla «Lettera ai Romani» di sant'Ignazio di Antiochia, vescovo e martire

(Capp. 4, 1-2; 6, 1 - 8, 3; Funk, 1, 217-223)
Sono frumento di Dio:
sarò macinato dai denti delle fiere

Scrivo a tutte le chiese, e a tutti annunzio che morrò volentieri per Dio, se voi non me lo impedirete. Vi scongiuro, non dimostratemi una benevolenza inopportuna. Lasciate che io sia pasto delle belve, per mezzo delle quali mi sia dato di raggiungere Dio. Sono frumento di Dio, e sarò macinato dai denti delle fiere per divenire pane puro di Cristo. Supplicate Cristo per me, perché per opera di queste belve io divenga ostia per il Signore.
A nulla mi gioveranno i godimenti del mondo né i regni di questa terra. È meglio per me morire per Gesù Cristo che estendere il mio impero fino ai confini della terra. Io cerco colui che è morto per noi, voglio colui che per noi è risorto. È vicino il momento della mia nascita.
Abbiate compassione di me, fratelli. Non impeditemi di vivere, non vogliate che io muoia. Non abbandonate al mondo e alle seduzioni della materia chi vuol essere di Dio. Lasciate che io raggiunga la pura luce; giunto là, sarò veramente un uomo. Lasciate che io imiti la passione del mio Dio. Se qualcuno lo ha in sé, comprenda quello che io voglio e mi compatisca, pensando all'angoscia che mi opprime.
Il principe di questo mondo vuole portarmi via e soffocare la mia aspirazione verso Dio. Nessuno di voi gli dia mano; state piuttosto dalla mia parte, cioè da quella di Dio. Non siate di quelli che professano Gesù Cristo e ancora amano il mondo. Non trovino posto in voi sentimenti meno buoni. Anche se vi supplicassi, quando sarò tra voi, non datemi ascolto: credete piuttosto a quanto vi scrivo ora nel pieno possesso della mia vita. Vi scrivo che desidero morire.
Ogni mio desiderio terreno è crocifisso e non c'è più in me nessun'aspirazione per le realtà materiali, ma un'acqua viva mormora dentro di me e mi dice: «Vieni al Padre». Non mi diletto più di un cibo corruttibile, né dei piaceri di questa vita. Voglio il pane di Dio, che è la carne di Gesù Cristo, della stirpe di David; voglio per bevanda il suo sangue che è la carità incorruttibile.
Non voglio più vivere la vita di quaggiù. E il mio desiderio si realizzerà, se voi lo vorrete. Vogliatelo, vi prego, per trovare anche voi benevolenza. Ve lo domando con poche parole: credetemi. Gesù Cristo vi farà comprendere che dico il vero: egli è la bocca verace per mezzo della quale il Padre ha parlato in verità. Chiedete per me che io possa raggiungerlo. Non vi scrivo secondo la carne, ma secondo il pensiero di Dio. Se subirò il martirio, ciò significherà che mi avete voluto bene. Se sarò rimesso in libertà, sarà segno che mi avete odiato.
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27/10/2015 08:17
 
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Dalla «Lettera ai Corinzi» di san Clemente I, papa

(Capp. 24, 1-5; 27, 1 - 29, 1; Funk, 1, 93-97)
Dio è fedele alle sue promesse

Consideriamo, o carissimi, come il Signore ci mostri continui esempi della risurrezione futura, della quale ci ha dato una primizia in Gesù Cristo, risuscitandolo dai morti.
Osserviamo la risurrezione che avviene nella legge del tempo. Il giorno e la notte ci fanno vedere la risurrezione. La notte si addormenta, il giorno risorge. Il giorno se ne va, la notte sopravviene.
Prendiamo come esempio i frutti. Il seme cos'è, e come si genera? Il seminatore è uscito e ha sparso sulla terra ciascuno dei semi. Questi, caduti per terra secchi e nudi, marciscono. Poi Dio grande e provvidente li fa risorgere dallo stesso disfacimento, e da un solo seme ne ricava molti, e li porta alla fruttificazione.
Le nostre anime stiano attaccate a lui con questa speranza, a lui che è fedele nella promessa e giusto nei giudizi. Colui che ha proibito di mentire, molto meno mentirà egli stesso. Niente infatti è impossibile a Dio, fuorché mentire. Facciamo dunque rivivere la nostra fede in lui e consideriamo come tutte le cose sono a lui congiunte.
Con una parola della sua maestà ha stabilito ogni cosa e con una sua parola può tutto distruggere. Chi potrebbe domandargli: Che hai fatto? O chi potrebbe opporsi alla potenza della sua forza? (cfr. Sap 12, 12). Le sue opere egli le farà tutte quando vorrà e come vorrà, e nulla cadrà di quanto egli ha stabilito. Tutto gli sta davanti e nulla sfugge alla sua volontà. «I cieli narrano la gloria di Dio e l'opera delle sue mani annunzia il firmamento. Il giorno al giorno ne affida il messaggio, e la notte alla notte ne trasmette notizia. Non è linguaggio e non sono parole di cui non si oda il suono» (Sal 18, 2-4).
Poiché dunque tutto è aperto ai suoi occhi e alle sue orecchie, rigettiamo ogni torbida fantasia ed evitiamo i sentieri del male per meritare il sostegno della sua misericordia di fronte al giudizio futuro. Dove infatti potremmo sfuggire dalla sua mano potente? Quale altro mondo potrebbe accogliere uno che è fuggiasco da lui? Dice infatti la Scrittura: Dove andrò e dove mi occulterò dalla tua presenza? Se salgo al cielo, là tu sei; se mi recherò alle estremità della terra, mi afferra la tua destra; se mi adagerò in fondo all'abisso, là è il tuo spirito (cfr. Sal 138, 7-11).
Dove dunque ritirarsi, o dove fuggire da lui che tutto abbraccia?
Accostiamoci invece a lui nella santità dell'anima, leviamo a lui le mani pure e senza macchia, amiamo il nostro Padre, buono e misericordioso, che ha fatto di noi la sua eredità.
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28/10/2015 07:08
 
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Dal «Commento sul vangelo di Giovanni» di san Cirillo d'Alessandria, vescovo

(Lib. 12, 1; PG 74, 707-710)
Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi

Nostro Signore Gesù Cristo stabilì le guide, i maestri del mondo e i dispensatori dei suoi divini misteri. Volle inoltre che essi risplendessero come luminari e rischiarassero non soltanto il paese dei Giudei, ma anche tutti gli altri che si trovano sotto il sole e tutti gli uomini che popolano la terra. È verace perciò colui che afferma: «Nessuno può attribuirsi questo onore, se non chi è chiamato da Dio» (Eb 5, 4). Nostro Signore Gesù Cristo ha rivestito gli apostoli di una grande dignità a preferenza di tutti gli altri discepoli.
I suoi apostoli furono le colonne e il fondamento della verità. Cristo afferma di aver dato loro la stessa missione che ebbe dal Padre. Mostrò così la grandezza dell'apostolato e la gloria incomparabile del loro ufficio, ma con ciò fece comprendere anche qual è la funzione del ministero apostolico.
Egli dunque pensava di dover mandare i suoi apostoli allo stesso modo con cui il Padre aveva mandato lui. Perciò era necessario che lo imitassero perfettamente e per questo conoscessero esattamente il mandato affidato al Figlio dal Padre. Ecco perché spiega molte volte la natura della sua missione. Una volta dice: Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori alla conversione (cfr. Mt 9, 13). Un'altra volta afferma: «Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato» (Gv 6, 38). Infatti «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui» (Gv 3, 17).
Riassumendo perciò in poche parole le norme dell'apostolato, dice di averli mandati come egli stesso fu mandato dal Padre, perché da ciò imparassero che il loro preciso compito era quello di chiamare i peccatori a penitenza, di guarire i malati sia di corpo che di spirito, di non cercare nell'amministrazione dei beni di Dio la propria volontà, ma quella di colui da cui sono stati inviati e di salvare il mondo con il suo genuino insegnamento.
Fino a qual punto gli apostoli si siano sforzati di segnalarsi in tutto ciò, non sarà difficile conoscerlo se si leggeranno anche solo gli Atti degli Apostoli e gli scritti di san Paolo
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29/10/2015 02:58
 
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Dai «Discorsi contro gli Ariani» di sant'Atanasio, vescovo

(Disc. 2, 78. 79; PG 26, 311. 314)
Le cose create portano l'impronta
e l'immagine della sapienza

Poiché in noi e in tutte le altre cose si trova l'immagine creata della Sapienza, a ragione la vera e operante Sapienza, attribuendo a se stessa ciò che è proprio della sua natura, dice: Il Signore mi ha creata nelle sue opere (cfr. Pro 8, 22). In questo modo il Signore rivendica a sé, come cosa sua propria, tutto ciò che la nostra sapienza dice di essere e di avere.
E questo non perché lui che è creatore sia oggetto di creazione, ma per ragione della sua immagine impressa nelle stesse opere. Dice dunque così, quasi parlando di se stesso. Esprime la stessa cosa quando sentenzia: «Chi accoglie voi accoglie me» (Mt 10, 40), perché in noi è delineato il suo ritratto. Così, sebbene egli non si possa annoverare tra le cose create, tuttavia poiché nelle cose vengono prodotte la sua forma e la sua figura e cioè, in un certo senso, lui stesso, dice: «Il Signore mi ha creato all'inizio della sua attività prima di ogni sua opera» (Pro 8, 22). Ora la ragione per cui nelle cose create vi è lo stampo della sapienza è perché il mondo conoscesse il Padre. In realtà è proprio questo ciò che insegna Paolo: Poiché ciò che di Dio si può conoscere, è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. Le sue invisibili perfezioni, la sua eterna potenza e divinità possono essere contemplate fin dalla creazione del mondo con l'intelletto nelle opere da lui compiute (cfr. Rm 1, 19-20). Il passo dei Proverbi, riportato sopra, non va inteso del Verbo creatore, quasi fosse una creatura, ma della sapienza che risiede in noi. Essa c'è veramente, e quindi giustamente se ne afferma l'esistenza creata in noi.
Tuttavia se gli eretici non vorranno prestar fede a queste affermazioni, ci rispondano un po': c'è o non c'è nelle cose create qualche forma di sapienza? Se non c'è, perché allora l'Apostolo afferma amaramente: «Nel disegno sapiente di Dio, il mondo con tutta la sua sapienza non ha conosciuto Dio»? (1 Cor 1, 21). Se non v'è sapienza alcuna, perché nella Scrittura si parla di tanti sapienti? Infatti «Il saggio teme e sta lontano dal male» (Pro 14, 16); «Con la sapienza si costruisce la casa» (Pro 24, 3).
Anche l'Ecclesiaste dice: «La sapienza dell'uomo ne rischiara il volto» (Qo 8, 1). Poi rimprovera i temerari dicendo: «Non domandare: come mai i tempi antichi erano migliori del presente? Poiché una tale domanda non è ispirata da saggezza» (Qo 7, 10).
Effettivamente nelle cose create vi è la sapienza. Lo attesta il figlio di Sirach con le seguenti parole: «Egli l'ha diffusa su tutte le sue opere, su ogni mortale secondo la sua generosità l'ha elargita a quanti lo amano» (Sir 1, 7-8). Ora ciò che viene donato non è la natura divina della Sapienza, che è in sé indivisa ed unigenita, ma solo la sua immagine che risplende nel creato. Se è così perché dovrebbe sembrare incredibile che la stessa Sapienza creatrice, che è modello e immagine della sapienza e della scienza sparsa nel mondo, dica in certo modo di se stessa: «Il Signore mi ha creata nelle sue opere?». Quella che è stata creata è la sapienza che è nelle realtà del nostro universo. Per questa sapienza «i cieli narrano la gloria di Dio, e l'opera delle sue mani annunzia il firmamento» (Sal 18, 2). L'altra Sapienza, invece, non è creata, ma creatrice.
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02/11/2015 08:03
 
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Dal libro «Sulla morte del fratello Satiro» di sant'Ambrogio, vescovo

(Lib. 2, 40. 41. 46. 47. 132. 133; CSEL 73, 270-274, 323-324)
Moriamo insieme a Cristo, per vivere con lui

Dobbiamo riconoscere che anche la morte può essere un guadagno e la vita un castigo. Perciò anche san Paolo dice: «Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno» (Fil 1, 21). E come ci si può trasformare completamente nel Cristo, che è spirito di vita, se non dopo la morte corporale?
Esercitiamoci, perciò, quotidianamente a morire e alimentiamo in noi una sincera disponibilità alla morte. Sarà per l'anima un utile allenamento alla liberazione dalle cupidigie sensuali, sarà un librarsi verso posizioni inaccessibili alle basse voglie animalesche, che tendono sempre a invischiare lo spirito. Così, accettando di esprimere già ora nella nostra vita il simbolo della morte, non subiremo poi la morte quale castigo. Infatti la legge della carne lotta contro la legge dello spirito e consegna l'anima stessa alla legge del peccato. Ma quale sarà il rimedio? Lo domandava già san Paolo, dandone anche la risposta: «Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?» (Rm 7, 24). La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore (cfr. Rm 7, 25 ss.).
Abbiamo il medico, accettiamo la medicina. La nostra medicina è la grazia di Cristo, e il corpo mortale è il corpo nostro. Dunque andiamo esuli dal corpo per non andare esuli dal Cristo. Anche se siamo nel corpo cerchiamo di non seguire le voglie del corpo.
Non dobbiamo, è vero, rinnegare i legittimi diritti della natura, ma dobbiamo però dar sempre la preferenza ai doni della grazia.
Il mondo è stato redento con la morte di uno solo. Se Cristo non avesse voluto morire, poteva farlo. Invece egli non ritenne di dover fuggire la morte quasi fosse una debolezza, né ci avrebbe salvati meglio che con la morte. Pertanto la sua morte è la vita di tutti. Noi portiamo il sigillo della sua morte; quando preghiamo la annunziamo; offrendo il sacrificio la proclamiamo; la sua morte è vittoria, la sua morte è sacramento, la sua morte è l'annuale solennità del mondo.
E che cosa dire ancora della sua morte, mentre possiamo dimostrare con l'esempio divino che la morte sola ha conseguito l'immortalità e che la morte stessa si è redenta da sé? La morte allora, causa di salvezza universale, non è da piangere. La morte che il Figlio di Dio non disdegnò e non fuggì, non è da schivare.
A dire il vero, la morte non era insita nella natura, ma divenne connaturale solo dopo. Dio infatti non ha stabilito la morte da principio, ma la diede come rimedio. Fu per la condanna del primo peccato che cominciò la condizione miseranda del genere umano nella fatica continua, fra dolori e avversità. Ma si doveva porre fine a questi mali perché la morte restituisse quello che la vita aveva perduto, altrimenti, senza la grazia, l'immortalità sarebbe stata più di peso che di vantaggio.
L'anima nostra dovrà uscire dalle strettezze di questa vita, liberarsi delle pesantezze della materia e muovere verso le assemblee eterne.
Arrivarvi è proprio dei santi. Là canteremo a Dio quella lode che, come ci dice la lettura profetica, cantano i celesti sonatori d'arpa: «Grandi e mirabili sono le tue opere, o Signore Dio onnipotente; giuste e veraci le tue vie, o Re delle genti. Chi non temerà, o Signore, e non glorificherà il tuo nome? Poiché tu solo sei santo. Tutte le genti verranno e si prostreranno dinanzi a te» (Ap 15, 3-4).
L'anima dovrà uscire anche per contemplare le tue nozze, o Gesù, nelle quali, al canto gioioso di tutti, la sposa è accompagnata dalla terra al cielo, non più soggetta al mondo, ma unita allo spirito: «A te viene ogni mortale» (Sal 64, 3).
Davide santo sospirò, più di ogni altro, di contemplare e vedere questo giorno. Infatti disse: «Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per gustare la dolcezza del Signore» (Sal 26, 4).
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