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(Tascio Cecilio Cipriano, De catholicae Ecclesiae unitate, c. 6 )
San Cipriano
San Cipriano
 

Vescovo, martire e Padre della Chiesa

 
Nascita 210
Morte 14 settembre 258
Venerato da Tutte le Chiese che ammettono il culto dei santi
Ricorrenza 16 settembre (Chiesa Cattolica Romana)

15 settembre (Chiesa Anglicana) 13 settembre (Chiesa episcopale degli Stati Uniti d'America) 31 agosto (Chiesa cristiana ortodossa)

Attributi Bastone pastorale, palma

Tascio Cecilio Cipriano (in latino: Thaschus Caecilius Cyprianus; Cartagine, 210Sesti, 14 settembre 258) fu Vescovo di Cartagine e martire ed è venerato come santo e Padre della Chiesa dalla Chiesa cattolica.

 

Biografia

Da pagano a vescovo di Cartagine

La data di nascita ed i particolari della sua gioventù sono ignoti. Ai tempi della sua conversione, probabilmente, aveva passato la mezza età, del suo passato antecedente alla conversione ci rimane solo un manoscritto, steso di suo pugno, il Libro di San Cipriano, un testo che racconta tutta la sua conoscenza sulla magia. Fu un famoso oratore, possedeva una considerevole ricchezza e, molto probabilmente, rivestiva una posizione di prestigio nella città di Cartagine. Dalla sua biografia, scritta dal diacono Ponzio, si evince che i suoi modi erano dignitosi, ma non severi, e affettuosi, ma senza cadere nelle effusioni. Il suo dono per l'eloquenza è evidente nelle sue opere. Non era un pensatore, un filosofo o un teologo, ma soprattutto un uomo di mondo dalle grandi energie e dal carattere impetuoso. La sua conversione si deve ad un anziano presbitero chiamato Ceciliano, con il quale sembra fosse andato a vivere. Ceciliano, in punto di morte, affidò a Cipriano la cura della moglie e della famiglia. Quando era ancora un semplice catecumeno, il santo decise di vivere in castità e di dare la maggior parte dei suoi redditi ai poveri. Vendette tutte le sue proprietà, compresi i giardini che possedeva a Cartagine, che gli furono restituiti (come dice Ponzio, Dei indulgentiâ restituti), dopo essere stati riacquistati dai suoi amici; tuttavia, egli li avrebbe rivenduti, se solo la persecuzioni non lo avesse reso imprudente. Il suo battesimo, probabilmente, ebbe luogo il 18 aprile 246, vigilia di Pasqua.

Cipriano era certamente solo un recente convertito quando fu acclamato vescovo di Cartagine nel 248 o all'inizio del 249, ma aveva rivestito tutti i gradi del ministero. Nonostante avesse rifiutato la carica, il popolo lo costrinse ad accettarla. Tuttavia ci fu una minoranza che si oppose alla sua elezione, compresi cinque presbiteri, che rimasero suoi nemici; comunque Cipriano narrava che era stato ben scelto dopo il giudizio divino, con il voto del popolo ed il consenso dei vescovi.

Le persecuzioni di Decio

Nell'ottobre del 249, Decio divenne imperatore. Convinto del grande pericolo rappresentato dalla religione cristiana per lo Stato, nel gennaio del 250 pubblicò un editto che imponeva a tutti i sudditi di offrire un sacrificio agli dèi, al fine di provare l'adesione alla religione romana. L'offerta sacrificale doveva essere compiuta davanti a una commissione di cinque membri che, in seguito, avrebbe rilasciato il libellus, una sorta di attestazione di fedeltà, che esentava dai rigori della legge previsti per i cristiani.[1]

Il 20 gennaio papa Fabiano fu martirizzato e, in quei giorni, Cipriano si nascose in un luogo sicuro. Per questo i suoi nemici lo avrebbero continuamente rimproverato. Ma rimanere a Cartagine avrebbe significato sollecitare la morte, mettere in grave pericolo gli altri e lasciare la chiesa senza governo; scegliere un nuovo vescovo sarebbe stato impossibile, come a Roma. Una parte del clero cedette, altri scapparono; Cipriano li sospese semplicemente, poiché i loro ministeri erano necessari ed essi erano meno in pericolo del vescovo. Dal suo rifugio consigliava i confessori e scriveva eloquenti panegirici sui martiri. Quindici di loro presto morirono in prigione ed uno nelle miniere. All'arrivo del proconsole, in aprile, la durezza della persecuzione aumentò. Il 17 fu martirizzato san Mappalico. Vennero torturati i bambini e violentate le donne. Numidico, che aveva incoraggiato molti fedeli, vide sua moglie bruciata viva ed egli stesso fu arso per metà, poi lapidato e lasciato a morire; tuttavia fu trovato ancora in vita da sua figlia, guarì, e Cipriano lo ordinò sacerdote. Altri, dopo essere stati torturati per due volte furono esiliati, spesso ridotti a mendici.

Ma c'era un'altra faccia della medaglia. A Roma, i cristiani terrorizzati erano accorsi ai templi per sacrificare agli dei. A Cartagine, la maggioranza dei fedeli era caduta nell'apostasia. Alcuni non avevano sacrificato, ma avevano acquistato i libelli, i certificati che provavano che lo avevano fatto. Avevano così salvato le loro famiglie al prezzo del loro peccato. Di questi libellatici Cartagine era piena. Alcuni di coloro che erano caduti non si pentirono, altri si unirono agli eretici, ma la maggior parte chiese il perdono e la riammissione. Alcuni, che avevano sacrificato sotto tortura, tornarono per essere torturati di nuovo. Casto ed Emilio furono bruciati per aver ritrattato, altri esiliati; ma tali casi furono rari. Alcuni cominciarono anche ad effettuare le penitenze canoniche. Il primo ad essere perseguitato a Roma fu un giovane Cartaginese, Celerino. Dopo la sua guarigione, Cipriano lo consacrò lettore e poi diacono. Sua nonna Celerina e tre zii, Laurenzio, Laurentino e Ignazio, furono martirizzati, mentre le sue due sorelle caddero nell'apostasia sotto la minaccia della tortura. Quando si pentirono, Cipriano le mise al servizio di coloro che erano in prigione.

In quei frangenti, un certo Luciano ebbe da un martire chiamato Paolo, prima della sua passione, l'incarico di riammettere in comunione chiunque ne facesse richiesta e di distribuire queste "indulgenze" con la formula: "Gli sia permesso di essere in comunione con la sua famiglia". Nel 197, Tertulliano aveva già parlato dell'"abitudine" di coloro che non erano in pace con la chiesa di elemosinarla dai martiri. Molto tempo dopo, però, le cose erano cambiate, nei suoi giorni di montanista (circa 220), sosteneva che gli adulteri, che papa Callisto I perdonava solo dopo la dovuta penitenza, dovevano essere riammessi in comunione semplicemente implorando i confessori e coloro che erano stati condannati ai lavori forzati nelle miniere. Per analogia, si scopre che Luciano perdonava in nome dei confessori, che erano ancora vivi, un manifesto abuso. Lo stesso Mappalico era intervenuto soltanto in favore di sua sorella e di sua madre. Sembrava, quindi, che i Lapsi non dovessero fare atto di penitenza e Cipriano si lamentò di questo.

Nel frattempo, insieme ad una lettera, non firmata, indirizzata al clero di Cartagine, che accusava Cipriano di aver abbandonato il suo gregge e che dava indicazioni su come comportarsi nei confronti dei lapsi, erano giunte da Roma notizie ufficiali della morte di papa Fabiano. Cipriano spiegò il suo comportamento (Ep. XX) ed inviò a Roma copia delle 13 lettere che aveva scritto dal suo nascondiglio. I cinque presbiteri che gli si opponevano, tuttavia, stavano riammettendo in comunione tutti coloro che avevano avuto raccomandazioni dai confessori, ed i confessori stessi avevano istituito un'indulgenza generale, in base alla quale i vescovi dovevano riammettere in comunione tutti quelli che avevano esaminato. Ciò era un oltraggio alla disciplina, tuttavia Cipriano era incline a dare un certo valore alle indulgenze così impropriamente concesse, ma tutto doveva essere fatto in sottomissione al vescovo.

Propose che i libellatici potessero essere riammessi, se in pericolo di morte, da un presbitero o da un diacono, ma gli altri avrebbero dovuto attendere la fine della persecuzione, quando si sarebbero potuti convocare dei concili a Roma ed a Cartagine per prendere una decisione comune. Un certo riguardo doveva essere mostrato per i privilegi dei confessori, tuttavia i lapsi non si sarebbero dovuti trovare in una posizione migliore rispetto a coloro che avevano resistito ed erano stati torturati, spogliati dei loro beni, o esiliati. I colpevoli, in seguito, furono terrorizzati dai prodigi che si verificarono: un uomo divenne muto di fronte allo stesso Capitolo in cui aveva negato Cristo; un altro divenne pazzo nei bagni pubblici e si mangiò la lingua che aveva assaggiato il sacrificio pagano; alla presenza di Cipriano stesso, un bambino che era stato portato dalla nutrice all'altare pagano e quindi alla Celebrazione eucaristica officiata dal vescovo, vomitò l'ostia che aveva ricevuto nel calice; ad un altro, all'apertura del ricettacolo in cui, abitualmente, veniva conservato il Sacramento benedetto per la Comunione, venne impedito il sacrilego contatto da un fuoco che vi si sprigionò.

Verso settembre, tramite due lettere scritte dal famoso Novaziano a nome dei suoi colleghi, Cipriano ricevette la promessa di aiuto da parte dei presbiteri romani. All'inizio del 251 la persecuzione calò d'intensita. I confessori furono liberati e si poté riunire un concilio a Cartagine. A causa, però, delle trame di alcuni presbiteri, Cipriano non fu in grado di lasciare il suo rifugio fino a dopo Pasqua (il 23 marzo). Tuttavia, scrisse una lettera al suo gregge per denunciare il più perfido dei cinque presbiteri, Novato, ed il suo diacono Felicissimo (Ep. XLIII). L'argomento della lettera venne sviluppato più approfonditamente nel trattato De Ecclesiae Catholicae Unitate che Cipriano scrisse in questo periodo.

Questo celebre pamphlet venne letto dal suo autore di fronte al concilio che si tenne in aprile, quello in cui poté ottenere il supporto dei vescovi contro lo scisma originato da Felicissimo e da Novato, che avevano un grande seguito. L'unità di cui san Cipriano si stava occupando non era tanto l'unità dell'intera chiesa, la necessità della quale comunque postulava, quanto l'unità da mantenere all'interno di ogni diocesi tramite l'unione con il vescovo; l'unità della chiesa, infatti, era garantita dall'unione dei vescovi che "sono incollati l'uno all'altro", quindi chiunque non è con il suo vescovo è fuori dalla chiesa e non può essere unito a Cristo; il prototipo del vescovo è San Pietro, il primo vescovo.

L'unità della Chiesa

Heiliger Cyprianus.jpg

Intorno al periodo dell'apertura del concilio (251), giunsero da Roma due lettere. Una di queste, che annunciava l'elezione di un nuovo papa, san Cornelio, fu letta da Cipriano all'assemblea; l'altra, che conteneva tali violente ed improbabili accuse contro il nuovo papa, fu passata sotto silenzio. Tuttavia, furono inviati a Roma due vescovi, Caldonio e Fortunato, affinché acquisissero ulteriori informazioni. Il concilio, prima di proseguire, avrebbe atteso il loro ritorno, tale era l'importanza di un'elezione papale. Nel frattempo, giunse un altro messaggio con la notizia che Novaziano, il più eminente fra il clero romano, era stato eletto papa. Fortunatamente tornarono da Roma due presbiteri africani, Pompeo e Stefano, che erano stati presenti all'elezione di Cornelio e che poterono testimoniare che tale elezione era stata regolare. Fu così possibile rispondere alle pretese degli inviati di Novaziano. Fu anche inviata a Roma una breve lettera in cui veniva esposta la discussione che si era svolta nel concilio. Poco dopo, insieme al rapporto di Caldonio e Fortunato, giunse una lettera da parte di papa Cornelio in cui questi si lamentava del ritardo nel suo riconoscimento. Cipriano scrisse a Cornelio spiegando il suo comportamento prudente ed aggiunse anche un'altra lettera ai confessori che erano i principali sostenitori dell'antipapa, lasciando a Cornelio la decisione sul suo utilizzo. Inviò, inoltre, copia dei suoi due trattati, De Unitate e De Lapsis (composto subito dopo l'altro), con l'auspicio che i confessori le leggessero e capissero le implicazioni di uno scisma. È proprio in questa copia del De Unitate che Cipriano probabilmente aggiunse una versione alternativa del quarto capitolo.

[modifica] Il novazianismo

Le rimostranze del santo ebbero il loro effetto ed i confessori si schierarono dalla parte di Cornelio. Ma, per due o tre mesi, la confusione all'interno della chiesa cattolica fu terribile. Nessun altro evento in questi primi tempi dimostra così chiaramente l'enorme importanza del papato sia ad oriente che ad occidente. San Dionisio di Alessandria unì la sua grande influenza a quella del primate cartaginese che presto poté scrivere che Antiochia, Cesarea e Gerusalemme, Tiro e Laodicea, tutta la Cilicia e la Cappadocia, la Siria e l'Arabia, la Mesopotamia, il Ponto e la Bitinia, erano di nuovo in comunione con il loro vescovo ed erano tutte in concordia (Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiastica, VII, v). Da questo si comprende la vastità del problema. Cipriano affermava che Novaziano "assunse il primato" (Ep. LXIX, 8) ed inviò i suoi nuovi apostoli in molte città; e dove c'erano vescovi ortodossi, provati dalla persecuzione, osò crearne di nuovi affinché li sostituissero (Ep. LV, 24). Tale era il potere di un antipapa del III secolo.

Bisogna ricordare che all'inizio dello scisma non fu sollevata alcuna questione di eresia e che Novaziano, dopo essersi proclamato papa, enunciò solamente il suo rifiuto di perdono per i lapsi. I motivi per cui Cipriano sosteneva Cornelio furono dettagliatamente spiegati nell'Epistola LV, indirizzata ad un vescovo che, inizialmente, propendeva per le argomentazioni di Cipriano, che lo aveva incaricato di informare Cornelio che "ora era in comunione con lui, e quindi con la chiesa cattolica", ma in seguito aveva cambiato idea. Evidentemente è implicito che se non fosse stato in comunione con Cornelio sarebbe stato fuori della chiesa cattolica. Scrivendo al papa, Cipriano si scusava del suo ritardo nel riconoscimento; ma aveva almeno sollecitato tutti coloro che si recavano a Roma di assicurarsi che riconoscessero la radice della chiesa cattolica (Ep. XLVIII, 3). Cipriano continuava dicendo che aveva atteso un rapporto formale dei vescovi che aveva inviato a Roma, prima di far prendere una decisione a tutti i vescovi d'Africa, Numidia e Mauretania, affinché, quando sarebbero stati dissipati i dubbi, tutti "avrebbero potuto approvare saldamente ed essere in comunione" con lui.

Per uno strano caso, il principale sostenitore del rigorista Novaziano era il presbitero Novato che, a Cartagine, stava riconciliando indiscriminatamente i lapsi senza la dovuta penitenza. La sua adesione al partito rigorista ebbe il curioso risultato di indebolire l'opposizione a Cipriano a Cartagine. È vero che Felicissimo si difese per un certo periodo; ottenne persino che cinque vescovi, scomunicati e deposti, consacrassero un certo Fortunato in opposizione a san Cipriano, per non essere emarginati dalla fazione di Novaziano, che aveva già insediato un suo vescovo a Cartagine. Costoro fecero persino appello a san Cornelio e Cipriano dovette scrivere al papa un lungo rapporto sugli eventi che stavano montando, ridicolizzando la loro presunzione. Questa ambasciata fu, naturalmente, infruttuosa ed il partito di Fortunato e di Felicissimo sembrò dissolversi.