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ANNO DELLA FEDE - Pensiero del giorno - 15.1.2013‏

Ultimo Aggiornamento: 05/10/2013 13:03
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21/06/2013 21:03
 
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C'è un duplice uso della ragione e un duplice modo di essere sapienti o piccoli. C'è un modo di usare la ragione che è autonomo, che si pone sopra Dio, in tutta la gamma delle scienze, cominciando da quelle naturali, dove un metodo adatto per la ricerca della materia viene universalizzato: in questo metodo Dio non entra, quindi Dio non c'è. E così, infine, anche in teologia: si pesca nelle acque della Sacra Scrittura con una rete che permette di prendere solo pesci di una certa misura e quanto va oltre questa misura non entra nella rete e quindi non può esistere. Così il grande mistero di Gesù, del Figlio fattosi uomo, si riduce a un Gesù storico: una figura tragica, un fantasma senza carne e ossa, un uomo che è rimasto nel sepolcro, si è corrotto ed è realmente un morto. Il metodo sa "captare" certi pesci, ma esclude il grande mistero, perché l'uomo si fa egli stesso la misura: ha questa superbia, che nello stesso tempo è una grande stoltezza perché assolutizza certi metodi non adatti alle realtà grandi; entra in questo spirito accademico che abbiamo visto negli scribi, i quali rispondono ai Re magi: non mi tocca; rimango chiuso nella mia esistenza, che non viene toccata. È la specializzazione che vede tutti i dettagli, ma non vede più la totalità. E c'è l'altro modo di usare la ragione, di essere sapienti, quello dell'uomo che riconosce chi è; riconosce la propria misura e la grandezza di Dio, aprendosi nell'umiltà alla novità dell'agire di Dio. Così, proprio accettando la propria piccolezza, facendosi piccolo come realmente è, arriva alla verità. In questo modo, anche la ragione può esprimere tutte le sue possibilità, non viene spenta, ma si allarga, diviene più grande. Si tratta di un'altra sofìa e sìnesis, che non esclude dal mistero, ma è proprio comunione con il Signore nel quale riposano sapienza e saggezza, e la loro verità.

Omelia, Cappella Paolina, 1° dicembre 2009
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