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ANNO DELLA FEDE - Pensiero del giorno - 15.1.2013‏

Ultimo Aggiornamento: 05/10/2013 13:03
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08/03/2013 09:29
 
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Le ultime parole del Signore su questa terra ai suoi discepoli, sono state: «Andate, fate discepoli tutti i popoli e battezzateli nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo» (cfr Mt 28,19). Fate discepoli e battezzate. Perché non è sufficiente per il discepolato conoscere le dottrine di Gesù, conoscere i valori cristiani? Perché è necessario essere battezzati? […] La scelta della parola «nel nome del Padre» nel testo greco è molto importante: il Signore dice «eis» e non «en», cioè non «in nome» della Trinità – come noi diciamo che un vice prefetto parla «in nome» del prefetto, un ambasciatore parla «in nome» del governo: no. Dice: «eis to onoma», cioè una immersione nel nome della Trinità, un essere inseriti nel nome della Trinità, una interpenetrazione dell'essere di Dio e del nostro essere, un essere immerso nel Dio Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, così come nel matrimonio, per esempio, due persone diventano una carne, diventano una nuova, unica realtà, con un nuovo, unico nome.

"Lectio Divina", Basilica di San Giovanni in Laterano, 11 giugno 2012
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09/03/2013 12:49
 
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La folla acclama Gesù: "Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore" (Mc 11, 9; Sal 117[118], 25s). Questa parola fa parte del rito della festa delle capanne, durante il quale i fedeli si muovono in girotondo intorno all'altare portando nelle mani rami composti da palme, mirti e salici. Ora la gente eleva questo grido con le palme in mano davanti a Gesù, nel quale vede Colui che viene nel nome del Signore: questa espressione "Colui che viene nel nome del Signore", infatti, era diventata da molto tempo la designazione del Messia. In Gesù riconoscono Colui che veramente viene nel nome del Signore e porta la presenza di Dio in mezzo a loro. Questo grido di speranza di Israele, questa acclamazione a Gesù durante il suo ingresso in Gerusalemme, con buona ragione è diventato nella Chiesa l'acclamazione a Colui che, nell'Eucaristia, viene incontro a noi in modo nuovo. Salutiamo con il grido di "Osanna!" Colui che, in carne e sangue, ha portato la gloria di Dio sulla terra. Salutiamo Colui che è venuto e tuttavia rimane sempre Colui che deve venire. Salutiamo Colui che nell'Eucaristia sempre di nuovo viene a noi nel nome del Signore congiungendo così nella pace di Dio i confini della terra. Questa esperienza dell'universalità fa parte essenziale dell'Eucaristia. Poiché il Signore viene, noi usciamo dai nostri particolarismi esclusivi ed entriamo nella grande comunità di tutti coloro che celebrano questo santo sacramento. Entriamo nel suo regno di pace e salutiamo in Lui in certo qual modo anche tutti i nostri fratelli e sorelle, ai quali Egli viene, per divenire veramente un regno di pace in mezzo a questo mondo lacerato.

Omelia, Piazza San Pietro, 9 aprile 2006
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10/03/2013 11:37
 
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La fedeltà di Dio è la chiave e la sorgente della nostra fedeltà. […] Nel contesto biblico la fedeltà è anzitutto un attributo divino: Dio si fa conoscere come colui che è fedele per sempre all'alleanza che ha stretto con il suo popolo, nonostante l'infedeltà di questo. In quanto fedele, Dio garantisce di condurre a termine il suo disegno di amore, e per questo Egli è anche degno di fede e veritiero. È questo atteggiamento divino a creare nell'uomo la possibilità di essere, a sua volta, fedele. Applicata all'uomo, la virtù della fedeltà è profondamente legata al dono soprannaturale della fede, divenendo espressione di quella solidità propria di chi ha fondato in Dio tutta la vita. Nella fede troviamo infatti l'unica garanzia della nostra stabilità (cfr Is 7,9b), e solo a partire da essa possiamo a nostra volta essere veramente fedeli: anzitutto a Dio, quindi alla sua famiglia, la Chiesa che è madre e maestra, e in essa alla nostra vocazione, alla storia in cui il Signore ci ha inseriti.

Discorso alla Comunità della Pontificia Accademia Ecclesiastica, Sala dei Papi, 11 giugno 2012
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11/03/2013 09:25
 
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Credere che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, consente di "rinascere dall'alto", cioè da Dio, che è Amore (cfr Gv 3,3). E teniamo ancora una volta presente che nessuno si fa uomo: siamo nati senza il nostro proprio fare, il passivo di essere nati precede l'attivo del nostro fare. Lo stesso è anche sul livello dell'essere cristiani: nessuno può farsi cristiano solo dalla propria volontà, anche essere cristiano è un dono che precede il nostro fare: dobbiamo essere rinati in una nuova nascita. San Giovanni dice: "A quanti l'hanno accolto / ha dato potere di diventare figli di Dio" (Gv 1,12). Questo è il senso del sacramento del Battesimo, il Battesimo è questa nuova nascita, che precede il nostro fare. Con la nostra fede possiamo andare incontro a Cristo, ma solo Lui stesso può farci cristiani e dare a questa nostra volontà, a questo nostro desiderio la risposta, la dignità, il potere di diventare figli di Dio che da noi non abbiamo.

Angelus, Piazza San Pietro - 8 gennaio 2012
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12/03/2013 08:56
 
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San Pietro dice che Dio ha innalzato Cristo alla sua destra come capo e salvatore (cfr v. 31). Capo è traduzione del termine greco archegos, che implica una visione molto più dinamica: archegos è colui che mostra la strada, che precede, è un movimento, un movimento verso l'alto. Dio lo ha innalzato alla sua destra - quindi parlare di Cristo come archegos vuol dire che Cristo cammina avanti a noi, ci precede, ci mostra la strada. Ed essere in comunione con Cristo è essere in un cammino, salire con Cristo, è sequela di Cristo, è questa salita in alto, è seguire l'archegos, colui che è già passato, che ci precede e ci mostra la strada. Qui, evidentemente, è importante che ci venga detto dove arriva Cristo e dove dobbiamo arrivare anche noi: hypsosen - in alto - salire alla destra del Padre. Sequela di Cristo non è soltanto imitazione delle sue virtù, non è solo vivere in questo mondo, per quanto ci è possibile, simili a Cristo, secondo la sua parola, ma è un cammino che ha una meta. E la meta è la destra del Padre. C'è questo cammino di Gesù, questa sequela di Gesù che termina alla destra del Padre. All'orizzonte di tale sequela appartiene tutto il cammino di Gesù, anche l'arrivare alla destra del Padre.

Omelia, Cappella Paolina del Palazzo Apostolico Vaticano, 15 aprile 2010
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13/03/2013 08:35
 
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La nostra vita e il nostro cammino sono segnati spesso da difficoltà, da incomprensioni, da sofferenze. Tutti lo sappiamo. Nel rapporto fedele con il Signore, nella preghiera costante, quotidiana, possiamo anche noi, concretamente, sentire la consolazione che viene da Dio. E questo rafforza la nostra fede, perché ci fa sperimentare in modo concreto il «sì» di Dio all'uomo, a noi, a me, in Cristo; fa sentire la fedeltà del suo amore, che giunge fino al dono del suo Figlio sulla Croce. Afferma san Paolo: «Il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che abbiamo annunziato tra voi, io, Silvano e Timoteo, non fu "sì" e "no", ma in lui ci fu il "sì". Infatti tutte le promesse di Dio in lui sono "sì". Per questo per mezzo di lui sale a Dio il nostro "amen", per la sua gloria» (2Cor 1,19-20). Il «sì» di Dio non è dimezzato, non va tra «sì» e «no», ma è un semplice e sicuro «sì». E a questo «sì» noi rispondiamo con il nostro «sì», con il nostro «amen» e così siamo sicuri nel «sì» di Dio. La fede non è primariamente azione umana, ma dono gratuito di Dio, che si radica nella sua fedeltà, nel suo «sì», che ci fa comprendere come vivere la nostra esistenza amando Lui e i fratelli. Tutta la storia della salvezza è un progressivo rivelarsi di questa fedeltà di Dio, nonostante le nostre infedeltà e i nostri rinnegamenti, nella certezza che «i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!», come dichiara l'Apostolo nella Lettera ai Romani (11,29).

Catechesi dell'Udienza generale, Piazza San Pietro, 30 maggio 2012
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14/03/2013 08:33
 
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Questa poesia di Maria - il Magnificat – è tutta originale; tuttavia è, nello stesso tempo, un "tessuto" fatto totalmente di "fili" dell'Antico Testamento, fatto di parola di Dio. E così vediamo che Maria era, per così dire, "a casa" nella parola di Dio, viveva della parola di Dio, era penetrata dalla parola di Dio. Nella misura in cui parlava con le parole di Dio, pensava con le parole di Dio, i suoi pensieri erano i pensieri di Dio, le sue parole le parole di Dio. Era penetrata dalla luce divina e perciò era così splendida, così buona, così raggiante di amore e di bontà. Maria vive della parola di Dio, è pervasa dalla parola di Dio. E questo essere immersa nella parola di Dio, questo essere totalmente familiare con la parola di Dio le dà poi anche la luce interiore della sapienza. Chi pensa con Dio pensa bene, e chi parla con Dio parla bene. Ha criteri di giudizio validi per tutte le cose del mondo. Diventa sapiente, saggio e, nello stesso tempo, buono; diventa anche forte e coraggioso, con la forza di Dio che resiste al male e promuove il bene nel mondo. E, così, Maria parla con noi, parla a noi, ci invita a conoscere la parola di Dio, ad amare la parola di Dio, a vivere con la parola di Dio, a pensare con la parola di Dio. E possiamo farlo in diversissimi modi: leggendo la Sacra Scrittura, soprattutto partecipando alla Liturgia, nella quale nel corso dell'anno la Santa Chiesa ci apre dinanzi tutto il libro della Sacra Scrittura. Lo apre alla nostra vita e lo rende presente nella nostra vita.

Omelia, Castel Gandolfo, 15 agosto 2005
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15/03/2013 10:32
 
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Noi oggi abbiamo spesso un po' paura di parlare della vita eterna. Parliamo delle cose che sono utili per il mondo, mostriamo che il Cristianesimo aiuta anche a migliorare il mondo, ma non osiamo dire che la sua meta è la vita eterna e che da tale meta vengono poi i criteri della vita. Dobbiamo capire di nuovo che il Cristianesimo rimane un "frammento" se non pensiamo a questa meta, che vogliamo seguire l'archegos [colui che mostra la strada] all'altezza di Dio, alla gloria del Figlio che ci fa figli nel Figlio e dobbiamo di nuovo riconoscere che solo nella grande prospettiva della vita eterna il Cristianesimo rivela tutto il senso. Dobbiamo avere il coraggio, la gioia, la grande speranza che la vita eterna c'è, è la vera vita e da questa vera vita viene la luce che illumina anche questo mondo. Se si può dire che, anche prescindendo dalla vita eterna, dal Cielo promesso, è meglio vivere secondo i criteri cristiani, perché vivere secondo la verità e l'amore, anche se sotto tante persecuzioni, è in sé stesso bene ed è meglio di tutto il resto, è proprio questa volontà di vivere secondo la verità e secondo l'amore che deve anche aprire a tutta la larghezza del progetto di Dio con noi, al coraggio di avere già la gioia nell'attesa della vita eterna, della salita seguendo il nostro archegos. E Soter è il Salvatore, che ci salva dall'ignoranza, cerca le cose ultime. Il Salvatore ci salva dalla solitudine, ci salva da un vuoto che rimane nella vita senza l'eternità, ci salva dandoci l'amore nella sua pienezza. Egli è la guida. Cristo, l'archegos, ci salva dandoci la luce, dandoci la verità, dandoci l'amore di Dio.

Omelia, Cappella Paolina del Palazzo Apostolico Vaticano, 15 aprile 2010
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16/03/2013 10:37
 
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Maria è assunta in corpo e anima nella gloria del cielo e con Dio e in Dio è regina del cielo e della terra. È forse così lontana da noi? E' vero il contrario. Proprio perché è con Dio e in Dio, è vicinissima ad ognuno di noi. Quando era in terra poteva essere vicina solo ad alcune persone. Essendo in Dio, che è vicino a noi, anzi che è "interiore" a noi tutti, Maria partecipa a questa vicinanza di Dio. Essendo in Dio e con Dio, è vicina ad ognuno di noi, conosce il nostro cuore, può sentire le nostre preghiere, può aiutarci con la sua bontà materna e ci è data – come è detto dal Signore – proprio come "madre", alla quale possiamo rivolgerci in ogni momento. Ella ci ascolta sempre, ci è sempre vicina, ed essendo Madre del Figlio, partecipa del potere del Figlio, della sua bontà. Possiamo sempre affidare tutta la nostra vita a questa Madre, che non è lontana da nessuno di noi.

Omelia, Castel Gandolfo, 15 agosto 2005
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17/03/2013 20:55
 
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Il modo di agire di Dio - ben diverso dal nostro - ci dà consolazione, forza e speranza perché Dio non ritira il suo «sì». Di fronte ai contrasti nelle relazioni umane, spesso anche familiari, noi siamo portati a non perseverare nell'amore gratuito, che costa impegno e sacrificio. Invece, Dio non si stanca con noi, non si stanca mai di avere pazienza con noi e con la sua immensa misericordia ci precede sempre, ci viene incontro per primo, è assolutamente affidabile questo suo «sì». Nell'evento della Croce ci offre la misura del suo amore, che non calcola e non ha misura. San Paolo nella Lettera a Tito scrive: «È apparsa la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini» (Tt 3,4). E perché questo «sì» si rinnovi ogni giorno «ci ha conferito l'unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori» (2Cor 1,21b-22). È infatti lo Spirito Santo che rende continuamente presente e vivo il «sì» di Dio in Gesù Cristo e crea nel nostro cuore il desiderio di seguirlo per entrare totalmente, un giorno, nel suo amore, quando riceveremo una dimora non costruita da mani umane nei cieli. Non c'è persona che non sia raggiunta e interpellata da questo amore fedele, capace di attendere anche quanti continuano a rispondere con il «no» del rifiuto o dell'indurimento del cuore. Dio ci aspetta, ci cerca sempre, vuole accoglierci nella comunione con Sé per donare a ognuno di noi pienezza di vita, di speranza e di pace.

Catechesi dell'Udienza generale, Piazza San Pietro, 30 maggio 2012
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18/03/2013 10:16
 
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Cristo, il Salvatore, ha dato a Israele conversione e perdono dei peccati (v. 31) - nel testo greco il termine è metanoia - ha dato penitenza e perdono dei peccati. Questa per me è un'osservazione molto importante: la penitenza è una grazia. C'è una tendenza in esegesi che dice: Gesù in Galilea avrebbe annunciato una grazia senza condizione, assolutamente incondizionata, quindi anche senza penitenza, grazia come tale, senza precondizioni umane. Ma questa è una falsa interpretazione della grazia. La penitenza è grazia; è una grazia che noi riconosciamo il nostro peccato, è una grazia che conosciamo di aver bisogno di rinnovamento, di cambiamento, di una trasformazione del nostro essere. Penitenza, poter fare penitenza, è il dono della grazia. E devo dire che noi cristiani, anche negli ultimi tempi, abbiamo spesso evitato la parola penitenza, ci appariva troppo dura. Adesso, sotto gli attacchi del mondo che ci parlano dei nostri peccati, vediamo che poter fare penitenza è grazia. E vediamo che è necessario far penitenza, cioè riconoscere quanto è sbagliato nella nostra vita, aprirsi al perdono, prepararsi al perdono, lasciarsi trasformare. Il dolore della penitenza, cioè della purificazione, della trasformazione, questo dolore è grazia, perché è rinnovamento, è opera della misericordia divina. E così queste due cose che dice san Pietro — penitenza e perdono — corrispondono all'inizio della predicazione di Gesù: metanoeite, cioè convertitevi (cfr Mc 1,15). Quindi questo è il punto fondamentale: la metanoia non è una cosa privata, che parrebbe sostituita dalla grazia, ma la metanoia è l'arrivo della grazia che ci trasforma.

Omelia, Cappella Paolina del Palazzo Apostolico Vaticano, 15 aprile 2010
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19/03/2013 11:33
 
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Veniamo certamente dai nostri genitori e siamo loro figli, ma veniamo anche da Dio che ci ha creati a sua immagine e ci ha chiamati ad essere suoi figli. Per questo motivo nell'origine di ogni essere umano non esiste il caso o la fatalità, bensì un progetto dell'amore di Dio. È quello che ci ha rivelato Gesù Cristo, vero Figlio di Dio e uomo perfetto. Egli conosceva da dove veniva e da dove veniamo tutti: dall'amore di suo Padre e nostro Padre. La fede non è, dunque, una mera eredità culturale, bensì un'azione continua della grazia di Dio che chiama, come anche della libertà umana che può aderire oppure non aderire a quella chiamata. Benché nessuno risponda per un altro, tuttavia i genitori cristiani sono chiamati a dare un'attestazione credibile della loro fede e speranza cristiana. Devono fare in modo che la chiamata di Dio e la Buona Novella di Cristo arrivino ai loro figli con la più grande chiarezza e autenticità. Col passare degli anni, questo dono di Dio che i genitori hanno contribuito a illustre ai piccoli dovrà anche essere coltivato con saggezza e dolcezza, facendo crescere in essi la capacità di discernimento. In questo modo, con la testimonianza costante dell'amore coniugale dei genitori, vissuto ed impregnato di fede, e con il sostegno affettuoso della comunità cristiana, si favorirà nei figli un approccio personale al dono stesso della fede, affinché scoprano attraverso di essa il senso profondo della propria esistenza e si sentano perciò riconoscenti.

Omelia, Valencia, 9 luglio 2006
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20/03/2013 09:25
 
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Maria non sta soltanto in un rapporto singolare con Cristo, il Figlio di Dio che, come uomo, ha voluto diventare figlio suo. Essendo totalmente unita a Cristo, ella appartiene anche totalmente a noi. Sì, possiamo dire che Maria ci è vicina come nessun altro essere umano, perché Cristo è uomo per gli uomini e tutto il suo essere è un "esserci per noi". Cristo, dicono i Padri, come Capo è inseparabile dal suo Corpo che è la Chiesa, formando insieme con essa, per così dire, un unico soggetto vivente. La Madre del Capo è anche la Madre di tutta la Chiesa; lei è, per così dire, totalmente espropriata da se stessa; si è data interamente a Cristo e con Lui viene data in dono a tutti noi. Infatti, più la persona umana si dona, più trova se stessa. […] Maria è così intrecciata nel grande mistero della Chiesa che lei e la Chiesa sono inseparabili come sono inseparabili lei e Cristo. Maria rispecchia la Chiesa, la anticipa nella sua persona e, in tutte le turbolenze che affliggono la Chiesa sofferente e faticante, ne rimane sempre la stella della salvezza. È lei il suo vero centro di cui ci fidiamo, anche se tanto spesso la sua periferia ci pesa sull'anima.

Omelia, Basilica Vaticana, 8 dicembre 2005
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21/03/2013 08:51
 
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Di fronte al Cristo che viene, l'uomo si sente interpellato con tutto il suo essere, che l'Apostolo [Paolo] riassume nei termini "spirito, anima e corpo", indicando così l'intera persona umana, quale unità articolata di dimensione somatica, psichica e spirituale. La santificazione è dono di Dio e iniziativa sua, ma l'essere umano è chiamato a corrispondere con tutto se stesso, senza che nulla di lui resti escluso. Ed è proprio lo Spirito Santo, che nel grembo della Vergine ha formato Gesù, Uomo perfetto, a portare a compimento nella persona umana il mirabile progetto di Dio, trasformando innanzitutto il cuore e, a partire da questo centro, tutto il resto. Avviene così che in ogni singola persona si riassume l'intera opera della creazione e della redenzione, che Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo, va compiendo dall'inizio alla fine del cosmo e della storia. E come nella storia dell'umanità vi è al centro il primo avvento di Cristo e alla fine il suo ritorno glorioso, così ogni esistenza personale è chiamata a misurarsi con lui – in modo misterioso e multiforme – durante il pellegrinaggio terreno, per essere trovata "in lui" al momento del suo ritorno.

Omelia, Basilica Vaticana, 26 novembre 2005
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22/03/2013 08:37
 
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Maria, l'umile donna di provincia che proviene da una stirpe sacerdotale e porta in sé il grande patrimonio sacerdotale d'Israele, è "il santo resto" d'Israele a cui i profeti, in tutti i periodi di travagli e di tenebre, hanno fatto riferimento. In lei è presente la vera Sion, quella pura, la vivente dimora di Dio. In lei dimora il Signore, in lei trova il luogo del Suo riposo. Lei è la vivente casa di Dio, il quale non abita in edifici di pietra, ma nel cuore dell'uomo vivo. Lei è il germoglio che, nella buia notte invernale della storia, spunta dal tronco abbattuto di Davide. In lei si compie la parola del Salmo: "La terra ha dato il suo frutto" (67,7). Lei è il virgulto, dal quale deriva l'albero della redenzione e dei redenti. Dio non ha fallito, come poteva apparire già all'inizio della storia con Adamo ed Eva, o durante il periodo dell'esilio babilonese, e come nuovamente appariva al tempo di Maria quando Israele era diventato un popolo senza importanza in una regione occupata, con ben pochi segni riconoscibili della sua santità. Dio non ha fallito. Nell'umiltà della casa di Nazaret vive l'Israele santo, il resto puro. Dio ha salvato e salva il Suo popolo. Dal tronco abbattuto rifulge nuovamente la sua storia, diventando una nuova forza viva che orienta e pervade il mondo. Maria è l'Israele santo; ella dice "sì" al Signore, si mette pienamente a Sua disposizione e diventa così il tempio vivente di Dio.

Omelia, Basilica Vaticana, 8 dicembre 2005
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23/03/2013 11:59
 
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La famiglia cristiana trasmette la fede quando i genitori insegnano ai loro figli a pregare e pregano con essi (cf. Familiaris consortio, 60); quando li avvicinano ai sacramenti e li introducono nella vita della Chiesa; quando tutti si riuniscono per leggere la Bibbia, illuminando la vita familiare con la luce della fede e lodando Dio come Padre. Nella cultura attuale si esalta molto spesso la libertà dell'individuo inteso come soggetto autonomo, come se egli si facesse da solo e bastasse a sé stesso, al di fuori della sua relazione con gli altri come anche della sua responsabilità nei confronti degli altri. Si cerca di organizzare la vita sociale solo a partire da desideri soggettivi e mutevoli, senza riferimento alcuno ad una verità oggettiva previa come sono la dignità di ogni essere umano e i suoi doveri e diritti inalienabili al cui servizio deve mettersi ogni gruppo sociale. La Chiesa non cessa di ricordare che la vera libertà dell'essere umano proviene dall'essere stato creato ad immagine e somiglianza di Dio. Perciò, l'educazione cristiana è educazione alla libertà e per la libertà.

Omelia, Valencia, 9 luglio 2006
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24/03/2013 14:35
 
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Il Signore si reca alla casa di Simon Pietro ed Andrea e trova ammalata con febbre la suocera di Pietro; la prende per mano, la solleva e la donna è guarita e si mette a servire. In questo episodio appare simbolicamente tutta la missione di Gesù. Gesù venendo dal Padre si reca nella casa dell'umanità, sulla nostra terra e trova un'umanità ammalata, ammalata di febbre, di quella febbre che sono le ideologie, le idolatrie, la dimenticanza di Dio. Il Signore ci dà la sua mano, ci solleva e ci guarisce. E lo fa in tutti i secoli; ci prende per mano con la sua parola, e così dissipa le nebbie delle ideologie, delle idolatrie. Prende la nostra mano nei sacramenti, ci risana dalla febbre delle nostre passioni e dei nostri peccati mediante l'assoluzione nel sacramento della riconciliazione. Ci dà la capacità di alzarci, di stare in piedi davanti a Dio e davanti agli uomini. E proprio con questo contenuto della liturgia domenicale il Signore si incontra con noi, ci prende per mano, ci solleva e ci sana sempre di nuovo con il dono della sua parola, il dono di se stesso. Ma anche la seconda parte di questo episodio è importante, questa donna appena guarita si mette a servirli, dice il Vangelo. Subito comincia a lavorare, ad essere a disposizione degli altri, e così diventa rappresentanza di tante buone donne, madri, nonne, donne nelle diverse professioni, che sono disponibili, si alzano e servono, e sono anima della famiglia, anima della parrocchia.

Omelia, Parrocchia di Sant'Anna in Vaticano, 5 febbraio 2006
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25/03/2013 10:43
 
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Sentiamo ancora una volta la parola di Elisabetta, completata nel Magnificat di Maria: "Beata Colei che ha creduto". Il primo e fondamentale atto per diventare dimora di Dio e per trovare così la felicità definitiva è credere, è la fede, la fede in Dio, in quel Dio che si è mostrato in Gesù Cristo e si fa sentire nella parola divina della Sacra Scrittura. Credere non è aggiungere una opinione ad altre. E la convinzione, la fede che Dio c'è non è una informazione come altre. Di molte informazioni, a noi non fa niente se sono vere o false, non cambiano la nostra vita. Ma se Dio non c'è, la vita è vuota, il futuro è vuoto. E se Dio c'è, tutto è cambiato, la vita è luce, il nostro avvenire è luce e abbiamo l'orientamento per come vivere. Perciò credere costituisce l'orientamento fondamentale della nostra vita. Credere, dire: "Sì, credo che Tu sei Dio, credo che nel Figlio incarnato sei Tu presente tra di noi", orienta la mia vita, mi spinge ad attaccarmi a Dio, ad unirmi con Dio e così a trovare il luogo dove vivere, e il modo come vivere. E credere non è solo un tipo di pensiero, un'idea; è, come già accennato, un agire, è una forma di vivere. Credere vuol dire seguire la traccia indicataci dalla Parola di Dio.

Omelia, Castel Gandolfo, 15 agosto 2006
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26/03/2013 11:05
 
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La risurrezione fu come un'esplosione di luce, un'esplosione dell'amore che sciolse l'intreccio fino ad allora indissolubile del "muori e divieni". Essa inaugurò una nuova dimensione dell'essere, della vita, nella quale, in modo trasformato, è stata integrata anche la materia e attraverso la quale emerge un mondo nuovo. È chiaro che questo avvenimento non è un qualche miracolo del passato il cui accadimento potrebbe essere per noi in fondo indifferente. È un salto di qualità nella storia dell'"evoluzione" e della vita in genere verso una nuova vita futura, verso un mondo nuovo che, partendo da Cristo, già penetra continuamente in questo nostro mondo, lo trasforma e lo attira a sé. Ma come avviene questo? Come può questo avvenimento arrivare effettivamente a me e attrarre la mia vita verso di sé e verso l'alto? La risposta, in un primo momento forse sorprendente ma del tutto reale, è: tale avvenimento viene a me mediante la fede e il Battesimo. Per questo il Battesimo fa parte della Veglia pasquale, come sottolinea anche in questa celebrazione il conferimento dei Sacramenti dell'Iniziazione cristiana ad alcuni adulti provenienti da diversi Paesi. Il Battesimo significa proprio questo, che non è in questione un evento passato, ma che un salto di qualità della storia universale viene a me afferrandomi per attrarmi. Il Battesimo è una cosa ben diversa da un atto di socializzazione ecclesiale, da un rito un po' fuori moda e complicato per accogliere le persone nella Chiesa. È anche più di una semplice lavanda, di una specie di purificazione e abbellimento dell'anima. È realmente morte e risurrezione, rinascita, trasformazione in una nuova vita.

Omelia, Basilica Vaticana, 15 aprile 2006
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27/03/2013 23:41
 
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Osserva sant'Agostino che chi vuole camminare nell'amore di Dio e nella sua misericordia non può accontentarsi di liberarsi dai peccati gravi e mortali, ma "opera la verità riconoscendo anche i peccati che si considerano meno gravi ... e viene alla luce compiendo opere degne. Anche i peccati meno gravi, se trascurati, proliferano e producono la morte" (In Io. evang. 12, 13, 35). […] l'esistenza cristiana è un combattimento senza sosta, nel quale vanno utilizzate le "armi" della preghiera, del digiuno e della penitenza. Lottare contro il male, contro ogni forma di egoismo e di odio, e morire a se stessi per vivere in Dio è l'itinerario ascetico che ogni discepolo di Gesù è chiamato a percorrere con umiltà e pazienza, con generosità e perseveranza. La docile sequela del divino Maestro rende i cristiani testimoni e apostoli di pace. Potremmo dire che questo interiore atteggiamento ci aiuta a meglio evidenziare anche quale debba essere la risposta cristiana alla violenza che minaccia la pace nel mondo. Non certo la vendetta, non l'odio e nemmeno la fuga in un falso spiritualismo. La risposta di chi segue Cristo è piuttosto quella di percorrere la strada scelta da Colui che, davanti ai mali del suo tempo e di tutti i tempi, ha abbracciato decisamente la Croce, seguendo il sentiero più lungo ma efficace dell'amore. Sulle sue orme e uniti a Lui, dobbiamo tutti impegnarci nell'opporci al male con il bene, alla menzogna con la verità, all'odio con l'amore.

Omelia, Basilica di Santa Sabina all'Aventino, 1° marzo 2006
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28/03/2013 12:17
 
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La nostra fede non la imponiamo a nessuno. Un simile genere di proselitismo è contrario al cristianesimo. La fede può svilupparsi soltanto nella libertà. Ma è la libertà degli uomini alla quale facciamo appello di aprirsi a Dio, di cercarlo, di prestargli ascolto. Noi qui riuniti chiediamo al Signore con tutto il cuore di pronunciare nuovamente il suo "Effatà!", di guarire la nostra debolezza d'udito per Dio, per il suo operare e per la sua parola, e di renderci capaci di vedere e di ascoltare. Gli chiediamo di aiutarci a ritrovare la parola della preghiera, alla quale ci invita nella liturgia e la cui formula essenziale ci ha insegnato nel Padre nostro. Il mondo ha bisogno di Dio. Noi abbiamo bisogno di Dio. Di quale Dio abbiamo bisogno? […] il profeta si rivolge a un popolo oppresso dicendo: "La vendetta di Dio verrà" (vgl 35,4). Noi possiamo facilmente intuire come la gente si immaginava tale vendetta. Ma il profeta stesso rivela poi in che cosa essa consiste: nella bontà risanatrice di Dio. E la spiegazione definitiva della parola del profeta, la troviamo in Colui che è morto per noi sulla Croce: in Gesù, il Figlio di Dio incarnato che qui ci guarda così insistentemente. La sua "vendetta" è la Croce: il "No" alla violenza, "l'amore fino alla fine". È questo il Dio di cui abbiamo bisogno. Non veniamo meno al rispetto di altre religioni e culture, non veniamo meno al profondo rispetto per la loro fede, se confessiamo ad alta voce e senza mezzi termini quel Dio che alla violenza ha opposto la sua sofferenza; che di fronte al male e al suo potere innalza, come limite e superamento, la sua misericordia. A Lui rivolgiamo la nostra supplica, perché Egli sia in mezzo a noi e ci aiuti ad essergli testimoni credibili.

Omelia, München, 10 settembre 2006
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29/03/2013 16:28
 
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Essendo immerso in Dio, sono unito ai fratelli e alle sorelle, perché tutti gli altri sono in Dio e se io sono tirato fuori dal mio isolamento, se io sono immerso in Dio, sono immerso nella comunione con gli altri. Essere battezzati non è mai un atto solitario di «me», ma è sempre necessariamente un essere unito con tutti gli altri, un essere in unità e solidarietà con tutto il Corpo di Cristo, con tutta la comunità dei suoi fratelli e sorelle. Questo fatto che il Battesimo mi inserisce in comunità, rompe il mio isolamento. Dobbiamo tenerlo presente nel nostro essere cristiani. […] «Dio è il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe» (cfr Mt 22,32), e quindi questi non sono morti; se sono di Dio sono vivi. Vuol dire che con il Battesimo, con l'immersione nel nome di Dio, siamo anche noi già immersi nella vita immortale, siamo vivi per sempre. Con altre parole, il Battesimo è una prima tappa della Risurrezione: immersi in Dio, siamo già immersi nella vita indistruttibile, comincia la Risurrezione. Come Abramo, Isacco e Giacobbe essendo «nome di Dio» sono vivi, così noi, inseriti nel nome di Dio, siamo vivi nella vita immortale. Il Battesimo è il primo passo della Risurrezione, l'entrare nella vita indistruttibile di Dio.

"Lectio Divina", Basilica di San Giovanni in Laterano, 11 giugno 2012
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30/03/2013 10:55
 
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La Bibbia in più pagine mostra come il lavoro appartenga alla condizione originaria dell'uomo. Quando il Creatore plasmò l'uomo a sua immagine e somiglianza, lo invitò a lavorare la terra (cfr Gn 2, 5-6). Fu a causa del peccato dei progenitori che il lavoro diventò fatica e pena (cfr Gn 3, 6-8), ma nel progetto divino esso mantiene inalterato il suo valore. Lo stesso Figlio di Dio, facendosi in tutto simile a noi, si dedicò per molti anni ad attività manuali, tanto da essere conosciuto come il "figlio del carpentiere" (cfr Mt 13, 55). […] Il lavoro riveste primaria importanza per la realizzazione dell'uomo e per lo sviluppo della società, e per questo occorre che esso sia sempre organizzato e svolto nel pieno rispetto dell'umana dignità e al servizio del bene comune. Al tempo stesso, è indispensabile che l'uomo non si lasci asservire dal lavoro, che non lo idolatri, pretendendo di trovare in esso il senso ultimo e definitivo della vita. Al riguardo, giunge opportuno l'invito contenuto nella prima lettura: "Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio" (Es 20, 8-9). Il sabato è giorno santificato, cioè consacrato a Dio, in cui l'uomo comprende meglio il senso della sua esistenza ed anche dell'attività lavorativa. Si può, pertanto, affermare che l'insegnamento biblico sul lavoro trova il suo coronamento nel comandamento del riposo.

Omelia, Basilica Vaticana, 19 marzo 2006
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31/03/2013 12:35
 
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Sul «sì» fedele di Dio s'innesta l'«amen» della Chiesa che risuona in ogni azione della liturgia: «amen» è la risposta della fede che chiude sempre la nostra preghiera personale e comunitaria, e che esprime il nostro «sì» all'iniziativa di Dio. Spesso rispondiamo per abitudine col nostro «amen» nella preghiera, senza coglierne il significato profondo. Questo termine deriva da `aman che, in ebraico e in aramaico, significa «rendere stabile», «consolidare» e, di conseguenza, «essere certo», «dire la verità». Se guardiamo alla Sacra Scrittura, vediamo che questo «amen» è detto alla fine dei Salmi di benedizione e di lode, come, ad esempio, nel Salmo 41: «Per la mia integrità tu mi sostieni e mi fai stare alla tua presenza per sempre. Sia benedetto il Signore, Dio d'Israele, da sempre e per sempre. Amen, amen» (vv. 13-14). Oppure esprime adesione a Dio, nel momento in cui il popolo di Israele ritorna pieno di gioia dall'esilio babilonese e dice il suo «sì», il suo «amen» a Dio e alla sua Legge. Sin dagli inizi, quindi, l'«amen» della liturgia giudaica è diventato l'«amen» delle prime comunità cristiane. E il libro della liturgia cristiana per eccellenza, l'Apocalisse di San Giovanni, inizia con l'«amen» della Chiesa: «A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza, nei secoli dei secoli. Amen» (Ap 1,5b-6). Così nel primo capitolo dell'Apocalisse. E lo stesso libro si chiude con l'invocazione «Amen, vieni, Signore Gesù» (Ap 22,21).

Catechesi dell'Udienza generale, Piazza San Pietro, 30 maggio 2012
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01/04/2013 11:44
 
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Dobbiamo rivolgere la nostra attenzione al Vangelo che racconta la guarigione di un sordo-muto da parte di Gesù. Anche lì incontriamo di nuovo i due aspetti dell'unico tema. Gesù si dedica ai sofferenti, a coloro che sono spinti ai margini della società. Li guarisce e, aprendo loro così la possibilità di vivere e di decidere insieme, li introduce nell'uguaglianza e nella fraternità. Questo riguarda ovviamente tutti noi: Gesù indica a tutti noi la direzione del nostro agire, il come dobbiamo agire. Tutta la vicenda presenta, però, ancora un'altra dimensione, che i Padri della Chiesa hanno messo in luce con insistenza e che concerne in modo speciale anche noi oggi. I Padri parlano degli uomini e per gli uomini del loro tempo. Ma quello che dicono riguarda in modo nuovo anche noi uomini moderni. Non esiste soltanto la sordità fisica, che taglia l'uomo in gran parte fuori della vita sociale. Esiste una debolezza d'udito nei confronti di Dio di cui soffriamo specialmente in questo nostro tempo. Noi, semplicemente, non riusciamo più a sentirlo – sono troppe le frequenze diverse che occupano i nostri orecchi. Quello che si dice di Lui ci sembra pre-scientifico, non più adatto al nostro tempo. Con la debolezza d'udito o addirittura la sordità nei confronti di Dio si perde naturalmente anche la nostra capacità di parlare con Lui o a Lui. In questo modo, però, viene a mancarci una percezione decisiva. I nostri sensi interiori corrono il pericolo di spegnersi. Con il venir meno di questa percezione viene circoscritto poi in modo drastico e pericoloso il raggio del nostro rapporto con la realtà in genere. L'orizzonte della nostra vita si riduce in modo preoccupante.

Omelia, München, 10 settembre 2006
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02/04/2013 11:50
 
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"Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine" (Gv 13, 1): Dio ama la sua creatura, l'uomo; lo ama anche nella sua caduta e non lo abbandona a se stesso. Egli ama sino alla fine. Si spinge con il suo amore fino alla fine, fino all'estremo: scende giù dalla sua gloria divina. Depone le vesti della sua gloria divina e indossa le vesti dello schiavo. Scende giù fin nell'estrema bassezza della nostra caduta. Si inginocchia davanti a noi e ci rende il servizio dello schiavo; lava i nostri piedi sporchi, affinché noi diventiamo ammissibili alla mensa di Dio, affinché diventiamo degni di prendere posto alla sua tavola – una cosa che da noi stessi non potremmo né dovremmo mai fare.Dio non è un Dio lontano, troppo distante e troppo grande per occuparsi delle nostre bazzecole. Poiché Egli è grande, può interessarsi anche delle cose piccole. Poiché Egli è grande, l'anima dell'uomo, lo stesso uomo creato per l'amore eterno, non è una cosa piccola, ma è grande e degno del suo amore. La santità di Dio non è solo un potere incandescente, davanti al quale noi dobbiamo ritrarci atterriti; è potere d'amore e per questo è potere purificatore e risanante.

Omelia, Basilica di San Giovanni in Laterano, 13 aprile 2006
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03/04/2013 13:25
 
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Gesù pose le dita negli orecchi del sordomuto, mise un po' della sua saliva sulla lingua del malato e disse: "Effatà" – "Apriti!" L'evangelista ha conservato per noi l'originale parola aramaica che Gesù allora pronunciò, trasferendoci così direttamente in quel momento. Quello che lì viene raccontato è una cosa unica, e tuttavia non appartiene ad un passato lontano: la stessa cosa Gesù la realizza in modo nuovo e ripetutamente anche oggi. Nel nostro Battesimo Egli ha compiuto su di noi questo gesto del toccare e (.) ha detto: "Effatà" – Apriti!", per renderci capaci di sentire Dio e per ridonarci così anche la possibilità di parlare a Lui. Ma questo evento, il Sacramento del Battesimo, non possiede niente di magico. Il Battesimo dischiude un cammino. Ci introduce nella comunità di coloro che sono capaci di ascoltare e di parlare; ci introduce nella comunione con Gesù stesso che, unico, ha visto Dio e quindi ha potuto parlare di Lui (cfr Gv 1,18): mediante la fede, Gesù vuole condividere con noi il suo vedere Dio, il suo ascoltare il Padre e parlare con Lui. Il cammino dell'essere battezzati deve diventare un processo di sviluppo progressivo, nel quale noi cresciamo nella vita di comunione con Dio, raggiungendo così anche uno sguardo diverso sull'uomo e sulla creazione. Il Vangelo ci invita a renderci conto che in noi esiste un deficit riguardo alla nostra capacità di percezione – una carenza che inizialmente non avvertiamo come tale, perché appunto tutto il resto si raccomanda per la sua urgenza e ragionevolezza; perché apparentemente tutto procede in modo normale, anche se non abbiamo più orecchi ed occhi per Dio e viviamo senza di Lui. Ma è vero che tutto procede semplicemente, quando Dio viene a mancare nella nostra vita e nel nostro mondo?

Omelia, München, 10 settembre 2006
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04/04/2013 11:15
 
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"Voi siete mondi, ma non tutti", dice il Signore (Gv 13, 10). In questa frase si rivela il grande dono della purificazione che Egli ci fa, perché ha il desiderio di stare a tavola insieme con noi, di diventare il nostro cibo. "Ma non tutti" – esiste l'oscuro mistero del rifiuto, che con la vicenda di Giuda si fa presente e, proprio nel Giovedì Santo, nel giorno in cui Gesù fa dono di sé, deve farci riflettere. L'amore del Signore non conosce limite, ma l'uomo può porre ad esso un limite. "Voi siete mondi, ma non tutti": Che cosa è che rende l'uomo immondo? È il rifiuto dell'amore, il non voler essere amato, il non amare. È la superbia che crede di non aver bisogno di alcuna purificazione, che si chiude alla bontà salvatrice di Dio. È la superbia che non vuole confessare e riconoscere che abbiamo bisogno di purificazione. In Giuda vediamo la natura di questo rifiuto ancora più chiaramente. Egli valuta Gesù secondo le categorie del potere e del successo: per lui solo potere e successo sono realtà, l'amore non conta. Ed egli è avido: il denaro è più importante della comunione con Gesù, più importante di Dio e del suo amore. E così diventa anche un bugiardo, che fa il doppio gioco e rompe con la verità; uno che vive nella menzogna e perde così il senso per la verità suprema, per Dio. In questo modo egli si indurisce, diventa incapace della conversione, del fiducioso ritorno del figliol prodigo, e butta via la vita distrutta. "Voi siete mondi, ma non tutti". Il Signore oggi ci mette in guardia di fronte a quell'autosufficienza che mette un limite al suo amore illimitato. Ci invita ad imitare la sua umiltà, ad affidarci ad essa, a lasciarci "contagiare" da essa. Ci invita – per quanto smarriti possiamo sentirci – a ritornare a casa e a permettere alla sua bontà purificatrice di tirarci su e di farci entrare nella comunione della mensa con Lui, con Dio stesso.

Omelia, Basilica di San Giovanni in Laterano, 13 aprile 2006
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05/04/2013 23:22
 
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Che ne è della nostra fede? In che misura sappiamo noi oggi comunicarla? La certezza che Cristo è risorto ci assicura che nessuna forza avversa potrà mai distruggere la Chiesa. Ci anima anche la consapevolezza che soltanto Cristo può pienamente soddisfare le attese profonde di ogni cuore umano e rispondere agli interrogativi più inquietanti sul dolore, l'ingiustizia e il male, sulla morte e l'aldilà. Dunque, la nostra fede è fondata, ma occorre che questa fede diventi vita in ciascuno di noi. C'è allora un vasto e capillare sforzo da compiere perché ogni cristiano si trasformi in "testimone" capace e pronto ad assumere l'impegno di rendere conto a tutti e sempre della speranza che lo anima (cfr 1 Pt 3, 15). Per questo occorre tornare ad annunciare con vigore e gioia l'evento della morte e risurrezione di Cristo, cuore del Cristianesimo, fulcro portante della nostra fede, leva potente delle nostre certezze, vento impetuoso che spazza ogni paura e indecisione, ogni dubbio e calcolo umano. Solo da Dio può venire il cambiamento decisivo del mondo. Soltanto a partire dalla Risurrezione si comprende la vera natura della Chiesa e della sua testimonianza, che non è qualcosa di staccato dal mistero pasquale, bensì ne è frutto, manifestazione e attuazione da parte di quanti, ricevendo lo Spirito Santo, sono inviati da Cristo a proseguire la sua stessa missione (cfr Gv 20, 21-23).

Omelia, Verona, Stadio Comunale "Bentegodi", 19 ottobre 2006
06/04/2013 13:32
 
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"Vi ho dato l'esempio…" (Gv 13,15); "Anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri" (Gv 13,14). In che cosa consiste il "lavarci i piedi gli uni gli altri"? Che cosa significa in concreto? Ecco, ogni opera di bontà per l'altro – specialmente per i sofferenti e per coloro che sono poco stimati – è un servizio di lavanda dei piedi. A questo ci chiama il Signore: scendere, imparare l'umiltà e il coraggio della bontà e anche la disponibilità ad accettare il rifiuto e tuttavia fidarsi della bontà e perseverare in essa. Ma c'è ancora una dimensione più profonda. Il Signore toglie la nostra sporcizia con la forza purificatrice della sua bontà. Lavarci i piedi gli uni gli altri significa soprattutto perdonarci instancabilmente gli uni gli altri, sempre di nuovo ricominciare insieme per quanto possa anche sembrare inutile. Significa purificarci gli uni gli altri sopportandoci a vicenda e accettando di essere sopportati dagli altri; purificarci gli uni gli altri donandoci a vicenda la forza santificante della Parola di Dio e introducendoci nel Sacramento dell'amore divino. Il Signore ci purifica, e per questo osiamo accedere alla sua mensa. Preghiamolo di donare a tutti noi la grazia di potere un giorno essere per sempre ospiti dell'eterno banchetto nuziale

Omelia, Basilica di San Giovanni in Laterano, 13 aprile 2006
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QUELLO CHE AVETE UDITO, VOI ANNUNCIATELO DAI TETTI (Mt 10,27)
 
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