00 19/04/2011 10:03

Rom. 10:13

Iniziarne leggendo dalla lettera di Paolo ai Romani, capitolo 10 versetto 13:

"Infatti chiunque avrà invocato il nome del Signore (Kyrìos) sarà salvalo"(N.R.)

Questa è una citazione che l'apostolo Paolo, nella guida dello Spirito Santo, applica a Cristo, sebbene nell'Antico testamento si riferisse a Yahweh. Il nome del Signore (Kyrios^ qui è inteso per il nome di Gesù. Ciò è evidente se leggiamo il versetto alla luce del contesto.

Infatti, al versetto 9 dello stesso capitolo leggiamo:

"se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore (Kyrios) " (N.R.)

E ancora al versetto 11, sempre dello stesso capitolo: "Chiunque crede m lui (Cristo) non sarà deluso " (N.R.)

Quindi, il Kyrios del versetto 13 è lo stesso Kynos dei versetti 9 e 11, cioè Cristo Gesù.

D'altronde, sempre Paolo dice che v'è un solo Kyrios: Gesù Cristo (Cfr. I Corinzi 8:6). Se Gesù è l'unico Kyrios, ciò significa che il Kyrios di Romani 10:13 non può che essere Gesù. Pertanto, è Lui che bisogna invocare. (2)

1. Atti 9:14

"E qui ha autorità dai capi sacerdoti di mettere, in legami tutti quelli che invocano il tuo nome"

2. Atti 9:21

"Non è costui l'uomo che faceva strage di quelli che a Gerusalemme invocano questo nome? "

Insomma, Saulo da Tarso era il persecutore di quelli che INVOCANO (in greco "epikalouménous^ il nome di Cristo!

3. Atti 22:16

"E ora perché indugi? Alzati, battezzali e lava i tuoi peccati invocando il suo nome"

4. I Corinzi 1:2

"Alla congregazione di Dio che è a Corinto, a voi che siete stati santificati unitamente a Cristo Gesù, chiamati ad essere santi, insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del nostro Signore Gesù Cristo"

ATTI 7:59

E tiravano pietre a Stefano mentre faceva appello e diceva: Signore Gesù ricevi il mio spinto "

"E lapidarono Stefano che invocava Gesù e diceva: Signore Gesù accogli il mio spirito " (N.R.)

In questo versetto vi è una chiara testimonianza biblica di preghiera rivolta da Stefano, il primo martire, a Gesù Cristo. Però, questo versetto contrasterebbe, come abbiamo visto a pagina 2, con quanto la società W.T. ha scritto su "La verità che conduce alla vita eterna', e così hanno pensato di eliminare la testimonianza biblica che Gesù sia stato pregato, traducendo "epikalùmenon^ con "tare appello".

Ma, "fare appello" non e "pregare", è tutt’altra cosa. Il CD toglie volutamente il termine "invocare", che esprime l'idea di preghiera, e lo sostituisce con un vago ed indecifrabile "fare appello", che non c'entra assolutamente nulla con la situazione vissuta in quel momento da Stefano. E questo lo sa anche il CD, tanto da correre ai ripari; e, come sempre, l'ha fatto pian piano con aggiunte graduali nelle pubblicazioni. La "tecnica" e sempre la stessa: fare scivolare i testi verso soluzioni atte a persuadere i lettori che le parole utilizzate nel "tradurre" sarebbero equivalenti a quelle accuratamente evitate (ma che, invece, avrebbero dovuto usare).

Perciò, nella loro traduzione Interlineare greco-inglese (del 1969 e del 1985) hanno posto "calling upon" (mentre pregava, invocava) sotto al greco "epikalùmenon^ (mentre pregava, invocava); mentre nella colonna a fianco hanno posto "as he made appeal" (mentre faceva appello); ma c'è di più nella seconda edizione dell'Interlinear (1985) alla traduzione "appeal" hanno posto una nota in calce che dice: "Or invocation; prayer" (o invocazione; preghiera). La stessa nota, già presente nell'edizione inglese della T.N.M. del 1950, è stata poi riportata in quella italiana del 1987.

Notate che non solo confinano in nota quanto darebbe loro fastidio nel testo sacro; ma inventano che "fare appello" sia lo stesso che "fare preghiera, invocazione". Ma questo non è vero. Non esiste - nel parlare comune di tutti - tale insistita equiparazione; la quale, inoltre, posta in una piccola nota sfugge a chi ha l'occhio poco attento, ma rimane sempre pronta e disponibile al CD come utile scappatoia per "alzare polvere" di fronte ai tdG che tentassero di vedere chiaro.

Posto con le spalle al muro il CD tenta di trovare una "scappato! a", e la trova in Atti 25:11, dove lo stesso termine greco è tradotto da molte versioni proprio con "faceva appello", per cui, conclude sempre il CD, non c'è nulla di sbagliato nel tradurre allo stesso modo Atti 7:59.

Questa "scappatoia", però, si dimostra quanto mai inadeguata ed infondata, per almeno due motivi di fondo:

1. Da un punto di vista filologico;

2. Da un punto di vista contestuale.

L'ASPÈTTO FILOLOGICO

Abbiamo visto che il termine greco in questione è "epikalùmenon^ forma verbale di "Epikaléo"', ma qual è il suo reale significato? Un autorevole dizionario dice:(3)

"(epikaléo) ha normalmente il significalo di apostrofare, invocare e precisamente: a) l'adorazione, l'invocazione religiosa della divinità; b) in senso giuridico, richiamarsi a, fare appello "

Quale dei due significati bisogna dare alla "epikaléo" di Stefano descritta in Atti 7:59? Certamente non gli si può dare il senso giuridico. Quindi, gli si deve dare il primo significato, cioè quello di "adorazione, invocazione religiosa della divinità".

Lo stesso dizionario dopo una analisi della voce verbale "kaleo", dice:(4)

"Se prescindiamo dai casi in cui esso può significare, come kaléo, nominare o essere nominato (At 4,36; i 2, i 2) e da At 25-28 (unico caso in tutta la bibbia) in cui indica per 6 volte l'appello giuridico interposto da Paolo al tribunale imperiale, il verbo viene spesso usato per esprimere ^invocazione di dìo o del suo nome (per es. At 7,59; 9,14; Rm I0,12ss; 1 Cor 1,2) "

Quindi, l'invocazione di Stefano è da intendersi come preghiera, e non semplicemente un "fare appello". Anche nella Versione dei LXX, "epìkaléo" ha spesso lo stesso significato, in quanto esso traduce anche il termine ebraico "'beshem":

1. I Cronache 4:10 "epikalém fon Theòn Isarel", Invocò il Dio d'Israele;

2. Genesi 13:4 "epikaléin to ònoma Kirìou", Invocò il nome dd Signore (la T.N.M. ha '"invocò il nome di Geova).

Altri versetti in cui la versione dei LXX usa 'Epikaléo" con riferimento a Yahwéh, sono: I Rè 18:24; Isaia 64:7; Geremia 10:25 e altri. La conclusione è che in Atti 7:59 Stefano sta "invocando, pregando" Gesù Cristo.

il CONTESTO

II CD insiste molto sul contesto per una esatta traduzione, ma qui, come molte altre volte, non ne tiene conto, rifugiandosi, in Atti 25:11 dove contestualmente la situazione è diversa da quella descritta in Atti 7:59, e dove il verbo "epikaléo'\ ha giustamente il significato di "fare appello". Ignora, invece (forse volutamente), tutti gli altri versetti in cui "epikaléo" ha proprio il significato di "invocare, pregare" (Cfr. Atti 9:14; Romani 10:12, 13, 14; I Corinzi 1:2). Questi sono i versetti con cui va letto Atti 7:59.

La situazione in cui si trova l'apostolo Paolo è completamente diversa da quella in cui si trova Stefano. Paolo si trova in un tribunale, ed è ovvio che nel difendersi si "appella" a Cesare (Cfr. Atti 25:11). Mentre Stefano sta per essere lapidato, è in punto di morte. Egli aveva visto la gloria di Dio e Gesù che stava alla Sua destra (Cfr. Atti 7:55, 56), e "invoca e prega" Gesù (Atti 7:59). Certamente, nessuno pensa che in punto di morte Stefano facesse semplicemente appello.

Nel caso di Paolo si tratta di una situazione giuridica, mentre nel caso di Stefano si tratta di una situazione religiosa. Com'è possibile chiudere gli occhi dinanzi alle evidenze più evidenti?

D'altronde siamo convinti che il CD conosce bene i fatti, ma tenta di nasconderli ai propri adepti. La prova di ciò ce l'abbiamo nei loro stessi scritti, nel fatto che la traduzione letterale inglese che danno a "epikaléo" nei loro Interlinear non è "as he made appeal" (mentre faceva appello), ma "calling upon" (mentre pregava, invocava).

Quindi, la stessa W.T. ammette implicitamente che la propria traduzione della Bibbia (T.N.M.) non è una traduzione letterale del testo originale, cadendo così in una clamorosa contraddizione con quanto ha fatto scrivere nel libro "Tutta la Scrittura è ispirata da Dio" che diceva:

32 Una traduzione letterale. Anche la natura letterale di una traduzione è indice della sua fedeltà. Ciò richiede una corrispondenza quasi, parola per parola fra la traduzione e i testi ebraico e greco. La traduzione dovrebbe quindi essere quanto più letterale è possibile, nella misura in cui il modo di esprimersi della lingua originale lo permette. Inoltre, perché la traduzione sia letterale l'ordine delle parole deve rimanere in gran parte com'è in ebraico o in greco, conservando così l'enfasi degli scritti originali. Ì..3 traduzione letterale consente di trasmettere accuratamente il sapore, il colore e il ritmo degli scritti originali

(Tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile", pubblicato dalla Watch Tower, edizione 1991,pag. 326)

Se è vero che il contesto di una frase ci illumina sul significato di una o più parole che la compongono, è altrettanto vero che il significato di una frase dipende in molti casi dal modo in cui si traduce una parola. Ora, una cosa è la traduzione, un'altra cosa è l'interpretazione. L'interpretazione del versetto può variare (vedi per es. Mattco 16:18), ma la traduzione deve essere fedele al testo originale; si, deve essere letterale, proprio come dice la W.T., ma che purtroppo poi non fa.