00 25/04/2011 10:37
Entrarono, e videro ciò che Pietro e Giovanni avrebbero visto fra poco, dopo essere stati avvertiti dalle donne. Constatarono, dunque, quel "qualcosa" per individuare il quale abbiamo dedicato i due capitoli precedenti a questo. Videro, cioè, nella traduzione di Antonio Persili, "le fasce distese e il sudario, che era sul capo di lui, non disteso con le fasce, ma al contrario avvolto in una posizione unica". Quel "qualcosa", insomma, visto il quale il discepolo che Gesù amava "credette".
C'era dunque lì, nella grotta, la "prova" della risurrezione, il "segno di Giona", il solo promesso da Gesù a chi avrebbe dubitato dell'evento prodigioso, malgrado il fatto irrefutabile? In effetti, solo il misterioso passaggio del corpo del Crocifisso dalla storia all'eternità, oltrepassando ogni legge fìsica, poteva spiegare la posizione di quelle tele, dove lenzuolo e fasce si erano solo "appiattiti", come se il corpo ne fosse stato sfilato senza toccare nulla e dove il fazzoletto sul viso, il sudario, restava alzato, inamidato, con ancora i tratti del volto.
Non si dimentichi che anche nel vangelo di Marco, "un giovane, seduto sulla destra, vestito di una veste bianca", dice alle donne: "E risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano deposto" (Me, 16,5 s.). Lo stesso invito, dunque, a constatare quelle "tracce", quei "segni", quegli "indizi indiscutibili" rivolto dall'angelo di Matteo.
Che significato avrebbe avuto un simile invito in un momento tanto solenne, in cui tutto si svolge in fretta, se ciò che era rimasto nel sepolcro non fosse stato di interesse decisivo, se non fosse stato prova immediata ed evidente della Risurrezione? Che significato avrebbe potuto assumere la visita a una tomba vuota o dove fossero rimasti solo addobbi funerari in posizione casuale e ambigua, non tali comunque da far trarre l'immediata conclusione che un grande Mistero aveva appena avuto luogo lì?
Sul piano che ci interessa (quello della credibilità dei vangeli) possiamo trarre alcune considerazioni che ci sembrano non irrilevanti. Innanzitutto, si scopre un accordo profondo (anche se nascosto, come abbiamo visto tante altre volte e com'è nello stile del Nuovo Testamento) tra il quarto vangelo, con il suo "vide e credette", e la tradizione che si esprime nei Sinottici, con la conferma data da messaggeri celesti che, in quella tomba, c'era davvero abbastanza per "credere".
I critici radicali, esaminando i racconti di Risurrezione, ne hanno tante, forse troppe volte denunciato le discordanze, le contraddizioni, vere e presunte. Vale dunque la pena di mettere in rilievo un caso - che non è certo il solo - di concordia, di coerenza tra tradizioni diverse come quella sinottica e quella giovan-nea. Caso tanto più degno di attenzione in quanto non evidente a prima vista, a tal punto che - a quanto almeno ci risulta - ben pochi interpreti sembrano averlo notato.
E sarà da rimarcare, tra l'altro, un segno anche nei Sinottici di "cosa vista", una notazione che può risalire soltanto al racconto di un testimone diretto, alla pari del "chinatesi, vide..." che abbiamo rilevato in Giovanni (20,5) e che corrisponde a ciò che anche l'archeologia ci ha confermato: occorreva davvero "chinarsi" per entrare o per guardare dentro a una tomba ebraica. Ebbene, in quella stessa tomba, stando a Marco, il misterioso "giovane" stava "seduto sulla destra": perché quel en tós dexiós se non vi fosse l'eco del racconto - chissà quante volte ripetuto -fatto dalle donne stesse? Perché, se non fosse il particolare di una visione indimenticabile?
Ma, forse, c'è qui anche un altro enigmatico segnale di accordo tra Marco e quanto racconta il quarto evangelo. Stando a questo, Giovanni, "chinatesi, vide le fasce distese, ma non entrò". Se da fuori vide le "fasce" e soltanto quelle (e solo dopo essere entrato scorse anche "il sudario che era sul capo di lui") è evidentemente perché il corpo di Gesù era sull'apposito ripiano orizzontale con Ì piedi rivolti verso l'entrata. Su quella lastra di marmo o di pietra il cadavere era stato posto sulla sinistra di chi guardasse e dunque restava sgombra dai teli solo la parte destra: proprio quella dove il misterioso giovane sedeva, stando al vangelo di Marco! E un ennesimo esempio delle ricchezze probabilmente ancora nascoste dietro particolari evangelici dall'apparenza casuale o pleonastica.
Per tornare al cuore del nostro discorso: a differenza di tanti che si sbrigano troppo in fretta del "vide e credette" giovanneo o del "segno di Giona", che per Matteo e Marco rappresenta quasi certamente ciò che è restato nella tomba con la posizione inspiegabile dei teli (anche di quel "segno" i soldati dovettero parlare ai capi ebraici, non solo del terremoto, della pietra rovesciata, degli angeli), a differenza di tanti, dunque, abbiamo dedicato spazio e attenzione a questo argomento. Ma questo abbiamo fatto anche per una esigenza che è oggi di particolare attualità. Oggi, cioè, quando tanti biblisti e teologi - prima protestanti e poi anche cattolici - insistono nel presentare la Risurrezione unicamente come "mistero di fede", quando tanti esperti dicono che, in ciò che avvenne a partire dall'alba della domenica, siamo completamente al di fuori della storia; e che, dunque, non solo è impossibile "provarne" la storicità, ma che sarebbe anche contrario alle intenzioni dello stesso vangelo volere considerare questi racconti come contenenti echi di cronaca vera.
Sarebbe impossibile (stando a quei biblisti) ovunque altrove, nei vangeli, ma in particolare qui: la Resurrezione solo come "mistero di fede", da accettare o da rifiutare, ben attenti a non scambiare dei "testi apologetici redatti da credenti per credenti" per cronache verosimili. Non, dunque, la Risurrezione che crea la fede; ma la fede che rende "vera" la Risurrezione.
In realtà la Risurrezione, come base di tutto l'edificio cristiano, non poteva sfuggire alla dinamica cristiana dell'^-^, del questo e quello: dunque è anche mistero di fede. Ed è certamente per rispetto di questo mistero che gli evangelisti sono così sobri e si astengono dal descrivercela. Non ci fu alcun testimone per questo evento, misterioso tra tutti. E i vangeli canonici (a differenza di quelli apocrifi) non si lasciano andare a nessun tentativo di descrivere ciò di cui manca testimonianza: è il segno massimo del loro proposito, seguito sempre, di attenersi soltanto a ciò che è riferito in modo diretto e autorevole. Nessun testimone: dunque, nessun racconto. La fantasia (al contrario di quanto vuoi farci credere certa critica) non ha per gli evangelisti alcun diritto di cittadinanza.
"Mistero di fede" ineffabile, dunque, la Risurrezione. E "mistero", certamente, il Gesù delle apparizioni postpasquali: alla "materialità" del suo corpo - che si fa toccare, che mangia e che beve - si aggiunge l'incomprensibile e l'inesplicabile del passaggio già avvenuto, per quel suo corpo stesso, dalla "fisica" alla "metafisica", dalla dimensione terrena a quella celeste, dal tempo all'eternità. E un corpo che esce dalle bende in cui era strettamente avvinto senza scompigliarle, anzi lasciando in esse ancora la sua impronta: il sudario - lo ricordiamo - "in una posizione unica", le fasce "distese". E un corpo che esce dalla caverna del sepolcro lasciando intatta al suo posto la grossa pietra che ne sbarrava l'apertura, come ci fa capire Matteo (28,2-3), alludendo al fatto che il macigno fu rotolato via dall'angelo solo dopo che il Crocifìsso ne era già uscito. E un corpo che entra attraverso le porte chiuse (Gv, 20,19).