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CREDENTI

RIFLESSIONI BIBLICHE

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    00 29/08/2016 07:06
    Monaci Benedettini Silvestrini
    Il prezzo della verità

    La figura di Giovanni Battista è intimamente legata a quella di Cristo. Già prima ancora della nascita sussulta di gioia nel grembo di Elisabetta al saluto di Maria. Sarà poi lui ad additare al mondo l'Agnello di Dio. Sarà lui il testimone della Voce dall'alto che lo proclama figlio di Dio mentre lo battezza nelle acque del Giordano. Con grande umiltà accetta e scandisce il suo ruolo che è quello di preparare la via al Cristo che viene. Giovanni sa che egli deve diminuire e scomparire per fare spazio al Messia. Riceverà, a sua volta un grandissimo elogio da parte del Signore: «In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista». La sua grandezza brillerà di luce piena quando la sua testimonianza alla verità assume le caratteristiche dell'eroismo. Con la stessa franchezza con cui ha annunciato Cristo al mondo denuncia l'immoralità di un potente ben sapendo i rischi a cui si esponeva. L'odio dei potenti, spesso condito con la più sfacciata immoralità, quasi sempre sfocia nella vendetta verso chi osa denunciare i loro misfatti. È ormai perenne purtroppo la convinzione che certe voci scomode debbono tacere. È accaduto al Cristo e dopo di lui ad una schiera innumerevoli di testimoni intrepidi e coraggiosi. Il rimprovero anche il più meritato, o induce alla conversione o alimenta l'odio. Se poi si ha la triste vicenda di incappare in affari di donne e di sesso c'è da attendersi di tutto anche l'assurdo di turpi promesse che possono costare la vita degli altri. È significativo infatti che la testa di Giovanni Battista entri in un intrigo di orge, in un banchetto che è esattamente il contrario di un convivio di amore. La cecità e l'ottusità offuscano la ragione e obnùbilano le coscienze è in quello stato l'assurdo diventa ragione e diritto anche a costo della vita di un innocente. Il vero vittorioso comunque è lui, Giovanni, che precede Cristo nel martirio e conduce così la sua intrepida testimonianza fino al martirio, fino al Calvario.



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    00 30/08/2016 07:17
    “Che abbiamo a che fare con te, Gesù Nazareno?”. Perché Dio è venuto ad immischiarsi nei nostri affari? La vita dell’uomo, bene o male, trova sempre un suo equilibrio. Ed ecco che Dio si immischia e sconvolge tale equilibrio: fa ciò con autorità, come se ne avesse il diritto.
    Infatti, anche nel peccato, l’uomo può dare un certo equilibrio alla propria vita. Perciò la fede, l’intervento di Dio nella vita dell’uomo creano sempre un movimento di reazione, paura. All’uomo non piace essere spinto. “Sei venuto a rovinarci?”. Solo la fede che si muove con fiducia può permettere di superare l’ostacolo, perché se Dio interviene, non lo fa solo per rompere l’equilibrio dell’uomo, ma per farlo partecipare alla sua pienezza. “E il demonio uscì da lui, senza fargli alcun male”.
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    00 31/08/2016 08:18
    “Chinatosi su di lei, intimò alla febbre, e la febbre la lasciò”.
    Gesù arriva direttamente al male che rode il cuore dell’uomo. La sua diagnosi è chiara. È il peccato e, attraverso il peccato, l’Avversario che è il male dell’uomo. È a lui che Gesù si rivolge. Egli va direttamente allo scopo. E interviene con autorità. L’Avversario non si sbaglia. Il suo regno nel cuore dell’uomo è effimero. Non resiste alla presenza di Gesù. Dio è più forte del male. Dio è al di là del male.
    “Da molti uscivano demoni gridando: ‘‘Tu sei il Figlio di Dio!’’”. Se l’uomo riconosce che il suo male ha un nome, che si chiama “peccato”, che è il rifiuto della salvezza, se proclama: “Tu sei il Figlio di Dio”, la salvezza lo raggiunge nel più profondo dell’essere
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    00 01/09/2016 07:22
    Ma sulla tua parola getterò le reti”. E il miracolo si compì.
    Che miracolo? Una pesca inattesa, certo, ma soprattutto una trasformazione, un cambiamento radicale della vita di questi rudi pescatori della Galilea. “D’ora in poi sarai pescatore di uomini”. Si tratta di un gioco di parole, ma lo stesso termine ha qui un senso pregnante. Significa il passaggio da una vita a misura d’uomo a una vita a misura di Dio. Dall’orizzonte umano all’orizzonte divino. Perché Dio nutre sempre più ambizioni sull’uomo di quanto l’uomo possa nutrire sulla sua esistenza. “Sulla tua parola”. Perché vivente è la parola di Dio. Se io acconsento a gettare le reti ogni giorno, ogni giorno diventerà un “d’ora in poi” e la mia vita assumerà orizzonti divini.
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    00 02/09/2016 06:57
    Essere invitato alle nozze, essere ammesso al banchetto nuziale: questa è la vocazione dell’uomo, questa è la situazione del battezzato. Perché Dio ha pensato, nel suo amore, di aprire a tutti coloro che vogliono il banchetto delle nozze di suo Figlio con l’umanità.
    A Cana, il Figlio di Dio celebra ciò che la sua Incarnazione significava e realizzava, ma teneva nascosto: le nozze di Dio con l’umanità tutta e con ogni singolo uomo.
    “Beati gli invitati alla mensa del Signore”. Nell’Eucaristia, l’ora di Cristo, si ha il banchetto sempre aperto, a cui ogni uomo è invitato, il banchetto in cui lo Sposo, Cristo, è con loro. Allora tutto si rinnova. Dio non ha strappato un pezzo da un vestito nuovo per attaccarlo a un vestito vecchio. L’uomo è invitato a bere il vino nuovo della Nuova Alleanza. La profezia di Isaia si è realizzata. “Il Signore degli eserciti preparerà su questo monte un banchetto di grasse vivande, per tutti i popoli... Rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza” (Is 25,6.9).
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    00 03/09/2016 07:46
    Casa di Preghiera San Biagio FMA
    Commento su Luca 6,5

    Il Figlio dell'uomo è il Signore del sabato.
    Lc 6,5

    Come vivere questa Parola?

    Ancora lo scenario, come ieri, è di natura viva. Biondeggiano spighe mature di grano in una estensione campestre su cui possiamo immaginare carezze di vento leggero e dardi di sole a mezzogiorno.

    Infatti con probabilità i discepoli di Gesù stavano sentendo i morsi della fame e cercavano di quietarla cogliendo qua e là quel che spiga da sfregare con le mani.

    Il guaio (formidabile agli occhi dei farisei!) era questo: non si trattava di un giorno qualsiasi ma di un sabato.

    È indispensabile ricordare quanto il sabato per gli Ebrei fosse un giorno importantissimo: un giorno sacro alla gloria di Dio, un giorno benedetto e santo in cui era proibito qualsiasi pur lieve lavoro, perfino quello di cogliere qualche spiga nei campi.

    La legge di Dio era espressione di quanto Dio voleva: un volere certo sempre finalizzato al bene dell'uomo infinitamente amato da Dio.

    Proprio per questo la legge sempre è per l'uomo e mai è l'uomo per la legge!

    Così lo stesso Re Davide non la osservò quando, affamato si trovò a consumare il pane che era nel tempio, sacro al punto che solo i sacerdoti lo potevano toccare.

    Così Gesù prese le difese di quei suoi discepoli che, avendo fame, colsero le spighe del campo anche se quello era il grande giorno del sabato, estremamente sacralizzato dai Giudei.

    Gesù, proprio in quel giorno, trovò modo di fare ordine nella scomposta gerarchia dei valori, lasciando comprendere la sua vera identità Messianica.

    Sì, Lui era è e sarà più grande del sabato e della legge ad esso relativa. Lui è Il Signore non solo del sabato ma dell'intero universo.

    Grazie, Signore per questo tuo proclamarti quel che sei. È proprio a questa tua signoria d'amore a cui mi consegno. Tu mi salvi.

    La voce di Papa Francesco

    "l'umanità ha bisogno di vedere gesti di pace e di sentire parole di speranza e di pace"
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    00 05/09/2016 07:02
    “Ma Gesù era a conoscenza dei loro pensieri”. A Dio non piace chi sillogizza perché egli non è un arido ragionatore. La sola cosa che gli importi è che l’uomo viva. “Alzati...”. Egli è Amore e l’amore non vuole raziocinare troppo. È una questione seria quella che ci viene posta qui. I nostri rapporti con Dio non sono forse fatti di ragionamenti per saper fino a che punto possiamo donare noi stessi? Dio non sarà troppo esigente? Non ci chiede forse troppo? E poi la nostra vita privata. Che diritto avrebbe Dio di intervenire nella nostra vita?
    La nostra fede è un luogo in cui ragioniamo con Dio oppure è il luogo della nostra più grande libertà, il luogo più intimo, il cuore in cui ci abbandoniamo a colui che vuole far vivere? La nostra fede è un abbandono, un dono di noi stessi nell’amore? La nostra fede è un credito fatto a Dio: “È permesso?”. Sì, è permesso d’amare.


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    00 06/09/2016 07:17
    Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione”. Che cosa aveva da chiedere a Dio, lui che era il Figlio di Dio, il Figlio dell’uomo, signore del sabato e che poteva perdonare il peccato? Temeva forse di sbagliarsi nella scelta degli apostoli, prevista per l’indomani? Doveva chiedere consiglio al Padre suo? In queste domande proiettiamo la debolezza della nostra preghiera. In questo momento, capitale nella realizzazione della sua missione (scegliere i Dodici significa infatti posare le fondamenta della Chiesa), la preghiera di Gesù è preghiera di comunione e di contemplazione del Padre. Gesù si ritira: Luca situa spesso quest’atteggiamento prima di un avvenimento importante. Tale atteggiamento è testimonianza della comunione di Gesù col Padre. La preghiera di Gesù è gratuita: è contemplazione, ammirazione del Padre. È espressione del suo slancio d’amore in quanto Figlio.
    Seguiamo allora i suoi passi e, nonostante la nostra debolezza, impariamo a “ritirarci”, per ascoltarci, per voler essere figli, con Gesù, in uno slancio d’amore per il Padre. “Padre...”: ecco la preghiera di Gesù e la nostra preghiera.
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    00 07/09/2016 07:25
    Le Beatitudini? Il culmine dell’insegnamento di Gesù, l’annuncio della Nuova Legge... Certo, ma ancor di più la proclamazione, oserei dire, la “descrizione” del nostro Dio. Il nostro Dio è un Dio beato perché è la pienezza, l’Amore, la Trinità, cioè la famiglia. Ancora di più: egli è povero d’amore, ha fame e sete d’amore: ecco perché in Gesù, suo Figlio, egli piangerà, sarà odiato, insultato e cacciato. Eppure anche in ciò egli esulta di gioia, si rallegra perché c’era bisogno della croce, delle lacrime e delle sofferenze di un Dio per invitare l’uomo alla beatitudine divina.
    Il nostro Dio è pienezza della beatitudine e della gioia. La nostra vocazione è di partecipare a tale beatitudine, a tale gioia: se davanti a lui noi siamo poveri e affamati, allora la nostra gioia sarà perfetta.
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    00 08/09/2016 08:19
    La liturgia ci fa chiedere a Dio che la festa della natività della Madonna ci faccia crescere nella pace. Ed è effettivamente una festa che deve aumentare la pace in noi, perché ci parla dell'amore di Dio verso di noi.
    La nascita di Maria è il segno che Dio ha preparato per noi la salvezza: per questo ha preparato il corpo e l'anima della madre di Gesù, che è anche madre nostra.
    San Paolo nella lettera ai Romani scrive: "Quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo" (8,29). Questo è particolarmente vero per la Vergine santa, predestinata ad essere conforme all'immagine del Figlio di Dio e figlio suo. E Dio ha predisposto tutte le cose secondo questa intenzione: "Sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio", troviamo poco prima nella stessa lettera.
    Dio ha preparato tutte le generazioni umane in vista della nascita di Maria, in vista della nascita di Gesù, e insieme ha agito con mezzi soprannaturali.
    E nel Vangelo di oggi si può dire che appaiono sia la parte naturale che quella soprannaturale, l'una e l'altra necessarie per la nascita di Maria.
    Questa lunga serie di generazioni, così monotone alla lettura, è in realtà come la sintesi di una storia vivente, spesso anche di peccatori, che è stata condotta da Dio verso la nascita di Maria e di Gesù.
    Alla fine però il disegno di Dio si è realizzato con mezzi straordinari, sconcertanti: Giuseppe non capisce ciò che succede, perché avviene per opera dello Spirito Santo. Non bastano dunque le generazioni
    umane che si succedono nel tempo per il compimento del progetto di Dio: è necessario l'intervento dello Spirito Santo.
    Tutto dunque ci parla dell'amore di Dio: amore di Dio creatore, amore di Dio salvatore.
    Oggi dobbiamo, più di sempre, dire a Dio la nostra riconoscenza, la nostra gioia perché egli ha amato Maria e ci ha amati.
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    00 09/09/2016 07:38
    “Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro”. La misericordia: il troppo amore che si riversa dal cuore di Dio sul mondo. L’amore di Dio è sovrabbondante, Dio non può contenere il proprio amore. Così l’ha riversato nei nostri cuori. Il mondo non crede spontaneamente all’amore. Ma, solo l’amore può trasformare il mondo. Esso può fondere il metallo più resistente e spezzare i materiali più forti. La misericordia è il culmine dell’amore, la perfezione dell’amore. È Dio che ama al di là dell’amore, se ciò è possibile. Dio ci invita ad amare fino al punto in cui l’amore diventa misericordia. Solo la misericordia può fare sì che noi non giudichiamo e non condanniamo. Il nostro mondo ha bisogno di cristiani misericordiosi, proprio come Dio è misericordioso. Saremo testimoni della misericordia, della sovrabbondanza d’amore che c’è in Dio, nei confronti di ogni uomo? Sì, se lasceremo che cresca in noi il dono della carità, che è l’amore di Dio nel cuore dell’uomo. È al cuore di Dio che dobbiamo attingere l’amore misericordioso a cui siamo invitati da Cristo. Esso è un dono che, se lo chiediamo, Dio non può rifiutarci.


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    00 10/09/2016 07:04
    “L’uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore”. Perché prendiamo queste e molte altre parole di Cristo come massime di buona condotta, o come meri consigli che Gesù ci ha dato e che noi dovremmo sforzarci di seguire? Perché diciamo: “Signore, Signore”, ma non facciamo quanto ci dice Gesù? Ora, Gesù ci dice che, in lui, con lui e tramite lui, noi siamo figli di Dio. C’è in noi un tesoro posto da Dio stesso. Questo tesoro è la vita stessa di figli.
    La similitudine dell’albero buono che dà spontaneamente buoni frutti dovrebbe farci capire. Gesù ci chiede di produrre buoni frutti, perché sa da che albero proveniamo, sa di che vite noi siamo i tralci. Questo albero, questa vite è lui. La sua vita è in noi. Le parole di Gesù non sono massime o semplici consigli: noi siamo davvero figli di Dio. La nostra vita di uomini cristiani, perché sia costruita solidamente, deve essere costruita su questa vita, su questo tesoro posto in noi nel giorno del battesimo, tesoro che chiede di essere arricchito. Gesù sa che noi possiamo produrre buoni frutti, se viviamo la sua vita.
    “Chi viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica...”. Andare verso Gesù tramite la preghiera e i sacramenti. Andiamo verso Gesù per ascoltare la sua parola di verità e produrremo buoni frutti. Il tesoro è in noi grazie alla potenza dello Spirito che ci è stato donato.
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    00 11/09/2016 07:22
    Voce di uno che grida nel deserto: preparate la via del Signore:
    Domenica 11 settembre 2016

    *Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo.* (Es 32, 14)

    In poche righe di questo brano dell'Esodo ci viene trasmessa un'intensa esperienza di Dio, di relazione con lui: Mosè condivide con Dio la paternità di un popolo, Israele, e anche l'amore, il desiderio di bene e di meglio per questo stesso popolo. In un momento di crisi, il dialogo tra loro si fa difficile: c'è un risentimento di Dio per il dono suo non accolto, non riconosciuto da Israele e la reazione fortemente emotiva di voler chiudere e sterminare il popolo stesso sembra non stemperarsi. Solo l'invito a RICORDARE smonta l'ira di Dio. È Mosè stesso che lo porta su questa strada! E Dio si lascia muovere e commuovere dalla sua intercessione che riconduce alla memoria della promessa! Da allora l'esperienza che l'uomo può fare di Dio è all'insegna della MISERICORDIA: la forza della promessa di Dio supera la capacità di riconoscere e corrispondere al dono di Dio da parte dell'uomo stesso. E la promessa si fa realtà, presente attuale, che si manifesta in accoglienza incondizionata e rigenerante! La parabola del padre misericordioso ci restituisce e rivela il vero volto di Dio, ormai possibile da incontrare e riceversi da parte dell'umanità. *Ricordati di noi Signore, nel tuo amore!* Buona domenica.
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    00 13/09/2016 09:54
    Paolo Curtaz
    Commento su Lc 7,11-17

    Il funerale del figlio unico di madre vedova: sembra l'inizio di un film horror! Esiste un dolore più grande? No, certo: perciò Luca sintetizza in questo miracolo l'opera di salvezza del Signore Gesù. Il dolore è una cosa seria, inutile banalizzarlo: Gesù ha resuscitato questo ragazzo riconsegnandolo alla madre, ma quanti altri sono rimasti nella stretta della morte? Quante volte nella vita affrontiamo sofferenze che negano la compassione di Dio? Quante volte facciamo esperienza del nostro limite insostenibile? Esiste il dolore e anche il discepolo ne fa esperienza. Non possiamo liquidarlo con risposte approssimative e consolanti, con sintesi affrettate e inviti a sperare in Dio nonostante tutto. La chiave del racconto è tutta nell'annotazione di Luca che riferisce l'atteggiamento di Gesù verso la madre: compassione. Dio non ci preserva dal dolore ma lo condivide, patisce con noi, assume su di sé il dolore e lo trasfigura. Ci basta? O, più onestamente, vorremmo un Dio che ci preservi dal dolore? In questa domanda sta il cuore della nostra fede: preferiamo un Dio che condivide o uno che ci garantisca l'immunità?



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    Coordin.
    00 14/09/2016 07:29
    L’esaltazione della santa Croce ci fa conoscere un aspetto del suo cuore che solo Dio stesso poteva rivelarci: la ferita provocata dal peccato e dall’ingratitudine dell’uomo diventa fonte, non solo di una sovrabbondanza d’amore, ma anche di una nuova creazione nella gloria. Attraverso la follia della Croce, lo scandalo della sofferenza può diventare sapienza, e la gloria promessa a Gesù può essere condivisa da tutti coloro che desideravano seguirlo. La morte, la malattia, le molteplici ferite che l’uomo riceve nella carne e nel cuore, tutto questo diventa, per la piccola creatura, un’occasione per lasciarsi prendere più intensamente dalla vita stessa di Dio.
    Con questa festa la Chiesa ci invita a ricevere questa sapienza divina, che Maria ha vissuto pienamente presso la Croce: la sofferenza del mondo, follia e scandalo, diventa, nel sangue di Cristo, grido d’amore e seme di gloria per ciascuno di noi.
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    Coordin.
    00 15/09/2016 07:35
    Il mondo ha tanto bisogno di compassione e la festa di oggi ci dà una lezione di compassione vera e profonda. Maria soffre per Gesù, ma soffre anche con lui e la passione di Cristo è partecipazione a tutto il dolore dell'uomo.
    La liturgia ci fa leggere nella lettera agli Ebrei i sentimenti del Signore nella sua passione: "Egli nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte". La passione di Gesù si è impressa nel cuore della madre, queste forti grida e lacrime l'hanno fatta soffrire, il desiderio che egli fosse salvato da morte doveva essere in lei ancora più forte che non in Gesù, perché una madre desidera più del figlio che egli sia salvo. Ma nello stesso tempo Maria si è unita alla pietà di Gesù, è stata come lui sottomessa alla volontà del Padre.
    Per questo la compassione di Maria è vera: perché ha veramente preso su di sé il dolore del Figlio ed ha accettato con lui la volontà del Padre, in una obbedienza che dà la vera vittoria sulla sofferenza.
    La nostra compassione molto spesso è superficiale, non è piena di fede come quella di Maria. Noi facilmente vediamo, nella sofferenza altrui, la volontà di Dio, ed è giusto, ma non soffriamo davvero con quelli che soffrono.
    Chiediamo alla Madonna che unisca in noi questi due sentimenti che formano la compassione vera: il desiderio che coloro che soffrono riportino vittoria sulla loro sofferenza e ne siano liberati e insieme una sottomissione profonda alla volontà di Dio, che è sempre volontà di amore.
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    Coordin.
    00 16/09/2016 09:58
    Commento su Prima Timoteo 6,11

    Dalla Parola del giorno

    Tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza (1Tm 6,11)

    Come vivere questa Parola?

    Paolo sta mettendo in guardia Timoteo dalla subdola attrattiva della ricchezza ch, con il suo richiamo sordo e martellante, è capace di varcare anche le soglie più sacre, magari ammantandosi di lusinghiere possibilità di bene.

    L'apostolo taglia corto: tu fuggi queste cose e metti tutto il tuo impegno nel perseguire ciò che è consono a chi, con il battesimo, ha scelto di ricalcare le umili orme di Cristo.

    Assimilarsi a lui, il Signore che non ha disdegnato di far propria la nostra povertà esistenziale, dovrebbe essere l'unica ambizione del cristiano di ieri e di oggi. Non si tratta di rinunciare a chissà quali privilegi, ma semplicemente di prendere atto e di accettare serenamente ciò che siamo: creature e perciò limitati, bisognosi gli uni degli altri, depositari di doni che non ci appartengono.

    La spasmodica ricerca della ricchezza, quel bisogno di avere più del necessario, di "brillare" per capacità, di apparire un gradino più in alto degli altri, rivelano una perniciosa perdita di contatto con la propria realtà, sdegnosamente rigettata e calpestata. Guai, poi, se questo avviene sotto l'ambiguo rivestimento di una fede affettata e di una pseudo-santità mimetizzante un'avvilente mediocrità. È allora da ricordare il monito paolino: "quando sono debole, è allora che sono forte" (2Cor 12,10), perché è nella mia povertà che sono raggiunto dalla sovrabbondante ricchezza di Dio.

    Lascerò, quest'oggi, risuonare dentro di me l'invito paolino: fuggi queste cose e tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Mi impegnerò, quindi, a lavorarmi sul punto in cui mi riconosco più carente.

    Fammi scoprire, Signore, la ricchezza racchiusa nel mio essere esistenzialmente povero, cioè spazio in cui tu puoi riversarti, vuoto che lascia trasparire la tua immagine.

    La voce di un filoso e politico dell'antica Roma

    Chi sa limitare i propri desideri è veramente ricco
    Lucio Anneo Seneca
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    Coordin.
    00 17/09/2016 08:48
    Essere una terra buona! Questa parabola del seme colpisce perché è esigente. Ma cerchiamo di non cadere in falsi problemi. Certo, noi dobbiamo chiederci in quale tipo di terra ci poniamo. Ma non è qui che troveremo il dinamismo necessario per divenire terra buona in cui la parola produrrà cento frutti da un solo seme. Piuttosto guardiamo, ammiriamo e contempliamo la volontà di Dio, che vuole seminare i nostri cuori. La semente è abbondante: “Il seminatore uscì a seminare la sua semente”. Il Figlio di Dio è uscito, è venuto in mezzo agli uomini per questo, per effondere la vita di Dio e per seminare in abbondanza. Sapersi oggetto della sollecitudine di Dio, che vede la nostra vita come un campo da fecondare. Il nostro Dio è un Dio esigente perché è un Dio generoso.
    E la sua generosità arriva ancora più in là. Dio è il solo a poter preparare il campo del nostro cuore perché sia pronto ad accogliere la sua parola. Certo, dobbiamo essere vigili per evitare le trappole del tentatore, per eliminare le pietre e le spine, ma solo la nostra fiducia, il nostro rivolgerci fiduciosi a Dio dal quale deriva ogni bene, ce lo permetterà.
    Dio vuole fecondare la nostra vita. Possa egli preparare anche il nostro cuore. Noi siamo poveri di fronte a lui e solo l’invocazione rivolta a lui dal profondo della nostra miseria può far sì che diveniamo “terra buona”.
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    Coordin.
    00 18/09/2016 08:33
    COMMENTO ALLE LETTURE
    Commento a cura di Gigi Avanti

    Risulta talvolta difficile scoprire il senso profondo delle metafore o il senso nascosto dei paradossi usati da Gesù per far comprendere il mistero delle dinamiche del Regno di Dio. Nel caso del brano riferito da Luca per questa domenica tutto risulta chiaro... se si fa eccezione del suggerimento di Gesù a "farsi degli amici con la ricchezza ingiusta così che quando questa verrà a mancare vi accolgano nelle sacre tende". Questa incursione di Gesù nelle cose di questo mondo lascia infatti sorpresi: amministratori delegati, leggi di mercato, debiti, crediti, ragioneria, finanza, contabili, commercialisti, denaro sporco, denaro pulito, denaro, borsa valori (curioso l'uso di questo vocabolo!) non attengono infatti alle dinamiche del Regno.
    A Gesù interessano poco le ricchezze di questo mondo... Infatti viene clamorosamente deriso dai farisei di allora e dagli "amanti del denaro" di ogni tempo.
    Ma Gesù se ne fa un baffo di tutta questa derisione e della prosopopea ruotante attorno al denaro (al quale riconosce un valore relativo di strumento e non un valore assoluto di fine) e stabilisce un "aut aut" (o Dio o mammona) che non consente scappatoie o aggiustamenti.
    Gli insegnamenti da fare propri nel quotidiano dipendono molto dalla sensibilità spirituale della propria anima. Quello che conta è tenere la barra dritta e lo sguardo fisso al faro del Regno di Dio.
    Avrà modo Gesù, in altra circostanza, di uscirsene con questa massima spirituale fondamentale: "Cercate prima di tutto il Regno di Dio e il resto vi verrà dato in aggiunta".
    Curioso anche questo vocabolo "resto" che rimanda al discorso del denaro... Come dire che occupandoci essenzialmente delle cose dell'altro mondo potrebbero andare meglio anche le cose di questo mondo.
    Ammonisce un proverbio. "Le persone che stanno peggio sulla terra sono proprio quelle che pensano soltanto alla terra".
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    Coordin.
    00 19/09/2016 08:12
    Luce. Parola semplice, parola meravigliosa. Per ognuno di noi è una parola carica di ricordi... Il lampo nella notte fa paura, i primi raggi del sole all’alba ridanno coraggio e speranza. C’è forse uno spettacolo più bello, un momento più esaltante di quando si raggiunge la cima di una montagna mentre spunta il sole?
    Come ogni avvenimento importante anche questo è preceduto da alcune prove. Dapprima la notte, una notte buia e fredda, a volte glaciale, resa ancora più penosa dai venti. Il momento tanto atteso tarda a giungere, bisogna aspettare, bisogna saper aspettare. Mentre le stelle sbiadiscono lentamente, l’orizzonte lontano si copre dolcemente di un alone chiaro, che si fa rosa col passare del tempo. Il momento atteso arriva, infine, quando una riga rossa sottile si staglia nel cielo e si ingrandisce a vista d’occhio verso l’est. Si leva il giorno.
    La luce della fede, questa luce preziosa, si accende nelle nostre anime allo stesso modo, se sappiamo aspettarla, sollecitarla con la preghiera. E la grazia segue la luce, la luce diventa grazia. Dio è presente.
    Con il battesimo noi abbiamo ricevuto questa piccola luce nel nostro cuore, nell’intimo della nostra anima. Ma può capitare che, col passare degli anni, la fiamma di questa piccola torcia diminuisca e tenda a spegnersi. Dobbiamo allora fare molta attenzione, vegliare e non accettare che si spenga definitivamente. Dobbiamo ravvivarla e conservarla sempre al centro della nostra vita in balia di dubbi e domande. Dobbiamo proteggerla e tenerla sempre accesa affinché possa illuminarci, guidarci nelle nostre scelte, nelle nostre decisioni o nelle nostre azioni, ed inondi tutta la nostra vita.
    Dobbiamo proteggerla e tenerla sempre accesa affinché la nostra vita sia essa stessa una luce per tutti quelli che incontriamo e che, come noi, cercano Cristo, fonte di ogni vera luce grazie al suo Amore infinito.
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    Coordin.
    00 20/09/2016 07:06
    L’azione dello Spirito, che soffia dove vuole, con l’apostolato di un generoso manipolo di laici è alla radice della santa Chiesa di Dio in terra coreana. Il primo germe della fede cattolica, portato da un laico coreano nel 1784 al suo ritorno in Patria da Pechino, fu fecondato sulla metà del secolo XIX dal martirio che vide associati 103 membri della giovane comunità. Fra essi si segnalano Andrea Kim Taegŏn, il primo presbitero coreano e l’apostolo laico Paolo Chŏng Hasang. Le persecuzioni che infuriarono in ondate successive dal 1839 al 1867, anziché soffocare la fede dei neofini, suscitarono una primavera dello Spirito a immagine della Chiesa nascente. L’impronta apostolica di questa comunità dell’Estremo Oriente fu resa, con linguaggio semplice ed efficace, ispirato alla parabola del buon seminatore, del presbitero Andrea alla vigilia del martirio. Nel suo viaggio pastorale in quella terra lontana il Papa Giovanni Paolo II, il 6 maggio 1984, iscrisse i martiri coreani nel calendario dei santi. La loro memoria si celebra nella data odierna, perché un gruppo di essi subì il martirio in questo mese, alcuni il 20 e il 21 settembre.
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    00 21/09/2016 07:46
    Nel Vangelo odierno Matteo stesso racconta la propria chiamata da parte di Gesù. San Gerolamo osservava che soltanto lui, nel suo Vangelo, indica se stesso con il proprio nome: Matteo; gli altri evangelisti, raccontando lo stesso episodio, lo chiamano Levi, il suo secondo nome, probabilmente meno conosciuto, quasi per velare il suo nome di pubblicano. Matteo invece insiste in senso contrario: si riconosce come un pubblicano chiamato da Gesù, uno di quei pubblicani poco onesti e disprezzati come collaboratori dei Romani occupanti. I pubblicani, i peccatori chiamati da Gesù fanno scandalo.
    Matteo presenta se stesso come un pubblicano perdonato e chiamato, e così ci fa capire in che cosa consiste la vocazione di Apostolo. E prima di tutto riconoscimento della misericordia del Signore.
    Negli scritti dei Padri della Chiesa si parla sovente degli Apostoli come dei "principi"; Matteo non si presenta come un principe, ma come un peccatore perdonato. Ed è qui ripeto il fondamento dell'apostolato: aver ricevuto la misericordia del Signore, aver capito la propria povertà e pochezza, averla accettata come il "luogo" in cui si effonde l'immensa misericordia di Dio: "Misericordia io voglio; non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori".
    Una persona che abbia un profondo sentimento della misericordia divina, non in astratto, ma per se stessa, è preparata per un autentico apostolato. Chi non lo possiede, anche se è chiamato, difficilmente può toccare le anime in profondità, perché non comunica l'amore di Dio, l'amore misericordioso di Dio. ~ vero Apostolo, come dice san Paolo, è pieno di umiltà, di mansuetudine, di pazienza, avendo esperimentato per se stesso la pazienza, la mansuetudine e l'umiltà divina, se si può dire così: l'umiltà divina che si china sui peccatori, li chiama, li rialza pazientemente.
    Domandiamo al Signore di avere questo profondo sentimento della nostra pochezza e della sua grande misericordia; siamo peccatori perdonati. Anche se non abbiamo mai commesso peccati gravi, dobbiamo dire come sant'Agostino che Dio ci ha perdonato in anticipo i peccati che per sua grazia non abbiamo commesso. Agostino lodava la misericordia di Dio che gli aveva perdonato i peccati che per sua colpa aveva commesso e quelli che per pura grazia del Signore aveva evitato. Tutti dunque possiamo ringraziare il Signore per la sua infinita misericordia e riconoscere la nostra povertà di peccatori perdonati, esultando di gioia per la bontà divina.
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    00 22/09/2016 06:59
    Nel Vangelo odierno Matteo stesso racconta la propria chiamata da parte di Gesù. San Gerolamo osservava che soltanto lui, nel suo Vangelo, indica se stesso con il proprio nome: Matteo; gli altri evangelisti, raccontando lo stesso episodio, lo chiamano Levi, il suo secondo nome, probabilmente meno conosciuto, quasi per velare il suo nome di pubblicano. Matteo invece insiste in senso contrario: si riconosce come un pubblicano chiamato da Gesù, uno di quei pubblicani poco onesti e disprezzati come collaboratori dei Romani occupanti. I pubblicani, i peccatori chiamati da Gesù fanno scandalo.
    Matteo presenta se stesso come un pubblicano perdonato e chiamato, e così ci fa capire in che cosa consiste la vocazione di Apostolo. E prima di tutto riconoscimento della misericordia del Signore.
    Negli scritti dei Padri della Chiesa si parla sovente degli Apostoli come dei "principi"; Matteo non si presenta come un principe, ma come un peccatore perdonato. Ed è qui ripeto il fondamento dell'apostolato: aver ricevuto la misericordia del Signore, aver capito la propria povertà e pochezza, averla accettata come il "luogo" in cui si effonde l'immensa misericordia di Dio: "Misericordia io voglio; non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori".
    Una persona che abbia un profondo sentimento della misericordia divina, non in astratto, ma per se stessa, è preparata per un autentico apostolato. Chi non lo possiede, anche se è chiamato, difficilmente può toccare le anime in profondità, perché non comunica l'amore di Dio, l'amore misericordioso di Dio. ~ vero Apostolo, come dice san Paolo, è pieno di umiltà, di mansuetudine, di pazienza, avendo esperimentato per se stesso la pazienza, la mansuetudine e l'umiltà divina, se si può dire così: l'umiltà divina che si china sui peccatori, li chiama, li rialza pazientemente.
    Domandiamo al Signore di avere questo profondo sentimento della nostra pochezza e della sua grande misericordia; siamo peccatori perdonati. Anche se non abbiamo mai commesso peccati gravi, dobbiamo dire come sant'Agostino che Dio ci ha perdonato in anticipo i peccati che per sua grazia non abbiamo commesso. Agostino lodava la misericordia di Dio che gli aveva perdonato i peccati che per sua colpa aveva commesso e quelli che per pura grazia del Signore aveva evitato. Tutti dunque possiamo ringraziare il Signore per la sua infinita misericordia e riconoscere la nostra povertà di peccatori perdonati, esultando di gioia per la bontà divina.
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    00 23/09/2016 08:39
    Venerdì 23 settembre 2016 - S. Pio da Pietrelcina

    *Ma voi, chi dite che io sia?*

    La preghiera scandisce il tempo di Gesù. È nella preghiera che il Padre gli rivela cosa fare e cosa dire ed è durante le sue ore di orazione che Gesù riceve dal Padre i nomi di coloro che avrebbe dovuto scegliere come suoi discepoli. È sempre nel suo vitale e intimo colloquio con Dio che Lui sa quale verità sulla sua persona rivelare ai suoi discepoli e quale ancora tenere nascosta. E' ancora nella preghiera che il Padre dice a Gesù cosa può dire oggi ai suoi discepoli e cosa dovrà dire domani. Come dirla oggi e come manifestarla domani. La preghiera per Gesù è vera fonte della sua missione. Tutto è dalla preghiera. Se vi sentite in cammino, sulla strada della fede, allora questa domanda dovete avere il coraggio di porvela, ogni volta che iniziate a fare qualcosa. Ai "professionisti del sacro" preti e laici impegnati in testa, la più grossa disgrazia che può succedere è quella di costruirsi un universo tutto incentrato su Cristo: parlare di Lui, celebrare Lui, ascoltare Lui. Senza che Lui ci sia. È un'esperienza terribile ma reale, abituarci a compiere le cose di Cristo perdendo di vista l'essenziale, il nucleo. «Chi dite che io sia?». Questa frase, rivolta a ciascuno, senza preamboli, come una staffilata, deve ancora echeggiare e scuotere, far vacillare le nostre più o meno grandi sicurezze. Amici che vi impegnate nella Pastorale, con i giovani, gli ammalati, catechisti, cantori, voi che passate il tempo libero a servire i poveri: chi ve lo fa fare? Gratificazione? O perché ci siete "tagliati"? No! Scusate la durezza ma occorre andare alla radice: lo fate per Cristo. Parlo di Lui perché gli appartengo, servo i poveri perché in essi riconosco il Suo volto, canto la Sua gloria perché mi riempie il cuore. E tutto questo, notate bene, avviene in un duplice contesto: "in un luogo appartato a pregare", cioè nella casa interiore della preghiera e prima dell'annuncio della Passione. Riconoscere che Gesù è "Cristo" della mia vita, cioè Signore, Presenza, Unico, Dio, significa sinceramente mettersi in discussione, senza una affrettata risposta da catechismo, ma con la coscienza che la professione di fede passa attraverso la fatica, la salita, la croce. Amen!
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    00 24/09/2016 06:38
    Le due letture odierne ci richiamano i due aspetti del mistero di Cristo, che la Chiesa celebra nella Messa e al quale tutti partecipiamo. Nel Vangelo troviamo l'aspetto della sofferenza: "Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato in mano degli uomini". E un aspetto difficile da accettare, perché è contrario ai sogni umani, nei quali la gloria è senza pena, mentre Dio glorifica attraverso la prova che trasforma l'uomo per portarlo all'unione con lui. Anche noi spesso siamo distanti, appunto come i discepoli, dai pensieri di Gesù; è una distanza fatta di autosufficienza, di tradizioni ben radicate, di convinzioni incrollabili. E accade anche a noi: "essi non comprendevano". Non è questione ovviamente di non comprendere le parole. Il problema è che non comprendiamo la sostanza stessa della missione di Gesù, il suo Vangelo: ossia che la salvezza viene dalla sua morte per la redenzione di tutti. Ma come si può accettare un Messia sconfitto? È scandalo per i giudei e follia per i pagani. Eppure è dalla croce che nasce la salvezza. I discepoli sono anche rattristati per non aver compreso.
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    00 25/09/2016 07:55
    don Roberto Rossi
    La parabola del ricco egoista e del povero Lazzaro nell'umanità di oggi

    La parabola, presa in se stessa, suscita una problematica sulle relazioni tra ricchi e poveri, ma non ha lo scopo di dare al povero un annunzio alienante e di consolarlo con la speranza della beatitudine eterna, ma di far capire quanto sia grave e carica di conseguenze l'indifferenza del ricco che non si accorge del povero.
    Gesù mette davanti agli occhi dei suoi contemporanei e anche davanti ai nostri occhi oggi, il rischio di adagiarsi, della comodità, della mondanità nella vita e nel cuore, di avere come centro il nostro benessere. E' la stessa esperienza del ricco del Vangelo, che indossava vestiti di lusso e ogni giorno si dava ad abbondanti banchetti; questo era importante per lui. E il povero che era alla sua porta e non aveva di che sfamarsi? Non era affare suo, non lo riguardava. Se le cose, il denaro, la mondanità diventano centro della vita ci afferrano, ci possiedono e noi perdiamo la nostra stessa identità di uomini: il ricco del Vangelo non ha nome, è semplicemente "un ricco". Le cose, ciò che possiede, sono il suo volto, non ne ha altri.
    L'uomo ricco e del povero Lazzaro: la vita di queste due persone sembra scorrere su binari paralleli: le loro condizioni di vita sono opposte e del tutto non comunicanti. Il portone di casa del ricco è sempre chiuso al povero, che giace lì fuori, cercando di mangiare qualche avanzo della mensa del ricco. Questi indossa vesti di lusso, mentre Lazzaro è coperto di piaghe; il ricco ogni giorno banchetta lautamente, mentre Lazzaro muore di fame. Solo i cani si prendono cura di lui, e vengono a leccare le sue piaghe. Questa scena ricorda il duro rimprovero del Figlio dell'uomo nel giudizio finale: «Ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero [...] nudo e non mi avete vestito». Lazzaro rappresenta bene il grido silenzioso dei poveri di tutti i tempi e la contraddizione di un mondo in cui immense ricchezze e risorse sono nelle mani di pochi.
    Il ricco sarà condannato pertanto non per le sue ricchezze, ma per essere stato incapace di sentire compassione per Lazzaro e di soccorrerlo.
    Nella seconda parte della parabola, ritroviamo Lazzaro e il ricco dopo la loro morte. Nell'al di là la situazione si è rovesciata. Adesso il ricco riconosce Lazzaro e gli chiede aiuto, mentre in vita faceva finta di non vederlo. Prima gli negava pure gli avanzi della sua tavola, e ora vorrebbe che gli portasse da bere! Crede ancora di poter accampare diritti per la sua precedente condizione sociale. La porta che separava in vita il ricco dal povero, si è trasformata in «un grande abisso». Finché Lazzaro stava sotto casa sua, per il ricco c'era la possibilità di salvezza, spalancare la porta, aiutare Lazzaro, ma ora che entrambi sono morti, la situazione è diventata irreparabile. La parabola mette chiaramente in guardia: la misericordia di Dio verso di noi è legata alla nostra misericordia verso il prossimo. Se io non spalanco la porta del mio cuore al povero, quella porta rimane chiusa. Anche per Dio. E questo è terribile.
    E quando chiede di avvisare i suoi fratelli, la risposta è chiara «Hanno Mosè e i profeti, ascoltino loro». Per convertirci, non dobbiamo aspettare eventi prodigiosi, ma aprire il cuore alla Parola di Dio, che ci chiama ad amare Dio e il prossimo. Nessun messaggero e nessun messaggio potranno sostituire i poveri che incontriamo nel cammino, perché in essi ci viene incontro Gesù stesso: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me», dice Gesù.
    La parabola ci aiuta a fare un sincero esame di coscienza, nella nostra vita personale, di famiglia, nella vita sociale. Oggi più che mai, nei grandi problemi dell'umanità, non posso essere indifferente; forse potrò fare poco, ma tutto quello che mi è possibile, devo e voglio farlo per i poveri della terra: la compassione, la misericordia, la carità, la condivisione, la sensibilità e la conoscenza dei problemi, la preghiera, la conversione del cuore.
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    Coordin.
    00 26/09/2016 08:03
    Chi è il più grande fra loro? Questa domanda assilla molto gli apostoli. Gesù ha risolto questo problema in un modo molto semplice: prendendo come esempio un bambino, con la sua semplicità, con la sua umiltà, con la sua dipendenza da qualcun altro. Gesù voleva così insegnare che i valori del regno di Dio sono completamente diversi da quelli terreni, perché essi vanno oltre la logica umana.
    Questo brano del Vangelo è una lezione per ogni uomo. Ma, ad avere sete di potere per dominare gli altri e mettersi al di sopra degli altri, non è soltanto l’individuo. Interi popoli hanno queste aspirazioni. Che cosa sono le guerre, se non l’espressione tragica della volontà, da parte di un popolo, di essere più potente degli altri? I popoli più indifesi sono vittime delle aspirazioni orgogliose dei più potenti, dei più forti. Preghiamo Dio perché sia fatta pace nel rispetto di tutti. Ogni uomo è figlio di Dio.
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    Coordin.
    00 27/09/2016 08:02
    Casa di Preghiera San Biagio FMA
    Commento su Gb 3,3

    "Perisca il giorno in cui nacqui e la notte in cui si disse: "È stato concepito un maschio!". Perché non sono morto fin dal seno di mia madre e non spirai appena uscito dal grembo?"

    Gb 3,3
    Come vivere questa Parola?

    La liturgia di domenica scorsa ce lo aveva un po' anticipato: il tema della presunzione davanti a Dio e della sua falsa rappresentazione in noi attraversa il libro di Giobbe, così come i temi del senso del dolore, della possibilità di stabilire cosa sia giusto o meno. In questi giorni avremo modo più volte di leggere qualche pagina di questo curioso libro della Bibbia.

    Il versetto qui sottolineato è la bestemmia contro la vita che Giobbe esprime nel momento in cui improvvisamente tutto nella sua esistenza di giusto si rovescia, si rivela effimero e sparisce. Ma come nei salmi imprecatori, questo sfogo non serve altro che a mettere in evidenza la crudeltà della realtà, reagire ad essa ed aprire il cuore alla verità. Giobbe è davvero un giusto davanti a Dio. Egli non pensa a Dio come un distributore automatico di beni, che arrivano se inserisci le monetine giuste e magari sul quale scagliarsi a pugni e calci se ciò non avviene. Egli non pensa Dio nemmeno come un sadico spietato che gode nel vedere la fragilità del suo inferiore. Giobbe è testimone di un'umanità che amata da Dio, sta però al mondo con tutta la sua responsabilità. Ma anche con tutti i suoi sentimenti, le sue emozioni, i desideri e limiti possibili.

    Piange i figli morti, piange le ricchezze perdute, vorrebbe non essere mai nato per non dover aver assistito a tutto ciò... ma poi si rimette davanti al mistero di Dio e si lascia condurre da lui in un immaginario viaggio per l'universo che gli permette di ridimensionare tutto il suo dolore, tutti i suoi desideri... dando nuovo significato e nuova fecondità al suo futuro.
    Signore, come Giobbe anche noi vorremmo rimetterci davanti a Te, alla tua creazione e imparare a guardare il divenire delle cose in altro modo, ritrovando così energia per agire nel bene, speranza per costruire futuro, forza per combattere ogni ingiustizia
    La voce di uno scrittore

    "Certi ricordi non si cancellano." - "Ma puoi purificarli dal dolore che contengono."

    "E come?" - "Proprio con il perdono. Solo il perdono ti rimette in contatto con l'energia dell'amore!"

    Massimo Gramellini
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    Coordin.
    00 28/09/2016 08:46
    Essere discepoli di Gesù significa condividere con lui la sua sorte, la sua condizione di vita, che non è certo molto attraente a prima vista: suppone incertezza e povertà, cioè in una parola, il sacrificio e la rinuncia. Ma il fine non è il sacrificio in sé. Infatti molte volte ritroviamo nel Vangelo promesse di felicità e di beatitudine che Gesù fa a chi decide di seguirlo. Ma già sulla terra, l’essere con Gesù comporta la completa certezza di trovarsi sulla retta via. Ma chi lavora con Gesù per costruire il suo regno incontra spesso difficoltà. Proprio come il terzo uomo di cui parla il Vangelo di oggi. Quanti, nella vigna del Signore, hanno posto mano all’aratro e poi si sono subito tirati indietro, abbandonando la loro vocazione...
    Eppure, anche se se ne parla poco e spesso li si ignora, sono in molti a continuare a sacrificarsi per il regno di Dio, a lavorare seriamente per difenderlo. Come, ad esempio, il popolo croato che, pressoché sconosciuto in Occidente, per secoli ha fatto fronte alle invasioni di popoli allora ostili al cristianesimo, ha offerto in sacrificio vite umane e martiri cristiani, difendendo l’Europa cristiana dalle devastazioni, tanto efficacemente da meritare nel 1519 l’appellativo di “antemurale christianitatis” (baluardo della cristianità) da parte del papa Leone X. Il popolo croato fu il primo popolo fra le nazioni slave a ricevere il battesimo e, proprio in questi ultimi anni, ha celebrato i suoi tredici secoli di cristianità. Ogni uomo e ogni popolo è chiamato a seguire Cristo senza porre condizioni, qualunque sia il prezzo del sacrificio...
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    Coordin.
    00 29/09/2016 07:48
    Giovedì 29 settembre 2016 - SANTI ARCANGELI MICHELE, GABRIELE E RAFFAELE

    *Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell'uomo.*

    È bello percepire l'amichevole presenza degli angeli, messaggeri di grandi eventi nella storia della salvezza. Tra questi amici di Dio, tre servono Dio in un ministero particolare:
    *Michele*, "chi è come Dio?" che combatte contro il male quale protettore di Israele e della Chiesa.
    *Gabriele*, "Colui che reca lieti annunci", come l'annunciazione a Maria.
    *Raffaele*, "medicina di Dio" che discretamente porta guarigione.

    Gli angeli sono la presenza di Dio, sono i segni della sua presenza, del suo amore, della sua provvidenza. È Dio che in loro si manifesta per noi . Sono aiuto da Dio, segno che Dio viene per ciascuno di noi . Ci aiutano ad essere in contatto con Dio, scendendo e salendo... continuamente in relazione: *Dio con noi, noi con Dio*. Di solito accogliamo il mistero dell'incarnazione del "Dio-con-noi" con superficialità. Invece il "noi-con-Dio" può essere una sfida, perché a noi, povere persone umane, piace scappare via dall'amore di Dio... ma gli arcangeli possono aiutarci a non ingannare noi stessi, accettando di essere con Dio, quale unica via di crescita spirituale. Possono aiutarci a non ingannare gli altri, trattandoli come figli dello stesso Padre, avendo cura di loro, promuovendo la loro crescita. Come discreti protettori del nostro cammino, *Michele, Gabriele e Raffaele* ci accompagnino nel cammino della fede, perché "la Parola del Signore corra e sia glorificata" e il nostro rapporto con Cristo Signore sia sempre più saldo. Amen!
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