00 02/10/2011 09:40
padre Gian Franco Scarpitta
Cristo vitigno, acino e poi VIte

La metafora della vigna è molto eloquente nella Bibbia per esprimere il rapporto di Dio con il suo popolo e nel libro del Profeta Isaia si mostra ricca di fascino e di pedagogia. Vi si esprime il rapporto di Dio con il popolo, questo paragonato ad una vigna sterile che si rifiuta di dare frutto nonostante i continui provvedimenti del suo padrone, le premure e le attenzioni. Il proprietario della vigna ha infatti adottato tutti i sistemi affinché essa recasse i dovuti frutti, giungendo perfino a spendere denaro per edificare una torre e un tino dopo averla dissodata e liberata dai sassi.
Tutti accorgimenti in realtà non necessari per una piantagione che di per sè dovrebbe rendere frutto da sola, spontaneamente, senza l'intervento di nessuno. E' anzi inverosimile che una vigna non produca frutti.
Il padrone della vigna (che da qualche esegeta viene identificato con lo stesso Isaia) dedcide di abbandonare questa al suo destino, lasciando che finisca in preda ai rovi e ai pruni, senza neppure l'interrvento della pioggia.
Poiché a questo giunge il popolo d'Israale quando si mostra refrattario all'amore di Dio, rifiutando la sua premurosa attenzione: decide di smarrire e di esporre se stesso. Come la vigna perderà i favori divini dopo aver ricevuto tante attenzioni, così il popolo sarà abbandonato alla sua stessa presunzione e caparbietà, alle illusioni della sua presunta autonomia.
Nella nuova economia salvifica (nel Nuovo Testamento) Dio si mostra tuttavia ancora più indulgente nei confronti della vigna che è il suo popolo. Egli manifesta di avervi già mandato concreti agricoltori che hanno provveduto alla sua coltura, attraverso la bonifica del terreno, la potatura, le vanghe e tutto quanto sia stato utile allo sviluppo e alla crescita di ciascuna di queste viti.
Nonostante la morte violenta di tutti questi vignaioli, egli vi manda il Figlio di Dio, il Messia, che mostra amore ancora più incondizionato realizzando appieno il progetto iniziale del Proprietario Terriero: egli non solamente si dispone a coltivare la vigna e ad arricchirla di ulteriori bonifiche, ma da perfino la propria vita per essa, accettando anche di essere ucciso.
Gesù è infatti il Verbo incarnato, Dio fatto uomo che si occupa egli stesso con sollecitudine della sua vigna, condividendo ogni cosa con i membri di questa piantagione mostrando l'amore e la misericordia del Padre attraverso le parole e le opere del Regno e accettando di farsi anche uccidere per la causa dell'umanità. E tuttavia la morte non sarà la vittoria di quegli uomini omicidi né avrà l'ultima parola su di Lui, che, come afferma Pietro nella Seconda Lettura, si qualifica come "pietra scartata dai costruttori e tuttavia divenuta pietra angolare": proprio la morte e il disprezzo da parte degli uomini sono per lui cioè opportunità di innalzamento e di priorità, visto che vincerà la morte uscendo vittorioso dal sepolcro per la Risurrezione gloriosa e per il rinnovamento del mondo, ossia della "vigna". Già sulla croce farà scaturire il "Nuovo Israele", cioè la Chiesa e attraverso di essa guiderà definitivamente la sua vigna, così come aveva affermato:"Io sono la vite, voi i tralci"; "chi rimane in me, porta molto frutto poiché senza di me non potete far nulla.
In Cristo Dio si rende sollecito per l'uomo, mostrandosi paziente fino all'inverosimile perché egli porti frutto, avendone tutte le prerogative e le capacità. L'uomo è dotato del potenziale di grazia santificante ed attuale per cui gli è possibile conseguire ogni cosa in vista dell'edificazione del Regno e del progresso suo e degli altri. Egli si sente coinvolto dalla dinamica di collaborazione nell'edificazione del Regno e si lascia condurre dal Padrone della vigna e dal suo Figlio che si rende vitigno e acino prima ancora che vite perché condivide in tutto la nostra piccolezza.
Possiamo recare molto frutto solo se resteremo sempre innestati a Cristo, che è nostra linfa vitale e questo ci viene reso possibile dalla stessa sua presenza di grazia.
Spetta a noi quindi recare il frutto dell'amore intriso di fede e di speranza e riflessivo dello stesso amore che abbiamo ricevuto da Dio; dipende da noi ogni sforzo perché il frutto che altri da noi sperano sia sempre copioso e qualitativo.