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ORAZIONE PRIMA


Quale discepolo del Logos, tra coloro che si sono radunati, è degno di ascendere con Lui dalla terra, dalle cavità terrestri e dai bassi pensieri, fino al monte spirituale della superiore contemplazione? Questo monte mette in fuga ogni ombra che proviene dai cumuli crescenti della malvagità; esso è circonfuso da ogni lato dal raggio della luce vera e nell'aria pura della verità permette di vedere tutto dall'alto, tutto quanto è invisibile a coloro che sono rinchiusi nella caverna. Lo stesso Logos divino, chiamando beati quelli che sono ascesi con Lui, spiega quali e quante siano le realtà che si vedono da questa altura; mostra, per esempio, con un dito, qui il regno dei cieli, là l'eredità della terra superiore; poi mostra la misericordia, la giustizia, la consolazione, l'avvenuta parentela di tutto il creato con Dio e il frutto delle persecuzioni, che è divenire familiari di Dio; il Logos mostra poi quante altre cose è a loro possibile vedere, indicando con il dito, dall'alto del monte, ciò che è scorto dalla superiore visione, attraverso la speranza.


Dal momento che il Signore ascende al monte, ascoltiamo Isaia che grida: "Venite, ascendiamo al monte del Signore" (Is 35,4). Se anche ci asteniamo dal peccato, fortifichiamo, come indica la profezia, le mani abbandonate nella stanchezza e le ginocchia indebolite! se infatti saremo sulla sommità, troveremo colui che medica ogni malattia ed ogni infermità, prendendo su di sé le nostre debolezze e caricandosi delle nostre malattie. Pertanto corriamo anche noi per ascendere al monte, perché stabiliti con Isaia sulla sommità della speranza, possiamo vedere dall'alto tutti quei beni che il Logos mostra a coloro che lo seguono sulla vetta. Il Logos divino dischiuda anche per noi la bocca e ci insegni quelle verità il cui ascolto è beatitudine. Siano per noi l'inizio della contemplazione di quanto abbiamo detto, le parole iniziali del suo insegnamento. "Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli". Se un uomo, avido di ricchezze, trovasse delle lettere che indicano il luogo di un tesoro e se il luogo che contiene il tesoro richiedesse, a coloro che aspirano alle ricchezze lì sepolte, molto sudore e fatica, forse quell'uomo perderebbe coraggio di fronte alle fatiche? Forse trascurerebbe il guadagno? Stimerebbe forse più dolce della ricchezza il non dover sopportare nessuna fatica per lo sforzo? No, certamente no! Chiamerebbe, anzi, tutti i suoi amici a questa impresa e, radunato attorno a sé, da ogni parte e per quanto fosse possibile, l'aiuto necessario allo scopo, grazie al numero della manodopera farebbe suo il bene nascosto. Questo, fratelli, è quel tesoro indicato dalla lettera, ma il bene prezioso è nascosto dall'oscurità. Anche noi, dunque, che aspiriamo all'oro incorrotto, facciamo uso delle molte "mani" della preghiera, così che la ricchezza venga per noi alla luce e tutti ci dividiamo equamente il tesoro e ognuno lo possegga intero. La spartizione della virtù, infatti, è di tale natura che, pur venendo divisa tra tutti coloro che se ne contendono il possesso, in ciascuno è presente tutta intera, senza diminuire in coloro che vi partecipano. Nella spartizione della ricchezza terrena, infatti, colui che ha tratta per sé la parte più grande, commette ingiustizia verso coloro che volevano dividere in parti uguali; infatti rende più piccola la parte dei compagni, chi sovrabbonda nella sua. La ricchezza spirituale, invece, fa come il sole, che si distribuisce a tutti coloro che guardano verso di lui e rimane intero in ciascuno. Poiché dunque si spera, dopo la fatica, un guadagno uguale per ciascuno, uguale per noi tutti sia la collaborazione, attraverso la preghiera, nel richiedere ciò che cerchiamo.


 


Sul concetto di beatitudine: indica la realtà divina che trascende ogni facoltà umana


Per prima cosa, io dico, bisogna pensare attentamente alla beatitudine, cosa mai essa sia. Beatitudine è il possesso di tutte le cose che sono pensate come bene, a cui non manchi nulla di ciò che un desiderio buono può volere. Per noi potrebbe diventare più chiaro il significato di beatitudine; confrontandolo con il suo contrario. Il contrario di beato è infelice. L'infelicità è la tribolazione nelle prove penose e non volute. L'atteggiamento delle persone che si trovano in queste due situazioni è diametralmente opposto. Sicuramente, infatti, l'uomo che si stima beato, gioisce di ciò che gli è posto innanzi per il suo godimento e se ne compiace, l'uomo che si ritiene infelice, al contrario, si rattrista e si addolora della sua presente condizione. Ciò che è da ritenere veramente beato, dunque, è la divinità stessa. Qualsiasi cosa, infatti, noi stabiliamo che essa sia, la beatitudine è quella vita incorrotta, è il bene ineffabile e incomprensibile, è l'inenarrabile bellezza, è la carità stessa, è la sapienza, la potenza, la luce vera, la sorgente di ogni bontà, la potenza che sovrasta ogni cosa; è il solo amabile, è ciò che permane perennemente inalterato, è il compiacimento senza fine, letizia eterna di cui, se uno dicesse tutto ciò che può, non direbbe nulla di ciò che la sua dignità comporta. Il pensiero, infatti, non può giungere a comprendere ciò che la beatitudine è e se anche riuscissimo a pensare, riguardo ad essa, qualche cosa di ciò che è più sublime, l'oggetto del nostro pensiero non potrebbe essere comunicato con nessun discorso.


Nell'uomo "immagine di Dio" si riflettono i "caratteri" della beatitudine trascendente.


Cristo rivela questi caratteri oscurati dal peccato.


Poiché chi plasmò l'uomo lo fece ad immagine di Dio, si dovrebbe, di conseguenza, ritenere beato ciò che è chiamato con tale denominazione per partecipazione alla vera beatitudine. Come per la bellezza fisica il bello archetipo è presente nel volto vivente e sostanziale e viene al secondo posto, per imitazione, ciò che si mostra nell'immagine, così, anche la natura umana, che è immagine della beatitudine trascendente, reca impressa in se stessa il carattere della bellezza del bene, ogni qual volta mostra in sé le impronte dei beati caratteri. Ma poiché la lordura del peccato rovinò la bellezza dell'immagine, giunse chi ci lavò con la sua acqua, acqua vivente che zampilla per la vita eterna, così che noi, deposta la vergogna del peccato, fossimo di nuovo rinnovati, secondo la forma della beatitudine. E, come nell'arte della pittura, l'intenditore potrebbe dire agli inesperti che è bella quella figura composta da certe parti del corpo: da una certa capigliatura, da certe orbite oculari, da una certa linea della sopracciglia, da una certa posizione delle guance, insomma da tutte quelle parti, una per una, per cui la bellezza della forma è completa, così anche colui che dipinge la nostra anima per imitazione dell'unica beatitudine, descrive nel discorso, una per una, le disposizioni che tendono alla beatitudine e dice, prima di tutto: "Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli". Ma che guadagno trarremo dalla munificenza, se non ci sarà chiarito il significato riposto in quelle parole? Anche nell'arte medica, infatti, molti farmaci preziosi e di difficile reperimento, rimangono inutili e sconosciuti, per coloro che non li conoscono, finché non si apprenda dalla Medicina a che cosa sia utile ciascuno di essi.


La povertà di spirito è la povertà di vizi.


Che cosa è dunque la povertà di spirito che permette di impadronirsi del regno dei cieli? Nella Scrittura abbiamo imparato due generi di ricchezza; una è ricercata con sollecitudine, l'altra è condannata. è ricercata la ricchezza della virtù, rigettata quella materiale terrena, poiché una è possesso dell'anima, l'altra, al contrario, è conforme all'inganno dei beni sensibili. Perciò il Signore vieta di accumulare quel tipo di tesoro che giace esposto al pasto delle tarme e all'insidia dei ladri [Mt 6,19]. Egli ordina invece di avere sollecitudine per la ricchezza di quei beni superiori che la corruzione non può intaccare. Parlando di tarme e di ladro Egli indicò colui che rovina i tesori dell'anima. Se dunque si oppongono la povertà e la ricchezza, certamente, secondo l'analogia, anche la povertà che è insegnata nella Scrittura è doppia. L'una è da rigettare, l'altra è da stimarsi beata. Colui che è povero di temperanza, o del prezioso bene della giustizia, o della sapienza, o della prudenza, o di qualsiasi altro tesoro prezioso, risulta povero e privo di beni, mendico, afflitto per la privazione e da compassionare per la povertà di beni preziosi. Colui che, al contrario, è povero volontariamente di tutto ciò che viene pensato come male e non tiene nessun tesoro diabolico custodito nei suoi magazzini, ma vivendo di spirito si guadagna, grazie ad esso, il tesoro della povertà dei vizi, questo dovrebbe trovarsi in quella povertà beata indicata dal Logos, il cui frutto è il regno dei cieli.