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PERLE PATRISTICHE

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2017 23:57
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05/11/2011 11:25
 
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Dal Trattato «Sul bene della morte» di sant\'Ambrogio, vescovo
(Capp. 3, 9; 4, 15; CSEL 32, 710. 716-717)
Portiamo sempre e dovunque la morte di Cristo
    Dice l\'Apostolo: «Il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo» (Gal 6, 14). Inoltre, perché sappiamo che anche vivendo possiamo avere una morte, ma buona però, ci esorta a portare sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché colui che avrà avuto in sé la morte di Gesù, avrà nel suo corpo anche la vita del Signore Gesù (cfr. 2 Cor 4, 10).
    Allora operi pure in noi la morte, perché compia la sua opera anche la vita. Venga una buona vita dopo la morte, cioè, una buona vita dopo la vittoria, una buona vita al termine della battaglia. La legge della carne non sia più in grado di opporsi alla legge dello spirito, e non vi sia più nessuna lotta con il corpo mortale, ma nel corpo mortale regni la vittoria. E non saprei dire io stesso se questa morte non abbia maggiore potenza della vita.
    Certo mi sento spinto dall\'autorità dell\'Apostolo che dice: «In noi opera la morte, ma in voi la vita» (2 Cor 4, 12). La morte di uno solo, a quanti popoli portò la vita! Perciò insegna che noi, posti in questa vita, dobbiamo desiderare questa morte, perché la morte di Cristo risplenda nel nostro corpo, quella morte beata per mezzo della quale l\'uomo esteriore si va disfacendo perché quello interiore si rinnovi di giorno in giorno (cfr. 2 Cor 4, 16) e la nostra abitazione terrestre venga disfatta (cfr. 2 Cor 5, 1) e così ci si apra la dimora celeste.
    Pertanto imita la morte colui che si sottrae alla complicità di questa carne e si scioglie da quelle catene di cui parla il Signore per mezzo di Isaia: «Sciogli le catene inique, togli i legami del giogo, rimanda liberi gli oppressi e spezza ogni giogo» (Is 58, 6).
    Perciò il Signore permise che sottentrasse la morte perché cessasse il peccato. Ma perché a sua volta la morte non segnasse la fine della natura, fu data la risurrezione dei morti. Così per mezzo della morte veniva a cessare la colpa e per mezzo della risurrezione la natura restava per sempre.
    Questa morte dunque è il passaggio obbligato per tutti. Bisogna che la tua vita sia un passaggio continuo, che tu compia un passaggio dalla corruzione all\'incorruzione, dalla mortalità all\'immortalità, dai turbamenti alla quiete. Non ti disgusti perciò il nome della morte; ti allietino, invece, i benefici di un transito felice. In realtà che cosa è la morte se non la sepoltura dei vizi e la risurrezione delle virtù? Per cui anche Balaam ha detto: «Possa io morire della morte dei giusti» (Nm 23, 10), vale a dire: che io sia sepolto in modo da deporre i vizi e da rivestire la grazia dei giusti, i quali portano sempre e dappertutto nel loro corpo e nella loro anima la morte di Cristo.
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14/11/2011 12:45
 
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Dal Trattato «La remissione» di san Fulgenzio di Ruspe, vescovo
(Lib. 2, 11, 2 - 12, 1. 3-4; CCL 91 A, 693-695)
Chi vincerà non sarà colpito dalla seconda morte
    «In un istante, in un batter d\'occhio, al suono dell\'ultima tromba; suonerà infatti la tromba e i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati» (1 Cor 15, 52). Quando dice «noi» Paolo mostra che con lui conquisteranno il dono della futura trasformazione coloro che insieme a lui e ai suoi compagni vivono nella comunione ecclesiale e nella vita santa. Spiega poi la qualità di tale trasformazione dicendo: «È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e che questo corpo mortale si vesta di immortalità» (1 Cor 15, 53). In costoro allora seguirà la trasformazione dovuta come giusta ricompensa a una precedente rigenerazione compiuta con atto spontaneo e generoso del fedele. Perciò si promette il premio della rinascita futura a coloro che durante la vita presente sono passati dal male al bene.
    La grazia prima opera, come dono divino, il rinnovamento di una risurrezione spirituale mediante la giustificazione interiore. Verrà poi la risurrezione corporale che perfezionerà la condizione dei giustificati. L'ultima trasformazione sarà costituita dalla gloria. Ma questa mutazione sarà definitiva ed eterna.
    Proprio per questo i fedeli passano attraverso le successive trasformazioni della giustificazione, della risurrezione e della glorificazione, perché questa resti immutabile per l'eternità.
    La prima metamorfosi avviene quaggiù mediante l\'illuminazione e la conversione, cioè col passaggio dalla morte alla vita, dal peccato alla giustizia, dalla infedeltà alla fede, dalle cattive azioni ad una santa condotta. Coloro che risuscitano con questa risurrezione non subiscono la seconda morte. Di questi nell'Apocalisse è detto: «Beati e santi coloro che prendon parte alla prima risurrezione. Su di loro non ha potere la seconda morte» (Ap 20, 6).
    Nel medesimo libro si dice anche: «Il vincitore non sarà colpito dalla seconda morte» (Ap 2, 11). Dunque, come la prima risurrezione consiste nella conversione del cuore, così la seconda morte sta nel supplizio eterno. Pertanto chi non vuol esser condannato con la punizione eterna della seconda morte s'affretti quaggiù a diventare partecipe della prima risurrezione. Se qualcuno infatti durante la vita presente, trasformato dal timore di Dio, si converte da una vita cattiva a una vita buona, passa dalla morte alla vita e in seguito sarà anche trasformato dal disonore alla gloria.
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25/11/2011 09:25
 
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Dal trattato «Sulla morte» di san Cipriano, vescovo e martire
(Cap. 18. 24. 26; CSEL 3, 308. 312-314)
Cacciata la paura della morte,
pensiamo all\'immortalità

    Non dobbiamo fare la nostra volontà, ma quella di Dio. È una grazia che il Signore ci ha insegnato a chiedere ogni giorno nella preghiera. Ma è una contraddizione pregare che si faccia la volontà di Dio, e poi, quando egli ci chiama e ci invita ad uscire da questo mondo, mostrarsi riluttanti ad obbedire al comando della sua volontà! Ci impuntiamo e ci tiriamo indietro come servitori caparbi. Siamo presi da paura e dolore al pensiero di dover comparire davanti al volto di Dio. E alla fine usciamo da questa vita non di buon grado, ma perché costretti e per forza. Pretendiamo poi onori e premi da Dio dopo che lo incontriamo tanto di malavoglia!
    Ma allora, domando io, perché preghiamo e chiediamo che venga il regno dei cieli, se continua a piacerci la prigionia della terra? Perché con frequenti suppliche domandiamo ed imploriamo insistentemente che si affretti a venire il tempo del regno, se poi coviamo nell\'animo maggiori desideri e brame di servire quaggiù il diavolo anziché di regnare con Cristo?
    Dal momento che il mondo odia il cristiano, perché ami chi ti odia e non segui piuttosto Cristo, che ti ha redento e ti ama? Giovanni in una sua lettera grida per esortarci a non amare il mondo, andando dietro ai desideri della carne. «Non amate né il mondo», ci dice, «né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l\'amore del Padre non è in lui; perché tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo.
    E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno!» (1 Gv 2, 15-17). Piuttosto, fratelli carissimi, con mente serena, fede incrollabile e animo grande, siamo pronti a fare la volontà di Dio. Cacciamo la paura della morte, pensiamo all\'immortalità che essa inaugura. Mostriamo con i fatti ciò che crediamo di essere.
    Dobbiamo considerare e pensare spesso che noi abbiamo rinunziato al mondo e nel frattempo dimoriamo quaggiù solo come ospiti e pellegrini. Accettiamo con gioia il giorno che assegna ciascuno di noi alla nostra vera dimora, il giorno che, dopo averci liberati da questi lacci del secolo, ci restituisce liberi al paradiso e al regno eterno. Chi, trovandosi lontano dalla patria, non si affretterebbe a ritornarvi? La nostra patria non è che il paradiso. Là ci attende un gran numero di nostri cari, ci desiderano i nostri genitori, i fratelli, i figli in festosa e gioconda compagnia, sicuri ormai della propria felicità, ma ancora trepidanti per la nostra salvezza. Vederli, abbracciarli tutti: che gioia comune per loro e per noi! Che delizia in quel regno celeste non temere mai più la morte; e che felicità vivere in eterno!
    Ivi è il glorioso coro degli apostoli, la schiera esultante dei profeti; ivi l\'esercito innumerevole dei martiri, coronati di gloria per avere vinto nelle lotte e resistito nei tormenti; le vergini trionfanti, che vinsero la concupiscenza della carne e del corpo con la virtù della continenza; ivi sono ricompensati i misericordiosi, che esercitarono la beneficenza, nutrendo e aiutando in varie maniere i poveri, e così osservarono i precetti del Signore e, con le ricchezze terrene, si procurarono i tesori celesti. Affrettiamoci con tutto l\'entusiasmo a raggiungere la compagnia di questi beati. Dio veda questo nostro pensiero; questo proposito della nostra mente, della nostra fede, lo scorga Cristo, il quale assegnerà, nel suo amore, premi maggiori a coloro che avranno avuto di lui un desiderio più ardente.
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29/11/2011 09:10
 
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Dai «Discorsi» di san Gregorio Nazianzeno, vescovo
(Disc. 45, 9. 22. 28; PG 36, 634-635. 654. 658-659. 662)
O meraviglioso scambio!

Il Verbo stesso di Dio, colui che è prima del tempo, l'invisibile, l'incomprensibile, colui che è al di fuori della materia, il Principio che ha origine dal Principio, la Luce che nasce dalla Luce, la fonte della vita e della immortalità, l'espressione dell'archetipo divino, il sigillo che non conosce mutamenti, l'immagine invariata e autentica di Dio, colui che è termine del Padre e sua Parola, viene in aiuto alla sua propria immagine e si fa uomo per amore dell'uomo. Assume un corpo per salvare il corpo e per amore della mia anima accetta di unirsi ad un'anima dotata di umana intelligenza. Così purifica colui al quale si è fatto simile. Ecco perché è divenuto uomo in tutto come noi, tranne che nel peccato. Fu concepito dalla Vergine, già santificata dallo Spirito Santo nell'anima e nel corpo per l'onore del suo Figlio e la gloria della verginità.
Dio, in un certo senso, assumendo l'umanità, la completò quando riunì nella sua persona due realtà distanti fra loro, cioè la natura umana e la natura divina. Questa conferì la divinità e quella la ricevette.
Colui che dà ad altri la ricchezza si fa povero. Chiede in elemosina la mia natura umana perché io diventi ricco della sua natura divina. E colui che è la totalità, si spoglia di sé fino all'annullamento. Si priva, infatti, anche se per breve tempo, della sua gloria, perché io partecipi della sua pienezza.
Oh sovrabbondante ricchezza della divina bontà!
Ma che cosa significa per noi questo grande mistero? Ecco: io ho ricevuto l'immagine di Dio, ma non l'ho saputa conservare intatta. Allora egli assume la mia condizione umana per salvare me, fatto a sua immagine e per dare a me, mortale, la sua immortalità.
Era certo conveniente che la natura umana fosse santificata mediante la natura umana assunta da Dio. Così egli con la sua forza vinse la potenza demoniaca, ci ridonò la libertà e ci ricondusse alla casa paterna per la mediazione del Figlio suo. Fu Cristo che ci meritò tutti questi beni e tutto operò per la gloria del Padre.
Il buon Pastore, che ha dato la sua vita per le sue pecore, cerca la pecora smarrita sui monti e sui colli sui quali si offrivano sacrifici agli idoli. Trovatala se la pone su quelle medesime spalle, che avrebbero portato il legno della croce, e la riporta alla vita dell\'eternità.
Dopo la prima incerta luce del Precursore, viene la Luce stessa, che è tutto fulgore. Dopo la voce viene la Parola, dopo l'amico dello Sposo, viene lo Sposo stesso.
Il Signore viene dopo colui che gli preparò un popolo scelto e predispose gli uomini alla effusione dello Spirito Santo mediante la purificazione nell'acqua.
Dio si fece uomo e morì perché noi ricevessimo la vita. Così siamo risuscitati con lui perché con lui siamo morti, siamo stati glorificati perché con lui siamo risuscitati.
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30/11/2011 12:40
 
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Dalle "Omelie sul vangelo di Giovanni " di san Giovanni Crisostomo, vescovo
(Om. 19,1; PG 59,120-121)
Abbiamo trovato il Messia

Andrea, dopo essere restato con Gesù e aver imparato tutto ciò che Gesù gli aveva insegnato, non tenne chiuso in sé il tesoro, ma si affrettò a correre da suo fratello per comunicargli la ricchezza che aveva ricevuto. Ascolta bene cosa gli disse: "Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo) " (Gv 1,41). Vedi in che maniera notifica ciò che aveva appreso in poco tempo? Da una parte mostra quanta forza di persuasione aveva il Maestro sui discepoli, e, dall 'altra, rivela il loro interessamento sollecito e diligente circa il suo insegnamento.
Quella di Andrea è la parola di uno che aspettava con ansia la venuta del Messia, che ne attendeva la discesa dal cielo, che trasalì di gioia quando lo vide arrivare, e che si affrettò a comunicare agli altri la grande notizia.
Dicendo subito al fratello ciò che aveva saputo, mostra quanto gli volesse bene, come fosse affezionato ai suoi cari, quanto sinceramente fosse premuroso di porgere loro la mano nel cammino spirituale.
Guarda anche l 'animo di Pietro, fin dall 'inizio docile e pronto alla fede: immediatamente corre senza preoccuparsi di nient'altro. Infatti dice: "Lo condusse da Gesù" (Gv 1,42). Nessuno certo condannerà la facile condiscendenza di Pietro nell'accogliere la parola del fratello senza aver prima esaminato a lungo le cose. È probabile infatti che il fratello gli abbia narrato i fatti con maggior precisione e più a lungo, mentre gli evangelisti compendiano ogni loro racconto preoccupandosi della brevità. D'altra parte non è detto nemmeno che abbia creduto senza porre domande, ma che Andrea "lo condusse da Gesù", affidandolo a lui perché imparasse tutto da lui direttamente. C'era insieme infatti anche un altro discepolo e anche lui fu guidato nello stesso modo.
Se Giovanni Battista dicendo: Ecco l'Agnello di Dio, e ancora: ecco colui che battezza nello Spirito (cfr. Gv 1,29,33), lasciò che un più chiaro insegnamento su questo venisse da Cristo stesso, certamente con motivi ancor più validi si comportò in questo modo Andrea, non ritenendosi tale da dare una spiegazione completa ed esauriente. Per cui guidò il fratello alla sorgente stessa della luce con tale premura e gioia da non aspettare nemmeno un istante.
[Modificato da Coordin. 30/11/2011 12:43]
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04/12/2011 23:20
 
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Dal «Commento sul profeta Isaia» di Eusèbio, vescovo di Cesarèa
(Cap. 40, vv. 3. 9; PG 24, 366-367)
Voce di uno che grida nel deserto

Voce di uno che grida nel deserto: «Preparate la via al Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio» (Is 40, 3).
Dichiara apertamente che le cose riferite nel vaticinio, e cioè l'avvento della gloria del Signore e la manifestazione a tutta l'umanità della salvezza di Dio, avverranno non in Gerusalemme, ma nel deserto. E questo si è realizzato storicamente e letteralmente quando Giovanni Battista predicò il salutare avvento di Dio nel deserto del Giordano, dove appunto si manifestò la salvezza di Dio. Infatti Cristo e la sua gloria apparvero chiaramente a tutti quando, dopo il suo battesimo, si aprirono i cieli e lo Spirito Santo, scendendo in forma di colomba, si posò su di lui e risuonò la voce del Padre che rendeva testimonianza al Figlio: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo» (Mt 17, 5).
Ma tutto ciò va inteso anche in un senso allegorico. Dio stava per venire in quel deserto, da sempre impervio e inaccessibile, che era l'umanità. Questa infatti era un deserto completamente chiuso alla conoscenza di Dio e sbarrato a ogni giusto e profeta. Quella voce, però, impone di aprire una strada verso di esso al Verbo di Dio; comanda di appianare il terreno accidentato e scosceso che ad esso conduce, perché venendo possa entrarvi: Preparate la via del Signore (cfr. Ml 3, 1).
Preparazione è l'evangelizzazione del mondo, è la grazia confortatrice. Esse comunicano all'umanità la conoscenza della salvezza di Dio.
«Sali su un alto monte, tu che rechi liete notizie in Sion; alza la voce con forza, tu che rechi liete notizie in Gerusalemme» (Is 40, 9).
Prima si era parlato della voce risuonante nel deserto, ora, con queste espressioni, si fa allusione, in maniera piuttosto pittoresca, agli annunziatori più immediati della venuta di Dio e alla sua venuta stessa. Infatti prima si parla della profezia di Giovanni Battista e poi degli evangelizzatori.
Ma qual è la Sion a cui si riferiscono quelle parole? Certo quella che prima si chiamava Gerusalemme. Anch'essa infatti era un monte, come afferma la Scrittura quando dice: «Il monte Sion, dove hai preso dimora» (Sal 73, 2); e l'Apostolo: «Vi siete accostati al monte di Sion» (Eb 12, 22). Ma in un senso superiore la Sion, che rende nota la venuta di Cristo, è il coro degli apostoli, scelto di mezzo al popolo della circoncisione.
Sì, questa, infatti, è la Sion e la Gerusalemme che accolse la salvezza di Dio e che è posta sopra il monte di Dio, è fondata, cioè, sull'unigenito Verbo del Padre. A lei comanda di salire prima su un monte sublime, e di annunziare, poi, la salvezza di Dio.
Di chi è figura, infatti, colui che reca liete notizie se non della schiera degli evangelizzatori? E che cosa significa evangelizzare se non portare a tutti gli uomini, e anzitutto alle città di Giuda, il buon annunzio della venuta di Cristo in terra?
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01/01/2012 08:42
 
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Dalle «Lettere» di sant\'Atanasio, vescovo
(Ad Epittèto 5-9; PG 26,1058.1062-1066)
Il Verbo ha assunto da Maria la natura umana

Il Verbo di Dio, come dice l\'Apostolo, «della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli» (Eb 2,16.17) e prendere un corpo simile al nostro. Per questo Maria ebbe la sua esistenza nel mondo, perché da lei Cristo prendesse questo corpo e lo offrisse, in quanto suo, per noi.
Perciò la Scrittura quando parla della nascita del Cristo dice: «Lo avvolse in fasce» (Lc 2,7). Per questo fu detto beato il seno da cui prese il latte. Quando la madre diede alla luce il Salvatore egli fu offerto in sacrificio.
Gabriele aveva dato l\'annunzio a Maria con cautela e delicatezza. Però non le disse semplicemente colui che nascerà in te, perché non si pensasse a un corpo estraneo a lei, ma: da te (cfr. Lc 1,35), perché si sapesse che colui che ella dava al mondo aveva origine proprio da lei.
Il Verbo, assunto in sé ciò che era nostro, lo offrì in sacrificio e lo distrusse con la morte. Poi rivestì noi della sua condizione, secondo quanto dice l\'Apostolo: Bisogna che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e che questo corpo mortale si vesta di immortalità (cfr. 1 Cor 15,53).
Tuttavia ciò non è certo un mito, come alcuni vanno dicendo. Lungi da noi un tale pensiero. Il nostro Salvatore fu veramente uomo e da ciò venne la salvezza di tutta l\'umanità. In nessuna maniera la nostra salvezza si può dire fittizia. Egli salvò tutto l\'uomo, corpo e anima. La salvezza si è realizzata nello stesso Verbo.
Veramente umana era la natura che nacque da Maria, secondo le Scritture, e reale, cioè umano, era il corpo del Signore; vero, perché del tutto identico al nostro; infatti Maria è nostra sorella poiché tutti abbiamo origine in Adamo.
Ciò che leggiamo in Giovanni «il Verbo si fece carne» (Gv 1,14), ha dunque questo significato, poiché si interpreta come altre parole simili.
Sta scritto infatti in Paolo: Cristo per noi divenne lui stesso maledizione (cfr. Gal 3,13). L\'uomo in questa intima unione del Verbo ricevette una ricchezza enorme: dalla condizione di mortalità divenne immortale; mentre era legato alla vita fisica, divenne partecipe dello Spirito; anche se fatto di terra, è entrato nel regno del cielo.
Benché il Verbo abbia preso un corpo mortale da Maria, la Trinità è rimasta in se stessa qual era, senza sorta di aggiunte o sottrazioni. È rimasta assoluta perfezione: Trinità e unica divinità. E così nella Chiesa si proclama un solo Dio nel Padre e nel Verbo.
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02/01/2012 09:26
 
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Dai «Discorsi» di san Gregorio Nazianzeno, vescovo.
(Disc. 43, 15. 16-17. 19-21; PG 36, 514-523)
Una sola anima in due corpi

Eravamo ad Atene, partiti dalla stessa patria, divisi, come il corso di un fiume, in diverse regioni per brama d'imparare, e di nuovo insieme, come per un accordo, ma in realtà per disposizione divina.
Allora non solo io mi sentivo preso da venerazione verso il mio grande Basilio per la serietà dei suoi costumi e per la maturità e saggezza dei suoi discorsi inducevo a fare altrettanto anche altri che ancora non lo conoscevano. Molti però già lo stimavano grandemente, avendolo ben conosciuto e ascoltato in precedenza.
Che cosa ne seguiva? Che quasi lui solo, fra tutti coloro che per studio arrivavano ad Atene, era considerato fuori dell'ordine comune, avendo raggiunto una stima che lo metteva ben al di sopra dei semplici discepoli. Questo l'inizio della nostra amicizia; di qui l'incentivo al nostro stretto rapporto; così ci sentimmo presi da mutuo affetto.
Quando, con il passare del tempo, ci manifestammo vicendevolmente le nostre intenzioni e capimmo che l'amore della sapienza era ciò che ambedue cercavamo, allora diventammo tutti e due l'uno per l'altro: compagni, commensali, fratelli. Aspiravamo a un medesimo bene e coltivavamo ogni giorno più fervidamente e intimamente il nostro comune ideale.
Ci guidava la stessa ansia di sapere, cosa fra tutte eccitatrice d'invidia; eppure fra noi nessuna invidia, si apprezzava invece l'emulazione. Questa era la nostra gara: non chi fosse il primo, ma chi permettesse all'altro di esserlo.
Sembrava che avessimo un'unica anima in due corpi. Se non si deve assolutamente prestar fede a coloro che affermano che tutto è in tutti, a noi si deve credere senza esitazione, perché realmente l'uno era nell'altro e con l'altro.
L'occupazione e la brama unica per ambedue era la virtù, e vivere tesi alle future speranze e comportarci come se fossimo esuli da questo mondo, prima ancora d'essere usciti dalla presente vita. Tale era il nostro sogno. Ecco perché indirizzavamo la nostra vita e la nostra condotta sulla via dei comandamenti divini e ci animavamo a vicenda all\'amore della virtù. E non ci si addebiti a presunzione se dico che eravamo l'uno all\'altro norma e regola per distinguere il bene dal male.
E mentre altri ricevono i loro titoli dai genitori, o se li procurano essi stessi dalle attività e imprese della loro vita, per noi invece era grande realtà e grande onore essere e chiamarci cristiani.
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10/01/2012 08:22
 
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Dalle «Regole più ampie» di san Basilio il Grande, vescovo
(Risp. 2, 1; PG 31, 908-910)
La forza di amare è in noi stessi

L'amore di Dio non è un atto imposto all\'uomo dall'esterno, ma sorge spontaneo dal cuore come altri beni rispondenti alla nostra natura. Noi non abbiamo imparato da altri né a godere la luce, né a desiderare la vita, né tanto meno ad amare i nostri genitori o i nostri educatori. Così dunque, anzi molto di più, l'amore di Dio non deriva da una disciplina esterna, ma si trova nella stessa costituzione naturale dell\'uomo, come un germe e una forza della natura stessa. Lo spirito dell'uomo ha in sé la capacità ed anche il bisogno di amare.
L'insegnamento rende consapevoli di questa forza, aiuta a coltivarla con diligenza, a nutrirla con ardore e a portarla, con l\'aiuto di Dio, fino alla sua massima perfezione. Voi avete cercato di seguire questa via. Mentre ve ne diamo atto, vogliamo contribuire, con la grazia di Dio e per le vostre preghiere, a rendere sempre più viva tale scintilla di amore divino, nascosta in voi dalla potenza dello Spirito Santo.
Diciamo in primo luogo che noi abbiamo ricevuto antecedentemente la forza e la capacità di osservare tutti i comandamenti divini, per cui non li sopportiamo a malincuore come se da noi si esigesse qualche cosa di superiore alle nostre forze, né siamo obbligati a ripagare di più di quanto ci sia stato elargito. Quando dunque facciamo un retto uso di queste cose, conduciamo una vita ricca di ogni virtù, mentre, se ne facciamo un cattivo uso, cadiamo nel vizio.
Infatti la definizione del vizio è questa: uso cattivo e alieno dai precetti del Signore delle facoltà che egli ci ha dato per fare il bene. Al contrario, la definizione della virtù che Dio vuole da noi è: uso retto delle medesime capacità, che deriva dalla buona coscienza secondo il mandato del Signore.
La regola del buon uso vale anche per il dono dell\'amore. Nella stessa nostra costituzione naturale possediamo tale forza di amare anche se non possiamo dimostrarla con argomenti esterni, ma ciascuno di noi può sperimentarla da se stesso e in se stesso. Noi, per istinto naturale, desideriamo tutto ciò che è buono e bello, benché non a tutti sembrino buone e belle le stesse cose. Parimenti sentiamo in noi, anche se in forme inconsce, una speciale disponibilità verso quanti ci sono vicini o per parentela o per convivenza, e spontaneamente abbracciamo con sincero affetto quelli che ci fanno del bene.
Ora che cosa c'è di più ammirabile della divina bellezza? Quale pensiero è più gradito e più soave della magnificenza di Dio? Quale desiderio dell'animo è tanto veemente e forte quanto quello infuso da Dio in un'anima purificata da ogni peccato e che dice con sincero affetto: Io sono ferita dall'amore? (cfr. Ct 2, 5). Ineffabili e inenarrabili sono dunque gli splendori della divina bellezza.
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13/01/2012 08:20
 
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Dal «Discorso contro i pagani» di sant'Atanasio, vescovo
(Nn. 42-43; PG 25, 83-87)
Tutte le cose per mezzo del Verbo formano un'armonia divina

Non esiste alcuna creatura, e nulla accade, che non sia stato fatto e che non abbia consistenza nel Verbo e per mezzo del Verbo, come insegna san Giovanni: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e nulla è stato fatto senza di lui (cfr. Gv 1, 1).
Come infatti il musicista, con la cetra bene intonata, per mezzo di suoni gravi e acuti, abilmente combinati, crea un'armonia, così la Sapienza di Dio, tenendo nelle sue mani il mondo intero come una cetra, unì le cose dell'etere con quelle della terra e le cose celesti con quelle dell\'etere, armonizzò le singole parti con il tutto, e creò con un cenno della sua volontà un solo mondo e un solo ordine del mondo, una vera meraviglia di bellezza. Lo stesso Verbo di Dio, che rimane immobile presso il Padre, muove tutte le cose rispettando la loro propria natura, e il beneplacito del Padre.
Ogni realtà, secondo la propria essenza, ha vita e consistenza in lui, e tutte le cose per mezzo del Verbo costituiscono una divina armonia.
Perché poi una cosa tanto sublime possa essere in qualche modo capita, prendiamo l'immagine di un immenso coro. In un coro composto di molti uomini, bambini, donne, vecchi e adolescenti, sotto la direzione di un solo maestro, ciascuno canta secondo la propria costituzione e capacità, l'uomo come uomo, il bambino come bambino, il vecchio come vecchio, l'adolescente come adolescente, tuttavia costituiscono insieme una sola armonia. Altro esempio. La nostra anima muove nello stesso tempo i sensi secondo le peculiarità di ciascuno di essi, così che, alla presenza di qualche cosa, sono mossi tutti simultaneamente, per cui l'occhio vede, l'orecchio ascolta, la mano tocca, il naso odora, la lingua gusta e spesso anche le altre membra del corpo operano, per esempio i piedi camminano. Se consideriamo il mondo in modo intelligente constateremo che nel mondo avviene la stessa cosa.
A un solo cenno della volontà del Verbo di Dio, tutte le cose furono così bene organizzate, che ciascuna opera ciò che le è proprio per natura e tutte insieme si muovono in un ordine perfetto
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15/01/2012 09:26
 
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Dalla «Lettera agli Efesini» di sant'Ignazio di Antiochia, vescovo e martire
(Capp. 2, 2 - 5, 2; Funk 1, 175-177)
La perfetta armonia frutto della concordia

È vostro dovere rendere gloria in tutto a Gesù Cristo, che vi ha glorificati; così uniti in un'unica obbedienza, sottomessi al vescovo e al collegio dei presbiteri, conseguirete una perfetta santità.
Non vi do ordini, come se fossi un personaggio importante. Sono incatenato per il suo nome, ma non sono ancora perfetto in Gesù Cristo. Appena ora incomincio ad essere un suo discepolo e parlo a voi come a miei condiscepoli. Avevo proprio bisogno di essere preparato alla lotta da voi, dalla vostra fede, dalle vostre esortazioni, dalla vostra pazienza e mansuetudine. Ma, poiché la carità non mi permette di tacere con voi, vi ho prevenuti esortandovi a camminare insieme secondo la volontà di Dio. Gesù Cristo, nostra vita inseparabile, opera secondo la volontà del Padre, come i vescovi, costituiti in tutti i luoghi, sino ai confini della terra, agiscono secondo la volontà di Gesù Cristo.
Perciò procurate di operare in perfetta armonia con il volere del vostro vescovo, come già fate. Infatti il vostro venerabile collegio dei presbiteri, degno di Dio, è così armonicamente unito al vescovo, come le corde alla cetra. In tal modo nell'accordo dei vostri sentimenti e nella perfetta armonia del vostro amore fraterno, s'innalzerà un concerto di lodi a Gesù Cristo. Ciascuno di voi si studi di far coro. Nell'armonia della concordia e all'unisono con il tono di Dio per mezzo di Gesù Cristo, ad una voce inneggiate al Padre, ed egli vi ascolterà e vi riconoscerà, dalle vostre buone opere, membra del Figlio suo. Rimanete in un'unità irreprensibile, per essere sempre partecipi di Dio.
Se io in poco tempo ho contratto con il vostro vescovo una così intima familiarità, che non è umana, ma spirituale, quanto più dovrò stimare felici voi che siete a lui strettamente congiunti come la Chiesa a Gesù Cristo e come Gesù Cristo al Padre nell'armonia di una totale unità! Nessuno s\'inganni: chi non è all'interno del santuario, resta privo del pane di Dio. E se la preghiera fatta da due persone insieme ha tanta efficacia, quanto più non ne avrà quella del vescovo e di tutta la Chiesa?
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21/01/2012 10:01
 
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Dal Trattato «Sulle vergini» di sant'Ambrogio, vescovo
(Lib. 1, cap. 2,5,7-9; PL 16,189-191)
Non ancora capace di soffrire e già matura per la vittoria


È il giorno natalizio per il cielo di una vergine: seguiamone l'integrità. È il giorno natalizio di una martire: offriamo come lei il nostro sacrificio. È il giorno natalizio di sant\'Agnese!
Si dice che subì il martirio a dodici anni. Quanto è detestabile questa barbarie, che non ha saputo risparmiare neppure un'età così tenera! Ma certo assai più grande fu la forza della fede, che ha trovato testimonianza in una vita ancora all'inizio. Un corpo così minuscolo poteva forse offrire spazio ai colpi della spada? Eppure colei che sembrava inaccessibile al ferro, ebbe tanta forza da vincere il ferro. Le fanciulle, sue coetanee, tremano anche allo sguardo severo dei genitori ed escono in pianti e urla per piccole punture, come se avessero ricevuto chissà quali ferite. Agnese invece rimane impavida fra le mani dei carnefici, tinte del suo sangue. Se ne sta salda sotto il peso delle catene e offre poi tutta la sua persona alla spada del carnefice, ignara di che cosa sia il morire, ma pur già pronta alla morte. Trascinata a viva forza all\'altare degli dèi e posta fra i carboni accesi, tende le mani a Cristo, e sugli stessi altari sacrileghi innalza il trofeo del Signore vittorioso. Mette il collo e le mani in ceppi di ferro, anche se nessuna catena poteva serrare membra così sottili.
Nuovo genere di martirio! Non era ancora capace di subire tormenti, eppure era già matura per la vittoria. Fu difficile la lotta, ma facile la corona. La tenera età diede una perfetta lezione di fortezza. Una sposa novella non andrebbe sì rapida alle nozze come questa vergine andò al luogo del supplizio: gioiosa, agile, con il capo adorno non di corone, ma del Cristo, non di fiori, ma di nobili virtù.
Tutti piangono, lei no. I più si meravigliano che, prodiga di una vita non ancora gustata, la doni come se l'avesse interamente goduta. Stupirono tutti che già fosse testimone della divinità colei che per l\'età non poteva ancora essere arbitra di sé. Infine fece sì che si credesse alla sua testimonianza in favore di Dio, lei, cui ancora non si sarebbe creduto e avesse testimoniato in favore di uomini. Invero ciò che va oltre la natura è dall\'Autore della natura.
A quali terribili minacce non ricorse il magistrato, per spaventarla, a quali dolci lusinghe per convincerla, e di quanti aspiranti alla sua mano non le parlò per farla recedere dal suo proposito! Ma essa: «È un'offesa allo Sposo attendere un amante. Mi avrà chi mi ha scelta per primo. Carnefice, perché indugi? Perisca questo corpo: esso può essere amato e desiderato, ma io non lo voglio». Stette ferma, pregò, chinò la testa.
Avresti potuto vedere il carnefice trepidare, come se il condannato fosse lui, tremare la destra del boia, impallidire il volto di chi temeva il pericolo altrui, mentre la fanciulla non temeva il proprio. Avete dunque in una sola vittima un doppio martirio, di castità e di fede. Rimase vergine e conseguì la palma del martirio.
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29/01/2012 09:35
 
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Dalla «Lettera ai cristiani di Smirne» di sant'Ignazio di Antiochia, vescovo e martire
(Intr.; Capp. 1, 1 -4, 1 Funk 1, 235-237)
Cristo ci ha chiamati al suo regno e alla sua gloria

Ignazio, detto anche Teoforo, si rivolge alla chiesa di Dio e del diletto Figlio suo Gesù Cristo. A questa chiesa, che si trova a Smirne in Asia, augura di godere ogni bene nella purezza dello spirito e nella parola di Dio: essa ha ottenuto per divina misericordia ogni grazia, è piena di fede e di carità e nessun dono le manca. È degna di Dio e feconda di santità.
Ringrazio Gesù Cristo Dio che vi ha resi così saggi. Ho visto infatti che siete fondati su una fede incrollabile, come se foste inchiodati, carne e spirito, alla croce del Signore Gesù Cristo, e che siete pieni di carità nel sangue di Cristo. Voi credete fermamente nel Signore nostro Gesù, credete che egli discende veramente «dalla stirpe di Davide secondo la carne» (Rm 1, 3) ed è figlio di Dio secondo la volontà e la potenza di Dio; che nacque veramente da una vergine; che fu battezzato da Giovanni per adempiere ogni giustizia (cfr. Mt 3, 15); che fu veramente inchiodato in croce per noi nella carne sotto Ponzio Pilato e il tetrarca Erode. Noi siamo infatti il frutto della sua croce e della sua beata passione. Avete ferma fede inoltre che con la sua risurrezione ha innalzato nei secoli il suo vessillo per riunire i suoi santi e i suoi fedeli, sia Giudei che Gentili, nell\'unico corpo della sua Chiesa.
Egli ha sofferto la sua passione per noi, perché fossimo salvi; e ha sofferto realmente, come realmente ha risuscitato se stesso.
Io so e credo fermamente che anche dopo la risurrezione egli è nella sua carne. E quando si mostrò a Pietro e ai suoi compagni, disse loro: Toccatemi, palpatemi e vedete che non sono uno spirito senza corpo (cfr. Lc 24, 39). E subito lo toccarono e credettero alla realtà della sua carne e del suo spirito. Per questo disprezzarono la morte e trionfarono di essa. Dopo la sua risurrezione, poi, Cristo mangiò e bevve con loro proprio come un uomo in carne ed ossa, sebbene spiritualmente fosse unito al Padre.
Vi ricordo queste cose, o carissimi, quantunque sappia bene che voi vi gloriate della stessa fede mia.
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30/01/2012 08:43
 
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Dai «Trattati sui salmi» di sant\'Ilario di Poitiers, vescovo
(Sal 132; PLS 1, 244-245)
Tutti i credenti avevano un cuor solo e un'anima sola

«Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!» (Sal 132, 1), perché quando vivono insieme, fraternamente, si riuniscono nell'assemblea della Chiesa, si sentono concordi nella carità e in un solo volere.
Leggiamo che agli albori della predicazione apostolica questo grande precetto era molto sentito e praticato. Si dice infatti: «La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuor solo e un\'anima sola» (At 4, 32). In realtà ben si conviene al popolo di Dio sentirsi fratelli sotto un unico Padre, sentirsi una cosa sola in un medesimo Spirito, vivere concordi nella stessa casa ed essere membra vive di uno stesso corpo.
È davvero bello e soave abitare insieme come fratelli. Il profeta presenta il paragone di questa serena giocondità dicendo: «Come olio profumato sul capo, che scende sulla barba di Aronne, che scende sull'orlo della sua veste» (Sal 132, 2). L'unguento che servì per la consacrazione sacerdotale di Aronne fu preparato con vari profumi. Dio si compiacque che questa consacrazione fosse fatta anzitutto per il suo sacerdote e che anche nostro Signore fosse invisibilmente unto «a preferenza dei suoi eguali» (Sal 44, 8). Questa unzione non è terrena. Non fu consacrato come si ungevano i re con il corno pieno di olio profumato, ma «con olio di letizia» (Sal 44, 8). Perciò, dopo questa unzione, Aronne per legge fu chiamato «unto».
Orbene, come questo unguento, su chiunque venga infuso, scaccia dai cuori gli spiriti immondi, così mediante l'unzione della carità, noi emaniamo la concordia, cosa veramente soave a Dio, come afferma l'Apostolo: «Noi siamo il profumo di Cristo» (2 Cor 2, 15). Come dunque questo unguento fu gradito a Dio nel primo sacerdote Aronne, così è bello e giocondo che i fratelli vivano insieme.
Ma l'unguento discende dal capo sulla barba e la barba è il decoro dell'età virile. È necessario perciò che noi siamo dei bambini in Cristo unicamente per quel tanto che fu detto, che siamo bambini cioè solo in quanto privi di malizia, ma adulti nell'intelligenza e nella sapienza.
L'Apostolo chiama bambini tutti gli infedeli, perché, non essendo capaci di cibo solido, hanno ancora bisogno di latte, proprio come dice lo stesso Apostolo: «Vi ho dato da bere latte, non un nutrimento solido, perché non ne eravate capaci e neanche ora lo siete» (1 Cor 3, 2). Noi invece dobbiamo essere adulti.
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01/02/2012 07:52
 
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Dai «Capitoli sulla perfezione spirituale» di Diàdoco di Fotice, vescovo
(Capp. 6. 26. 27. 30; PG 65, 1169. 1175-1176)
La scienza della discrezione degli spiriti si acquista con la sapienza

È lume della vera saggezza discernere il bene dal male senza sbagliare. Quando ciò avviene, allora la via della giustizia conduce la mente a Dio, sole di giustizia, e introduce nello sfolgorio infinito della scienza la mente stessa che cerca ormai con grande fiducia l'amore. È necessario che coloro che combattono cerchino di conservare l'animo libero da interno turbamento, perché la mente, discernendo i pensieri che le si affacciano, possa conservare nel santuario della memoria quelli che sono buoni e mandati da Dio, e scacciare invece quelli che sono cattivi e suggeriti dal demonio. Anche il mare quando è perfettamente calmo permette ai pescatori una visibilità che arriva fino al fondo, di modo che i pesci non sfuggono al loro sguardo. Ma quando è sconvolto dai venti, nasconde con le onde torbide ciò che nella calma mostra chiaramente; e così rimangono infruttuosi tutti gli accorgimenti che usano i pescatori per catturare i pesci.
Ora è soltanto allo Spirito Santo che appartiene il compito di purificare le menti: infatti se non entra quel forte per sopraffare il ladro, la preda non gli potrà essere tolta. È necessario quindi che noi con la pace dell'anima alimentiamo l'azione dello Spirito Santo, ossia che teniamo in noi stessi sempre accesa la lucerna della chiaroveggenza, poiché mentre essa risplende nel segreto della mente, non soltanto quegli attacchi insidiosi e tenebrosi dei demoni vengono scoperti, ma vengono altresì sgominati perché colpiti da quella luce santa e gloriosa.
Per questo l'Apostolo raccomanda: «Non spegnete lo Spirito» (1 Ts 5, 19), cioè non rattristate lo Spirito Santo a causa della vostra malizia o dei cattivi pensieri, perché egli non desista dal proteggervi con quel suo divino splendore. In realtà non è possibile spegnere quel lume eterno e vivificante che è lo Spirito Santo, ma è possibile che la sua tristezza, ossia la nausea per noi lo costringa a lasciare priva della luce della conoscenza e tutta avvolta nella oscurità la nostra anima. Il discernimento della mente è la perfetta sapienza con la quale le cose vengono giudicate. Quando l'organismo è sano, con il senso del gusto noi sappiamo distinguere ciò che fa bene da quanto ci fa male e cerchiamo quanto ci piace.
Così è della nostra mente, quando è in perfetto equilibrio. Pur in mezzo a mille preoccupazioni, è in grado di godere pienamente della consolazione divina. Anzi può conservare a lungo il ricordo della sua dolcezza mediante l\'esercizio della carità. Questa poi tende a conseguire beni sempre più alti, come dice l'Apostolo: E di questo vi prego: che la vostra carità cresca sempre più in ogni scienza ed in ogni senso, perché tendiate a beni più grandi (cfr. Fil 1, 9-10).
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11/02/2012 09:39
 
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Dai «Discorsi» del beato Isacco, abate del monastero della Stella
(Disc. 31; PL 194, 1292-1293)
La preminenza della carità

Perché mai, o fratelli, siamo poco solleciti nel cercare le occasioni di salvezza vicendevole, e non ci prestiamo mutuo soccorso dove lo vediamo maggiormente necessario, portando fraternamente i pesi gli uni degli altri? Volendoci ricordare questo, l'Apostolo dice: «Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo» (Gal 6, 2). Ed altrove: Sopportatevi a vicenda con amore (cfr. Ef 4, 2). Questa è senza dubbio la legge di Cristo.
Ciò che nel mio fratello per qualsiasi motivo - o per necessità o per infermità del corpo o per leggerezza di costumi - vedo non potersi correggere, perché non lo sopporto con pazienza? Perché non lo curo amorevolmente, come sta scritto: I loro piccoli saranno portati in braccio ed accarezzati sulle ginocchia? (cfr. Is 66, 12). Forse perché mi manca quella carità che tutto soffre, che è paziente nel sopportare e benigna nell'amare secondo la legge di Cristo! Egli con la sua passione si è addossato i nostri mali e con la sua compassione si è caricato dei nostri dolori (cfr. Is 53, 4), amando coloro che ha portato e portando coloro che ha amato. Invece colui che attacca ostilmente il fratello in necessità, o che insidia alla sua debolezza, di qualunque genere sia, si assoggetta senza dubbio alla legge del diavolo e la mette in pratica. Usiamoci dunque comprensione e pratichiamo la fraternità, combattendo la debolezza e perseguitando solo il vizio.
La condotta più accetta a Dio è quella che, pur varia nelle forme e nello stile, segue con grande sincerità l'amore di Dio e, per lui, l'amore del prossimo.
La carità è l'unico criterio secondo cui tutto deve essere fatto o non fatto, cambiato o non cambiato. È il principio che deve dirigere ogni azione e il fine a cui deve tendere. Agendo con riguardo ad essa o ispirati da essa, nulla è disdicevole e tutto è buono.
Si degni di concedercela, questa carità, colui al quale senza di essa non possiamo piacere, colui senza del quale non possiamo fare assolutamente nulla, che vive e regna, Dio, per i secoli senza fine. Amen.
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16/02/2012 08:41
 
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Dal «Commento sui salmi» di sant\'Ambrogio, vescovo
(Sal 36, 65-66; CSEL 64, 123-125)
Apri la tua bocca alla parola di Dio

Sia sempre nel nostro cuore e sulla nostra bocca la meditazione della sapienza e la nostra lingua esprima la giustizia. La legge del nostro Dio sia nel nostro cuore (cfr. Sal 36, 30). Per questo la Scrittura ci dice: «Parlerai di queste cose quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai» (Dt 6, 7). Parliamo dunque del Signore Gesù, perché egli è la Sapienza, egli è la Parola, è la Parola di Dio. Infatti è stato scritto anche questo: Apri la tua bocca alla parola di Dio.
Chi riecheggia i suoi discorsi e medita le sue parole la diffonde. Parliamo sempre di lui. Quando parliamo della sapienza, è lui colui di cui parliamo, così quando parliamo della virtù, quando parliamo della giustizia, quando parliamo della pace, quando parliamo della verità, della vita, della redenzione, è di lui che parliamo.
Apri la tua bocca alla parola di Dio, sta scritto. Tu la apri, egli parla. Per questo Davide ha detto: Ascolterò che cosa dice in me il Signore (cfr. Sal 84, 9) e lo stesso Figlio di Dio dice: «Apri la tua bocca, la voglio riempire» (Sal 80, 11). Ma non tutti possono ricevere la perfezione della sapienza come Salomone e come Daniele. A tutti però viene infuso lo spirito della sapienza secondo la capacità di ciascuno, perché tutti abbiano la fede. Se credi, hai lo spirito di sapienza.
Perciò medita sempre, parla sempre delle cose di Dio, «quando sarai seduto in casa tua» (Dt 6, 7). Per casa possiamo intendere la chiesa, possiamo intendere il nostro intimo, per parlare all'interno di noi stessi. Parla con saggezza per sfuggire al peccato e per non cadere con il troppo parlare. Quando stai seduto parla con te stesso, quasi come dovessi giudicarti. Parla per strada, per non essere mai ozioso. Tu parli per strada se parli secondo Cristo, perché Cristo è la via. In cammino parla a te stesso, parla a Cristo. Senti come devi parlargli: «Voglio, dice, che gli uomini preghino dovunque si trovino, alzando al cielo mani pure senza ira e senza contese» (1 Tm 2, 8). Parla, o uomo, quando ti corichi affinché non ti sorprenda il sonno di morte. Senti come potrai parlare sul punto di addormentarti: «Non concederò sonno ai miei occhi né riposo alle mie palpebre, finché non trovi una sede per il Signore, una dimora per il Potente di Giacobbe» (Sal 131, 4-5).
Quando ti alzi, parlagli per eseguire ciò che ti è comandato. Senti come Cristo ti sveglia. La tua anima dice: «Un rumore! È il mio diletto che bussa» (Ct 5, 2) e Cristo dice: «Aprimi, sorella mia, mia amica» (Ivi). Senti come tu devi svegliare Cristo. L\'anima dice: «Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, svegliate, ridestate l'amore» (Ct 3, 5). L'amore è Cristo.
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20/02/2012 09:20
 
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Dalle «Omelie sull'Ecclesiaste» di san Gregorio di Nissa, vescovo
(Om. 5; PG 44, 683-686)
Il saggio ha gli occhi in fronte

Se l'anima solleverà gli occhi verso il suo capo, che è Cristo, come dichiara Paolo, dovrà ritenersi felice per la potenziata acutezza della sua vista, perché terrà fissi gli occhi là dove non vi è l'oscurità del male.
Il grande apostolo Paolo, e altri grandi come lui, avevano «gli occhi in fronte» e così pure tutti coloro che vivono, che si muovono e sono in Cristo.
Colui che si trova nella luce non vede tenebre, così colui che ha il suo occhio fisso in Cristo, non può contemplare che splendore. Con l'espressione «occhi in fronte», dunque, intendiamo la mira puntata sul principio di tutto, su Cristo, virtù assoluta e perfetta in ogni sua parte, e quindi sulla verità, sulla giustizia, sull'integrità; su ogni forma di bene. Il saggio dunque ha gli occhi in fronte, ma lo stolto cammina nel buio (Qo 2, 14). Chi non pone la lucerna sul candelabro, ma sotto il letto, fa sì che per lui la luce divenga tenebra. Quanti si dilettano di realtà perenni e di valori autentici sono ritenuti sciocchi da chi non ha la vera sapienza. È in questo senso che Paolo si diceva stolto per Cristo. Egli nella sua santità e sapienza non si occupava di nessuna di quelle vanità, da cui noi spesso siamo posseduti interamente. Dice infatti: Noi stolti a causa di Cristo (1 Cor 4, 10) come per dire: Noi siamo ciechi di fronte a tutte quelle cose che riguardano la caducità della vita, perché fissiamo l'occhio verso le cose di lassù. Per questo egli era un senza tetto, non aveva una sua mensa, era povero, errabondo, nudo, provato dalla fame e dalla sete.
Chi non lo avrebbe ritenuto un miserabile, vedendolo in catene, percosso e oltraggiato? Egli era un naufrago trascinato dai flutti in alto mare e portato da un luogo all'altro, incatenato. Però, benché apparisse tale agli uomini, non distolse mai i suoi occhi da Cristo, ma li tenne sempre rivolti al capo dicendo: Chi ci separerà dalla carità che è in Cristo Gesù? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? (cfr. Rm 8, 35). Vale a dire: Chi mi strapperà gli occhi dalla testa? Chi mi costringerà a guardare ciò che è vile e spregevole?
Anche a noi comanda di fare altrettanto quando prescrive di gustare le cose di lassù (cfr. Col 3, 1-2) cioè di tenere gli occhi sul capo, vale a dire su Cristo.
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21/02/2012 08:48
 
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Dalle «Omelie sull'Ecclesiaste» di san Gregorio di Nissa, vescovo
(Om 6; PG 44, 702-705)
Tempo di nascere e tempo di morire

«C'è un tempo per nascere», dice, «e un tempo per morire» (Qo 3, 2). Voglia il cielo che sia concesso anche a me di nascere al tempo giusto e di morire al momento più opportuno.
Noi infatti siamo in certo modo padri di noi stessi, quando per mezzo delle buone disposizioni di animo e del libero arbitrio, formiamo, generiamo, diamo alla luce noi stessi.
Questo poi lo realizziamo quando accogliamo Dio in noi stessi e diveniamo figli suoi, figli della virtù e figli dell'Altissimo. Mentre invece rimaniamo imperfetti e immaturi, finché non si è formata in noi, come dice l'Apostolo, «l'immagine di Cristo». È necessario però che l'uomo di Dio sia integro e perfetto. Ecco la vera nascita nostra.

«C'è un tempo per morire». Per san Paolo ogni tempo era adatto per una buona morte. Grida infatti nei suoi scritti: «Ogni giorno io affronto la morte» (1 Cor 15, 31) e ancora: «Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno» (Rm 8, 36). E proprio in noi stessi portiamo la sentenza di morte. È chiaro poi in che modo Paolo muoia ogni giorno, egli che non vive per il peccato, ma mortifica il suo corpo e porta sempre in se stesso la mortificazione del corpo di Cristo, ed è sempre crocifisso con Cristo, lui che non vive mai per se stesso, ma porta in sé il Cristo vivente. Questa, secondo me, è stata la morte opportuna che ha dato la vera vita. Infatti dice: Io farò morire e darò la vita (cfr. Dt 32, 39) perché ci si persuada veramente che è un dono di Dio esser morti al peccato e vivificati nello spirito. La parola di Dio, infatti, promette la vita proprio come effetto della morte.
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22/02/2012 08:41
 
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Dalla «Lettera ai Corinzi» di san Clemente I, papa
(Cap. 7, 4-8, 3; 8, 5-9, 1; 13, 1-4; 19, 2; Funk 1, 71-73. 77-78, 87)
Fate penitenza

Teniamo fissi gli occhi sul sangue di Cristo, per comprendere quanto sia prezioso davanti a Dio suo Padre: fu versato per la nostra salvezza e portò al mondo intero la grazia della penitenza.
Passiamo in rassegna tutte le epoche del mondo e constateremo come in ogni generazione il Signore abbia concesso modo e tempo di pentirsi a tutti coloro che furono disposti a ritornare a lui.
Noè fu l'araldo della penitenza e coloro che lo ascoltarono furono salvi.
Giona predicò la rovina ai Niniviti e questi, espiando i loro peccati, placarono Dio con le preghiere e conseguirono la salvezza. Eppure non appartenevano al popolo di Dio.
Non mancarono mai ministri della grazia divina che, ispirati dallo Spirito Santo, predicassero la penitenza. Lo stesso Signore di tutte le cose parlò della penitenza impegnandosi con giuramento: Com'è vero ch'io vivo - oracolo del Signore - non godo della morte del peccatore, ma piuttosto della sua penitenza.
Aggiunse ancora parole piene di bontà: Allontànati, o casa di Israele, dai tuoi peccati. Di' ai figli del mio popolo: Anche se i vostri peccati dalla terra arrivassero a toccare il cielo, fossero più rossi dello scarlatto e più neri del silicio, basta che vi convertiate di tutto cuore e mi chiamiate «Padre», ed io vi tratterò come un popolo santo ed esaudirò la vostra preghiera.
Volendo far godere i beni della conversione a quelli che ama, pose la sua volontà onnipotente a sigillo della sua parola.
Obbediamo perciò alla sua magnifica e gloriosa volontà. Prostriamoci davanti al Signore supplicandolo di essere misericordioso e benigno. Convertiamoci sinceramente al suo amore. Ripudiamo ogni opera di male, ogni specie di discordia e gelosia, causa di morte. Siamo dunque umili di spirito, o fratelli. Rigettiamo ogni sciocca vanteria, la superbia, il folle orgoglio e la collera. Mettiamo in pratica ciò che sta scritto. Dice, infatti, lo Spirito Santo: Non si vanti il saggio della sua saggezza, né il forte della sua forza, né il ricco delle sue ricchezze, ma chi vuol gloriarsi si vanti nel Signore, ricercandolo e praticando il diritto e la giustizia (cfr. Ger 9, 23-24; 1 Cor 1, 31, ecc.).
Ricordiamo soprattutto le parole del Signore Gesù quando esortava alla mitezza e alla pazienza: Siate misericordiosi per ottenere misericordia; perdonate, perché anche a voi sia perdonato; come trattate gli altri, così sarete trattati anche voi; donate e sarete ricambiati; non giudicate, e non sarete giudicati; siate benevoli, e sperimenterete la benevolenza; con la medesima misura con cui avrete misurato gli altri, sarete misurati anche voi (cfr. Mt 5, 7; 6, 14; 7, 1. 2. 12, ecc.).
Stiamo saldi in questa linea e aderiamo a questi comandamenti. Camminiamo sempre con tutta umiltà nell'obbedienza alle sante parole. Dice infatti un testo sacro: Su chi si posa il mio sguardo se non su chi è umile e pacifico e teme le mie parole? (cfr. Is 66, 2).
Perciò avendo vissuto grandi e illustri eventi corriamo verso la meta della pace, preparata per noi fin da principio. Fissiamo fermamente lo sguardo sul Padre e Creatore di tutto il mondo, e aspiriamo vivamente ai suoi doni meravigliosi e ai suoi benefici incomparabili.
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24/02/2012 08:51
 
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Dalle «Omelie» di san Giovanni Crisostomo, vescovo
(Om. 6 sulla preghiera; PG 64, 462-466)
La preghiera è luce per l'anima

La preghiera, o dialogo con Dio, è un bene sommo. È, infatti, una comunione intima con Dio. Come gli occhi del corpo vedendo la luce ne sono rischiarati, così anche l\'anima che è tesa verso Dio viene illuminata dalla luce ineffabile della preghiera. Deve essere, però, una preghiera non fatta per abitudine ma che proceda dal cuore. Non deve essere circoscritta a determinati tempi od ore, ma fiorire continuamente, notte e giorno.
Non bisogna infatti innalzare il nostro animo a Dio solamente quando attendiamo con tutto lo spirito alla preghiera. Occorre che, anche quando siamo occupati in altre faccende, sia nella cura verso i poveri, sia nelle altre attività, impreziosite magari dalla generosità verso il prossimo, abbiamo il desiderio e il ricordo di Dio, perché, insaporito dall'amore divino, come da sale, tutto diventi cibo gustosissimo al Signore dell'universo. Possiamo godere continuamente di questo vantaggio, anzi per tutta la vita, se a questo tipo di preghiera dedichiamo il più possibile del nostro tempo.
La preghiera è luce dell'anima, vera conoscenza di Dio, mediatrice tra Dio e l'uomo. L'anima, elevata per mezzo suo in alto fino al cielo, abbraccia il Signore con amplessi ineffabili. Come il bambino, che piangendo grida alla madre, l'anima cerca ardentemente il latte divino, brama che i propri desideri vengano esauditi e riceve doni superiori ad ogni essere visibile.
La preghiera funge da augusta messaggera dinanzi a Dio, e nel medesimo tempo rende felice l'anima perché appaga le sue aspirazioni. Parlo, però, della preghiera autentica e non delle sole parole.
Essa è un desiderare Dio, un amore ineffabile che non proviene dagli uomini, ma è prodotto dalla grazia divina. Di essa l'Apostolo dice: Non sappiamo pregare come si conviene, ma lo Spirito stesso intercede per noi con gemiti inesprimibili (cfr. Rm 8, 26b). Se il Signore dà a qualcuno tale modo di pregare, è una ricchezza da valorizzare, è un cibo celeste che sazia l'anima; chi l'ha gustato si accende di desiderio celeste per il Signore, come di un fuoco ardentissimo che infiamma la sua anima.
Abbellisci la tua casa di modestia e umiltà mediante la pratica della preghiera. Rendi splendida la tua abitazione con la luce della giustizia; orna le sue pareti con le opere buone come di una patina di oro puro e al posto dei muri e delle pietre preziose colloca la fede e la soprannaturale magnanimità, ponendo sopra ogni cosa, in alto sul fastigio, la preghiera a decoro di tutto il complesso. Così prepari per il Signore una degna dimora, così lo accogli in splendida reggia. Egli ti concederà di trasformare la tua anima in tempio della sua presenza.
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25/02/2012 08:54
 
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Dal trattato «Contro le eresie» di sant\'Ireneo, vescovo
(Lib. IV, 13, 4-14, 1; SC 100, 534-540)
L'amicizia di Dio

Nostro Signore, Verbo di Dio, prima condusse gli uomini a servire Dio, poi da servi li rese suoi amici, come disse egli stesso ai discepoli: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma io vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi» (Gv 15, 15). L'amicizia di Dio concede l'immortalità a quanti vi si dispongono debitamente.
In principio Dio plasmò Adamo non perché avesse bisogno dell'uomo, ma per avere qualcuno su cui effondere i suoi benefici. In effetti il Verbo glorificava il Padre, sempre rimanendo in lui, non solamente prima di Adamo, ma anche prima di ogni creazione. Lo ha dichiarato lui medesimo: «Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria, che avevo presso di te prima che il mondo fosse» (Gv 17, 5).
Egli ci comandò di seguirlo non perché avesse bisogno del nostro servizio, ma per dare a noi stessi la salvezza. Seguire il Salvatore, infatti, è partecipare della salvezza, come seguire la luce significa essere circonfusi di chiarore.
Chi è nella luce non è certo lui ad illuminare la luce e a farla risplendere, ma è la luce che rischiara lui e lo rende luminoso. Egli non dà nulla alla luce, ma è da essa che riceve il beneficio dello splendore e tutti gli altri vantaggi.
Così è anche del servizio verso Dio: non apporta nulla a Dio, e d'altra parte Dio non ha bisogno del servizio degli uomini; ma a quelli che lo servono e lo seguono egli dà la vita, l'incorruttibilità e la gloria eterna. Accorda i suoi benefici a coloro che lo servono per il fatto che lo servono, e a coloro che lo seguono per il fatto che lo seguono, ma non ne trae alcuna utilità.
Dio ricerca il servizio degli uomini per avere la possibilità, lui che è buono e misericordioso, di riversare i suoi benefici su quelli che perseverano nel suo servizio. Mentre Dio non ha bisogno di nulla, l'uomo ha bisogno della comunione con Dio.
La gloria dell'uomo consiste nel perseverare al servizio di Dio. E per questo il Signore diceva ai suoi discepoli: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (Gv 15, 16), mostrando così che non erano loro a glorificarlo, seguendolo, ma che, per il fatto che seguivano il Figlio di Dio, erano glorificati da lui. E ancora: «Voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria» (Gv 17, 24).
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27/02/2012 08:47
 
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Dai «Discorsi» di san Gregorio Nazianzeno, vescovo
(Disc. 14 sull'amore verso i poveri, 23-25; PG 35, 887-890)
Dimostriamoci vicendevolmente l'amore di Dio

Riconosci l'origine della tua esistenza, del respiro, dell'intelligenza, della sapienza e, ciò che più conta, della conoscenza di Dio, della speranza del Regno dei cieli, dell'onore che condividi con gli angeli, della contemplazione della gloria, ora certo come in uno specchio e in maniera confusa, ma a suo tempo in modo più pieno e più puro. Riconosci, inoltre, che sei divenuto figlio di Dio, coerede di Cristo e, per usare un'immagine ardita, sei lo stesso Dio!
Donde e da chi vengono a te tante e tali prerogative? Se poi vogliamo parlare di doni più umili e comuni, chi ti permette di vedere la bellezza del cielo, il corso del sole, i cicli della luce, le miriadi di stelle e quell'armonia ed ordine che sempre si rinnovano meravigliosamente nel cosmo, rendendo festoso il creato come il suono di una cetra?
Chi ti concede la pioggia, la fertilità dei campi, il cibo, la gioia dell'arte, il luogo della tua dimora, le leggi, lo stato e, aggiungiamo, la vita di ogni giorno, l'amicizia e il piacere della tua parentela?
Come mai alcuni animali sono addomesticati e a te sottoposti, altri dati a te come cibo?
Chi ti ha posto signore e re di tutto ciò che è sulla terra?
E, per soffermarci solo sulle cose più importanti, chiedo ancora: Chi ti fece dono di quelle caratteristiche tutte tue che ti assicurano la piena sovranità su qualsiasi essere vivente? Fu Dio. Ebbene, egli in cambio di tutto ciò che cosa ti chiede? L'amore. Richiede da te continuamente innanzitutto e soprattutto l'amore a lui e al prossimo.
L'amore verso gli altri egli lo esige al pari del primo. Saremo restii a offrire a Dio questo dono dopo i numerosi benefici da lui elargiti e quelli da lui promessi? Oseremo essere così impudenti? Egli, che è Dio e Signore, si fa chiamare nostro Padre, e noi vorremmo rinnegare i nostri fratelli?
Guardiamoci, cari amici, dal diventare cattivi amministratori di quanto ci è stato dato in dono. Meriteremmo allora l'ammonizione di Pietro: Vergognatevi, voi che trattenete le cose altrui, imitate piuttosto la bontà divina e così nessuno sarà povero.
Non affatichiamoci ad accumulare e a conservare ricchezze, mentre altri soffrono la fame, per non meritare i rimproveri duri e taglienti già altra volta fatti dal profeta Amos, quando disse: Voi dite: Quando sarà passato il novilunio e il sabato, perché si possa vendere il grano e smerciare il frumento, diminuendo le misure e usando bilance false? (cfr. Am 8, 5)
Operiamo secondo quella suprema e prima legge di Dio che fa scendere la pioggia tanto sui giusti che sui peccatori, fa sorgere il sole ugualmente per tutti, offre a tutti gli animali della terra l\'aperta campagna, le fontane, i fiumi, le foreste; dona aria agli uccelli e acqua agli animali acquatici; a tutti dà con grande liberalità i beni della vita, senza restrizioni, senza condizioni, senza delimitazioni di sorta; a tutti elargisce abbondantemente i mezzi di sussistenza e piena libertà di movimento. Egli non fece discriminazioni, non si mostrò avaro con nessuno. Proporzionò sapientemente il suo dono al fabbisogno di ciascun essere e manifestò a tutti il suo amore.
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28/02/2012 08:21
 
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Dal trattato sul «Padre nostro» di san Cipriano, vescovo e martire
(Cap. 1-3; CSEL 3, 167-168)
Chi diede la vita, insegnò anche a pregare

I precetti del Vangelo, fratelli carissimi, sono certo insegnamenti divini, fondamenti su cui si edifica la speranza, sostegni che rafforzano la fede, alimenti che ristorano il cuore, timoni che dirigono il cammino, aiuti per ottenere la salvezza. Istruiscono le menti docili dei credenti qui in terra e li conducono al regno dei cieli.
Dio volle che molte cose fossero dette e ascoltate per mezzo dei profeti, suoi servi. Ma immensamente più sublimi sono le realtà che comunica attraverso il suo Figlio. Più incomparabili le cose, che la parola di Dio, pur già presente nei profeti, proclama ora con la propria voce, e cioè non più comandando che gli si prepari la via, ma venendo egli stesso, aprendoci e mostrandoci il cammino da seguire. Così mentre prima eravamo erranti, sconsiderati e ciechi nelle tenebre della morte, ora, illuminati dalla luce della grazia, possiamo battere la via della vita con la guida e l'aiuto del Signore.
Egli fra gli altri salutari suoi ammonimenti e divini precetti, con i quali venne in aiuto al suo popolo per la salvezza, diede anche la norma della preghiera, ci suggerì e insegnò quel che dovevamo domandare. Colui che ha dato la vita, ha insegnato anche a pregare, con la stessa benevolenza con la quale s\'è degnato di dare e fornire tutto il resto; e ciò perché parlando noi al Padre con la supplica e l\'orazione che il Figlio insegnò, fossimo più facilmente ascoltati.
Aveva già predetto che sarebbe venuta l'ora in cui i veri adoratori avrebbero adorato il Padre in spirito e verità, ed egli adempì la promessa perché noi, ricevendo dalla sua santificazione lo spirito e la verità, adorassimo veramente e spiritualmente in grazia del suo dono.
Quale orazione infatti può essere più spirituale di quella che ci è stata data da Cristo, dal quale ci è stato mandato anche lo Spirito Santo? Quale preghiera al Padre può essere più vera di quella che è stata proferita dalla bocca del Figlio, che è verità? Pregare diversamente da quello che egli ci ha insegnato non sarebbe soltanto ignoranza ma anche colpa, avendo egli stesso affermato: Respingete il comandamento di Dio, per osservare la vostra tradizione! (cfr. Mc 7, 9).
Preghiamo, dunque, fratelli, come Dio, nostro Maestro, ci ha insegnato. È preghiera amica e familiare pregare Dio con le sue parole, far salire ai suoi orecchi la preghiera di Cristo.
Riconosca il Padre le parole del Figlio suo quando preghiamo; egli che abita dentro il nostro cuore, sia anche nella nostra voce. E poiché è nostro avvocato presso il Padre, usiamo le parole del nostro avvocato, quando, come peccatori, supplichiamo per i nostri peccati. Se egli ha detto che qualunque cosa chiederemo al Padre nel suo nome ci sarà data, impetreremo più efficacemente quel che domandiamo in nome di Cristo, se lo domanderemo con la sua preghiera.
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29/02/2012 08:18
 
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Dalle «Dimostrazioni» di Afraate, vescovo
(Dim. 11 sulla circoncisione, 11-12; PS 1, 498-503)
La circoncisione del cuore

La legge e il patto hanno subito totali mutazioni. Infatti Dio mutò il primo patto con Adamo e ne impose un altro a Noè. Poi un altro ne stipulò con Abramo, aggiornato in seguito con quello che strinse con Mosè. Siccome però anche il patto mosaico non veniva osservato, egli fece un'alleanza nuova con l'ultima generazione. Essa non doveva più essere mutata. Infatti ad Adamo aveva imposto la legge di non mangiare dell\'albero della vita, a Noè fece apparire un arcobaleno nelle nubi, ad Abramo, già eletto per la sua fede, impose in seguito la circoncisione, come carattere e segno per i posteri. Mosè ebbe l'agnello pasquale, quale propiziazione per il popolo. Tutti questi patti differivano l'uno dall'altro. Tuttavia la vera circoncisione approvata da colui che ha dato quei patti, è quella di cui parla Geremia quando dice: «Circoncidete il vostro cuore» (Ger 4, 4). Che se fu saldo il patto che Dio concluse con Abramo, anche questo è saldo e durevole, né si potrà più stabilire un'altra legge per iniziativa sia di coloro che sono fuori della legge, sia dei soggetti alla legge.
Infatti egli diede la legge a Mosè con tutte le sue osservanze e i suoi precetti: però siccome non li osservavano, rese vani sia la legge che i profeti, promettendo che avrebbe dato un nuovo patto, che disse sarebbe stato diverso dal primo, quantunque il datore di entrambi fosse unico. Il patto poi che promise di dare è questo: «Tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande di loro». E in questo patto non c'è più la circoncisione della carne e un segno distintivo del popolo.
Dio, nelle diverse generazioni, stabilì delle leggi, che furono valide fino a che gli piacque, e poi andarono in disuso come dice l'Apostolo: In passato il regno di Dio assunse forme diverse nei diversi tempi.
Tuttavia il nostro Dio è veritiero, e i suoi precetti sono fermissimi: e qualunque patto, nel suo tempo, fu mantenuto fermo e vero, e coloro che sono circoncisi nel cuore hanno la vita per la nuova circoncisione che si opera nel Giordano cioè nel battesimo ricevuto per la remissione dei peccati.
Giosuè, figlio di Nun, fece circoncidere nuovamente il popolo con un coltello di pietra, quando col suo popolo passò il Giordano; Gesù nostro Salvatore, fa di nuovo circoncidere con la circoncisione del cuore le genti che hanno creduto in lui, e che furono lavate nel battesimo e circoncise con la spada, che è la parola di Dio, più tagliente di una spada a doppio taglio (cfr. Eb 4, 12).
Giosuè, figlio di Nun, fece entrare il popolo nella terra promessa; Gesù nostro Signore, promise la terra della vita a tutti coloro che hanno passato il vero Giordano e hanno creduto e furono circoncisi nell'intimo del loro cuore.
Beati, quindi, coloro che furono circoncisi nell'intimo del cuore, e sono rinati dalle acque della seconda circoncisione. Essi riceveranno l\'eredità con Abramo, capostipite fedele e padre di tutte le genti, perché la sua fede gli fu computata a giustizia.
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02/03/2012 08:48
 
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Dallo «Specchio della carità» di sant'Aelredo, abate
(Lib. 3, 5; PL 195, 582)
La carità fraterna deve conformarsi all'esempio di Cristo

Non c'è niente che ci spinga ad amare i nemici, cosa in cui consiste la perfezione dell\'amore fraterno, quanto la dolce considerazione di quella ammirabile pazienza per cui egli, «il più bello tra i figli dell'uomo» (Sal 44, 3) offrì il suo bel viso agli sputi dei malvagi. Lasciò velare dai malfattori quegli occhi, al cui cenno ogni cosa ubbidisce. Espose i suoi fianchi ai flagelli. Sottopose il capo, che fa tremare i Principati e le Potestà, alle punte acuminate delle spine. Abbandonò se stesso all'obbrobrio e agli insulti. Infine sopportò pazientemente la croce, i chiodi, la lancia, il fiele e l'aceto, lui in tutto dolce, mite e clemente.
Alla fine fu condotto via come una pecora al macello, e come un agnello se ne stette silenzioso davanti al tosatore e non aprì bocca (cfr. Is 53, 7).
Chi al sentire quella voce meravigliosa piena di dolcezza, piena di carità, piena di inalterabile pacatezza: «Padre, perdonali» non abbraccerebbe subito i suoi nemici con tutto l\'affetto? «Padre», dice, «perdonali» (Lc 23, 34). Che cosa si poteva aggiungere di dolcezza, di carità ad una siffatta preghiera? Tuttavia egli aggiunse qualcosa. Gli sembrò poco pregare, volle anche scusare. «Padre, disse, perdonali, perché non sanno quello che fanno». E invero sono grandi peccatori, ma poveri conoscitori. Perciò: «Padre, perdonali». Lo crocifiggono, ma non sanno chi crocifiggono, perché se l\'avessero conosciuto, giammai avrebbero crocifisso il Signore della gloria (cfr. 1 Cor 2, 8); perciò «Padre, perdonali». Lo ritengono un trasgressore della legge, un presuntuoso che si fa Dio, lo stimano un seduttore del popolo.
«Ma io ho nascosto da loro il mio volto, non riconobbero la mia maestà». Perciò: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno».
Se l'uomo vuole amare se stesso di amore autentico non si lasci corrompere da nessun piacere della carne. Per non soccombere alla concupiscenza della carne, rivolga ogni suo affetto alla dolcezza del pane eucaristico. Inoltre per riposare più perfettamente e soavemente nella gioia della carità fraterna, abbracci di vero amore anche i nemici.
Perché questo fuoco divino non intiepidisca di fronte alle ingiustizie, guardi sempre con gli occhi della mente la pazienza e la pacatezza del suo amato Signore e Salvatore.
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05/03/2012 08:22
 
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Dalle «Catechesi» di san Giovanni Crisostomo, vescovo
(Catech. 3, 24-27; SC 50 bis, 165-167)
Mosè e Cristo

I Giudei videro dei miracoli. Anche tu ne vedrai di maggiori e di più famosi di quelli che essi videro all'uscita dall'Egitto. Tu non hai visto il faraone sommerso con il suo esercito, ma hai visto il diavolo affondare con le sue schiere. I Giudei attraversarono il mare, tu hai sorpassato la morte. Essi furono liberati dagli Egiziani, tu dai demoni. Essi lasciarono una schiavitù barbara, tu la schiavitù molto più triste del peccato.
Osserva come tu sei stato favorito con doni più grandi. I Giudei non poterono allora contemplare il volto splendente di Mosè, benché fosse ebreo e schiavo come loro. Tu invece hai visto il volto di Cristo nella sua gloria. Anche Paolo esclama: Noi a viso aperto contempliamo la gloria del Signore (cfr. 2 Cor 3, 18). I Giudei erano seguiti dal Cristo, ora invece egli segue noi in modo più vero.
Essi dopo l'Egitto trovarono il deserto, mentre tu dopo la morte troverai il cielo. Essi avevano come guida e capo Mosè, noi invece un altro Mosè, lo stesso Dio che ci guida e comanda.
Quale fu la caratteristica del primo Mosè? Mosè, dice la Scrittura, era l'uomo più mite della terra (cfr. Nm 12, 3). Questa caratteristica possiamo senz'altro attribuirla al nostro Mosè, che era assistito dal dolcissimo e a lui consustanziale Spirito. Mosè levava le mani al cielo facendone scendere la manna, pane degli angeli. Il nostro Mosè leva le mani al cielo e ci procura un cibo eterno. Il primo percosse la pietra, facendone scaturire torrenti d'acqua. Questi tocca la mensa, percuote la mistica tavola e fa sgorgare le fonti dello Spirito. Ecco il motivo per il quale la mensa è posta al centro, come una sorgente, perché i greggi accorrano da tutte le parti ad essa e si dissetino alle sue acque salutari.
Possedendo pertanto una simile sorgente, una tale fontana di vita, una mensa così carica di beni e così ridondante di favori spirituali, accostiamoci con cuore sincero e coscienza pura per ottenere grazia e perdono nel tempo opportuno.
Per la grazia e la misericordia del Figlio unigenito di Dio, il Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo, per mezzo del quale al Padre e allo Spirito Santo sia gloria, onore, potere ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amen.
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07/03/2012 08:28
 
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Dal trattato «Contro le eresie» di sant'Ireneo, vescovo
(Lib. IV, 14, 2-3; 15, 1; SC 100, 542. 548)
Per mezzo di figure Israele imparava a temere Dio, e a perseverare nel suo servizio

Dio creò l\'uomo fin dal principio allo scopo di colmarlo dei suoi doni, scelse i patriarchi per dar loro la salvezza, si preparò per tempo un popolo per insegnare a servire Dio a coloro che lo ignoravano, predispose il ministero dei profeti per educare gli uomini a portare in sé lo Spirito e a godere della comunione con Dio. Egli, che non ha bisogno di nessuno, concesse la comunione con sé a coloro che avevano bisogno di lui. Per coloro che gli erano graditi disegnò l\'edificio della salvezza, come farebbe un architetto. Fece egli stesso da guida a coloro che non conoscevano la strada in Egitto. A coloro che andavano errando nel deserto diede una legge quanto mai adatta. Concesse a quelli che entrarono nella terra promessa una degna eredità. Infine in favore di coloro che si convertono al Padre, uccise il vitello grasso e donò loro la veste più bella. Così, in varie maniere, dispose il genere umano in vista della grande «sinfonia» della salvezza.
San Giovanni nell'Apocalisse dice: E la sua «voce era simile al fragore di grandi acque» (Ap 1, 15). E veramente sono molte le acque dello Spirito di Dio, perché il Padre è ricco di infinite risorse. Il Verbo, passando attraverso queste acque offrì con liberalità la sua assistenza a coloro che gli erano sottomessi, prescrivendo a ogni creatura una legge adatta e appropriata. Così diede al popolo le leggi per costruire il tabernacolo, edificare il tempio, eleggere i leviti, come pure per i sacrifici, le offerte e le purificazioni e ogni altra cosa per il servizio del culto.
Egli, a dire il vero, non aveva alcun bisogno di tutto questo. Da sempre fu ricolmo di ogni bene, avendo in se stesso ogni soave odore e profumo, anche prima che venisse Mosè. Ma voleva educare il popolo, portato continuamente a tornare agli idoli. Voleva disporlo, con molti interventi e sussidi, a perseverare nel servizio di Dio, richiamandolo per mezzo delle cose secondarie alle primarie, con le figure alle verità, con le cose temporali alle eterne, con quelle carnali alle spirituali e con quelle terrene alle celesti, come fu detto a Mosè: «Guarda ed eseguisci secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte» (Es 25, 40). Infatti in quei quaranta giorni imparò a ritenere le parole di Dio, il suo stile caratteristico, le immagini spirituali e le prefigurazioni delle cose future come anche Paolo dice: «Bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era Cristo» (1 Cor 10, 4). E di nuovo accennando alle cose che sono prescritte nella legge aggiunge: «Tutte queste cose accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per ammonimento nostro, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi» (1 Cor 10, 11). Per mezzo di figure, dunque, Israele imparava a temere Dio e a perseverare nel suo servizio. Perciò la legge per loro era insieme una regola di vita e una profezia delle cose future.
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08/03/2012 08:41
 
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Dai «Trattati sui salmi» di Sant'Ilario, vescovo
(Sal 127, 1-3; CSEL 22, 628-630)
Il vero timore del Signore

«Beato l'uomo che teme il Signore e cammina nelle sue vie» (Sal 127, 1). Ogni volta che nella Scrittura si parla del timore del Signore, bisogna tener presente che non si trova mai da solo, come se per noi bastasse alla completezza della fede, ma gli vengono aggiunti o anteposti molti altri valori.
Da questi si comprende l'essenza e la perfezione del timor di Dio come sappiamo da quanto è detto nei Proverbi di Salomone: «Se appunto invocherai l'intelligenza e chiamerai la saggezza, se la ricercherai come l'argento e per essa scaverai come per i tesori, allora comprenderai il timore del Signore» (Pro 2, 3-5).
Vediamo da ciò per quanti gradi si arriva al timore di Dio.
Anzitutto, chiesto il dono della sapienza si deve affidare tutto il compito dell'approfondimento al dono dell'intelletto, con il quale ricercare e investigare la sapienza. Solo allora si potrà comprendere il timore del Signore. Certamente il modo comune di ragionare degli uomini non procede così circa il timore.
Infatti il timore è considerato come la paura che ha l'umana debolezza quando teme di soffrire ciò che non vorrebbe gli accadesse. Tale genere di timore si desta in noi con il rimorso della colpa, di fronte al diritto del più potente, o all'attacco del più forte, a causa di una malattia, per l'incontro con una bestia feroce o, infine, per la sofferenza di qualsiasi male.
Non è questo il timore che qui si insegna, perché esso deriva dalla debolezza naturale.
In questa linea di timore, infatti, ciò che si deve temere non è per nulla oggetto e materia di apprendimento, poiché le cose temibili si incaricano da se stesse a incutere terrore.
Del timore del Signore invece così sta scritto: «Venite, figli, ascoltatemi; v'insegnerò il timore del Signore» (Sal 33, 12). Dunque si impara il timore del Signore, perché viene insegnato. Questo genere di timore non sta nello spavento naturale e spontaneo, ma in una realtà che viene comunicata come una dottrina. Non promana dalla trepidazione della natura, ma lo si comincia ad apprendere con l'osservanza dei comandamenti, con le opere di una vita innocente, e con la conoscenza della verità.
Per conto nostro il timore di Dio è tutto nell'amore, e l'amore perfetto perfeziona questo timore.
Il compito proprio del nostro amore verso Dio è di ascoltarne gli ammonimenti, obbedire ai suoi comandamenti, fidarsi delle sue promesse.
Ascoltiamo dunque la Scrittura che dice: «Ora, Israele, che cosa ti chiede il Signore tuo Dio, se non che tu tema il Signore tuo Dio, che tu cammini per tutte le sue vie, che tu l\'ami e serva il Signore tuo Dio con tutto il cuore e con tutta l'anima, che tu osservi i comandi del Signore e le sue leggi, che oggi ti do per il tuo bene?» (Dt 10, 12).
Molte poi sono le vie del Signore, benché egli stesso sia la via. Ma quando parla di se stesso si chiama via, dando anche la ragione per cui si chiami così: «Nessuno», dice, «viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14, 6).
Bisogna dunque porsi il problema delle molte vie possibili e ponderare molti elementi perché, edotti da molte ragioni, possiamo trovare quell'unica via della vita eterna che fa per noi.
Vi sono infatti vie nella legge, vie nei profeti, vie nei vangeli, vie negli apostoli, vie anche nelle diverse opere dei maestri.
Beati coloro che camminano in esse col timore di Dio.
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09/03/2012 13:40
 
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Dal Trattato «Contro le eresie» di sant'Ireneo, vescovo
(Lib. IV, 16, 2-5; SC 100, 564-572)
Il patto del Signore

Mosè nel Deuteronomio dice al popolo: «Il Signore nostro Dio ha stabilito con un'alleanza sull'Oreb. Il Signore non ha stabilito quest'alleanza con i nostri padri, ma con noi che siamo qui oggi tutti in vita» (Dt 5, 2-3).
Perché dunque non fece il patto con i loro padri? Proprio perché «la legge non è fatta per il giusto» (1 Tm 1, 9). Ora i loro padri erano giusti, essi che avevano scritto nei loro cuori e nelle loro anime la virtù del decalogo, perché amavano Dio che li aveva creati e si astenevano da ogni ingiustizia contro il prossimo; perciò non fu necessario ammonirli con leggi correttive, dal momento che portavano in se stessi la giustizia della legge.
Ma quando questa giustizia e amore verso Dio caddero in dimenticanza anzi si estinsero del tutto in Egitto, Dio per la sua grande misericordia verso gli uomini manifestò se stesso facendo sentire la sua voce. Con la sua potenza condusse fuori dall'Egitto il popolo perché l'uomo ridiventasse discepolo e seguace di Dio. Castigò i disobbedienti perché non disprezzassero colui che li aveva creati.
Sfamò, poi, il popolo con la manna, perché ricevesse un cibo spirituale come aveva detto Mosè nel Deuteronomio: «Ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che neppure i tuoi padri avevano mai conosciuto, per farti capire che l\'uomo non vive soltanto di pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore» (Dt 8, 3).
Comandò l\'amore verso Dio e suggerì la giustizia che si deve al prossimo perché l\'uomo non fosse ingiusto e indegno di Dio. Così predisponeva, per mezzo del decalogo, l\'uomo alla sua amicizia e alla concordia con il prossimo. Tutto questo giovava all\'uomo stesso, senza che di nulla Dio avesse bisogno da parte dell\'uomo. Queste cose poi rendevano ricco l\'uomo perché gli davano quanto a lui mancava, cioè l\'amicizia di Dio, ma a Dio non apportavano nulla, perché il Signore non aveva bisogno dell\'amore dell\'uomo.
L'uomo invece era privo della gloria di Dio, che non poteva acquistare in nessun modo se non per mezzo di quell'ossequio che a lui si deve. E per questo Mosè dice al popolo: «Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, amando il Signore tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui, poiché è lui la tua vita e la tua longevità» (Dt 30, 19-20).
Allo scopo di preparare l'uomo a questa vita il Signore proferì egli stesso le parole del decalogo per tutti indistintamente. Perciò rimasero presso di noi, dopo aver ricevuto sviluppo e arricchimento, non certo alterazioni e tagli, quando egli venne nella carne.
Quanto ai precetti limitati all'antico stato di servitù, essi furono prescritti a parte dal Signore al popolo per mezzo di Mosè in modo adatto alla loro istruzione e formazione. Lo dice Mosè stesso: A me allora il Signore ordinò di insegnarvi leggi e norme (cfr. Dt 4, 5).
Per questo ciò che fu dato loro per quel tempo di schiavitù e in figura, fu abolito col nuovo patto di libertà. Quei precetti, invece, che sono insiti nella natura e convengono a uomini liberi sono comuni a tutti e furono sviluppati con il dono largo e generoso della conoscenza di Dio Padre, con la prerogativa dell'adozione a figli, con la concessione dell\'amore perfetto e della sequela fedele al suo Verbo.
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