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Capita di sentirsi soli, abbandonati. Con quale spirito bisogna vivere la fede in quei momenti? : con quale spirito bisogna vivere la fede cattolica quando i vacillamenti avvengono ripetutamente, anziché saltuariamente?



Risponde don Carlo Nardi, docente di Patristica alla Facoltà Teologica dell'Italia Centrale.


Se si prendono sul serio le parole di Gesù sulla croce: Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato? (Mt 27,56) possiamo capire che anche Lui ha sperimentato questa condizione di totale abbandono da parte del Padre.
Certo, era una citazione dal Salmo 21 (22), ma Gesù non stava facendo letteratura, anche se quelle parole gli erano note dall’ebraico delle Scritture.
Piuttosto stava vivendo pienamente la sua vita nell’imminenza della sua morte: lui che nella fede professiamo, vogliamo professare vero uomo come me e te, e vero Dio come il Padre e lo Spirito Santo. Ma allora ci vien da dire: Com’è possibile? Come stanno le cose?

In quelle parole di Gesù c’è nello stesso tempo luce e buio. Così è tutta la nostra percezione della fede. La si vuole come luce, come comprendo da come tu ne parli: proprio quando ti senti vacillare, tu dici il tuo bisogno, il tuo desiderio di luce. Ma proprio in questo la fede è anche oscurità. Perché non è evidenza. Perché altrimenti non sarebbe fede. L’atto di fede non è una conclusione di un procedimento razionale, e non solo come due più due fa quattro, ma neppure come evidenza storica.

Ma allora come mai san Paolo dice culto ragionevole? (Rm 12,1) Non senza un perché nella versione latina si parla di ragionevolezza: ci sono aneliti nelle religioni e nel pensiero umano a un Dio vicino, umano, unico ma anche in varie personificazioni: si tratta di un desiderio di incarnazione, di un Dio che si fa uomo? e di Trinità di un Dio che è uno ma non solitario? In rapporto alla vicenda di Cristo ci sono testimonianze storiche non solo cristiane, ma anche pagane, poche, ma significative. Però tutte queste premesse non fanno scattare automaticamente la fede. Nella ricerca storica tra l’altro, come in tribunale, vige il principio «fino a prova contraria». Non senza un perché Gesù dice a Pietro Non la carne e il sangue te l’hanno rivelato, che io sono il Messia, figlio di Dio, ma il Padre che è nei cieli, ossia non la tua umanità, compreso il razioncinio, ma la grazia di Dio (Mt 16,17): altrimenti non sarebbe fede ma conclusione di un ragionamento. E se la fede è un dono, la fede ci abbraccia, anche quando ci sentiamo al buio.




D’altra parte la ragionevolezza del cristianesimo è proprio nella sproporzione rispetto alle risorse della ragione umana: Dio che è quel bambino, quel tuo coetaneo, quel crocifisso e poi risorto ed ora vivo in quel pane e vino che non sono più pane né vino ma lui, tutto quanto: insomma, l’incarnazione di un Dio che grida a Dio: Perché mi hai abbandonato? (Mt 27,45). Nel mondo antico di parlava di manifestazioni, di metamorfosi e apoteosi divine, ma si provava un senso di raccapriccio per un Dio fattosi uomo e crocifisso. Proprio perché tutto questo è ineptum - diceva uno dei primi cristiani, Tertulliano nel suo libro La carne di Cristo (5,3) - ossia «inadatto», «disadatto» e quindi «improponibile», «impresentabile», mi va bene. Proprio perché il cristianesimo fa venire le vertigini con un Dio fatto bambino e condannato a morte - un cazzotto nello stomaco -, mi torna.

Di più, almeno in questa sede, non mi sento di dirti. Avere vacillamenti, momenti di oscurità, pensieri tormentosi che s’intrufolano, come tarli, nella mente a suggerire: «Com’è possibile?» non è uno stato straordinario nel cristiano. C’è da avvezzarci a questi momenti di buio. Può succedere già nella prima adolescenza, e poi nei vari passaggi, scansioni, svolte nella vita, in situazioni di vuoto, di delusioni interiori: può l’essere «ragazzo», come ti dici, e insieme uomo immerso in un lavoro precario, ma con tutte le responsabilità. Una tua coetanea, santa Teresa del Bambin Gesù, nella sua autobiografia parla di simili pensieri assillanti. Però questi oscuramenti non risparmiano nessuna età. Anche il Gentilissimo Signor Teologo, come con deferenza e un po’ troppe maiuscole tu chiami chi ora ti scrive, conosce e come momenti del genere! E non solo momenti.

E a quel punto che fare? A quel punto dire: «Eccomi», anche se quel pensiero suggerisce che non c’è nessuno ad ascoltarti. Eccomi è una breve parola nella quale c’è il dire e il fare, il mettersi a disposizione. Fu sulle labbra di Abramo, padre nella fede, e della Madonna. Fede è anche fidarsi, e comporta non solo la mente, ma anche il cuore, gli affetti, il corpo: riguarda me e te tutti interi. È in ballo anche la volontà, per cui: Signore, credo; voglio credere; vieni in aiuto alla mia mancanza di fede (Mc 9,23), Dio, vieni a salvarmi (Sal 69 [70], 2). Dunque, rischiare con la volontà. Risolutamente: Perché dormi, Signore? (Sal. 44 [43], 24).

I mezzi moccoli di Giobbe piacquero al Padre più delle ricette dei suoi amici che venuti a consolare, finirono per rimbrottarlo, sicuri, com’erano, dei loro ragionamenti. Invece c’è da metterci, come siam buoni a farlo, nelle mani di quel Dio che non sembra neppure che ci sia, ma che forse mi sta dietro a proteggermi o accanto a camminare con me (Emmaus …) o davanti a chiamarmi a una nuova stagione, come tu lasci pensare nel tuo biglietto. Se la fede è dono di Dio: è un qualcosa che ci previene, ci sostiene, ci abbraccia.

E prima e dopo …? I «valori cattolici», ma non come una sfilza di principi e di regole: innanzitutto Gesù come persona con cui ci si ragiona. E anche la preghiera; la Bibbia non a bella mostra tra gli scaffali, ma sul comodino; anche la curiosità, anche lo studio. Tu parlavi dei sacramenti «fatti»: ma sono vivi, dal battesimo alla confessione. Sacramenti da vivere, ora e non «domani, domani, domani», come suggeriscono altri pensieri sono sempre pronti a insinuarsi per bloccare ed avvilire. Presente nel «mondo cattolico»: concretamente tra fratelli e sorelle in una comunità cristiana da fratello; e siamo anche figli di chi ci ha portato ai sacramenti e ce li amministra. E fratelli nel mondo così com’è - non solo espressamente cattolico - a «creare dignità», come tu dici, per quanto può dipendere da te, ventottenne in colloquio anche con te stesso, in una revisione e più di una revisione di vita, come ho inteso.