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RIFLESSIONI BIBLICHE

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    00 04/12/2014 07:02


    Colui che sta per venire non deluderà la nostra attesa? La storia del centurione romano ci assicura in proposito. Colui che viene è un “salvatore”: questo significa il suo nome “Gesù”; questa è la ragione della sua venuta fra noi, della sua Incarnazione.
    Il centurione non ha chiesto esplicitamente la guarigione del suo servo. Si è limitato ad un appello disperato e, insieme, confidente. Gesù non può restare insensibile. Subito gli comunica la sua decisione: “Io verrò e lo curerò”. Allora il centurione mostra un bel senso di rispetto, cosciente della sua indegnità: “Signore, io non son degno...”. Come avrebbe reagito all’annuncio del mistero eucaristico in cui il Salvatore viene in noi e non soltanto a casa nostra? L’atteggiamento di rispetto e di umiltà di questo pagano sono così belli che la Chiesa ci fa ripetere il grido del suo cuore nel momento della comunione.


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    Casa di Preghiera San Biagio FMA
    Commento su Lc 10,21

    «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli»

    Lc 10,21

    Come vivere questa Parola?

    Gesù gioisce lodando il Padre, che rivela le sue cose non alle persone erudite o a coloro che presumono di sapere già tutto, ma ai piccoli, ai semplici di cuore, a quelli che non sono complicati o guardano con sufficienza gli altri. Si tratta quindi di mettersi all'ascolto del Signore con umiltà e disponibilità e vivere la sua parola, aprendosi con stupore dinanzi al mistero della tenerezza e della vita.

    L'Avvento è un tempo propizio per prendere coscienza del dono immenso della grazia e della luce divina, ricuperare l'infanzia dello spirito, che ci rende umili e aperti, a fissare il volto di un Bimbo, il Figlio di Dio, che si è reso fragile creatura per riportarci all'innocenza originaria.


    O Signore, rendi trasparente la mia vita al tuo amore e alla tua luce, perché possa accoglierti nella semplicità e nella consapevolezze di essere "piccolo" davanti a te.


    La voce di Papa Francesco

    "La fedeltà cristiana, la nostra fedeltà, è semplicemente custodire la nostra piccolezza, perché possa dialogare con il Signore. Custodire la nostra piccolezza. Per questo l'umiltà, la mitezza, la mansuetudine sono tanto importanti nella vita del cristiano, perché è una custodia della piccolezza, alla quale piace guardare il Signore. E sarà sempre il dialogo fra la nostra piccolezza e la grandezza del Signore"

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    Movimento Apostolico - rito romano
    Sento compassione per la folla

    Non c'è vera celebrazione del Natale, se tutti gli "Attori" visibili che partecipano alla realizzazione storica, o attualizzazione del mistero della nascita di Cristo Gesù, non si rivestono della stessa motivazione per la quale Gesù è venuto sulla terra ed ha voluto nascere in mezzo a noi, facendosi vero uomo e porre la sua dimora tra i figli dell'uomo.
    Se invece noi rimaniamo "Attori" visibili neutri di questo evento, allora il Natale sarà solo una celebrazione, mai diverrà una vera attualizzazione del mistero. Mai l'evento si trasformerà in nostra vita e nostra storia. Mancano gli "Attori!" visibili chiamati a dare questa consistenza di nuova e perenne vita a Cristo Gesù che nasce.
    Il mistero del Natale manifesta l'eterna compassione di Dio che si fa compassione di Cristo Gesù. È però una compassione singolare, unica, speciale quella di Gesù. È una compassione non per dono di qualche cosa, di un pezzo di pane, un vestito, un aiuto in denaro, un perdono, una qualsiasi altra grazia, ma rimanendo sempre noi, noi; gli altri, gli altri. Se riuscissimo a fare questo, già il Natale sarebbe un grande vento di vita e di rinnovamento. Oggi per un pranzo offerto a Natale a dei poveri si disturbano tutti i mezzi della comunicazione sociale. Ma poi il povero continua ad essere povero ed il ricco persevera nella sua ricchezza. È questo un modo non autenticamente evangelico di comprendere, vivere, celebrare il Santo Natale.
    La compassione di Gesù è prima di tutto incarnazione. Lui che è Dio si fa uomo. Assume la nostra natura umana, diviene parte di noi. Si fa noi, uno di noi, uno come noi. Di noi assume povertà, miseria, malattia, dolore. Di noi prende ogni nostro peccato, ogni nostra colpa. Di noi si prende la maledizione che gravava sulle nostre spalle. Si fa maledetto per noi e per la nostra maledizione si lascia appendere al palo. Per questa comunione il nostro peccato è cancellato, la nostra colpa rimessa. Ma non è solo questa la sua comunione.
    La comunione di Cristo Gesù va ben oltre, infinitamente oltre, perché si fa comunione divina ed eterna. Non ci lascia nella nostra povera e misera umanità, anche se purificata dal peccato. Ci eleva alla sua stessa dignità. Ci fa figli adottivi del Padre. Ci dona il suo Santo Spirito. Ci fa creature nuove. Ci risuscita ad una nuova vita. Ci rende partecipi della natura divina. Ci dona in eredità la vita eterna. Ci sa semplicemente "Dèi". È questa la nostra parte di "Attori" visibili che dobbiamo vivere: incarnarci nella povertà di peccato del mondo, espiarla, liberare l'uomo da essa, donargli una nuova dignità. Non facendo questo attraverso i magnifici riti, bensì attraverso la nostra vita. Il Natale è mistero di incarnazione di Cristo in Cristo, incarnazione nostra, in ogni uomo. compassione.
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    00 04/12/2014 07:17
    Casa di Preghiera San Biagio FMA
    Commento su Isaia 26,1

    Abbiamo una città forte; mura e bastioni egli ha posto a salvezza
    Is 26,1

    Come vivere questa Parola?

    Il passo si snoda sul confronto tra due città: la città eccelsa elevata dagli uomini che creano intorno a sé oppressione e povertà, e la città forte recintata da Dio stesso con mura e bastioni, le cui porte si aprono ad accogliere "la nazione giusta che si mantiene fedele".

    Due città allegoriche rintracciabili in tutti i tempi e in tutti i contesti sociali. Due città che normalmente convivono negli stessi spazi geografici, definite unicamente dalla condotta dei rispettivi cittadini.

    Possiamo allora identificarle anche oggi, là dove ci troviamo a vivere, anzi nel nostro stesso cuore dove possono contendersi gli spazi creando disagio interiore o spingendo a un inutile compromesso. La prima è destinata ad essere "rovesciata a terra", "rasa al suolo", "calpestata" dai piedi di coloro che aveva oppresso e ridotto in povertà. La seconda, fondata sulla roccia, come suggerisce anche il vangelo, non solo è in grado di resistere alle varie vicissitudini della vita e agli attacchi di chi vorrebbe demolirla, ma si accorge con gioioso stupore che Dio stesso, a cui ha aderito scegliendolo quale suo fondamento, è sua salvezza. È lui a circondarla di mura e baluardi che la rendono inattaccabile.

    Un messaggio di speranza, oggi quanto mai desiderato e atteso. Un messaggio, però, che non invita all'inerzia, bensì all'operosità di un impegno serio perché, rimossa ogni forma di ingiustizia, discriminazione, violenza, si accolga fedelmente la parola che indica la via della vita: quella della carità che vede nell'altro non una persona da asservire, ma un fratello da servire.

    Su questo messaggio di speranza voglio indugiare nella riflessione di quest'oggi per impostarvi il mio cammino di avvento.

    Mi hai reso, Signore, una città imbattibile, circondandomi non di mura materiali ma col fuoco del tuo amore. Sta a me non varcarne la soglia per fare facili connubi col non-amore che subdolamente mi istiga al compromesso. Sostienimi con la tua grazia: sii tu la mia fedeltà!

    La voce di un testimone

    Fratelli, quando predichiamo la Parola del Signore, non solo denunciamo le ingiustizie dell'ordine sociale. Denunciamo ogni peccato che è notte, che è ombra: ubriacature, abbuffate, lussurie, adulteri, aborti. Tutto ciò, che è il regno dell'iniquità e del peccato, scompaia dalla nostra società.
    Oscar Romero
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    00 05/12/2014 07:42
    Due ciechi lo seguivano urlando. È un urlo che viene dal profondo come accade per chi non può vedere la forma delle cose, quindi la loro bellezza e la verità che in esse si cela. Solo un cieco può urlare per riavere la vista. È, la sua, una domanda singolare di pietà, quasi violenta, tanto acuto ha il sentimento della perdita che il non vedere implica.
    I due non si peritano neppure di dire cosa vogliono: quell’urlo parla per loro quando si sono accostati a Gesù. Ma avrebbero urlato se non fossero stati assolutamente certi che ciò che chiedevano quell’uomo poteva compierlo?
    Si può urlare per ricevere pietà, se si è mossi da un bisogno incontenibile, da un desiderio insaziabile, solo quando ci si imbatte in uno che può compiere il miracolo.
    E Gesù esaudisce la domanda di fede. Apre gli occhi ai due. Perché normalmente la nostra fede non ha la forza di questo urlo? Perché si stempera nella dimenticanza annoiata? Perché si affievolisce nella prova come un lucignolo fumigante? Forse perché il nostro cuore si ottunde e non anela più a quella bellezza che commuove e a quella affezione che edifica.
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    Coordin.
    00 06/12/2014 07:14
    Casa di Preghiera San Biagio FMA
    Commento su Mt 9, 36

    «Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore!» Mt 9, 36

    Due immagini vengono rapidamente evocate in questi pochi versetti del Vangelo di Matteo: quella del pastore col suo gregge e quella dell’agricoltore nel suo campo.
    Anzi le immagini sono, per così dire, dolorosamente incompiute: sembra che il gregge non abbia guida e che il padrone non si prenda abbastanza cura della sua messe.
    In realtà l’intento è quello di rivelarci da un lato la coscienza missionaria di Gesù, e di anticiparci dall’altro il significato e lo scopo della chiamata dei discepoli (cf. Mt 10).
    In Gesù persona e missione coincidono: la compassione che egli prova davanti alle folle che gli appaiono “stanche e sfinite come pecore senza pastore” è l’esperienza terrena che il Cristo fa quando si presenta al suo popolo: ma questa esperienza manifesta come il suo “io filiale”, già da tutta l’eternità, sia costituito davanti al Padre in una “responsabilità salvifica” nei riguardi dell’intera creazione. Gesù non solo prova compassione, ma è la compassione di Dio che si è fatta presente nella storia.
    La “domanda al padrone della messe” di inviare operai nel suo campo è la preghiera terrena che i discepoli devono fare, ma essa è già esaudita nel dono della venuta di Cristo.
    Solo perché il Padre ha inviato il suo stesso Figlio, i discepoli possono offrire se stessi, ed essi devono pregare per essere disponibili a un invito che in Cristo stesso li raggiunge e li afferra.

    Come vivere questa Parola?

    Dio, pieno di compassione, si china sulle miserie umane per soccorrerle e prospettare un futuro migliore e una ripresa gioiosa. Le persone sono come pecore senza pastore, avvilite e deluse nel deserto della vita: Gesù non solo se ne prende cura, ma dà ai discepoli il potere di scacciare i demoni e di guarire le infermità (cf Mt 9,35-10,1.6-8): dunque sollecita i suoi discepoli ad essere presenti fraternamente, a restituire la dignità alle persone, aiutandole con tutti i mezzi a disposizione, almeno con la comprensione e la vicinanza.


    Anche a noi oggi Gesù rivolge l'invito ad essere partecipi della sua ansia di compassione e a continuare la sua missione di salvare gli uomini, a sentirci responsabili, pregando anzitutto il Padre che invii operai nella sua Messe (cf Mt 9,38), poi donando e condividendo generosamente ciò che siamo e ciò che abbiamo per essere missionari e diffondere il messaggio evangelico.


    Aiutami, Signore, ad essere un testimone credibile della tua bontà e della tua compassione e aiutami a portare gioia e verità e a quanti sono oppressi dal dolore e dall'errore.


    La voce di un grande testimone moderno della carità

    «La vostra felicità è nel bene che farete, nella gioia che diffonderete, nel sorriso che farete fiorire, nelle lacrime che avrete asciugato».

    Raoul FOLLEREAU
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    00 07/12/2014 09:21
    padre Ermes Ronchi
    La buona notizia: Dio viene e profuma di vita la vita

    Due voci parlano del venire di Dio. Isaia, voce del cuore: Viene il Signore con potenza. Ma subito specifica: con la potenza della tenerezza, tiene sul petto i piccoli agnelli e conduce pian piano le pecore madri. Tenerezza di Dio, potenza possibile ad ogni uomo.
    Giovanni delle acque e del sole: Viene uno dopo di me ed è il più forte. Lui ci battezzerà, ci immergerà nel turbine santo di Dio.
    I due profeti usano lo stesso verbo, in un eterno presente: Dio viene, viaggiatore dei secoli e dei cuori, viene come seme che diventa albero, come lievito che solleva la pasta, come profumo di vita per la vita (2 Cor 2,16). C'è chi sa vedere i cieli riflessi in una goccia di rugiada, il profeta vede il cammino di Dio nella polvere delle nostre strade. Dio si avvicina, nel tempo e nello spazio, dentro le cose di tutti i giorni, alla porta della tua casa, ad ogni tuo risveglio.
    Prima parola della prima riga di Marco: Inizio del vangelo di Gesù. Si può allora iniziare di nuovo, anche da là dove la vita si è arrestata, si può ripartire e aprire futuro. Ma come trovarne la forza?
    Inizio di una bella notizia... da qui, solo a partire da una buona notizia si può ricominciare a vivere, a progettare, a stringere legami, e mai partendo da amarezze, da sbagli, dal male che assedia. E se qualcosa di cattivo o doloroso è accaduto, buona notizia diventa il perdono, che lava via gli angoli più oscuri del cuore.
    Inizio di una bella notizia che è Gesù. Lui, mani impigliate nel folto della vita, racconto della tenerezza di Dio, annuncio che è possibile, per tutti, vivere meglio e che il vangelo ne possiede la chiave. Il futuro buono è Dio sempre più vicino, vicino come il respiro, vicino come il cuore, profumo di vita.
    Viene dopo di me uno più forte di me. Gesù è il più forte perché l'unico che parla al cuore, si rivolge al centro dell'umano (parlate al cuore di Gerusalemme, ditele che è finita la notte, Isaia 40, 1-2). Tutte le altre sono voci che vengono da fuori, la sua è l'unica che suona in mezzo all'anima. Perché ciò che conta è soltanto il fondo del cuore dell'uomo. E ciò che è vero nel cuore fa saltare tutto un mondo di scuse e di pretesti, di conformismi e di apparenze.
    Viene colui che è più forte, il Regno di Dio non è stato sopraffatto da altri regni: l'economia, il mercato, il denaro. Il mondo è più vicino a Dio oggi di ieri. Lo attestano la crescita della consapevolezza e della libertà, il fiorire del femminile, il rispetto e la cura per i disabili, l'amore per l'ambiente...
    La buona notizia è una storia gravida di futuro buono per il mondo, perché Dio è sempre più vicino, vicino come un abbraccio. E profuma di vita la vita
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    Coordin.
    00 08/12/2014 09:29
    Omelia (08-12-2014)
    padre Gian Franco Scarpitta
    Immacolatezza e aspirazioni umane

    Giovanni Battista viene esaltato da Gesù come l'uomo più perfetto: "Fra i nati di donna non vi è alcuno più grande di Giovanni" (Lc 7, 26), destinato a diventare appunto il più importante degli uomini per la sua missione di precursore del Messia. Giovanni però era stato soggetto al peccato di Adamo? Era stato invischiato da quella colpa originaria che ci caratterizza tutti in quanto esseri carnali (peccato originale)? E soprattutto è in contrasto l'affermazione di Gesù con l'Immacolatezza assoluta di Maria? Se osserviamo l'incontro fra Maria ed Elisabetta, non possiamo fare a meno di notare come "non appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino (Giovanni) le sussultò nel grembo" per la gioia e l'esultanza. Il che ha fatto sì che Elisabetta riscontrasse in Maria "la madre del mio Signore", la esaltasse in questi termini e nella fede comprendesse il dispiegarsi del disegno di salvezza che Dio attuava nel Cristo e che veniva ad essere preannunciato dal nascituro Giovanni. In tutti questi episodi correlati, gli antichi teologi vedono come Giovanni il Battista abbia ricevuto lo stato di grazia in quel preciso istante in cui le due donne gravide si incontravano: il Battista è stato liberato ad opera del Verbo stesso da una peccaminosità preesistente già nella Visitazione di Maria. Poiché doveva annunciare l'imminenza dell'Agnello di Dio che avrebbe tolto i peccati del mondo, doveva essere liberato dal peccato che lo caratterizzava ancor prima di venire alla luce, durante la gravidanza della madre e anche per questo motivo viene definito "grande fra i nati di donna che tuttavia può diminuire nel Regno dei Cieli, poiché il più piccolo può essere più grande di lui. Quanto a Maria invece, lei non è stata concepita in stato di peccato e neppure nella gravidanza di Anna ha subito macchia alcuna: Maria è stata RESA IMMUNE dal peccato ancor prima del concepimento e cioè quando esisteva solamente nel pensiero di Dio. Maria è la prima redenta in quanto Dio ha fatto in modo che già prima di essere fecondata in Anna fosse libera da qualsiasi macchia di peccato. Quindi Immacolata. Se "fra i nati di donna" può esservi qualcuno maggiore di Giovanni Battista, questo qualcuno è senza dubbio Maria, che nel Regno dei Cieli avrà il massimo della gloria al di sopra di tutti i giusti: questi, per quanto grandi e meritori possano essere, non eguaglieranno mai la grandezza dei prodigi che Dio ha compiuto nella Madre né i meriti della stessa Vergine. A comprovare la verità su Maria Immacolata è l'espressione verbale "piena di grazia" proferita dall'angelo, che in greco (Kekaritomene) vuol dire in effetti "che è stata resa oggetto di tutti i favori divini", "che ha ottenuto ogni sorta di grazia, cioè di interventi benefici da parte del Signore e di conseguenza che è stata raggiunta già anteriormente dalla grazia santificante. Come poteva del resto incarnarsi il Verbo di Dio somma Perfezione in un luogo imperfetto, macchiato anche dalla minima impurità e defezione? Non poteva che essere assolutamente monda e pura colei che era stata preordinata ad essere la Madre del Salvatore, non poteva che essere del tutto libera dal minimo vincolo dell'impurità e dell'imperfezione. Doveva per forza essere insomma Immacolata, cioè senza macchia. Queste sono le "grandi cose" che ha compito Dio nella persona umilissima di Maria di Nazareth. Ma occorre anche considerare che Maria a tali opere grandiose ha preso parte attiva e se il primo protagonista della sua vicenda è il Signore, anche in lei si possono contare qualità, meriti e valori in positivo. In parole povere, anche Maria ha agito consapevolmente, nell'estrema generosità, mossa dalla fede e dalla speranza, ai progetti magnifici che il Signore compiva in lei, collaborando attentamente affinché questi si realizzassero appieno. Le virtù di Maria si palesano nella sua stessa accondiscendenza decisa e risoluta che secondo il titolo di un libro di Von Balthasar, ha fatto di lei "il sì di Dio all'uomo", poiché la sua disposizione ad adempiere la volontà del Signore è stata proficua per la salvezza di tutto il genere umano. Come pure i meriti di Maria si riscontrano nella continua fedeltà a Dio in tutto ciò che quella straordinaria gravidanza comportava, nell'atto di umiltà, pazienza e carità che questa giovane donna ha esternato nei confronti di Dio Padre che nello Spirito agiva in lei affinché concepisse il Figlio per poter seguire poi Questi nei percorsi della sua crescita terrena.
    C'è chi contrasta la possibilità dell'innata immacolatezza in Maria e chi sostiene, muovendo contro il Magistero ecclesiastico, che nessun mortale può venire al mondo in stato di perfezione previa e pertanto anche Maria doveva essere invischiata dalla colpa primaria originale. Altri, in casa laicista e anticlericale, pur di raggiungere i propri obiettivi di riprovazione e di avversione anticattolica smentiscono categoricamente come realtà contraddittoria il fatto che Maria possa essere Immacolata. Eppure proprio contestualmente al sorgere del Dogma di Pio IX del 1854 (secondo alcuni promulgato anche per queste ragioni) serpeggiavano delle teorie razionaliste e positiviste le quali sostenevano che l'intera umanità sarebbe nata "immacolata" e perfetta. Sarebbe stata poi la società dei consumi e la corruzione del sistema a rendere imperfetto ogni uomo e adesso per salvarsi avrebbe bisogno di ancorarsi al progresso illuminato della scienza e della tecnica. La presenza di Maria Vergine Immacolata ci ragguaglia invece del fatto che l'uomo raggiunge la perfezione non senza ammettere innanzitutto di essere imperfetto sin dalla sua origine e che solamente l'umiltà di ammettere i propri peccati è all'origine di ogni processo di migliorament e di perfezione. Maria Immacolata ci ragguaglia infatti sul nostro stato di peccatori sia quanto al peccato originale sia in quanto al peccato attuale. Ma ci conforta anche sul fatto che nell'umiltà e nell'abbandono fiducioso in Dio si può ottenere la perfezione e la salvezza e raggiungere al contempo tutti gli obiettivi prefissati di pace e di realizzazione personale.
    In quanto uomini avremo sempre bisogno di aspirare alla perfezione non già per nostre prerogative o vantaggi acquisiti, ma piuttosto grazie all'intervento di Dio che in Cristo raggiunge l'uomo salvandolo fino in fondo. In questi obiettivi Maria si presenta come una figura significativa che ci è di sprone all'umiltà perché possiamo trovare in noi stessi le motivazioni per considerarci bisognosi di continuo progresso umano e spirituale e perché possiamo considerare che tali obiettivi dipendono esclusivamente dai favori divini e dalla buona volontà di aderirvi con la disinvoltura della fede e della virtù esercitata.
    L'accostamento iniziale con il Battista non è affatto casuale visto che, mentre il Battista ci esorta al ravvedimento e alla conversione in vista dell'incontro pacifico con il Dio che veste i panni di un bambino, Maria ci è di modello e di monito in questa aspettativa di vita e di salvezza piena. Nell'Immacolata noi troviamo infatti lo sprone alla lotta per la perfezione e per il conseguimento della santità, come pure siamo incoraggiati alla perseveranza e alla costanza nel bene affinché l'Avvento del Cristo nella nostra vita possa apportare copiosi frutti duraturi.
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    Coordin.
    00 09/12/2014 07:19
    Omelia (10-12-2013)
    Movimento Apostolico - rito romano
    Che neanche uno di questi piccoli si perda

    La salvezza del suo gregge è tata sempre l'unica e sola sollecitazione di Dio, ma anche la preoccupazione e l'occupazione che gli ha sempre impedito e sempre gli impedisce di prendere riposo nel suo cuore e nella sua mente. Non è facile dare soluzione stabile e definitiva a quest'unico vero problema di Dio, neanche con l'invio di Cristo Gesù, il Buon Pastore delle pecore. La legge della redenzione e della salvezza vuole, esige che sia sempre l'uomo il salvatore dell'uomo. Non però un l'uomo senza Dio, non salvato, ma l'uomo in Dio, nella sua Parola, l'uomo salvato. Con Geremia Dio si impegna a dare lui stesso buoni pastori per il suo gregge.

    «Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo. Oracolo del Signore. Perciò dice il Signore, Dio d'Israele, contro i pastori che devono pascere il mio popolo: Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati; ecco io vi punirò per la malvagità delle vostre opere. Oracolo del Signore. Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho scacciate e le farò tornare ai loro pascoli; saranno feconde e si moltiplicheranno. Costituirò sopra di esse pastori che le faranno pascolare, così che non dovranno più temere né sgomentarsi; non ne mancherà neppure una. Oracolo del Signore (Ger 23,1-4).

    Con Ezechiele promette che lui stesso si sarebbe preso cura delle sue pecore. Cosa che fa in modo stupendo e mirabile con Gesù Signore, il suo Figlio Unigenito.

    Perché così dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna. Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine. Le farò uscire dai popoli e le radunerò da tutte le regioni. Le ricondurrò nella loro terra e le farò pascolare sui monti d'Israele, nelle valli e in tutti i luoghi abitati della regione. Le condurrò in ottime pasture e il loro pascolo sarà sui monti alti d'Israele; là si adageranno su fertili pascoli e pasceranno in abbondanza sui monti d'Israele. Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all'ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia (Ez 34,11-16).

    Gesù, nella sua umanità non possiede una vita immortale. Anche Lui conosce la morte. Anche Lui lascia nella visibilità del suo corpo, questa terra. Vi rimane in modo invisibile. Le pecore hanno però bisogno di pastori visibili, in carne ed ossa, che visibilmente si prenda cura di loro. È questo il motivo per cui la sollecitudine di Dio non potrà mai avere fine. Ogni giorno Lui si dovrà preoccupare, occupare di trovare buoni pastori per le sue pecore, in modo che nessuna si perda e tutti entrino nella vera salvezza.

    Si è buoni pastori, se si è veri pastori. Quando si è veri pastori? Quando il pastore vive la stessa sollecitudine di Dio. Questo può avvenire in un solo modo: se in lui vive lo stesso cuore di Dio. Questo avviene se il cuore del pastore è una cosa sola con il cuore di Cristo Gesù. Il cuore del Padre è tutto nel cuore di Cristo. Cristo è il vero, il buono, il pastore bello delle pecore. Il cuore di ogni altro pastore, divenendo un solo cuore con il cuore di Cristo, vive nel cuore del Padre ed anche Lui, dimorando nell'amore del Padre, nella grazia di Cristo Gesù, nella comunione dello Spirito Santo, diviene un buon pastore, si fa pastore secondo il cuore di Dio.

    Che cosa vi pare? Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita? In verità io vi dico: se riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda.

    Chi non possiede il cuore di Cristo, mai si preoccuperà delle pecore. Anche se vuole, mai lo potrà, gli manca la sorgente, la fonte del vero amore e della divina carità. Cristo Gesù viene, nell'Eucaristia dona il suo cuore e tutta la sua vita, il pastore ogni giorno indossa il cuore di Cristo Signore e con esso si riveste anche della sua carità pastorale necessaria per guidare sulla via della vera salvezza il gregge a lui affidato.
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    Coordin.
    00 10/12/2014 07:57
    Monaci Benedettini Silvestrini
    Levate in alto i vostri occhi e guardate

    Siamo piegati verso la terra, i nostri occhi rapidi e distratti, si posano di prevalenza sulle cose che ci circondano, si soffermano sugli eventi che accadono dentro e fuori di noi. Viviamo l'era della comunicazione; immagini, parole e suoni ci bombardano. Oggi siamo invitati e levare in alto i nostri occhi, a guardare con attenzione e devozione, a concederci una pausa di riflessione, magari di preghiera. Il profeta Isaia ci dice: "Egli dà forza allo stanco e moltiplica il vigore allo spossato... quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi". Il Signore Gesù in modo più esplicito lancia a tutti e a ciascuno di noi un fervido invito: "Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero". Occorre soltanto prendere coscienza del nostro stato di stanchezza e talvolta di oppressione e con umiltà e fervore andare fiduciosi ad incontrare Colui che sta per venire ancora una volta in mezzo a noi. Egli viene a rompere la nostra penosa solitudine, viene a far rifiorire la vita e ridare la gioia. Questo giustifica l'attesa del Natale e la festosità che lo circonda. Il resto sono luci fàtue che forse strappano un sorriso ma non sanno e non possono dare la vera felicità.
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    Coordin.
    00 11/12/2014 06:36
    Riccardo Ripoli
    Il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono

    Non violenza

    Già è brutto leggere della violenza che viene perpetrata ogni giorno verso i più deboli, ma leggere di tifosi che si danno battaglia, che feriscono, che uccidono con cattiveria infinita per un tifo, per uno sport quando invece dovrebbero cantare e ballare insieme per la gioia dello spettacolo. Già uccidere per fede religiosa è sbagliato, figuriamoci per una fede calcistica. Perché avviene? Perché i ragazzi non hanno più fede in Dio? Capisco che qualcuno possa essere deluso dalla chiesa, da un suo modo di operare, scandalizzato dai preti pedofili, dai sacerdoti che predicano bene e razzolano male, dai cristiani che pregano in chiesa e poi fuori si comportano male, ma la Fede con tutto questo non ci combina nulla. Avere Fede significa credere in Dio, a prescindere se si va in chiesa o meno, se ci facciamo il segno della croce, se il venerdì santo rispettiamo il digiuno. Credere. In cosa credono le persone oggi? Nella squadra di calcio dove ogni calciatore è un profeta, dove gli eccessi sono perdonati se si è bravi (vedi Balotelli, Cassano e tanti altri), dove i valori sono rovesciati e non si gioca per divertirsi, per dare spettacolo, ma solo per vincere. Il calcio dove i soldi sono al vertice di tutto, dove le società supportano il tifo più facinoroso, dove la fede per la squadra del cuore ha soppiantato quella per il prossimo, dove l'odio e la violenza hanno sostituito l'amore e la pazienza. Se questa è la fede che volete, se siete disposti ad accettare che prima e dopo ogni partita venga stilato un bollettino di guerra, se lasciate che un manipolo di violenti vi impedisca di portare vostro figlio allo stadio allora questo mondo va bene così. Ma se tutto ciò non vi piace, e sono certo che la stragrande maggioranza delle persone prende le distanze da certi comportamenti, perché non opporvisi? Gesù, Ghandi, Nelson Mandela, Francesco d'Assisi, Madre Teresa, Padre Pio e tanti altri hanno sempre professato la non violenza e qualcosa hanno fatto, qualche seguace l'hanno avuto, qualche cambiamento l'hanno realizzato. Ed allora perché non attivarci anche noi, perché non opporsi al male che prende sempre più forza, alla violenza che ogni giorno vediamo per la strada?
    Basterebbe cominciare a rifiutare il calcio, non andare alle partite, non abbonarsi a sky per colpire le società al cuore, ovvero al portafogli e le violenze, ne sono certo cesserebbero. Troppo estremo? Immagino di si, ma voleva essere una provocazione. In realtà dobbiamo vivere la nostra vita, la quotidianità all'insegna dell'amore e della non violenza, smetterla di arrabbiarsi per ogni cosa che non ci vada a genio, smetterla di alzare la voce perché ogni grido è un atto gratuito e nocivo di violenza. Se siamo i primi ad essere violenti con ilo nostro comportamento, come possiamo pretendere che i nostri figli imparino ad usare la piuma e non la spada?

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    Coordin.
    00 12/12/2014 09:00
    Mt.11,16-19
    In questa parabola Gesù presenta uno specchio ai suoi contemporanei. Essi non possono che riconoscersi come dei bambini testardi: bisogna che gli altri danzino come vogliono loro. Tutto deve andare come vogliono loro.
    E guai a chi non risponde alle loro concezioni, o a chi non rientra nelle loro categorie già stabilite, come Gesù! Essi gli mettono l’etichetta di malato o di buono a nulla, e l’escludono dalla loro società.
    Ma, in definitiva, è a loro stessi che nuocciono nella loro ostinazione. Questi bambini sono incapaci di giocare, si rovinano il gioco da soli.
    Invece Gesù mostra che nel regno di Dio si giudica secondo tutt’altre categorie e tutt’altri criteri: azioni giuste, impegno verso chi vive ai margini della società, solidarietà con i peccatori e i pubblicani, ecco cosa distingue Gesù e i suoi fedeli.
    E Gesù incita i suoi contemporanei, e anche noi a distoglierci dai preconcetti, a rivedere il nostro modo di pensare, a orientarci e ad agire secondo il principio dell’amore di Gesù.
    Affinché i bambini cocciuti si liberino e conoscano la gioia
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    Coordin.
    00 13/12/2014 08:32
    Casa di Preghiera San Biagio FMA
    Commento su Siracide 48, 10

    Per ricondurre il cuore del padre verso il figlio.
    SIR 48, 10

    Come vivere questa Parola?

    Queste parole riferite alla missione del profeta Elia verranno riprese dall'evangelista Luca per descrivere la missione del Battista: "Camminerà dinanzi a lui con lo spirito e la potenza di Elia per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto" ( Lc 1,17).

    A volte dimentichiamo questo aspetto dell'opera dei profeti. Pensiamo che il loro sia soprattutto un compito "teologico", annunciare la volontà di Dio, il suo "castigo" come il suo perdono, aiutare i loro contemporanei a riconoscere la presenza del Signore delle pieghe della storia.

    Oltre a questo c'è però anche un compito più "ordinario" ma non meno importante: ricostruire i legami, riunire gli affetti, ricondurre appunto "i cuori dei padri verso i figli".

    Non possiamo infatti dimenticare che la Parola di Dio mette più facilmente radici là dove le ferite dei cuori sono state ascoltate e sanate.

    Preparare un popolo ben disposto non significa solo dargli le coordinate giuste per comprendere quanto sta per succedere, ma anche alleggerire gli animi dal peso delle divisioni, della lontananza degli affetti, consolare, ammorbidire le durezze di cui ci si veste.

    Il nostro essere profeti dunque richiede una fatica in più: non solo essere "servi" della Parola, ma preoccuparci del terreno dove sarà seminata perché non sia trovato incolto, abbandonato, ma sia stato lavorato e dissodato, siano stati colmati i vuoti della solitudine, levate le pietre delle discordie, costruiti i recinti di affetti riappacificati e recuperati.

    Dammi Signore di essere strumento di riconciliazione e di pace, di impegnarmi a servire i cuori là dove vivono la sofferenza della divisione, della solitudine, della lontananza.

    La voce di un monaco

    La mia vita consiste nel discernere negli altri ciò che li devasta e ciò che li rallegra e nel comunicare con la sofferenza e la gioia degli altri.
    frerè Roger

    Emanuela Giuliani -
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    Coordin.
    00 14/12/2014 08:31
    padre Ermes Ronchi
    E noi chi siamo? Solo voce di un Dio innamorato

    Venne Giovanni mandato da Dio, venne come testimone, per rendere testimonianza alla luce. Non al dominio, alla giustizia, al trionfo di Dio, il profeta rende testimonianza all'umiltà e alla pazienza della luce.
    Ognuno di noi è «uomo mandato da Dio», piccolo profeta inviato nella sua casa, ciascuno pur con il suo cuore d'ombra è in grado di lasciarsi irradiare, di accumulare, di stivare dentro di sé la luce, per poi vedere la realtà «in altra luce» (M. Zambrano). Ognuno testimone non tanto dei comandi, o dei castighi, o del giudizio di Dio, ma della luce del Dio liberatore, che fascia le piaghe dei cuori feriti, che va in cerca di tutti i prigionieri per tirarli fuori dalle loro carceri e rimetterli nel sole.
    Giovanni è testimone non tanto della verità, quanto della luce della verità: perché se il vero e il buono non sono anche belli e non emanano fascino e calore, non muovono il cuore e non lo seducono.
    Infatti il Precursore prepara la strada a Uno che «è venuto e ha fatto risplendere la vita» (2 Timoteo 1,10), è venuto ed ha immesso splendore e bellezza nell'esistenza. Come un sole tanto a lungo atteso, è venuto un Dio luminoso e innamorato in mezzo a noi, guaritore del freddo, ha lavato via gli angoli oscuri del cuore. Dopo di lui è più bello vivere.
    Ed è la positività del Vangelo che fiorisce e invade gli occhi del cuore. E «mi copre col suo manto», dice Isaia, e farà germogliare una primavera di giustizia, una primavera che credevamo impossibile. Mi abbandono, allora, nelle sue mani, come il profeta, come cuore ferito, ma anche come diadema; mi abbandono nelle sue mani come vaso spezzato che egli sanerà, e come gioiello; come schiavo e come corona, testimone di una religione solare e felice.
    Giovanni afferma che il mondo si regge su un principio di luce e non sulla prevalenza del male, che vale molto di più accendere la nostra lampada nella notte che imprecare e denunciare il buio.
    Per tre volte gli domandano: Tu, chi sei? Domanda decisiva anche per me. Io non sono l'uomo prestigioso che vorrei essere né l'insignificante che temo di essere; non sono ciò che gli altri credono di me, né santo, né solo peccatore; non sono il mio ruolo, non sono ciò che appaio.
    Io sono voce. Abitata e attraversata da parole più alte di me, strumento di qualcosa che viene da prima di me, che sarà dopo di me. Io sono voce. Solo Dio è la Parola. Il mio segreto è in sorgenti d'acqua viva che non mi appartengono, che non verranno mai meno, alle quali potrò sempre attingere. Io sono voce quando sono profeta, quando trasmetto parole lucenti e parlo del sole, gridando nel deserto di queste città, come Giovanni, o sussurrando al cuore ferito, come Isaia.
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    Coordin.
    00 15/12/2014 07:25
    Ancora una volta i dottori della legge trascinano Gesù su un terreno scivoloso domandandogli da dove viene il suo potere.
    Ma egli tiene loro testa con abilità e, come risposta, li riduce al silenzio con un’altra domanda.
    Poiché, qualunque fosse il loro modo di rispondere, essi si metterebbero in una situazione delicata.
    Riconoscere che è il cielo che ha mandato Giovanni Battista sarebbe riconoscere che essi hanno commesso un grave peccato non credendo in lui. Ma scegliere l’altra alternativa è attirarsi la collera del popolo, del quale essi hanno ancora bisogno nella loro campagna contro il Nazareno. Essi se ne escono dunque: “Non lo sappiamo”. Ciò fa sì che Gesù stesso non debba rispondere.
    Gli uomini che si sono rifiutati di capire l’importanza della missione e del messaggio di Giovanni Battista, come di trarne le conseguenze, non avrebbero affatto potuto cogliere quella di Gesù Nazareno
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    Coordin.
    00 16/12/2014 07:22
    Monaci Benedettini Silvestrini
    La salvezza è per tutti i popoli

    Una delle verità della nostra fede, sostenuta dalla rivelazione, è che il nostro Dio è un Dio che salva, è un Dio che ama tutti i suoi figli e a tutti offre la salvezza. Sarebbe gravemente riduttivo pensare che il Natale possa essere un evento riservato ai fedeli di fede cattolica cristiana. Egli viene per i peccatori e per "I cuori spezzati". Questo è il progetto di Dio, questa la missione che Gesù viene a realizzare. Egli dirà: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati... poiché io non sono venuto a chiamare dei giusti, ma dei peccatori". Sono la verità e l'azione divina che hanno consentito a noi provenienti dal paganesimo di essere stati fatti partecipi dei benefici della redenzione con la chiamata alla fede. "Il Signore è vicino a chi lo cerca" preghiamo al salmo responsoriale. Prima che tu lo chiami il Signore è già in cammino verso di te! Alle sollecitazioni divine, ai doni di grazia dobbiamo però rispondere con la nostra fedeltà operativa. Non bastano le promesse verbali e le buone intenzioni: "Non chiunque mi dice: "Signore, Signore", entrerà nel regno dei cieli; ma chi fa la volontà del Padre". Fare la volontà di Dio, anche con sacrificio, significa dargli la propria umile e totale adesione, metterlo al primo posto, testimoniarlo con coerenza. È una importante responsabilità ascoltare la voce del Signore, anche quella proferita dai suoi ministri, e non credere. È quanto Gesù rimprovera ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo. Dice loro che i pubblicani e le prostitute alla predicazione di Giovanni, si sono convertiti, loro nella loro boria non hanno creduto. È sempre vero che i doni di Dio vanno accolti sempre con grande umiltà e infinita gratitudine.
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    Coordin.
    00 17/12/2014 07:58
    Casa di Preghiera San Biagio FMA
    Commento su Mt 1, 1-5; 16

    «Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli. Giuda generò Fares e Zara da Tamar. [...]. Iesse generò il re Davide. Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Uria. [...]. Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo».

    Mt 1, 1-5; 16

    Come vivere questa Parola?

    Il Vangelo odierno ci riporta la "genealogia" di Gesù Cristo (vedi anche Lc 3,23-38). Si tratta di un lungo elenco di nomi, per lo più sconosciuti alla maggior parte dei lettori odierni e alcuni dei quali quasi impronunciabili, per cui qualcuno potrebbe chiedersi: «A che pro questa arida successione di nomi? A che serve?». Eppure c'è un profondo significato teologico sotteso, che cerco brevemente di evidenziare.

    Bene ha fatto la Liturgia a scegliere il presente brano di Vangelo in questo tempo di Avvento, in preparazione alla venuta di Gesù nella sua vera carne. Esso vuole sottolineare con forza la realtà dell'Incarnazione del Signore. L'evangelista Matteo vuol mettere in luce la provvidenzialità della storia della salvezza, che da Adamo porta al Cristo. In essa Dio ha profuso la sua misericordia e la sua salvezza. Anche gli esclusi sono accolti nel suo misterioso disegno di amore. Si noterà, infatti, nel testo anche la presenza di quattro donne, tre delle quali erano delle peccatrici: Tamar, Racab, Rut e Betsabea, moglie di Uria e poi di Davide. Del resto lo stesso Davide e Salomone sono stati dei grandi peccatori. Ebbene, Gesù nasce proprio in questa storia, fatta anche di peccato, in questa razza peccatrice, non in un'altra, in una ?razza pura' e perfetta. Egli si è immerso nella corrente limacciosa del fiume umano delle generazioni che lo hanno preceduto, divenendo solidale con noi peccatori.


    O Dio grande nell'amore, che hai voluto far sbocciare il fiore più puro del tuo Figlio dal grembo della Vergine Maria, sullo stelo del tronco di tante generazioni passate non prive di peccato, fa' che anche le generazioni del nostro tempo trovino speranza di salvezza in Te. Amen.


    La voce di un teologo del nostro tempo

    «Caro cardo salutis, disse, con suggestivo gioco di parole, Tertulliano: "la carne è il cardine della salvezza». Non senza un certo stupore noi ascoltiamo queste parole che esprimono il mistero d'avvento e di Natale di questi giorni. [...]. "Nella carne" il Figlio compie l'atto centrale della salvezza e della redenzione; con la dedizione del suo corpo si realizza la sua obbedienza salvifica di fronte al Padre. La salvezza cristiana è una salvezza incarnata; non avviene "fuori" o "al di sopra" del nostro essere corporeo ma dentro, con e in definitiva, in direzione di esso»

    J.B. Metz, Caro cardo salutis, Brescia 1968, pp. 5-8.


    Don Ferdinando Bergamelli SDB - f.bergamelli@tiscali.it


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    Coordin.
    00 18/12/2014 07:58
    Casa di Preghiera San Biagio FMA
    Commento su Seconda Antifona Maggiore

    O Signore,
    guida della casa d'Israele,
    che sei apparso a Mosè
    nel fuoco di fiamma del roveto
    e sul mon­te Sinai gli hai dato la legge:
    vieni a liberarci con braccio potente.
    Seconda Antifona Maggiore

    Come vivere questa Parola?

    L'invocazione odierna è tra quelle con cui più frequentemente ci rivolgiamo a Dio. Nell'originale latino troviamo "Adonai", l'espressione ebraica, usata probabilmente per motivi stilistici in modo da comporre l'acrostico finale delle antifone. L'intenzione profonda però sarà quella di volgere il nostro pensiero a uno degli eventi più misteriosi e grandiosi della storia della salvezza: la chiamata di Mosè presso il roveto ardente, la missione di profeta affidatagli, la rivelazione del nome Dio ~ Adonai ~ Io-Sono a Mosè e quindi a tutto il popolo, l'uscita dall'Egitto, la peregrinazione nel deserto, fino alla consegna della legge sul monte Sinai.

    Ci viene dunque presentata una sintesi dell'evento dell'esodo della "casa d'Israele" che con il braccio potente del Signore viene guidato fuori dalla situazione di oppressione e di angoscia, attraverso il deserto, verso la patria promessa; una sintesi che raffigura il nostro quotidiano pellegrinaggio di conoscenza del Signore e di risposta fiduciosa ai suoi insegnamenti. Perché solo coloro che riusciranno a raccogliersi attorno a questo braccio potente e si lasceranno guidare, dimoreranno tranquilli nella propria terra e chiameranno il loro Salvatore con il nome "Signore-nostra-giustizia" (cf Ger, 6-8).

    Difatti, Colui che ha spiegato la potenza del suo braccio (cf Lc 1,51), rovescia le situazioni distorte della vita e le riporta sulla giusta linea, quella della sua misericordia, della sua promessa ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre. Perché la rivelazione divina sta raggiungendo il compimento: Giuseppe, un discendente di Abramo e di Davide, è destinatario di un'altra rivelazione divina. Nel sonno, senza abbaglianti fiamme di un roveto ardente, viene chiamato a prendere con sé Maria, sua sposa, e il bambino che lei darà alla luce e che viene dallo Spirito Santo, e che chiamerà Gesù: lui infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati (cf Mt 1, 20-23). Gesù, il Signore ~ Adonai, Emmanuele: Dio-con-noi.

    Vieni, o Signore del mondo,
    tu l'Alleanza e la Legge doni al tuo popolo santo,
    vieni, salvaci tu con potenza.
    Vieni, Signore Dio nostro, vieni!
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    Coordin.
    00 19/12/2014 08:22
    Movimento Apostolico - rito romano
    Egli camminerà innanzi a lui con lo spirito e la potenza di Elia

    Nel mistero della salvezza nulla è dalla volontà dell'uomo. Di conseguenza chi vuole essere il vivificatore, il portatore, il realizzatore del mistero di Dio nulla deve mettere di suo, neanche una parola, un desiderio, un pensiero, una volontà. Tutto deve essere dalla volontà di Dio. Sempre. Per tutti i giorni della nostra vita.
    Vi sono però due misteri della salvezza da attuare, realizzare, portare a compimento: quello ordinario e l'altro straordinario. Quello ordinario si attua vivendo in pienezza ogni Parola del Signore, non però secondo una nostra personale comprensione o interpretazione, bensì secondo saggezza, intelligenza, luce soprannaturale che sempre deve essere invocata, chiesta con preghiera incessante, con vita virtuosa, con coscienza pura, con volontà libera, cioè pronta ad accogliere ogni sua mozione.
    Quello straordinario, che dona un impulso di assoluta novità, deve avvenire per rivelazione esplicita, per chiamata diretta, per comunicazione dall'alto. Dio deve scendere con potenza di luce, grazia, verità, forte attrazione spirituale per dare una svolta a quanti Lui sceglie per dare vita nuova all'intera storia. Così Dio ha agito con Abramo, Giuseppe, Mosè, Giosuè, i Profeti. Anche oggi scende dal Cielo e tramite un suo Angelo comunica a Zaccaria, che è nel tempio ad offrire il sacrificio dell'incenso, cosa il Signore ha deciso di fare della vita di lui e della moglie Elisabetta.
    Giovanni il Battista è il frutto dalla grazia di Dio dal seno di sua Madre fino all'ultimo istante della sua vita. Nessun attimo della vita di questo bambino dovrà essere da lui. Lo Spirito Santo lo prende sotto la sua custodia perché sempre e in ogni momento, anche quando è nel grembo materno, inizi a pensare, agire, volere secondo Dio. La sua missione è grande. Lui dovrà andare dinanzi al Signore che viene a preparargli la strada. Non è una missione facile, semplice, umana. È una missione altamente spirituale e solo se lui e lo Spirito diventano una cosa sola, sarà possibile portarla a compimento in pienezza di verità e di saggezza, di fortezza e di prudenza. Lui dovrà essere testimone della luce senza alcuna paura. Dovrà vedere e riferire, ascoltare e annunziare. Avrà bisogno di un corpo santo, di uno spirito pronto, di un'anima pura. Lui dovrà vivere interamente per Gesù. Per questo dovrà vivere perennemente sotto la tenda dello Spirito Santo. La sua opera è straordinaria e in modo straordinario la dovrà vivere. Questo principio è lontano da noi. Non viviamo sotto la tenda dello Spirito.

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    Coordin.
    00 20/12/2014 08:40
    Casa di Preghiera San Biagio FMA
    Commento su Lc 1, 38

    «Allora Maria disse: "Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola". E l'angelo si allontanò da lei».

    Lc 1, 38

    Come vivere questa Parola?

    Il Vangelo di questa feria di Avvento ci riporta il celebre brano dell'Annunciazione a Maria, molto conosciuto e chissà quante volte fatto oggetto di meditazione da tutti noi, per cui è difficile dire delle cose nuove. Mi piace qui leggerlo in parallelo con la precedente ?annunciazione' fatta dall'angelo Gabriele a Zaccaria, che abbiamo meditato solo ieri nella lectio, alla quale rimando. Mentre il sacerdote Zaccaria - come abbiamo visto - "invece di accogliere con fede e con gioia la Parola di Dio, mostra uno scettico pessimismo" nella sua incredulità, Maria, al contrario, si abbandona con una fede pura e totale al "Dio dell'impossibile": "Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola".


    Mi soffermo ancora brevemente su una paroletta breve, ma importante: Eccomi! Essa ricorre molte volte nella Bibbia, soprattutto nelle storie delle vocazioni di tanti personaggi: da Abramo, a Elia, a Isaia, a Geremia... fino a Maria, fino allo stesso Gesù, che, secondo l'Autore della lettera agli Ebrei, entrando nel mondo, dice: «... Allora ho detto: "Ecco, io vengo - poiché di me sta scritto nel rotolo del libro - per fare, o Dio, la tua volontà"» (Eb 10,7 e Sal 40,7-9). Fino all'Eccomi di ognuno di noi che il Signore si attende dal nostro consenso alla sua Parola e alla sua Volontà.


    Vergine dell'Eccomi, che tu hai praticato con radicale fedeltà in tutta la tua esistenza grazie alla tua piena docilità allo Spirito, concedi anche a me che esso diventi forma costante della mia vita: Eccomi, Signore!


    La voce del Papa emerito

    «Maria, Madre del sì, tu hai ascoltato Gesù e conosci il timbro della sua voce e il battito del suo cuore. Stella del mattino, parlaci di lui e raccontaci il tuo cammino per seguirlo nella via della fede. Maria, che a Nazareth hai abitato con Gesù, imprimi nella nostra vita i tuoi sentimenti, la tua docilità, il tuo silenzio che ascolta e fa fiorire la Parola in scelte di vera libertà. Maria, parlaci di Gesù, perché la freschezza della nostra fede brilli nei nostri occhi e scaldi il cuore di chi ci incontra, come tu hai fatto visitando Elisabetta»

    Benedetto XVI: A Loreto il 1° settembre 2007
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    Coordin.
    00 21/12/2014 08:57
    Una donna salutata da Dio. Un saluto portato da un angelo. Una novità assoluta e unica nella storia. Ancor più il contenuto del messaggio: Dio è con te e per questo tu sei traboccante della sua grazia. Tutto questo invita a riconoscere la sconfinata novità che è il concepimento e il natale di Gesù per tutti gli uomini. Maria non si spaventa al vedere l'angelo, ma resta scossa dalle sue parole, perché ne intuisce il peso. La riceve con tremore di gioia e si domanda in cuore cosa le dice questo saluto di bellezza. Timore, accoglienza e custodia nella meditazione: il rapporto vivo con la Parola è tragitto fra mente e cuore, prima di farsi gesto di mani e piedi.

    Ci sono dei precedenti, ma con alcune differenze. Noè "trovò grazia agli occhi di Dio". Invece Gedeone, salutato dall'angelo con "Il Signore è con te", reagisce dicendo: "Se il Signore è davvero con noi, come mai i nemici trionfano?"; a Zaccaria l'angelo appare ufficialmente nel tempio, a Maria nella sua casa. Quello di Maria è il "Figlio dell'Altissimo", grande già nel seno della madre, prima della sua risurrezione.

    È Dio che manda; la storia la guida lui. Con l'annuncio dell'angelo si capiscono tanti avvenimenti biblici passati, perché ora se ne vede il senso e il compimento che finora era come custodito e nascosto. Il segno è forte: il destino delle patrie e dei popoli non è consegnato alla forza e al potere, ma nel grembo di una donna. Questo è il senso dell'essere "piena di grazia" di Maria e il motivo della sua gioia.

    Maria non resiste all'annuncio, è solo consapevole che nessuno ha la misura adeguata per il progetto di Dio. Solo la Pasqua, mistero di morte e risurrezione, vincerà davvero il timore e quel "non temere, Maria" ne è delicata allusione.

    L'angelo da Zaccaria non aspettò il riscontro; qui invece il tempo è sospeso in attesa del consenso nuziale, il sì della sposa. Solo dopo parte da lei; resta la Parola che prende carne e sangue in Maria.

    Una precisazione. Maria non dubitò della possibilità del progetto di Dio, ne chiede solo la modalità; non disse: come è possibile?, ma: come sarà questo? A differenza di Zaccaria, Maria non chiede prove, semplicemente si dispone a fare quanto occorre per la realizzazione del disegno divino, ben consapevole della propria povertà inadeguata (non conosco uomo). La verginità non è superiorità spirituale o grandezza privilegiata, se non per quelli e quelle che sono stati chiamati alla nuzialità esclusiva con lo Sposo-Gesù, anticipo della bellezza finale di ogni nuzialità cristiana.

    Commento a cura di don Angelo Sceppacerca
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    Coordin.
    00 22/12/2014 08:46
    Re di tutti i popoli, oggetto della loro speranza, pietra angolare che da due popoli ne fai uno solo, vieni a salvare l’uomo che tu hai plasmato dalla terra!
    La vita di Maria è esplosa nel canto del Magnificat.
    Lasciamoci guidare da Maria verso Gesù: l’irruzione dell’Eterno nel nostro mondo. Maria ci comunica il segreto della sua gioia. Maria ha approfondito nel silenzio e nella preghiera tutte le profezie e il canto di Anna. Se noi stiamo in ascolto, Maria ci affiderà, in una segreta comunicazione di cuori, il frutto della sua meditazione. La nostra gioia allora esulterà.
    I due Magnificat che la Chiesa ci fa ascoltare oggi sono un invito rivolto a ciascuno di noi perché ne pronunciamo un terzo: il nostro. Un cantico personalizzato nella meditazione della Scrittura e nell’esperienza quotidiana facendo tesoro dell’insegnamento di Maria
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    Coordin.
    00 23/12/2014 00:10
    Movimento Apostolico - rito romano
    Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome»

    La Parola di Dio infallibilmente si compie. Quando la profezia è assoluta, cioè non condizionata da un nostro obbligo, essa si realizza con infallibile certezza. Ora la profezia fatta dall'Angelo a Zaccaria è assoluta. Non gli viene chiesto nessun parere o consiglio. Neanche è soggetta alla sua accettazione o meno. Zaccaria neanche deve dare il suo assenso. Le parole sono di una limpidezza divina: «Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, e tu lo chiamerai Giovanni. Avrai gioia ed esultanza, e molti si rallegreranno della sua nascita, perché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti, sarà colmato di Spirito Santo fin dal seno di sua madre e ricondurrà molti figli d'Israele al Signore loro Dio. Egli camminerà innanzi a lui con lo spirito e la potenza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto» (Lc 1,13-17).
    L'uomo deve prestare la sua collaborazione in ogni cosa. Il Signore Onnipotente questo ha deciso e questo compirà. Lo farà in un modo soprannaturale: muovendo cuori e menti ad una collaborazione perfetta. Anche questa è via che il Signore può scegliere e adottare, essendo Lui l'unico e solo Signore dell'uomo. Zaccaria è uomo giusto assieme ad Elisabetta ed è proprio della giustizia sottomettersi in tutto alla divina volontà. Il mondo che è attorno alla casa di Elisabetta e Zaccaria vede questo prodigio o mistero che si è compiuto, ed esulta, si rallegra, gioisce. Sa che tutto questo non è opera umana. È qualcosa che discende da Dio. Mai una cosa simile potrebbe venire dalla terra, dal cuore degli uomini. Qui è veramente il dito di Dio che agisce.
    Quando si è piccoli, umili, poveri, affamati e assetati di giustizia, verità, santità, misericordia e compassione da parte del nostro Dio, sempre si riesce a vedere l'opera del Signore nella nostra storia. Sempre si innalza dal nostro cuore l'inno di grazia e di benedizione. Ognuno è obbligato a riconoscere ciò che è da lui e ciò che viene dal Signore, cioè che è dalla terra e ciò che invece viene dal Cielo. Giovanni il Battista viene dalla misericordia e dalla grazia di Dio. Viene per preparare la via al Signore. Anche se il mondo non sa di preciso perché viene, sa però che viene perché Dio si accinge a fare cose stupende per il suo popolo.
    Per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei. Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccaria. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c'è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All'istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui.
    Non appena Zaccaria dona il nome al bambino, la profezia ascoltata si compie, la sua lingua si scioglie, può lodare e benedire il suo Dio. Ora lui sa che nessuna parola proferita dal Signore rimane incompiuta. Dio è l'Onnipotente che dice e fa', promette e compie, profetizza e dona storicità ad ogni sua promessa. Oggi tutto desta meraviglia e stupore. Tutto suscita anche un grande timore. Si è alla presenza di un fatto divino. Cosa mai vorrà fare il Signore con questa bambino? Quali saranno i suoi progetti su di lui? Quando Dio è all'opera, sempre compirà grandi cose. Quali saranno questi grandi cose? Per il momento nessuno le conosce. Sappiamo però che essi ci saranno.
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    Coordin.
    00 24/12/2014 07:17
    Movimento Apostolico - rito romano
    E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell'Altissimo


    Nella Scrittura Santa, dinanzi ai grandi eventi della salvezza, l'uomo innalza la sua voce per cantare l'opera di Dio, esaltandolo e benedicendolo. Il primo grande canto che narra la salvezza di Dio è quello intonato da Mosè e dagli Israeliti davanti al Mar Rosso, prima diviso in due e ora ritornato nel suo stato naturale, dopo aver annientato carri, cavalli, cavalieri e lo stesso Faraone, vittima della sua superbia e arroganza.

    «Voglio cantare al Signore, perché ha mirabilmente trionfato: cavallo e cavaliere ha gettato nel mare. Mia forza e mio canto è il Signore, egli è stato la mia salvezza. È il mio Dio: lo voglio lodare, il Dio di mio padre: lo voglio esaltare! Il Signore è un guerriero, Signore è il suo nome. I carri del faraone e il suo esercito li ha scagliati nel mare; i suoi combattenti scelti furono sommersi nel Mar Rosso. Gli abissi li ricoprirono, sprofondarono come pietra. La tua destra, Signore, è gloriosa per la potenza, la tua destra, Signore, annienta il nemico; con sublime maestà abbatti i tuoi avversari, scateni il tuo furore, che li divora come paglia. Al soffio della tua ira si accumularono le acque, si alzarono le onde come un argine, si rappresero gli abissi nel fondo del mare. Il nemico aveva detto: "Inseguirò, raggiungerò, spartirò il bottino, se ne sazierà la mia brama; sfodererò la spada, li conquisterà la mia mano!". Soffiasti con il tuo alito: li ricoprì il mare, sprofondarono come piombo in acque profonde. Chi è come te fra gli dèi, Signore? Chi è come te, maestoso in santità, terribile nelle imprese, autore di prodigi? Stendesti la destra: li inghiottì la terra. Guidasti con il tuo amore questo popolo che hai riscattato, lo conducesti con la tua potenza alla tua santa dimora. Udirono i popoli: sono atterriti. L'angoscia afferrò gli abitanti della Filistea. Allora si sono spaventati i capi di Edom, il pànico prende i potenti di Moab; hanno tremato tutti gli abitanti di Canaan. Piómbino su di loro paura e terrore; per la potenza del tuo braccio restino muti come pietra, finché sia passato il tuo popolo, Signore, finché sia passato questo tuo popolo, che ti sei acquistato. Tu lo fai entrare e lo pianti sul monte della tua eredità, luogo che per tua dimora, Signore, hai preparato, santuario che le tue mani, Signore, hanno fondato. Il Signore regni in eterno e per sempre!». (Es 15,1-18).

    Zaccaria è ancora uomo dell'Antico Testamento. Vede l'opera di Dio sul modello delle altre opere già compiute dal Signore. Il suo canto inneggia al Signore. Il suo cuore sa che Dio si sta accingendo ad operare cose ancora più portentose. Intravede già la grande vera liberazione che è la sorgente, la madre di ogni altra liberazione. Quest'opera di Dio ha un solo nome: remissione dei peccati, liberazione da essi, creazione dell'uomo nuovo attraverso l'azione del suo Messia, Redentore, Salvatore.

    C'è una costante nelle opere di Dio: l'uomo, scelto e chiamato come suo vero strumento. Oggi questo strumento scelto e chiamato è la Chiesa una, santa, cattolica, apostolica, e in essa ogni cristiano. Finché la Chiesa non si penserà strumento scelto e chiamato da Dio, da porsi interamente nelle mani di Dio, alla maniera di Giovanni il Battista e di Gesù, il Signore non potrà compiere le sue grandi opere e a Lui non sale più l'inno di benedizione e di lode. Alla Chiesa e al cristiano urgono oggi dei convincimenti forti, seri, veri. O tutti noi crediamo in ciò che il Signore ci ha fatto e cioè strumento della sua salvezza e della sua gloria, oppure saremo condannati ad un mutismo eterno, mentre Dio dovrà andare a scegliersi altre persone per realizzare nel mondo il mistero della sua salvezza. Cristo Gesù nasce come vero Figlio dell'uomo perché noi nasciamo come veri Figli di Dio, in Lui, con Lui, per Lui

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    Coordin.
    00 25/12/2014 00:40
    fr. Massimo Rossi
    Commento su Giovanni 1,1-18

    Questa notte ho provato a riflettere con i fedeli che affollavano la chiesa sul mistero di un Dio che sceglie di rivelarsi al mondo sotto le spoglie di un neonato...
    Il Vangelo di oggi, vera opera d'arte letteraria, uscita dalla penna e dal cuore di Giovanni, ci aiuta ad accostare il mistero del Natale da un punto di vista meno pittoresco forse, di minore impatto emotivo, ma certamente di spessore teologico incomparabilmente superiore.
    Tra i tanti aspetti meritevoli di attenzione, ve ne propongo due, che hanno a che vedere non tanto con la statura del Messia, quanto piuttosto con la nostra statura di figli di Dio e amici di Cristo. L'auspicio è che in occasione di questo Natale, assumiamo una maggiore consapevolezza di noi stessi, in rapporto alla fede. Come altre volte ho avuto modo di ricordare, la fede non soltanto ci introduce nel mistero di Dio, ma ci consente di fare verità su noi stessi. È infatti la fede che rende sommamente ragione della nostra dignità: creati ad immagine e somiglianza di Dio, è scritto nella Genesi; sì, ma che cosa significa?
    Il significato di questa definizione dell'uomo e della donna, ce l'ha rivelato il Verbo di Dio incarnandosi nel grembo purissimo di Maria e venendo alla luce, nelle fredde steppe di Betlem
    Dunque, la nostra relazione filiale con il Padre e quella amicale con il Figlio: la prima è esplicitamente dichiarata nel Vangelo di oggi, il Prologo di Giovanni, mentre la seconda è lo stesso Gesù che la annuncia ai Dodici, durante la cena di addio (cfr.Gv 15,15).
    La dignità di figli di Dio non è così facile da avvertire nella nostra esperienza terrena; siamo fondamentalmente convinti che quella di figli di Dio non sia proprio la nostra condizione presente; casomai quella futura, nel senso che la vivremo pienamente nella vita eterna, dopo aver varcato la soglia della morte; certo, a livello di concetto sappiamo che "fin d'ora siamo figli di Dio", è sempre Giovanni a dichiararlo nella sua prima Lettera, al cap.3; tuttavia, anche Giovanni precisa: tuttavia "ciò che saremo non è stato ancora pienamente rivelato".
    L'amicizia, invece, è una situazione nella quale, spero, tutti, almeno una volta ci siamo trovati attivamente coinvolti; mentre la figliolanza è un rapporto che non dipende da noi - il padre non possiamo scegliercelo, ma solo riconoscerlo -, l'amicizia è una relazione che nasce se e soltanto se lo consentiamo. Proprio qui sta la novità del Vangelo! Io sono sempre più convinto che la vera rivelazione, consista in queste parole del Maestro di Nazareth: "Non vi chiamo più servi, ma amici": questa è la novità!
    "Non più servi, ma amici": beh, non so se ci conveniva proprio conoscerla....
    Provate a considerare la differenza che passa tra un rapporto di lavoro servile e una relazione affettiva: in antico l'istituto della schiavitù era per lo più finalizzato alle prestazioni lavorative - lo Statuto dei lavoratori non era ancora stato scritto...-. Lo schiavo non era solo il contadino, il pastore, l'addetto alle occupazioni più umili. Il Vangelo ci parla di amministratori ai quali un signore affida tutte le sue sostanze, i quali (amministratori) sono dei semplici servi; per di più, aggiunge il Signore, inutili. In antico alcuni matematici, addirittura alcuni filosofi, erano di estrazione servile...
    La condizione di servo era sostanzialmente tollerata anche dalle prime comunità cristiane; in linea di principio, non si sollevava alcuna obbiezione morale: san Pietro, nella sua prima lettera (cap.2) esorta i servi ad obbedire docilmente ai loro padroni.
    Nonostante il rigore della schiavitù - il padrone aveva diritto di vita e di morte sui servi - il rapporto servo/padrone era un (rapporto) do ut des: lo schiavo otteneva dal padrone vitto, alloggio e protezione. Senza un padrone, uno schiavo di nascita non godeva dei diritti civili. Quello che regolava le condizioni del rapporto era la legge; soprattutto per ciò che riguardava le prestazioni del servo, quasi nulla era lasciato alla libera discrezione: il servo era tenuto a svolgere il suo lavoro secondo i termini di legge, e il padrone era tenuto a retribuirlo. L'osservanza della legge era dunque il fondamento della situazione del servo. Il pio israelita era il perfetto osservante della legge di Mosè; talmente osservante, talmente perfetto che vantava pure dei meriti dinanzi a Dio.
    Essere amici del Signore è tutta un'altra storia!
    Certo, sarebbe un errore pensare che nell'amicizia non ci siano regole; tuttavia ciò che fa la differenza tra la relazione servile e quella amicale è proprio la gratuità del dono reciproco; un vero amico non tiene il registro di entrate/uscite, non ragiona in termini di diritti/doveri, non avanza pretese... Ripeto, come ogni relazione che si rispetti, anche l'amicizia possiede un codice di comportamento, ma ciò che rende l'amicizia diversa da ogni altro rapporto, ragion per cui Gesù sceglie l'amicizia come icona della relazione perfetta tra uomo e Dio, è la mutua donazione, fino al dono della vita.
    E la vita Gesù ce l'ha donata! Dal giorno in cui vide la luce, nei panni del bambino di Betlemme, fino al giorno in cui esalò l'ultimo respiro dall'alto della croce, sulla chiesa nascente rappresentata dalla madre e dal discepolo che Lui amava, Gesù si è donato sempre di più!
    Ora il Signore ci chiede di fare altrettanto: è questo l'aspetto problematico dell'amicizia con Dio: dare la vita a Lui così come Lui l'ha data a noi. Ogni stato di vita, ogni condizione sociale, ogni stagione dell'esistenza può essere l'occasione giusta, il momento giusto per dare la vita al Signore.
    Nostro malgrado, non è possibile donare la vita al Signore se non attraverso l'amore per gli altri uomini. Tutti desideriamo un rapporto diretto, immediato, totale e definitivo con il Signore; purtroppo non ci è possibile, finché siamo su questa terra. Era necessaria l'incarnazione perché lo capissimo: "Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi. Non c'è amore più grande, dare la vita per gli amici" (Cfr Gv 15).
    Ma sarà poi vero che l'amore per gli amici è la forma più alta dell'amore?
    Quanto alla nostra relazione con Cristo, certamente sì, e credo di averlo mostrato.
    Quanto alle nostre relazioni con gli altri uomini, c'è un amore più grande dell'amore per gli amici: è l'amore per i nemici. Anche per questo era necessaria l'incarnazione: che venisse Lui, Dio in persona, a rivelarci come si vive e come si muore per i nemici! Soltanto a questa condizione, che non si risponda al male (ricevuto) con altro male, ma con il bene, possiamo essere certi che il bene vince, e che il male ha i giorni contati.
    Buon Natale!
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    Coordin.
    00 26/12/2014 08:41
    Omelia (26-12-2012)
    Riccardo Ripoli
    Chi persevererà sino alla fine sarà salvato

    Immagino il mondo come una grande ragnatela, fatta di mille fili, ognuno dei quali collegato all'altro. Diceva Karen Blixen "la vita e la morte sono due scrigni serrati, ognuno dei quali contiene la chiave dell'altro". Una persona, un ragazzo che mi sta molto a cuore porta dentro sé il dolore della perdita della sua mamma, come me, ma a differenza mia che ho avuto la fortuna di conoscerla, di apprezzarla, di essere amato, cresciuto, di conservare mille ricordi di lei e dei suoi insegnamenti, non ha mai visto la sua mamma, non ha potuto abbracciarla una sola volta, non è riuscito ad avere un'intesa con lei, né la complicità, né essere difeso, amato, vestito, lavato, rimproverato perché la sua mamma è morta nel darlo alla luce. In questi giorni di Natale ho pensato molto a lui, a questa sua sofferenza che è innegabile, ma non vedo atto più bello da parte di una mamma che dare la propria vita per mettere al mondo la propria creatura. Questo ragazzo deve essere fiero della sua mamma, del suo coraggio, di aver partorito comunque anche se forse già sapeva che la sua vita poteva essere in pericolo, ma non ha badato a spese, non ha chiesto sconti, non ha cercato la via più facile per vivere. Ha scelto lui. Ha scelto di dare vita, fiato al suo bimbo ed in questo modo lo ha amato una sola volta, ma lo ha amato con tale e tanta intensità che questo amore investe tutti noi, ci dona un esempio da seguire.
    Mi fanno rabbia le donne che abortiscono, che rinunciano a dare alla luce un bambino, così come coloro che abortiscono un bambino in affidamento rinunciando ad accogliere un bimbo nella propria casa, d fatto condannandolo a morte. C'è un filo che lega il dolore alla gioia, ma a volte non vogliamo vederlo, a volte lo recidiamo per paura. Così il dolore per la perdita di un bambino che torna alla sua famiglia naturale ci frena nel prendere un ragazzo in affido, oppure la paura di una vita con un figlio ci impedisce di farlo nascere. Dal dolore nasce sempre la gioia, così come nel giorno del primo martire, c'è un filo che lega la morte violenta di Stefano ad opera di un giovane fariseo, Saulo. Quella morte darà nuova vita a San Paolo, è come se Stefano avesse passato il testimone a Saulo che reggeva i mantelli. Si può uccidere la persona buona, ma non si può uccidere la bontà, il suo messaggio di amore, anzi, un atto di cattiveria tanto cruento altro non è che un solo atto, mentre il seme dell'amore che viene sparso ricadrà sul terreno e nei cuori di molti e produrrà frutto.
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    Coordin.
    00 27/12/2014 08:29
    Movimento Apostolico - rito romano
    Ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro

    Corsa singola e comunione ecclesiale devono necessariamente incontrarsi, sostare insieme, insieme riflettere, giungere alla sola unica vera fede. Ad ognuno è consentito di fare la sua corsa. È consentito anche di partire insieme, ma nel tragitto di superare l'altro. Vitae però è fermarsi poi, perché l'altro è necessario alla verità della nostra fede. San Paolo è un esperto corridore. Ma sempre lui si ferma per fare il punto assieme agli altri. Fermarsi è esigenza di verità, comunione, crescita come solo corpo.

    Non sapete che, nelle corse allo stadio, tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è disciplinato in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona che appassisce, noi invece una che dura per sempre. Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio pugilato, ma non come chi batte l'aria; anzi tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non succeda che, dopo avere predicato agli altri, io stesso venga squalificato (1Cor 9,24-27).

    Ma queste cose, che per me erano guadagni, io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo. Anzi, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede: perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti. Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch'io sono stato conquistato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù. Tutti noi, che siamo perfetti, dobbiamo avere questi sentimenti; se in qualche cosa pensate diversamente, Dio vi illuminerà anche su questo. Intanto, dal punto a cui siamo arrivati, insieme procediamo (Fil 3,7-16). Io infatti sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione (2Tm 4,6-8).

    Oggi Pietro e Giovanni corrono verso il sepolcro. Giovanni corre più veloce. Giunge per primo, si ferma, osserva, ma non entra. La testimonianza della verità storica ha bisogno anche di Pietro. Questi giunge. Entra. Vede. Osserva ogni cosa. Esce senza dire alcuna parola. Giovanni invece professa la sua fede: "Vide e credette". Poi nuovamente insieme vanno via. Gesù deve essere cercato altrove. È risorto, ma non è nel sepolcro. Altrove lo si deve cercare. È questa la sua volontà, il suo desiderio.

    Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all'altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario - che era stato sul suo capo - non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.

    Oggi l'Apostolo Giovanni ci insegna la grande verità della comunione nella testimonianza della verità di Cristo Gesù. Nessuno da solo rende testimonianza perfetta a Gesù Signore. La Chiesa è fatta di una infinità di persone. Ognuno deve dare all'altro ciò che possiede. Deve ricevere dall'altro ciò che gli manca. Papa, Vescovo, Sacerdote, Diacono, Religioso, Fedele Laico, testimoniano la vera fede in Cristo Gesù solo se sono in perenne comunione. Non solo discendente, dall'alto verso il basso, ma anche ascendente, dal basso verso l'altro. È regola divina.
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    Coordin.
    00 28/12/2014 08:37
    don Roberto Rossi
    Famiglia di Nazareth modello per tutte le famiglie

    Celebriamo la festa della Santa Famiglia di Nazareth. Ogni presepio ci mostra Gesù insieme con la Madonna e san Giuseppe, nella grotta di Betlemme. Dio ha voluto nascere in una famiglia umana, ha voluto avere una madre e un padre.

    Il nostro sguardo sulla santa Famiglia si lascia attirare anche dalla semplicità della vita che essa conduce a Nazareth. E' un esempio che fa tanto bene alle nostre famiglie, le aiuta a diventare sempre più comunità di amore e di riconciliazione, in cui si sperimenta la tenerezza, l'aiuto vicendevole, il perdono reciproco. Ricordiamo le tre parole-chiave per vivere in pace e gioia in famiglia: "permesso, grazie, scusa". Vorrei anche incoraggiare le famiglie a prendere coscienza dell'importanza che hanno nella Chiesa e nella società. L'annuncio del Vangelo, infatti, passa anzitutto attraverso le famiglie, per poi raggiungere i diversi ambiti della vita quotidiana. (papa Francesco)

    La famiglia, formata nel matrimonio di un uomo e una donna, è il luogo dell'amore gratuito donato. Il Matrimonio è una vocazione. Deve essere una piccola Chiesa domestica dove regna la pace. Unita e gioiosa, testimonia la presenza di Dio. Vedere un'intera famiglia partecipare alla celebrazione eucaristica domenicale è un esempio ed è una pratica da incoraggiare pur senza forzature o imposizioni, ma coltivando formazione, testimonianza, convinzioni. La famiglia di oggi deve essere unita e pronta a condividere sia i momenti di gioia sia i momenti di difficoltà. Deve avere attenzione per i bisogni di ogni suo membro e soprattutto per l'educazione dei figli..

    I genitori devono essere i primi nel dare esempio di onestà e coerenza con ciò che insegnano.

    La famiglia di oggi deve acquisire consapevolezza del proprio ruolo educativo ed assumerne la responsabilità aprendosi alla collaborazione con la scuola e le altre agenzie educative.

    Lo stile di vita deve essere caratterizzato da sobrietà ed essenzialità, coerente con le proprie disponibilità. La famiglia è un soggetto economico, sociale e religioso, che produce e consuma. Dovrà essere un modello di consumo sobrio.

    Dovrà curare lo stile dell'apertura agli altri per fare rete con altre famiglie, come forza positiva e chiedere rispetto per i propri valori ed essere rispettosa degli usi e costumi altrui.

    La famiglia contribuisce positivamente all'ordine sociale. Pur difendendo la propria riservatezza, può mostrarsi aperta e cordiale. Se vuole rispetto deve tenere un atteggiamento adeguato alle circostanze ed al luogo. In riferimento ai parenti: costruire e ricostruire rapporti veri ("il telefono esiste anche per questo").

    Le famiglie dovranno organizzarsi per il miglioramento della vita scolastica e dell'apprendimento e sostenere la diffusione di una cultura umana e scientifica. (dal Sinodo parrocchiale)

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    Coordin.
    00 29/12/2014 09:56
    Nel vangelo di oggi incontriamo Simeone, “uomo giusto e timorato di Dio”. Si riconosce comunque che il suo nome deriva, in ebraico, dal verbo “sentire”: un dettaglio rivelatore poiché egli “sentiva” spesso la voce di Dio. Ma lo Spirito Santo non si accontentava di parlare a Simeone: “era su di lui” e ne faceva una persona retta e, insieme, ardente, che serviva Dio e il prossimo con venerazione e devozione. Era, a quanto pare, un uomo di età matura, che si definiva servo del Signore. Aveva passato la sua vita ad aspettare il “conforto d’Israele”, cioè il Consolatore, il Messia. Non appena vide entrare nel tempio il Bambino Gesù, seppe immediatamente che la sua attesa era terminata. La sua visione interiore si chiarì e la pace del suo animo fu scossa.
    Gesù doveva essere per Israele e per la Chiesa un segno del desiderio che Dio aveva di salvare l’umanità; eppure da alcuni fu respinto.
    Le nostre azioni rivelano i nostri pensieri. Simeone prese tra le braccia Gesù, mostrando così che era pronto a condividere e a compiere la volontà divina.
    Facciamo anche noi così e compiamo nella nostra vita con fede la volontà di Dio
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    Coordin.
    00 30/12/2014 08:32
    Nonostante che Anna, protagonista, con Simeone, di questo brano del Vangelo di Luca, venisse da una tribù insignificante, si faceva notare per le sue grazie spirituali (il suo nome stesso significa “grazia”).
    Aveva ricevuto il dono della preghiera perseverante e della profezia; il suo stile di vita, fatto di abnegazione, di digiuno e di veglia, aggiungeva importanza alla sua preghiera di intercessione per il suo popolo. Anna e Simeone ci mostrano che gli uomini e le donne sono uguali davanti a Dio e che tutti possono ricevere i doni dello Spirito Santo. Anna aveva consacrato a Dio la sua vedovanza, divenendo un modello per molte vedove cristiane. La sua vita illustra alcune verità importanti: tutti hanno il loro posto nel progetto divino di salvezza; Dio fa spesso appello a persone che non se lo sarebbero certo aspettato perché siano suo strumento scelto; le virtù di distacco e di umiltà ottengono sempre l’approvazione di Dio, perché egli può colmare solo un cuore puro da ogni attaccamento materiale.
    Lo spirito ebraico era affascinato dall’etimologia dei nomi; può essere interessante, allora, sapere che Fanuele significa “volto di Dio”: Anna, sua figlia, ha davvero visto il volto di Dio in quello di Cristo
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    Coordin.
    00 31/12/2014 08:27
    In principio, prima della creazione, era il Verbo, divino, dinamico e vivo. Era con Dio ed era Dio. Con queste tre brevi affermazioni, eccoci condotti al mistero stesso della Trinità. Ci è stato concesso di vedere che il Verbo divino ha origine nell’eternità di Dio, vive in un’unione particolare e ineffabile con Dio, è Dio stesso, uguale al Padre e non subordinato o inferiore. E questo Verbo, personale e trascendente, è sceso dalla sua dimora celeste perché Dio fosse presente, in carne ed ossa, sulla terra e per insegnarci a conoscere direttamente il Padre, che lui solo aveva visto. Perché il Verbo è da sempre e per sempre il Figlio Unigenito e prediletto di Dio. In Cristo si trovano unite la divinità e l’umanità. In Cristo vediamo la gloria di Dio brillare attraverso la sua umanità. Ma l’identità del Figlio col Padre è espressa nella dipendenza, nell’obbedienza completa rivelata nel sacrificio, nel dono totale di sé. Si intravede qui l’umiltà della Trinità, così come è manifestata nella carne mortale di Cristo.
    Parlandoci del suo legame con il Padre, Gesù vuole attirarci a sé per fare di noi i suoi discepoli e figli di Dio. Vuole insegnarci che la nostra vita deve riflettere, nella condizione umana, la vita della Trinità, la vita di Dio stesso, se desideriamo ricevere i suoi doni apportatori di salvezza
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    Coordin.
    00 01/01/2015 09:02

    MARIA SANTISSIMA MADRE DI DIO
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    Grado della Celebrazione: SOLENNITA'
    Colore liturgico: Bianco
    S0101 ;

    Il brano del vangelo ci narra un episodio della vita di una famiglia ebrea, ma l’ambientazione è inusuale per una nascita. Si tratta di una famiglia emarginata socialmente. Eppure il bambino è Dio e la giovane donna l’ha concepito e partorito nella verginità. Alcuni pastori si affrettano, in risposta a un messaggio dal cielo, per riconoscerlo e glorificarlo a loro modo.
    Vi è difficile considerarlo vostro Dio?
    Volgete il pensiero per un attimo al fascino persistente esercitato da sua madre su uomini e donne di ogni ambiente e classe, su persone che hanno conosciuto successi o fallimenti di ogni tipo, su uomini di genio, su emarginati, su soldati angosciati e destinati a morire sul campo di battaglia, su persone che passano attraverso dure prove spirituali.
    Il genio artistico si è spesso consacrato alla sua lode: pensate alla “Pietà” di Michelangelo, al gran numero di Madonne medievali e rinascimentali, alle vetrate incantevoli della cattedrale di Chartres e alla più bella di tutte le icone: la Madonna di Vladimir, che aspetta con pazienza, nel Museo Tretiakov di Mosca, giorni migliori.
    Perché la Madonna ispira tanta umanità?
    Forse perché è, come dicono gli ortodossi, un’icona (= immagine) di Dio?
    Forse perché Dio parla per suo tramite anche se Maria resta sempre una sua creatura, sia pure una creatura unica grazie ai doni ricevuti dal Padre?
    Tutto ciò è stato oggetto di discussioni, spesso accese, quando spiriti grandi cercarono di esprimere in termini umani il mistero di Dio fatto uomo.
    Maria fu definita madre di Dio, “theotokos”, e ciò contribuì a calmare dispute intellettuali. Questo appellativo è particolarmente caro ai cristiani dell’Est, ai nostri fratelli del mondo ortodosso, ed è profondamente radicato nella loro teologia, ripetuto spesso nelle loro belle liturgie, specialmente nella liturgia bizantina, che è stata considerata la “più perfetta” proprio per via delle sue preghiere ufficiali dedicate al culto di Maria.
    Cominciamo l’anno nel segno di questo grande mistero.
    Cerchiamo allora di approfondire la nostra devozione a Maria, Madre di Dio e nostra, eliminandone, però, ogni traccia di sentimentalismo spicciolo.





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