00 15/05/2013 19:09

EUSEBIO DI CESAREA nella sua opera "STORIA ECCLESIASTICA", nel suo primo libro, documenta la professione di fede della Chiesa primitiva sulla DIVINITA’ DI CRISTO .
E' molto importante conoscere cosa pensavano e professavano al riguardo i primi cristiani, perchè da essi è stato ereditato successivamente, ciò che oggi professiamo anche noi.
Ed è importante anche per rendersi conto che la dottrina della DIVINITA' di CRISTO, non è una invenzione del Concilio di Nicea. In tale Concilio i padri conciliari si sono limitati a dichiarare in modo esplicito e definitivo, quanto era già pacificamente accettato e professato implicitamente.

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2. RIASSUNTO SOMMARIO RIGUARDANTE LA PREESISTENZA E LA DIVINITÀ DEL SALVATORE E SIGNORE NOSTRO, IL CRISTO DI DIO

1. La natura del Verbo è duplice: una è paragonabile alla testa del corpo, per la quale è ritenuto Dio, l'altra ai piedi, per la quale è divenuto uomo come noi, assumendo la nostra natura passibile per condurci alla salvezza. La mia esposizione degli avvenimenti che seguiranno potrà essere completa solo se ne racconterò lo svolgimento a partire dalle cose più importanti ed essenziali; cosi facendo dimostrerò anche l'antichità e l'essenza divina del Cristianesimo a coloro che lo ritengono una religione nuova e straniera, apparsa solo di recente.

2. Non c'è nessun discorso che sia di per sé in grado di esporre la nascita, il valore, l'essenza e la natura di Cristo, come anche lo Spirito Santo dice nelle profezie: Chi mai narrerà la sua nascita?

Nessuno infatti conosce il Padre se non il Figlio, e nessuno il Figlio adeguatamente se non il Padre che lo ha generato

3. E chi potrebbe rettamente conoscere, se non il Padre, la luce che esisteva prima della creazione del mondo, la Sapienza intellettiva e sostanziale preesistente ai secoli, e il Dio Verbo, che vive ed è in principio presso il Padre?

'Is53,8  Mt 11,27

8 Per il concetto di economia cf supra, n 5 Con il termine teologia si intende affermare la pura divinità di Cristo (cf Ongene, Contro Celso, 6, 18, 7, 41, Commento a Giovanni, II, 34, 205)