00 25/03/2010 22:00

PERCHE’ CREDO

RISPOSTA A CHI NON CREDE

GIUSEPPE TOMASELLI

INTRODUZIONE

Da qualche ora era calata la sera. Mi avviai verso l'abitazione del medico con­dotto, nella speranza di passarvi la serata in onesta conversazione. Con mia sor­presa, trovai in casa dell'amico un grup­petto d'intellettuali: un laureato in sto­ria e filosofia, un ragioniere e due inse­gnanti elementari.

La mia comparsa fu salutata con un « oh! » prolungato.

- Scusino, signori; sono forse di di­sturbo?

- No, professore! La sua venuta, dis­se uno, mi fa piacere, in quanto ci sia­mo visti tante volte, salutati sempre alla sfuggita, ma giammai abbiamo avuto il bene di fare una chiacchierata!

- E già, soggiunse il ragioniere; il professore s'intrattiene più volentieri con i frati e con il parroco; pare che sfugga le altre compagnie. Non è prete, ma vive da tale.

- Peccato essere un credente! - e­sclamò il professore di filosofia. Io non capisco come un intellettuale possa essere religioso e accomunarsi con le donnic­ciuole del volgo. Quell'andare a Messa e mettersi a pregare come fanno i sempli­cioni, non mi pare cosa degna di un pro­fessore. Lei, dottore, non è del mio pa­rere?

Il medico condotto rispose: Quantun­que il professore sia un mio intimo ami­co, non posso perdonargli la sua religio­sità! Lui ha la sua credenza ed io la mia. Lui pensa all'anima, ma io non credo che esista l'anima; da tanti anni eser­cito la professione di medico-chirurgo e giammai mi è capitato di vedere un'ani­ma nel corpo dei clienti! -

Con calma io presi la parola: - Cari amici, dunque io sarei un illuso, perché sono credente, e merito di essere compa­tito. Io invece compatisco loro, perché hanno voluto giudicare il problema reli­gioso senza averlo mai approfondito. Io sono un credente e un praticante; la mia religiosità non è frutto d'incoscienza, ma il risultato di molto studio e di serie ri­flessioni. Non rispondo subito ai puerili appunti fattimi; mi riservo di fare ciò a tempo opportuno con la pubblicazione di un lavoro intitolato « Perché credo! ». Si vedrà allora se sono io l'ignorante e l'illuso, o se è microcefalo l'intellettuale irreligioso.

 

ALLA LUCE DEL CREATO

Al telescopio.

Mirare gli astri al telescopio è una vera soddisfazione intellettuale.

Una sera, verso le undici, in piena esta­te, ebbi l'opportunità di trovarmi in un Osservatorio Astronomico, che possiede uno dei migliori telescopi d'Italia.

Professore - mi disse il Direttore del­l'Osservatorio - guardi bene la luna. La serata è propizia.

Contemplai l'astro con calma, doman­dando spiegazione di certi particolari. In­dugiando a guardare, era necessario spo­stare il telescopio, poichè, continuando la nostra terra il suo movimento di rota­zione, la Luna usciva dal cerchio di osser­vazione.

- Guardi adesso il pianeta Giove. Ad occhio nudo questo astro pare un punto luminoso; al telescopio si vede qua­si quanto la luna, mirata senza lente d'in­grandimento.

- Dica, Direttore, quale grandezza ha il pianeta Giove?

- È grande circa 1300 volte più del nostro globo terrestre. Osservi bene! Vi­cino al pianeta ci sono quattro lune, che gli girano attorno.

- È proprio vero! Però ne scorgo soltanto tre.

- La quarta luna è dietro al pianeta; passando davanti, proietterà l'ombra su Giove e si potrà scorgere.

- Ognuna di queste lune quanto sarà? - Almeno quanto la nostra terra.

- Vorrei vedere altri pianeti.

- È necessario aspettarne il passag­gio. Vale la pena osservare Saturno con il meraviglioso cerchio luminoso. Se vuo­le osservare il sole, ritorni domani prima di mezzogiorno.

Il sole al telescopio! Quale meraviglia! Come si resta piccoli davanti al gigante del cielo! Il sole è un milione e settecen­to mila volte più grande del nostro mon­do. Quale immensità di fiamme si spri­giona da questo ammasso incandescente!

Qua e là si scorgono delle macchie. Sono estesissime caverne; qualcuna ha il diametro di circa duecento mila chilome­tri. E le protuberanze? Variano di con­tinuo e qualcuna raggiunge la lunghezza di circa un milione di chilometri.

- Dica, Direttore; lei che contempla sovente il cielo al telescopio, che cosa ne pensa?

- Penso al Creatore di tante meravi­glie; penso a Dio!

- Dunque lei è un credente come me? - Bisognerebbe essere pazzi per non ammettere un Essere Supremo che abbia creato l'universo e che regga il movimen­to matematico degli astri!

- Eppure, un ragioniere ed un mae­stro delle elementari del mio paese mi hanno giudicato un minorato, perché cre­do in Dio!

- Risponda loro che imparino a leg­gere non soltanto sui pochi libri, che for­se appena hanno sfiorato per carpire un diploma, ma che imparino a leggere il ma­gnifico libro del creato!

Sulla terrazzina di casa mia, guardan­do il cielo stellato, cominciai una sera a meditare: Io, povero mortale, sono qui. In que­sto istante la Terra gira velocemente ne­gli sterminati spazi del firmamento ed io giro con essa attorno al sole. La luna è lì che risplende; essa pure danza attorno al sole ed attorno alla terra.

Ecco là, uno... due... tre pianeti che si muovono anch'essi nell'orbita del siste­ma solare. E quelle stelle? Sembrano dei punti luminosi. Eppure sono astri come il sole, forse più grandi ancora. La luce percorre trecento mila chilometri al mi­nuto secondo. La luce della stella più vi­cina alla terra impiega quattro anni per giungere a noi; la luce della stella polare circa trenta anni; la luce di altre stelle impiega centinaia e migliaia d'anni.

Quali distanze sbalorditive! E le stelle quante saranno? E chi potrà mai enu­merarle? Soltanto nella Via Lattea, dal nostro emisfero, sono visibili circa due miliardi di stelle. E che cosa è il Sole con tutti i suoi pianeti? È un semplice pun­to luminoso dell'immensa Via Lattea.

Ogni stella ha la sua luce, la sua gran­dezza, ha assegnato il movimento che de­ve fare; tutto è ordinato nel firmamento, per cui l'astronomo può sapere in ante­cedenza con calcoli matematici l'ora ed il minuto dell'eclissi o il passaggio di cer­te comete. Tutti questi astri che brillano nel firmamento, sono eterni? No! È eter­no ciò che resta immutabile nelle sue per­fezioni. Gli astri si vanno consumando e perdono luce e calore; non possono es­sere eterni.

Ma dunque gli astri si sono fatti da se stessi? Neppure! Se prima non esisteva­no e non avevano alcuna potenza, cioè erano nulla, come potevano darsi l'esisten­za? Può forse lo zero diventare unità? Non mi resta che concludere: L'universo è stato certamente fatto da qualcuno. E poiché gli astri sono un numero stermi­nato e di dimensioni sbalorditive, io penso che Colui il quale ha fatto questi esseri, deve possedere in grado sommo la poten­za, l'intelligenza, la grandezza. Io non ve­do questo Creatore; gli occhi del mio corpo mi fanno vedere soltanto le sue opere meravigliose; ma la mia intelligenza, limitata come è, comprende che vi deve essere un Creatore.

Non ho visto Dante Alighieri; ma stu­diando la Divina Commedia, io vedo il Sommo Poeta...

E chi avrebbe potuto creare un uni­verso così grande e così bene organiz­zato? - La natura! - direbbe qualche idiota. Ma, o la natura è una parola astrat­ta, cioè per così dire, un essere che non esiste e non ragiona... ed allora è da paz­zi l'ammettere che, chi non esiste e non ragiona, possa creare e regolare l'univer­so; oppure si vuole ammettere che la na­tura è un essere intelligente e potente. In questo caso natura significa Dio, Crea­tore Supremo.

Dunque, mi convinco che c'è un Dio. E non sono il solo a credere ciò; con me ci sono i grandi astronomi, Keplero e Co­pernico.

A proposito di quanto ho detto, mi vengono in mente i versi del professor Alfredo Mazzei, mio caro amico: Iddio io vedo, il sommo Creatore Di tutti gli universi. O grande Dio, Onnipotente Dio ed infinito, Dinanzi a Te si prostra il cosmo intero.

 

Leggi chimiche.

L'ossigeno è un elemento assai attivo, che si combina facilmente con molti altri corpi; la sua unione è accompagnata da sviluppo di luce e di calore.

L'idrogeno è un altro elemento che brucia nell'aria con fiamma caldissima. Mi trovo in un gabinetto di chimica. Servendomi dell'apposito apparecchio, la­scio passare la corrente elettrica tra l'os­sigeno e l'idrogeno ed ecco avvenuta la combinazione chimica; non c'è più né il primo né il secondo elemento, ma appare il composto cioè l'acqua. Questa combi­nazione si compie sempre nelle stesse proporzioni: due parti di idrogeno e una di ossigeno.

Così avvengono le combinazioni chimi­che di tutti gli altri elementi, cioè sem­pre nelle medesime e rispettive propor­zioni.

Io mi domando: Ci sono le leggi di chimica; nessuno può negare questa ve­rità. Ma, chi ha dato tali leggi agli ele­menti? Se c'è la legge, deve esserci il le­gislatore. Gli scienziati possono consta­tare le leggi chimiche, ma non ne sono loro i datori. Bisogna cercare il legisla­tore fuori degli elementi stessi; ed il le­gislatore dev'essere anche padrone asso­luto della materia bruta, per dominarla e reggerla. Non può essere il caso o la natura incosciente ad agire così, ma de­ve essere l'Essere Supremo, Dio, il Crea­tore dell'Universo.

Attraverso gli elementi inanimati, io vedo Dio e credo in Lui.

 

Il fiore.

Deliziosa Mondello, nei pressi di Pa­lermo! Poco distante si erge il monte Pel­legrino. Ai piedi del monte, il mio sguar­do è rapito da un campo di fiori. Mi fer­mo a contemplare tanta bellezza. Quale varietà di fiori, gradazione di colori e varietà di profumi! Io penso che molti di questi fiori serviranno per le ghirlande dei defunti.

Penetro nel campo fiorito; posso osser­vare a tutto agio. In un angolo c'è un mucchietto di concime e su di esso cam­peggia un gladiolo. - Permette, giardi­niere, che raccolga questo fiore.

Fac­cia liberamente! - Per me il fiore è un bel libro, che m'invita a meditare.

Il fiore è davvero grazioso: corolla bianca, qua e là macchiettata di un rosso pallido; petali carnosi; stami piuttosto lun­ghi, leggermente incurvati, portanti le an­tere cariche di polline; nel centro spic­ca lo slanciato pistillo. Il profumo è de­licato.

Dico a me stesso: Ma guarda un po'! Da un mucchio di concime puzzolente viene fuori un fiore profumato. Chi ha dato questo profumo, lo stallatico, oppu­re il giardiniere? Né l'uno né l'altro. Qua­le pittore ha dato sì bel colore ai petali? Quale tessitore ha potuto mettere su una corolla così delicata? E queste antere co­me trattengono bene il polline!

Seziono delicatamente il pistillo e lo trovo vuoto: è il tubo attraverso il quale scende il polline carpito dallo stimma; questo polline a suo tempo andrà a fe­condare l'ovario.

Io constato che il più semplice fiore è una meraviglia di precisione e di bellez­za. Constato pure che tutti i fiori di una specie hanno la stessa corolla, lo stesso numero di pétali e di stami. Ma questa precisione e bellezza è data dal terreno incosciente o dal cieco caso? Sarebbe da stolti il dire ciò. Il più piccolo dei fiori è frutto di grande intelligenza; per quanto l'arte copii la natura, nessun artista po­trà mai arrivare a dare un fiore uguale a quello da me raccolto sul concime. L'artista per eccellenza è il Creatore, il quale ha messo in ogni seme la forza fecondatrice ed ha dato delle leggi, alle quali il seme incosciente ubbidisce. Osservando il fiore, con la mia intelli­genza m'innalzo all'Autore della bellezza e dell'ordine; mi porto a Dio.

 

Un problema.

La primavera sorride nei campi; fiori, uccelli, canti di villanelle. Lascio un po' la mia camera da studio e vado a diporto in campagna, in una piccola proprietà vicino al paesello.

Il mezzadro mi saluta e s'intrattiene in amena conversazione. Intanto la massaia, seduta presso la cascina, è intenta a cibare la chioccia. E’ applicata al suo lavoro, quasi fosse un affare di primissimo ordine. Non si è accorta neppure di me. Mi av­vicino a lei.

- Scusi, professore, mi dice, la chioc­cia ha bisogno di cure speciali e quando attendo ad essa resto assorbita del tut­to. - Se c'è la chioccia, ci saranno an­che i pulcini!

- E ci sono... Ecco il cesto!

Che scena graziosa! Scoperto il cesto, appare un piccolo esercito di pulcini... di vari colori... e tutti a pigolare.

- Diventerà ricca quest'anno con tanti pulcini.

- Ma... come vorrà Dio!

- A proposito di Dio, vorrei fare, o buona donna, una domanda: È nato pri­ma l'uovo o la gallina?

- Certamente prima è nata la gallina e poi è venuto l'uovo.

- Ma la gallina da dove è nata? - Dall'uovo.

- Dunque, per primo è nato l'uovo. - sicuramente è così. Però io penso che Dio creò per prima la gallina, questa fece le uova e così di seguito...

- Brava signora! Ha risposto bene ed è più intelligente di quel professore di filosofia... che insegna con tanta boria... Con tutti i suoi studi, quel professore ateo risponderebbe: « Ma chi può saperlo? È un problema insolubile. For­se la materia, evolvendosi, avrà dato la vita all'uovo o alla gallina ». Ragiona­mento... irragionevole del « sé dicente » filosofo!

Tu vuoi negare l'esistenza di Dio e ca­di nella illogicità. E chi ha fatto la ma­teria che si è evoluta? Come ha potuto la materia inerte produrre la vita?

Quale logica, o prova scientifica oggi sostiene la generazione spontanea? E ri­tornando all'uovo, tu dici o filosofo, che il suo problema è insolubile. È insolubi­le per te, che non conosci, o non vuoi co­noscere la verità.

Ecco la spiegazione: Qualunque serie ha la sua origine; non può andare all'in­finito. La serie delle galline esiste; neces­sariamente ha avuto la sua origine; as­solutamente si deve arrivare a chi ha creato o la prima gallina o il primo uovo. Costui è l'Autore del creato, che a mera­viglia risplende tanto nelle grandi cose, quanto nelle minime. Non ammettendo Dio, non si può spiegare niente di quan­to ci circonda. Io ammetto questo Dio e la mia convinzione non è irragionevole.

Potrei passare in rassegna il regno mi­nerale, il vegetale e l'animale, e far ve­dere come in ciascun essere risplenda la sapienza e la provvidenza del Creatore. Tutto parla di Dio, dall'uomo all'astro, dal lichene al cedro del Libano, dal mi­crobo alla balena, dalla goccia d'acqua al grande oceano. Giustamente dice Me­tastasio: Ovunque il guardo giro, Immenso Dio, ti vedo!

 

Un grande naturalista.

Chiudo l'argomentazione con una pa­gina del grande naturalista svedese, Car­lo Linneo: « Dio eterno, immenso, che tutto dà, che tutto può, mi si è rivelato, in certo modo, nelle opere di creazione. L'ho ve­duto, Dio, quasi furtivamente e da lon­tano, come Mosè; l'ho visto e sono rima­sto muto, attonito di ammirazione e di stupore.

« Ho saputo scoprire una qualche or­ma dei suoi piedi nelle opere della crea­zione ed in queste opere, fatte dalla sua mano, anche nelle più piccole, in quelle che parrebbero nulle, quale perfezione inesplicabile!

« L'utilità che a noi da esse deriva, at­testa la bontà di Colui che le ha fatte. « La loro bellezza e la loro armonia di­mostrano la sapienza di Lui.

« La conservazione e la fecondità ine­sauribile proclamano la sua potenza. O Signore, quanto sono magnifiche le ope­re tue! Non le ha conosciute lo stolto e non vi ha posto mente ».

L'ateo professorino di filosofia...

(? ) oserà dare dell'ignorante a Linneo, che inneggia alla Divinità? Povero mosceri­no davanti all'aquila!