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7. Ulteriore motivo di stupore.

Ma c’è ancora un altro motivo per innalzarti ad ammirare.
L’essere è infatti il primo e l’ultimo, è eterno e tuttavia presentissimo, è semplice eppure massimo, è attualissimo e immutabilissimo, è perfettissimo ed immenso, sommamente uno eppure molteplice.
Se tu fissi bene con animo puro lo sguardo su tutto questo, sarai inondato ancora di maggior luce vedendo per di più che egli è l’ultimo, perché primo. In quanto egli è primo, crea ogni cosa per se stesso; deve dunque essere insieme il fine ultimo, principio e termine, alfa ed omega (Ap. 1, 8).
Egli è presentissimo perché eterno. L’eterno non proviene da un altro, non viene meno in se stesso, non passa da un modo all’altro di essere: perciò non ha passato né futuro ma solo l’essere presente.
È poi massimo perché semplicissimo. Semplicissimo nella sua essenza, massimo perciò nel suo potere, che quanto più è concentrato tanto più è infinito. Perché attualissimo è pure immutabile. È attualissimo, perciò atto puro: come tale non acquisisce alcuna novità, non perde niente di quello che possiede: quindi non può cambiare.
Perché perfettissimo è immenso. Di ciò che è perfettissimo non si può pensare nulla di meglio, né di più nobile, né di più degno e quindi niente di maggiore. Chi è così è immenso.
È anche molteplice in quanto sommamente uno. Ciò che è sommamente uno è il principio universale di tutto il molteplice; e perciò causa universale, efficiente, esemplare, finale di ogni cosa, perché è «causa dell’esistere, ragione dell’intendere, norma del vivere».
È perciò molteplice non nel senso che sia essenza delle cose, ma come causa sovranamente eccellente, universale, sufficiente, il cui potere, sommamente uno nell’essenza, è anche sommamente infinito e molteplice nella sua produttività.