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Giovanni Crisostomo

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San Giovanni Crisostomo

Giovanni Crisostomo, bassorilievo bizantino del XI secolo, Musée du Louvre di Parigi.
 

Vescovo e dottore della Chiesa

 
Nascita Antiochia, 344/354
Morte Comana Pontica, 14 settembre 407
Venerato da Chiesa cattolica, Chiesa ortodossa, Chiesa copta
Ricorrenza 13 settembre
Attributi Api, bastone pastorale

Giovanni Crisostomo, o Giovanni d'Antiochia (Antiochia, 344/354Comana Pontica, 14 settembre 407), è stato il secondo Patriarca di Costantinopoli, commemorato come santo dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa, venerato dalla Chiesa copta; è uno dei 33 Dottori della Chiesa.

La sua eloquenza è all'origine del suo epiteto Crisostomo (in greco antico χρυσόστομος / khrysóstomos, letteralmente «Bocca d'oro»). Il suo zelo e il suo rigore furono causa di forti opposizioni alla sua persona. Scrisse delle omelie antigiudaiche utilizzate nei secoli come pretesto per le discriminazioni e persecuzioni contro gli ebrei. Dovette subire un esilio e durante un trasferimento morì.



Biografia

Giovanni Crisostomo e Gregorio Nazianzeno, icona russa del XVIII secolo.

Nacque ad Antiochia, da una famiglia cristiana benestante nel 347. In quel tempo la città era la terza per importanza nella parte orientale dell'Impero dopo Costantinopoli (che però all'epoca aveva poche decine di migliaia di abitanti) e Alessandria. Durante tutto il IV secolo profondi contrasti si erano verificati in Oriente, ed anche ad Antiochia, tra pagani, manichei, ariani, gnostici apollinari, ebrei; gli stessi cristiani erano divisi tra due vescovi rivali: Melezio e Paolino.

Anche in giovinezza, Giovanni visse in tale clima di contrasti. Suo padre, Secondo, era un alto ufficiale dell'esercito siriano, e morì quando Giovanni era ancora in tenera età; la madre Antusa, di soli 22 anni, affrontò, da sola, il difficile compito di allevare lui e la sorella maggiore. Fu allievo del celebre oratore e maestro Libanio, che ebbe a dire di questo suo discepolo: «Sarebbe stato uno dei miei migliori allievi se la Chiesa non me lo avesse rubato». Secondo quanto Giovanni racconta di sé nei suoi scritti, in giovane età fu molto irrequieto e, secondo la sua stessa definizione, «incatenato alle passioni del mondo» (De Sacerdotio, I, 3). Egli fu gastronomo, amante dell'eloquenza giudiziaria e del teatro.

A 18 anni incontrò il vescovo Melezio e chiese di essere battezzato. Incominciò allora a seguire dei corsi di esegesi presso Diodoro di Tarso, la cui scuola era famosa per l'interpretazione letterale delle Sacre scritture, in contrapposizione con la scuola alessandrina, che invece privilegiava una lettura anche allegorica. Terminati gli studi Giovanni ricevette gli ordini minori e si ritirò in un eremitaggio dove si dedicò allo studio della teologia. Compose un trattato, De Sacerdotio, molto influenzato da Gregorio Nazianzeno. Egli riteneva che il monachesimo non era la sola via per raggiungere la perfezione; la vita sacerdotale al servizio dei credenti e in mezzo alle mille tentazioni del mondo era per lui il miglior modo di servire Dio.

Nell'inverno 380381, venne ordinato diacono da Melezio ad Antiochia. Qualche anno più tardi fu ordinato sacerdote, diventando predicatore. Crebbe la sua fama tanto che i fedeli cominciarono a prendere note durante le sue omelie.

Proseguì anche la sua attività letteraria che toccava vari temi: come consolare una vedova, sul risposarsi, sull'educazione, sulla coabitazione di monaci e monache, ecc.

Nel 397 Nectario, arcivescovo di Costantinopoli, morì. Dopo un'aspra battaglia per la successione, l'imperatore bizantino Arcadio scelse Giovanni, dietro suggerimento del potente eunuco Eutropio. Egli dirigerà con grande forza e rigore la Chiesa affidatagli, scagliandosi contro la corruzione e la licenziosità dei potenti (ad eccezione del suo protettore Eutropio, che non riuscì a salvare dalla morte nel 399), facendosi molti nemici a corte. Fa destituire molti presbiteri indegni: sotto queste misure cadde anche il vescovo di Efeso. Fa rientrare nei monasteri i monaci che erravano vagabondi.

Combatte con rigore le eresie. In un'omelia detta delle statue così si esprime: "i giudei e i pagani devono comprendere che i cristiani sono i salvatori, i protettori, i capi e i maestri della città" (I,12). Si impone con autorità sulle diocesi a lui sottomesse dell'Asia minore. Molto schivo, prendeva i pasti da solo e impose un modo di vita molto frugale a tutta la curia.

All'inizio, nonostante le forti invidie e gli odi che rapidamente si attira nella nobiltà e tra i vescovi, viene sostenuto dalla corte imperiale. Durante la traslazione della reliquia di san Foca l'Ortolano è la stessa imperatrice Eudoxia a trasportarla attraverso la città. Queste buone relazioni con la corte non gli impediscono di rimproverare la stessa imperatrice di essersi accaparrata gli averi appartenuti a una vedova. Questi rimproveri incrinarono molto i rapporti tra corte e arcivescovo.

Nel 402 molti nemici di Giovanni si rivolgono al patriarca di Alessandria d'Egitto Teofilo di Alessandria, la cui Chiesa si trovava in contrasto con quella di Costantinopoli. Chiamato Teofilo a Costantinopoli per giustificarsi di varie accuse che gli venivano mosse, si presenta con una schiera di vescovi alessandrini e mette in minoranza Giovanni, che viene deposto ed esiliato dall'imperatore. Ma avendo l'imperatrice abortito in concomitanza con l'esilio di Giovanni, ella lo fa richiamare. Ciononostante i suoi nemici non cessano di tramare contro di lui e il 9 giugno del 404 viene definitivamente allontanato da Costantinopoli. Per tre anni è confinato a Cucusa, tra le montagne dell'Armenia, dove svolge un'intensa attività. Nel 407 gli viene intimato un nuovo trasferimento a Pitiunte, sul Mar Nero. Giovanni muore il 14 settembre del 407 a Comana, nel Ponto, durante il viaggio di trasferimento. Secondo la tradizione, le sue ultime parole furono:

(EL)
« doxa to Theo pantôn eneke »
(IT)
« gloria a Dio in tutte le cose »

Nel 438, Teodosio II fa riportare le spoglie a Costantinopoli, dove viene sepolto nella Chiesa dei Santi Apostoli.

Trasportate a Roma, sono collocate nella Basilica Vaticana, dove sono tuttora conservate. Secondo una tradizione, non confermata da fonti, le reliquie di san Giovanni sarebbero giunte a Roma all'epoca della quarta crociata, dopo il sacco di Costantinopoli del 1204.

Nel novembre 2004 papa Giovanni Paolo II ha fatto dono al patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I di una parte delle reliquie di san Giovanni Crisostomo venerate in Vaticano.

L'opera

Il monastero dedicato a San Giovanni Crisostomo, Mosca (1882).

Giovanni si adoperò nell'intento di moralizzare il clero di Costantinopoli colpito dalle critiche per il lusso e lo stile di vita. I suoi sforzi cozzarono contro una forte resistenza e quindi furono limitati e provvisori. Era un eccellente predicatore e come teologo ebbe notevole stima nella cristianità dell'oriente. Contrariamente al costume diffuso dell'epoca, di parlare per allegorie, adottò uno stile diretto utilizzando i passi biblici come lezioni e ammaestramento nella vita di tutti i giorni.

La sua messa al bando fu una dimostrazione sia della supremazia del potere secolare sia della rivalità tra Costantinopoli ed Alessandria nella lotta per la preminenza nella chiesa d'oriente dell'epoca. La rivalità suddetta creò grossi problemi religiosi e politici all'impero e fu una delle cause della perdita dell'Egitto. Al contrario, in occidente la superiorità spirituale di Roma diventò un fatto indiscusso a partire dal V sec. ma, al tempo, la chiesa occidentale e il papato erano ben poca cosa rispetto alla cristianità d'oriente. Ciò era dovuto essenzialmente ai disordini e agli eventi bellici che avevano fatto dell'occidente un terra economicamente povera, spopolata e in grave crisi. Un esempio dello scarso peso della chiesa occidentale è dato dal fatto che le proteste di papa Innocenzo vennero tranquillamente ignorate.

Gli scritti

La produzione scritta di Giovanni Crisostomo è copiosissima: comprende alcuni trattati e diverse centinaia di omelie dedicate in gran parte all'esegesi delle Scritture. Alcuni di questi trattati sono: "Contro coloro che si oppongono alla vita monastica", "Sul sacerdozio", "Istruzioni per i Catecumeni" Fra le omelie esegetiche superstiti sessantasette sono dedicate alla Genesi, quarantanove ai Salmi, novanta al Vangelo di Matteo, ottantotto al Vangelo di Giovanni e cinquantacinque agli Atti degli Apostoli. Fra i discorsi non esegetici vi sono cinque omelie "Sull'incomprensibilità della Natura Divina", otto "Contro i Giudei", ventuno "Omelie per le Statue". È considerato il maggior oratore cristiano dei primi secoli, come ricorda il suo soprannome (crisostomo=bocca d'oro).

[modifica] Le Omelie contro i Giudei

Nei primi due anni dopo la sua ordinazione sacerdotale Crisostomo scrisse anche otto omelie sui giudei e i "giudaizzanti" dal titolo Contro i Giudei. [1] Dato che la seconda omelia è circa un terzo delle altre gli studiosi hanno sospettato che l'unico manoscritto a noi pervenuto fosse incompleto. Infatti nel 1999 Wendy Pradels scoprì a Lesbo un manoscritto con il testo completo.

Queste omelie di Crisostomo sono considerate da alcuni studiosi «la più orribile e violenta denuncia del giudaismo negli scritti di un teologo cristiano», [2]. La loro notorietà è legata al fatto che furono prese ,pretestuosamente, dai nazisti in Germania nel tentativo di legittimare l’Olocausto e utilizzate in generale dagli antisemiti per giustificare la persecuzione degli ebrei, [3] così come diffusero l’opinione che gli ebrei fossero collettivamente responsabili della morte di Gesù, [4] mettendo a rischio di pogrom le minoritarie comunità ebraiche che vivevano nelle città cristiane. [5]

Secondo Rodney Stark [6] l'intento di Crisostomo è di separare nettamente cristianesimo e giudaismo mettendo i cristiani giudaizzanti di fronte alla necessità di una scelta radicale.

Nelle otto omelie, quindi, Crisostomo cerca di dimostrare di quali nefandezze fossero colpevoli i giudei, secondo il tipico metodo della polemica anti-giudaica e anti-ereticale, consistente nella diffamazione dell’avversario. Per esempio, Crisostomo sostiene che le sinagoghe sono «postriboli, caverne di ladri e tane di animali rapaci e sanguinari», i giudei sono infatti «animali che non servono per lavorare ma solo per il macello», [7] anzi sono animali feroci: «mentre infatti le bestie danno la vita per salvare i loro piccoli, i giudei li massacrano con le proprie mani per onorare i demoni, nostri nemici, e ogni loro gesto traduce la loro bestialità». [8] e i cristiani non devono avere «niente a che fare con quegli abominevoli giudei, gente rapace, bugiarda, ladra e omicida» [9]