È soltanto un Pokémon con le armi o è un qualcosa di più? Vieni a parlarne su Award & Oscar!

CREDENTI

SCRITTI PATRISTICI PER LA LITURGIA FESTIVA (anno B)

  • Messaggi
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 02/05/2012 08:09
    V DOMENICA DI PASQUA

    Letture: Atti 9,26-31
    1 Giovanni 3,18-24
    Giovanni 15,1-18

    1. La vite e i tralci

    "Io sono la vite e voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui produce molto frutto: perché senza di me voi non potete far nulla" (Gv 15,5).
    Nessuno pensi che il tralcio possa da solo produrre almeno qualche frutto. Il Signore ha detto che chi è in lui produce «molto frutto». E non ha detto: Senza di me potete fare poco ma: «Senza di me Voi non potete fare nulla». Sia il poco sia il molto, non si può farlo comunque senza di lui, poiché senza di lui non si può fare nulla. Perché anche se, quando il tralcio produce pochi frutti, l`agricoltore lo monda, affinché ne produca di piú: tuttavia, se non resterà unito alla vite e non trarrà alimento dalla radice, non potrà da se stesso portare nessun frutto. Anche se Cristo non sarebbe la vite se non fosse uomo, non potrebbe tuttavia fornire ai tralci la capacità di produrre frutti, se non fosse anche Dio. Di modo che, come senza questa grazia è impossibile la vita, cosí la morte è in potere del libero arbitrio.
    "Chi poi non rimarrà in me sarà gettato via come il tralcio; e si dissecca; e poi sarà raccolto e gettato nel fuoco dove brucerà" (Gv 15,6). Il tralcio è infatti tanto prezioso se resta unito alla vite, quanto, se ne è reciso, è privo di valore. Come il Signore fa rilevare per bocca del profeta Ezechiele (cf. Ez 15,5), i rami di vite recisi non possono né essere utili all`agricoltura, né usati dal falegname in alcuna opera. Il tralcio di vite ha due sole alternative: o restare unito alla vite o essere gettato nel fuoco: se non è unito alla vite sarà buttato nel fuoco. Quindi, per non finire nelle fiamme, deve restare unito alla vite.
    "Se voi rimanete in me e le mie parole rimangono in voi domandate quanto volete e vi sarà fatto" (Gv 15,7).
    Rimanendo in Cristo, che cosa possono chiedere i fedeli se non quanto a Cristo conviene? Che possono volere, se restano uniti al Salvatore, se non ciò che non si oppone alla loro salvezza? Una cosa infatti desideriamo, quando siamo in Cristo, e una cosa ben diversa quando siamo ancora uniti a questo mondo. Ma qualche volta può accadere che il fatto di dimorare in questo mondo ci spinga a chiedere qualcosa che, senza che noi ce ne rendiamo conto, non è utile alla nostra salvezza. Ma questo certamente non ci avviene se siamo in Cristo, poiché egli esaudisce le nostre richieste solo quando giovano alla nostra salute eterna. Rimanendo dunque noi in lui e in noi restando le sue parole, potremo chiedergli qualunque cosa, ed egli la compirà in noi. Se gli chiediamo qualcosa ed egli non ci esaudisce, significa che quanto abbiamo chiesto non favorisce il rimanere in lui e non è conforme alla sua parola che in noi dimora, ma riguarda invece desideri e debolezze della carne, che non sono certo in lui, e nelle quali non è certo la sua parola. Quanto alla preghiera che egli stesso ci ha insegnata e con la quale diciamo: "Padre nostro che sei nei cieli" (Mt 6,9), essa fa parte sicuramente delle sue parole.
    Non allontaniamoci, dunque, nelle nostre richieste al Signore, dalla lettera e dallo spirito di questa preghiera: se cosí facciamo, ogni cosa che chiederemo egli ce la concederà. Le sue parole rimangono in noi, quando facciamo quanto ci ha ordinato e desideriamo quanto Ci ha promesso; ma quando invece le sue parole restano, sí, nella nostra memoria, ma non se ne trova traccia nella nostra vita e nei nostri costumi, allora il tralcio non fa piú parte della vite, perché non assorbe piú la vita dalla sua radice. Questa distinzione tra il conoscere la legge e metterla in pratica è efficacemente posta in rilievo dal profeta che dice: "Si ricordano dei suoi comandamenti per metterli in pratica" (Sal 102,18) . Non sono pochi, infatti, coloro che si ricordano dei suoi comandamenti solo per disprezzarli, per deriderli e fare il contrario di ciò che essi ordinano. In costoro non hanno dimora le parole di Cristo; essi sono in qualche modo in contatto con esse, ma non sono affatto ad esse uniti. E tali parole non solo non produrranno in costoro alcun beneficio, ma renderanno invece testimonianza contro di essi. E poiché quelle parole sono in loro, ma essi non le conservano, sono esse che posseggono loro, per condannarli.

    (Agostino, Comment. in Ioan. 81, 3-4)


    2. La vite simbolo della nostra fecondità spirituale

    Saprai certamente che, come hai in comune con i fiori una sorte caduca, cosí hai in comune la letizia con le viti da cui si ricava il vino che rallegra il cuore dell`uomo (cf. Sal 103,15). E magari tu imitassi, o uomo, un simile esempio, in modo da procurarti letizia e giocondità. In te si trova la dolcezza della tua amabilità, da te sgorga, in te rimane, è insita in te; in te stesso devi cercare la gioia della tua coscienza. Perciò la Scrittura dice: "Bevi l`acqua dai tuoi vasi e dalla fonte dei tuoi pozzi" (Pr 5,15). Anzitutto nulla è piú gradito del profumo della vite in fiore, se è vero che il succo spremuto dal fiore della vite produce una bevanda che nello stesso tempo riesce gradevole e giova alla salute. Inoltre, chi non proverebbe meraviglia al vedere che dal vinacciolo di un acino la vite prorompe fino alla sommità dell`albero che protegge come con un amplesso e avvince tra le sue braccia e circonda in una stretta rigorosa, riveste di pampini e cinge di una corona di grappoli? Essa, ad imitazione della nostra vita, prima affonda la sua radice viva nel terreno; poi, siccome per natura è flessibile e non sta ritta, stringe tutto ciò che riesce ad afferrare con i suoi viticci quasi fossero braccia e, reggendosi per mezzo di questi, sale in alto.
    Del tutto simile è il popolo fedele che viene piantato, per cosí dire, mediante la radice della fede e frenato dalla propaggine dell`umiltà. Di essa dice bene il profeta: "Hai trasportato la vite dall`Egitto e ne hai piantato le radici e la terra ne è stata riempita. La sua ombra ha ricoperto i monti e i suoi viticci i cedri del Signore. Stese i suoi rami fino al mare e fino al fiume le sue propaggini" (Sal 79,9-12). E il Signore stesso parlò per bocca d`Isaia dicendo: "Il mio diletto acquistò una vigna su un colle, in un luogo fertile, e la circondai d`un muro e vangai tutt`attorno la vigna di Sorec e nel mezzo vi innalzai una torre" (Is 5,1-2). La circondò infatti come con la palizzata dei comandamenti celesti e con la scolta degli angeli. Infatti "l`angelo del Signore si accamperà attorno a quanti lo temono" (Sal 33,8). Pose nella Chiesa come la torre degli apostoli, dei profeti, dei dottori, che sogliono vigilare per la pace della Chiesa. La vangò tutt`intorno, quando la liberò dal peso delle cure terrene; nulla infatti grava la mente piú delle preoccupazioni di questo mondo e dell`avidità di denaro o di potere. Ciò ti viene mostrato nel Vangelo quando leggi che quella donna, che uno spirito teneva inferma, era cosí curva da non poter guardare in alto. Era curva la sua anima che, rivolta ai guadagni, non vedeva la grazia celeste. Gesú la guardò, la chiamò, e subito la donna depose i pesi terreni. Egli mostra che da simili brame erano gravati coloro ai quali dice: "Venite a me tutti voi che siete affaticati ed oppressi, e io vi ristorerò" (Mt 11,28). L`anima di quella donna, come se le avessero scavato intorno la terra, poté respirare e si raddrizzò.
    Ma anche la vite, quando intorno le è stato zappato il terreno, viene legata e tenuta diritta affinché non si pieghi verso terra. Alcuni tralci si tagliano, altri si fanno ramificare: si tagliano quelli che ostentano un`inutile esuberanza, si fanno ramificare quelli che l`esperto agricoltore giudica produttivi. Perché dovrei descrivere l`ordinata disposizione dei pali di sostegno e la bellezza dei pergolati, che insegnano con verità e chiarezza come nella Chiesa debba essere conservata l`uguaglianza, sicché nessuno, se ricco, e ragguardevole, si senta superiore e nessuno, se povero, e di oscuri natali, si abbatta o si disperi? Nella Chiesa ci sia per tutti un`unica e uguale libertà, con tutti si usi pari giustizia e identica cortesia. Perciò nel mezzo si innalza una torre, per mostrare tutt`intorno l`esempio di quei contadini, di quei pescatori che meritano di occupare la rocca della virtù. Sul loro esempio i nostri sentimenti si elevino, non giacciano a terra spregevoli ed abietti; ma ciascuno innalzi l`animo a ciò che sta sopra di noi e abbia il coraggio di dire: "Ma la nostra cittadinanza è nei cieli" (Fil 3,20). Quindi, per non essere piegato dalle burrasche del secolo e travolto dalla tempesta, ognuno, come fa la vite con i suoi viticci e le sue volute, si stringe a tutti quelli che gli sono vicini quasi in un abbraccio di carità e unito ad essi si sente tranquillo. E` la carità che ci unisce a ciò che sta sopra di noi e ci introduce in cielo. "Se uno rimane nella carità, Dio rimane in lui" (1Gv 4,16). Perciò anche il Signore dice: "Rimanete in me ed io in voi. Come il tralcio non può produrre frutto da solo, se non resta unito alla vite, cosí anche voi, se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci" (Gv 15,4-5).
    Manifestamente il Signore ha indicato che l`esempio della vite deve essere richiamato quale regola per la nostra vita. Sappiamo che quella, riscaldata dal tepore primaverile, dapprima comincia a gemmare, poi manda fuori il frutto dagli stessi nodi dei tralci, dai quali nascendo l`uva prende forma e, a poco a poco sviluppandosi, conserva l`asprezza del prodotto immaturo e non può diventare dolce se non raggiunge la maturazione sotto l`azione del sole. Quale spettacolo è piú gradevole, quale frutto piú dolce che vedere i festoni pendenti come monili di cui si adorna la campagna in tutto il suo splendore, cogliere i grappoli rilucenti d`un colore dorato o simili alla porpora? Crederesti di veder scintillare le ametiste e le altre gemme, balenare le pietre indiane, risplendere l`attraente eleganza delle perle, e non ti accorgi che tutto ciò ti ammonisce a stare in guardia perché il giorno supremo non trovi immaturi i tuoi frutti, il tempo dell`età nella sua pienezza non produca opere di scarso valore. Il frutto acerbo suole essere senz`altro amaro e non può essere dolce se non ciò che è cresciuto sino alla perfetta maturità. A quest`uomo perfetto solitamente non nuoce né il freddo della morte con il suo brivido né il sole dell`iniquità, perché lo protegge con la sua ombra la grazia divina e spegne ogni incendio di cupidigie mondane e di lussuria carnale e ne tiene lontani gli ardori. Ti lodino tutti coloro che ti vedono e ammirino le schiere dei cristiani come ghirlande di tralci, contempli ciascuno i magnifici ornamenti delle anime fedeli, tragga diletto dalla maturità della loro prudenza, dallo splendore della loro fede, dalla dignità della loro testimonianza, dalla bellezza della loro santa vita, dall`abbondanza della loro misericordia, cosí che ti possano dire: "La tua sposa è come vite ricca di grappoli nell`interno della tua casa" (Sal 127,3), perché con l`esercizio di una generosa liberalità riproduci l`opulenza d`una vite carica di grappoli.

    (Ambrogio, Exameron III, V, 12, 49-52)


    3. L`immagine si rinnova avvicinandosi progressivamente a Dio

    Certo, il rinnovamento di cui ora si parla, non si compie istantaneamente con la conversione stessa, come il rinnovamento del Battesimo si compie istantaneamente con la remissione di tutti i peccati, senza che rimanga da rimettere la piú piccola colpa. Ma come una cosa è non avere piú la febbre, altra cosa ristabilirsi dalla debolezza causata dalla febbre, ancora come una cosa è estrarre il dardo conficcato nel corpo, altra cosa poi guarire con un`altra cura la ferita procurata dal dardo; cosí la prima cura consiste nel rimuovere la causa della malattia, ciò che avviene con il perdono di tutti i peccati, la seconda nel curare la malattia stessa, ciò che avviene a poco a poco progredendo nel rinnovamento di questa immagine. Questi due momenti sono indicati nel Salmo in cui si legge: "Egli perdona tutte le tue iniquità", ciò che si attua nel Battesimo; poi il Salmo continua: "Egli guarisce tutte le tue malattie" (Sal 102,3), ciò che si attua con i progressi quotidiani, quando si rinnova questa immagine. Di questo rinnovamento parla assai chiaramente l`Apostolo quando dice: "Quantunque il nostro uomo esteriore vada deperendo, quello interiore però si rinnova di giorno in giorno" (2Cor 4,16). Ora "si rinnova nella conoscenza di Dio" (Col 3,10), cioè "nella vera giustizia e santità" (Ef 4,24), secondo i termini usati dall`Apostolo nelle testimonianze che ho riportato un po` piú sopra. Dunque colui che di giorno in giorno si rinnova progredendo nella conoscenza di Dio e nella vera giustizia e santità, trasporta il suo amore dalle cose temporali alle cose eterne, dalle cose sensibili alle intelligibili, dalle carnali alle spirituali e si dedica con cura a separarsi dalle cose temporali, frenando ed indebolendo la passione, e ad unirsi con la carità a quelle eterne. Non gli è possibile però questo che nella misura in cui riceve l`aiuto di Dio. E Dio che l`ha detto: "Senza di me non potete far nulla" (Gv 15,5). Chiunque l`ultimo giorno di questa vita sorprenda in tale progresso e accrescimento, e nella fede nel Mediatore, questi sarà accolto dai santi Angeli per essere condotto a Dio che ha onorato e per ricevere da lui la sua perfezione, alla fine dei tempi gli sarà dato un corpo incorruttibile per non essere destinato alla sofferenza, ma alla gloria. In questa immagine sarà perfetta la somiglianza di Dio (cf. Gen 5,1; Gc 3,9), quando sarà perfetta la visione di Dio. Di questa visione l`apostolo Paolo dice: "Ora vediamo per mezzo di uno specchio in enigma, ma allora a faccia a faccia" (1Cor 13,12). Egli dice pure: "Noi che, a faccia velata, rispecchiamo la gloria del Signore, siamo trasformati nella stessa immagine, salendo di gloria in gloria, in conformità all`operazione del Signore che è spirito" (2Cor 3,18). E questo che si realizza in coloro che progrediscono di giorno in giorno nel bene.

    (Agostino, De Trinit., 14, 17, 23)


    4. Lotta contro le tentazioni

    Se ti viene in mente un cattivo pensiero, grida, con lacrime al Signore: «Signore, sii buono con me peccatore! Perdonami, o amico degli uomini. Signore, allontana il male da noi!». Certo, il Signore conosce i cuori: sa quali pensieri sorgono da un animo cattivo, ma sa anche quali pensieri vengono in noi versati dalla stizza amara dei demoni. Tuttavia sappilo: piú tu combatti e resti fedele nel servizio del Signore, piú i tuoi sensi e i tuoi pensieri verranno purificati. Infatti, nostro Signore Gesú Cristo ha detto: "Ogni ramo che in me porta frutto, io lo purificberò, perché porti frutto maggiore" (Gv 15,2). Solo abbi la piú sincera volontà di farti santo! Il Signore ama e appoggia col suo aiuto coloro che sono zelanti e lavorano per ottenere la salvezza dell`anima.
    Senti ora un esempio, che ti illustra i cattivi pensieri. Quando l`uva vien colta dalla vite, gettata nel torchio e pigiata, produce il suo mosto, che vien raccolto in vasi. E questo mosto, all`inizio, fermenta tanto forte, come se bollisse al fuoco piú acceso in una caldaia; anche i vasi migliori non riescono a contenerne la forza, ma si rompono pel suo calore. Ciò avviene coi pensieri degli uomini, quando essi si elevano da questo mondo vano, e dalle sue cure, alle realtà celesti. Allora gli spiriti cattivi, che non ne possono sopportare il fervore, conturbano in mille modi la mente dell`uomo, cercando di suscitarvi una tetra burrasca, per rovinare e squarciare il vaso, cioè l`anima riempiendola di dubbi e rendendola infedele.

    (Efrem, Ad monach. Aegypt., 10, 2)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 09/05/2012 06:46
    VI DOMENICA DI PASQUA

    Letture: Atti 10,25.27.34-35.44-48
    1 Giovanni 4,7-10
    Giovanni 15,9-17

    1. Il comandamento «nuovo» di Gesù

    Dal momento che la Sacra Scrittura è tutta piena di divini precetti, come mai il Signore parla della carità quasi di un comandamento unico, e dice: "Questo è il mio comandamento: che vi amiate scambievolmente" (Gv 15,12), se non perché i comandamenti sono tutti compendiati nell`unica carità e tutti formano un unico comandamento? Infatti, tutto ciò che ci viene comandato ha il suo fondamento solo nella carità. Come i molteplici rami di un albero provengono da una sola radice, cosí le molteplici virtù traggono origine dalla sola carità. E non ha vigore di verde il ramo del ben operare, se non resta unito alla radice della carità. Perciò, i precetti del Signore sono molti e al tempo stesso uno solo: molti per la diversità delle opere, uno per la radice della carità.
    Come poi dobbiamo conservare la carità, ce lo insegna quegli stesso che in varie parti della Scrittura ci ordina di amare gli amici in lui e i nemici per lui. Possiede, invero, carità vera solo chi ama l`amico in Dio, e il nemico per Dio.
    Vi sono alcuni, infatti, che amano il prossimo per affetto di sangue o di parentela, e ciò non trova sanzione di condanna nella Scrittura. Ricordiamoci però che una cosa è ciò che nasce spontaneamente dalla natura, un`altra è quel che siamo tenuti a praticare in obbedienza al precetto del Signore. Coloro che amano di amore naturale i loro parenti, amano certamente il prossimo; tuttavia, essi non acquistano i nobilissimi premi della carità perché il loro amore non è spirituale, bensí carnale. Ecco perché il Signore Gesú, dopo aver detto: "Questo è il mio comandamento: che vi amiate scambievolmente", subito aggiunge: "come io ho amato voi". Quasi a volerci dire: «Amatevi per quei motivi per i quali io stesso ho amato voi».
    Per la qual cosa, fratelli carissimi, va notato con scrupolosa diligenza che il nostro antico avversario, mentre attrae il nostro spirito verso il diletto delle cose temporali, ci mette contro qualche prossimo debole, per strapparci via ciò che amiamo. E non si dà pensiero questo antico avversario, cosí facendo, di toglierci le cose terrene, bensí di ferire la carità in noi. Invero, quando ciò si verifica, noi subito diamo in escandescenze, e mentre bramiamo uscire vittoriosi all`esterno, dentro veniamo gravemente feriti; mentre all`esterno difendiamo cose da nulla, dentro alieniamo le maggiori, poiché mentre amiamo le cose temporali, perdiamo il vero amore. Chiunque infatti ci toglie del nostro, è un nemico. Però se avremo incominciato ad odiare il nemico, è dentro di noi che si verifica la perdita. Quindi, quando subiamo qualche sgarbo esterno da parte di un prossimo, rimaniamo ben vigili rispetto al devastatore dell`anima nostra: nei suoi confronti non si dà modo piú clamoroso di vittoria, se non quello stesso che usiamo quando ricambiamo con l`amore chi ci porta via i beni esteriori. Una sola è la prova suprema della carità: amare anche chi ci si rivela nemico. Ecco perché il Signore Gesú, pur subendo i tormenti della crocifissione, mostra verso i suoi persecutori sentimenti di carità, e dice al Padre: "Perdona loro, perché non sanno quello che fanno" (Lc 23,24).
    C`è da meravigliarsi dunque se i discepoli amano in vita quei nemici che il Maestro ha amato proprio mentre veniva ucciso? Egli esprime il culmine della carità, quando soggiunge: "Nessuno ha un amore piu grande di colui che dà la vita per i propri amici" (Gv 15,13). Il Signore era venuto a morire per i nemici, e tuttavia diceva di voler dare la sua vita per gli amici, per mostrarci che, senza ombra di dubbio, mentre possiamo trarre merito dall`amore dei nemici, diventano alla fine nostri amici persino coloro che ci perseguitano.

    (Gregorio Magno, Hom. in Ev., 27, 1 s.)


    2. Ama e fà ciò che vuoi

    "In questo si è manifestato l`amore di Dio in noi, che egli ha mandato in questo mondo il suo Figlio Unigenito, affinché potessimo vivere per mezzo suo" (1Gv 4,9). Il Signore stesso ha detto: "Nessuno può avere maggior amore di chi dà la sua vita per i suoi amici", e l`amore di Cristo verso di noi si dimostra nel fatto che egli è morto per noi. Quale è invece la prova dell`amore del Padre verso di noi? Che egli ha mandato il suo unico Figlio a morire per noi. Cosí afferma l`apostolo Paolo: "Egli che non risparmiò il suo proprio Figlio, ma lo diede per noi tutti come non ci ha dato insieme con lui tutti i doni? (Rm 8,32). Ecco, il Padre consegnò Cristo e anche Giuda lo consegnò; forse che il fatto non appare simile? Giuda è traditore - dunque anche il Padre è traditore? Non sia mai, tu dici. Non lo dico io ma l`Apostolo: "Lui che non risparmiò il proprio Figlio, ma lo diede per tutti noi". Il Padre lo diede e Cristo stesso si diede. L`Apostolo infatti dice: "Colui che mi amò e diede se stesso per me" (Gal 2,20). Se il Padre diede il Figlio ed il Figlio se stesso, Giuda che cosa fece? Una consegna è stata fatta dal Padre, una dal Figlio, una da Giuda: si tratta di una identica cosa: ma come si distinguono il Padre che dà il Figlio, e il Figlio che dà se stesso e Giuda il discepolo che dà il suo maestro? Il Padre ed il Figlio fecero ciò nella carità; compí la stessa azione anche Giuda, ma nel tradimento. Vedete che non bisogna considerare che cosa fa l`uomo ma con quale animo e con quale volontà lo faccia. Troviamo Dio Padre nella stessa azione in cui troviamo anche Giuda: benediciamo il Padre, detestiamo Giuda. Perché benediciamo il Padre e detestiamo Giuda? Benediciamo la carità, detestiamo l`iniquità. Quanto vantaggio infatti venne al genere umano dal fatto che Cristo fu tradito? Forse che Giuda ebbe in mente questo vantaggio nel tradire? Dio ebbe in mente la nostra salvezza per la quale siamo stati redenti; Giuda ebbe in mente il prezzo che prese per vendere il Signore. Il Figlio ebbe in mente il prezzo che diede per noi, Giuda pensò al prezzo che ricevette per venderlo. Una diversa intenzione dunque, rese i fatti diversi. Se misuriamo questo identico fatto dalle diverse intenzioni, una di esse deve essere amata, l`altra condannata; una deve essere glorificata, l`altra detestata. Tanto vale la carità! Vedete che essa sola soppesa e distingue i fatti degli uomini.
    Dicemmo questo in riferimento a fatti simili. In riferimento a fatti diversi troviamo un uomo che infierisce per motivo di carità ed uno gentile per motivo di iniquità. Un padre percuote il figlio e un mercante di schiavi invece tratta con riguardo. Se ti metti davanti queste due cose, le percosse e le carezze, chi non preferisce le carezze e fugge le percosse? Se poni mente alle persone, la carità colpisce, l`iniquità blandisce. Considerate bene quanto qui insegniamo, che cioè i fatti degli uomini non si differenziano se non partendo dalla radice della carità. Molte cose infatti possono avvenire che hanno una apparenza buona ma non procedono dalla radice della carità: anche le spine hanno i fiori; alcune cose sembrano aspre e dure; ma si fanno, per instaurare una disciplina, sotto il comando della carità. Una volta per tutte dunque ti viene imposto un breve precetto: ama e fa` ciò che vuoi; sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni, perdona per amore; sia in te la radice dell`amore, poiché da questa radice non può procedere se non il bene.

    (Agostino, In Ioan. Ep. Tract., 7, 7-8)


    3. Cristo non vuole chiamarci servi ma amici

    Dal momento che tutti i precetti naturali sono comuni a noi e ad essi (Giudei), avendo avuto origine presso di loro, mentre presso di noi hanno trovato crescita e compimento - obbedire a Dio, infatti, seguire il suo Verbo, amarlo sopra ogni cosa e amare il prossimo come sé stessi (e l`uomo è il prossimo dell`uomo), astenersi da azioni malvagie, e cosí via, tutto ciò è comune agli uni e agli altri -, manifestano un solo e medesimo Signore. E questi, altri non è che nostro Signore, il Verbo di Dio, il quale dapprima attrasse a Dio dei servi, poi li liberò dal giogo della soggezione, secondo quanto egli stesso dichiara ai discepoli: "Non vi chiamo piú servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l`ho fatto conoscere a voi" (Gv 15,15). Quando, infatti, dice: "Non vi chiamo piú servi", vuole significare con assoluta certezza che è lui che, con la Legge, ha dapprima imposto agli uomini la servitú nei riguardi di Dio, e che in seguito ha ridato loro la libertà.
    Dicendo, poi: "Perché il servo non sa quello che fa il suo padrone, egli sottolinea l`ignoranza del popolo servile relativamente alla sua venuta.
    Infine, chiamando amici di Dio i suoi discepoli, dimostra apertamente che egli è il Verbo, seguendo il quale, volontariamente e senza costrizioni, Abramo è divenuto, per la generosità della fede, "amico di Dio" (Gc 2,23).

    (Ireneo di Lione, Adv. haer., IV, 13, 4)


    4. Non si deve giudicare il prossimo

    Se infatti avessimo amore, insieme a compassione e pena tralasceremmo di guardare i difetti del prossimo, come è detto. "L`amore copre un gran numero di peccati (1Pt 4,8), e ancora: "L`amore non calcola il male, tutto ricopre" (1Cor 13,5ss), con quel che segue. Anche noi dunque, come ho detto, se avessimo l`amore, l`amore stesso riparerebbe ogni caduta, come i santi quando vedono i difetti degli uomini. Forse che i santi sono ciechi e non vedono i peccati? Chi odia tanto il peccato quanto i i santi? E tuttavia non odiano il peccatore, non lo condannano, non se ne allontanano, ma ne hanno compassione, lo ammoniscono, lo consolano, lo curano come un membro malato: fanno di tutto per salvarlo. I pescatori, quando gettano l`amo in mare e prendono un grosso pesce, se si accorgono che si agita e si divincola, non lo tirano subito con violenza, perché la lenza si romperebbe e tutto andrebbe perduto, ma gli danno corda abilmente e lo lasciano andare dove vuole; quando poi capiscono che non ce la fa piú e ha cessato di dibattersi, allora piano piano cominciano a tirarlo indietro. Allo stesso modo fanno anche i santi: con la pazienza e con l`amore attirano il fratello e non lo cacciano via a calci né se ne disgustano, ma come una madre, se ha un figlio deforme, non se ne disgusta, non se ne allontana, ma volentieri lo adorna e fa quello che può per renderlo gradevole, cosí i santi sempre proteggono il peccatore, lo preparano, se ne prendono cura per poterlo correggere al momento opportuno e per non permettergli di danneggiare qualcun altro, ma per fare anch`essi maggiori progressi nell`amore di Cristo. Che fece sant`Ammonas, quando vennero quei fratelli, tutti turbati, a dirgli: «Ecco, guarda, "abba" c`è una donna nella cella del tal fratello»? Quanta misericordia dimostrò? Quanto amore ebbe quell`anima santa? Sapendo che il fratello aveva nascosto la donna sotto la botte, se ne andò a sederci sopra e disse agli altri di cercare in tutta la cella. E siccome non la trovarono, disse loro: «Dio vi perdoni!». Li svergognò per aiutare anche loro a non dar credito facilmente alle dicerie contro il prossimo; ma fece rinsavire anche quell`altro, non solo proteggendolo, dopo Dio, ma anche correggendolo, quando trovò il momento adatto. Infatti, dopo aver fatto uscire tutti gli altri, non fece altro che prendergli la mano e dirgli: «Pensa a te stesso, fratello»: e il fratello subito si vergognò e restò compunto, e subito agí sulla sua anima la bontà e la compassione dell`Anziano.
    Anche noi, dunque, cerchiamo di acquistare l`amore, cerchiamo di acquistare la misericordia per il prossimo, per guardarci dalla terribile maldicenza e dal condannare o disprezzare chicchessia. Aiutiamoci gli uni gli altri come membra nostre. Chi, se ha una ferita nella mano o nel piede o in una delle altre membra, prova ripugnanza di se stesso o taglia via le proprie membra, anche se la ferita va in putrefazione, e non piuttosto la pulisce, la lava, vi mette empiastri, la fascia, l`unge con l`olio santo, prega, invoca i santi perché preghino per lui, come diceva anche l`"abba" Zosima? E insomma non abbandona, non rigetta il proprio membro o il suo fetore, ma fa di tutto per guarire. Cosí dobbiamo anche noi compatirci gli uni gli altri, prenderci cura di noi stessi o direttamente o attraverso altri piú capaci, ed escogitare e fare di tutto per aiutare noi stessi e aiutarci gli uni gli altri. "Siamo infatti membra gli uni degli altri", come dice l`Apostolo (Rm 12,5). Se dunque siamo tutti quanti un solo corpo e uno per uno siamo membra gli uni degli altri, se un membro soffre, soffrono insieme a lui anche tutte le altre membra (cf.1Cor 12,26). Che vi sembrano i cenobi? Non vi sembrano un corpo solo, e membra gli uni degli altri? Quelli che governano sono la testa: quelli che sorvegliano e correggono sono gli occhi; quelli che aiutano con la parola sono la bocca; le orecchie sono quelli che obbediscono; le mani sono quelli che lavorano; i piedi sono quelli che hanno incarichi e si occupano dei servizi. Sei testa? Governa. Sei occhio? Sorveglia, fa` attenzione. Sei bocca? Parla, porta aiuto. Sei orecchio? Obbedisci. Sei mano? Lavora. Sei piede? Adempi ai servizi. Ciascuno serva il corpo per quanto può; studiatevi sempre di aiutarvi vicendevolmente, sia ammaestrando, sia ponendo la parola di Dio nel cuore del fratello, sia consolandolo nel tempo dell`afflizione, sia dandogli una mano nel lavoro e aiutandolo. Cercate insomma ognuno, come ho detto, per quanto può, di essere uniti gli uni agli altri: perché quanto uno è unito al prossimo, altrettanto è unito a Dio.
    Voglio dirvi un`immagine dei Padri, perché capiate meglio il senso di questa parola. Supponete che per terra ci sia un cerchio, cioè una linea tonda tracciata con un compasso dal centro. Centro si chiama propriamente il punto che sta proprio in mezzo al cerchio. Adesso state attenti a quello che vi dico. Pensate che questo cerchio sia il mondo, il centro del cerchio, Dio, e le linee che vanno dal cerchio al centro, le vie, ossia i modi di vivere degli uomini. In quanto dunque i santi avanzano verso l`interno, desiderando di avvicinarsi a Dio, a mano a mano che procedono, si avvicinano a Dio e si avvicinano gli uni agli altri, e quanto piú si avvicinano a Dio, si avvicinano l`un l`altro, e quanto piú si avvicinano l`un l`altro, si avvicinano a Dio. Similmente immaginate anche la separazione. Quando infatti si allontanano da Dio e si rivolgono verso l`esterno, è chiaro che quanto piú escono e si dilungano da Dio, tanto piú si dilungano gli uni dagli altri, e quanto piú si dilungano gli uni dagli altri, tanto piú si dilungano anche da Dio.

    (Doroteo di Gaza, Institut., 6, 76-78)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 15/05/2012 08:43
    SOLENNITA' DELL'ASCENSIONE DEL SIGNORE

    O Cristo, scendendo dal cielo in terra,
    come Dio facesti risorgere con te il genere umano
    dalla schiavitú dell`inferno cui soggiaceva,
    e per la sua Ascensione lo riconducesti al cielo
    facendolo sedere con te sul trono del Padre tuo,
    perché sei misericordioso ed amante degli uomini.

    (Liturgia Bizantina, EE, n. 3151 )


    1. Primo Discorso sull`Ascensione del Signore

    Carissimi, questi giorni intercorsi tra la Risurrezione del Signore e la sua Ascensione non sono trascorsi nell`oziosità; grandi nisteri vi hanno invece ricevuto conferma, e grandi verità sono state svelate. E in questi giorni che viene abolita la paura di una morte temuta e viene proclamata non solo l`immortalità dell`anima, ma anche quella della carne. E` in questi giorni che viene infuso lo Spirito Santo in tutti gli apostoli attraverso il soffio del Signore (cf. Gv 20,22) e che, dopo aver ricevuto le chiavi del Regno, il beato apostolo Pietro si vede affidata, con preferenza sugli altri, la cura del gregge del Signore (cf. Gv 21,15-17). E in questi giorni che il Signore si affianca ai due discepoli in cammino (cf. Lc 24,13-35) e che, per sgombrare il terreno da ogni dubbio, contesta la lentezza a credere a coloro che tremano di spavento. I cuori che egli illumina sentono ardere la fiamma della fede, e quelli che erano tiepidi diventano ardenti quando il Signore apre loro le Scritture. Al momento della frazione del pane, si illuminano gli sguardi di coloro che siedono a mensa; i loro occhi si aprono per veder manifestata la gloria della loro natura, molto piú beatamente di quelli dei principi della nostra specie ai quali il crimine apporta confusione.
    Tuttavia, dato che gli spiriti dei discepoli, in mezzo a queste meraviglie e ad altre ancora, continuavano a scaldarsi in inquieti pensieri, il Signore apparve in mezzo a loro e disse: La pace sia con voi (Lc 24,36; Gv 20,26). E perché non restasse in loro il pensiero che andavano rimuginando nella mente - credevano, infatti, di vedere un fantasma e non un corpo -, rimproverò loro i pensieri contrari al vero e mise sotto i loro occhi esitanti i segni della crocifissione che serbavano le sue mani e i suoi piedi, invitandoli a toccarli attentamente; aveva voluto conservare, infatti i segni dei chiodi e della lancia per guarire le ferite dei cuori infedeli. Cosí, non è da una fede esitante, bensì da una conoscenza molto certa, che affermeranno che la natura che stava per sedere alla destra del Padre, era la stessa che aveva riposato nel sepolcro.
    Durante tutto questo tempo, carissimi, intercorso tra la Risurrezione del Signore e la sua Ascensione, ecco dunque a cosa volse le sue cure la Provvidenza di Dio; ecco ciò che essa volle insegnare; ecco ciò che essa mostrò agli occhi e ai cuori dei suoi; perciò si riconoscerà come veramente risorto il Signore Gesú Cristo che era davvero nato, aveva sofferto ed era morto. Così i beati Apostoli e tutti i discepoli, resi timorosi dalla sua morte sulla croce, e che avevano esitato a credere alla sua Risurrezione furono a tal punto riconfermati dall`evidenza della verità che quando il Signore si levò verso le altezze dei cieli, non solo non furono presi da tristezza alcuna, bensì furono ripieni da una grande gioia (cf. Lc 24,52). E, in verità, grande e ineffabile era la causa di quella gioia, allorché in presenza di una santa moltitudine, la natura umana saliva al di sopra delle creature celesti di ogni rango, superava gli ordini angelici e si elevava al di sopra della sublimità degli arcangeli (cf. Ef 1,21), non potendo trovare a livello alcuno, per elevato che fosse, la misura della sua esaltazione fintanto che non venne ammessa a prender posto alla destra dell`eterno Padre, che l`associava al suo trono di gloria dopo averla unita nel Figlio suo alla sua stessa natura.
    L`Ascensione di Cristo è quindi la nostra stessa elevazione e là dove ci ha preceduti la gloria del capo, è chiamata altresì la speranza del corpo.
    Lasciamo dunque esplodere la nostra gioia come si deve e rallegriamoci in una fervorosa azione di grazie: oggi, infatti, non solo siamo confermati nel possesso del paradiso, ma siamo anche penetrati con Cristo nelle altezze dei cieli; abbiamo ricevuto piú dalla grazia ineffabile di Cristo di quanto non avevamo perduto per la gelosia del Maligno. Infatti, coloro che quel virulento nemico aveva scacciato dal primo soggiorno di felicità, il Figlio di Dio li ha incorporati a sé per collocarli in seguito alla destra del Padre.

    (Leone Magno, Sermo 73 [60], 2-4)


    2. La Risurrezione del Signore è la causa della nostra gioia

    In occasione della festività pasquale, la Risurrezione del Signore si presentava come causa della nostra gioia; oggi, ricorre la sua Ascensione al cielo che ci offre nuovi motivi di gioia, in quanto commemoriamo e veneriamo, come si conviene, il giorno in cui l`umiltà della nostra natura è stata elevata in Cristo al di sopra di tutte le schiere celesti, al di sopra di tutti gli ordini angelici e oltre la sublimità di tutte le potenze (cf. Ef 1,21), fino a condividere il trono di Dio Padre. E su questa disposizione delle opere divine che siamo costituiti ed edificati; la grazia di Dio diviene, in verità, piú ammirevole quando fa sí che la fede non dubiti, che la speranza non vacilli, che la carità non si intiepidisca, allorché è scomparso dalla vista degli uomini ciò che, con la sua presenza sensibile, meritava di ispirare loro il rispetto. Tale è in effetti, la forza propria dei grandi spiriti, tale la luce propria delle anime eminentemente fedeli: essa consiste nel credere incrollabilmente ciò che non vedono con gli occhi del corpo e nel fissare il proprio desiderio là dove non può arrivare la vista. Ma una tale pietà come può nascere nei nostri cuori, o come possiamo essere giustificati dalla fede, se la nostra salvezza risiedesse solo in ciò che cade sotto i nostri occhi? Di qui, la parola detta dal Signore a quel tale che sembrava dubitare della Risurrezione di Cristo, ove non gli fosse stata offerta la possibilità di verificare con i propri occhi e di toccare con le proprie mani i segni della Passione nella carne [del Signore]: Perché mi hai veduto, hai creduto: beati coloro che pur non vedendo crederanno (Gv 20,29).
    Per renderci capaci di questa beatitudine, carissimi, nostro Signore Gesú Cristo, dopo aver realizzato tutto ciò che era conforme alla predicazione del Vangelo e ai misteri della Nuova Alleanza, quaranta giorni dopo la sua Risurrezione, ascese al Cielo alla presenza dei discepoli. Mise cosí termine alla sua presenza corporale, per rimanere alla destra del Padre suo fino a che siano compiuti i tempi divinamente previsti perché si moltiplichino i figli della Chiesa e ritorni a giudicare i vivi e i morti, nella stessa carne nella quale è asceso. Ciò che si era potuto vedere del nostro Redentore è dunque passato nei misteri; e, affinché la fede divenga piú eccellente e piú ferma, l`istruzione è succeduta alla visione: è sulla di lui autorità che il coro dei credenti, illuminati dai raggi provenienti dall`alto, ormai faranno leva.
    Su questa fede, che l`Ascensione del Signore aveva aumentata e che il dono dello Spirito Santo aveva fortificata, né le catene, né le prigioni, né la fame, né il fuoco, né le belve, né i raffinati supplizi di crudeli persecutori potranno prevalere per paura. Per questa fede, in tutto il mondo, non solo gli uomini, ma anche le donne; non solo i fanciulli, ma anche tenere vergini lotteranno fino alla effusione del sangue. Questa fede mise in fuga i demoni, scacciò le malattie, risuscitò i morti. Cosí, gli stessi santi Apostoli che, quantunque fortificati da tanti miracoli e istruiti da tanti discorsi, si erano nondimeno lasciati spaventare dall`atroce Passione del Signore e avevano accettato non senza esitazione la verità della sua Risurrezione, trassero dalla sua Ascensione un tal profitto che tutto ciò che prima costituiva motivo di paura ora diveniva soggetto di gioia. Tutta la contemplazione della loro anima li aveva elevati, in effetti, verso la divinità di Colui che sedeva alla destra del Padre; la vista del suo corpo non era piú ormai un ostacolo che potesse attardarli o impedir loro di fissare lo sguardo dello spirito su quella Verità che, scendendo verso di essi, non aveva lasciato il Padre suo, e che, ritornando verso quest`ultimo, non si era allontanata dai suoi discepoli...
    Esultiamo dunque, carissimi, di una gioia spirituale e, rallegrandoci davanti al Signore in degna azione di grazie, eleviamo liberamente gli sguardi dei nostri cuori verso quelle altezze dove si trova Cristo. Le anime nostre sono chiamate in alto: non le appesantiscano i desideri terrestri; esse sono predestinate all`eternità. Non le accaparrino le cose destinate a perire: esse sono entrate nella via della verità. Non le trattenga un ingannevole fascino; in tal guisa, i fedeli trascorrano il tempo della vita presente sapendo di essere stranieri in viaggio in questa valle del mondo in cui, anche se li lusinga qualche vantaggio, non debbono attaccarvisi colpevolmente, bensí trascenderli con vigore.

    (Leone Magno, Sermo 74 [61], 1-3.5)


    3. Con Gesú si ascende solo in compagnia delle virtù

    La terra e quanto essa contiene appartiene al Signore (Sal 23,1ss)
    Che cosa avviene, dunque, di nuovo, o uomo, se il nostro Dio fu visto in terra, se visse con gli uomini? Egli stesso creò la terra e la stabilí [con leggi].
    Per la qual cosa non è né cosa insolita, né assurda che il Signore venga presso le proprie creature.
    Infatti, egli non si trova in un mondo straniero, ma proprio in quello che egli stesso stabilì e creò, che poggiò la terra sui mari e fece in modo che fosse situata nella posizione migliore presso il corso dei fiumi.
    Per quale causa, poi, egli venne se non perché dopo averti liberato dalla voragine del peccato, ti conducesse sul monte, il carro del regno, cioè la pratica della virtù durante l`ascensione?
    Non si può, infatti, ascendere su quel monte, se non ti servi delle virtù come compagne (di viaggio), e, con le mani pure da ogni colpa, e non macchiato da alcun delitto, con il cuore innocente non volgi il tuo animo a nessuna vanità e né inganni il tuo fratello con frode.
    La benedizione è il premio di tale ascensione, e ad essa il Signore largisce la sua misericordia.
    Questa è la generazione delle anime che lo cercano, di quelle che salgono in alto per mezzo della virtù, e di quelle che cercano il volto del Dio di Giacobbe.
    La rimanente parte di questo salmo è piú sublime, forse, anche per il tono evangelico e la dottrina.
    Infatti, il Vangelo del Signore narra le abitudini e la vita che egli condusse in terra, e il suo ritorno in Cielo.
    Questo sommo Profeta, d`altronde, innalzandosi sopra se stesso, come se non fosse impedito da nessun peso del corpo, entra nei Celesti Poteri, e ci riferisce le loro voci, allorché, accompagnando il Signore che ritornava in Cielo, agli angeli che risiedono sulla terra, ai quali fu affidata la venuta nella vita umana, danno ordini in questo modo: Togliete, o principi, le vostre porte, e voi, porte eterne, elevatevi: entrerà il Re della gloria.
    E poiché, dovunque, sarà presente colui che in se stesso contiene tutte le cose, misura (se stesso) secondo la capienza di quelli che lo ricevono; e né solamente, infatti, tra gli uomini si fa uomo, ma anche tra gli angeli si trova, e si libera alla loro natura: per questo i custodi delle porte interrogano il narratore: Chi è questo Re della gloria?
    Rispondono loro e lo manifestano come forte e potente in battaglia, che combatterà contro colui che tratteneva la natura umana prigioniera nella schiavitú, e rovescerà colui che aveva il dominio della morte (Eb 2,14); in tal modo, debellato il pericolosissimo nemico, riconducesse il genere umano nella libertà e nella pace.
    Di nuovo ripete le medesime voci.
    Adempiuto, infatti, è già il mistero della morte e la vittoria è stata riportata sui nemici e contro di essi è stato rivolto il trofeo della croce.
    Ascese in alto, conducendo prigioniera la schiavitú (Sal 67,19) colui che concesse agli uomini la vita, il regno, e questi importanti doni.
    Poste per lui, di nuovo si debbono spalancare le porte.
    Gli vanno incontro i nostri custodi, i quali impongono di chiudere le porte, affinché di nuovo consegua la gloria in essi.
    Ma essi non conoscono colui che si è rivestito della veste macchiata della nostra vita, i cui abiti sono rossi dal torchio dei peccati degli uomini.
    Perciò, di nuovo i suoi compagni sono interrogati da quelle parole: Chi è questo Re della gloria? Ma non sarà risposto piú: Forte, potente in battaglia, ma il Signore delle potenze, che ottenne il dominio del mondo, che assomma in sé tutte le cose, che in tutte possiede le prime, che restituí tutte le cose all`antica condizione, questi è il re della gloria.

    (Gregorio di Nissa, Sermo de Ascens., passim)


    4. Il corpo di Cristo è in cielo com`era sulla terra

    Mi domandi «se il corpo del Signore abbia adesso le ossa e il sangue con tutte le altre fattezze fisiche»...
    Dio può prolungare ovunque e per tutto il tempo che vorrà l`incorruttibilità di qualsiasi corpo. Io quindi credo che il corpo del Signore si trova nel cielo nello stesso identico stato in cui era sulla terra al momento della sua ascensione al cielo. Infatti ai suoi discepoli, i quali, come si legge nel Vangelo, dubitavano della sua risurrezione (cf. Lc 24,37) e credevano che fosse uno spirito e non già un corpo quello che vedevano, il Signore disse: Osservate le mie mani e i miei piedi; palpate ed osservate, poiché lo spirito non ha né ossa né carne, come vedete che ho io (Lc 24,39). Come l`avevano toccato i suoi discepoli con le loro mani mentre era sulla terra, cosí i loro sguardi lo accompagnarono mentre saliva al cielo. S`intese allora la voce di un angelo dire: Egli tornerà cosí come lo avete visto salire al cielo (At 1,11).

    (Agostino, Epist. 205, 1.2 )


    5. Vigilanza cristiana

    Perciò, fratelli dilettissimi, occorre che col cuore ci volgiamo là dove crediamo che Egli sia asceso col corpo. Fuggiamo i desideri terreni, nulla più ci diletti quaggiú, poiché abbiamo un Padre nei cieli. E ciò noi dobbiamo considerare attentamente, poiché Colui che mite salí in cielo tornerà terribile; e tutto ciò che ci insegnò con mansuetudine, esigerà da noi con severità. Nessuno, dunque, tenga in poco conto il tempo dovuto alla penitenza; nessuno, mentre è nel pieno delle proprie forze, trascuri se stesso, poiché il nostro Redentore quando verrà a giudicarci sarà tanto piú severo quanto piú paziente è stato con noi prima del giudizio. Pertanto, fratelli, fate questo tra voi e su questo meditate assiduamente. Sebbene l`animo, sconvolto dalle passioni terrene, sia ancora incerto, tuttavia adesso gettate l`ancora della vostra speranza verso la patria eterna, fortificate nella vera luce i propositi dell`animo. Ecco abbiamo sentito che il Signore è asceso al cielo. Perciò meditiamo sempre su ciò in cui crediamo. E se ancora siamo trattenuti qui dall`impedimento del corpo, tuttavia seguiamo Lui con passi d`amore. Non può lasciare insoddisfatto il nostro desiderio Colui che ce l`ha ispirato, Gesú Cristo Nostro Signore.

    (Gregorio Magno, Hom. 2, 29, 11)


    6. Vivere per le cose di lassú

    Oggi, come avete sentito, fratelli, Nostro Signore Gesú Cristo è salito in cielo: salga con lui anche il nostro cuore. Ascoltiamo l`Apostolo che dice: Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassú, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassú, non a quelle della terra (Col 3,1-2). Infatti, come egli è salito [in cielo] e non si è allontanato da noi, cosí anche noi siamo già lassú con lui, sebbene nel nostro corpo non sia ancora accaduto ciò che ci viene promesso. Egli ormai è stato innalzato sopra i cieli. In verità, non dobbiamo disperare di raggiungere la perfetta ed angelica dimora celeste, per il fatto che egli ha detto: Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell`uomo che è disceso dal cielo (Gv 3,13). Ma ciò è stato detto perché siamo uniti a lui: egli è infatti il nostro capo e noi il suo corpo. Se, quinli, egli sale in cielo, noi non ci separiamo da lui. Colui che è disceso dal cielo non ci nega il cielo; ma in un certo modo ci dice: «Siate le mie membra, se volete salire in cielo». Dunque fortifichiamoci intanto in ciò che piú desideriamo vivamente. Meditiamo in terra ciò che ci aspettiamo [di trovare] nei cieli. Allora ci spoglieremo della carne mortale, ora spogliamoci dell`uomo vecchio. Un corpo leggero si alzerà nell`alto dei cieli, se il peso dei peccati non opprimerà lo spirito.

    (Agostino, Sermo 263, 2)


    7. Inno per la festa dell`Ascensione

    Eterno, Altissimo Signore,
    che hai redento il mondo;
    tu, distrutto il regno della morte,
    hai fatto trionfar la grazia.

    Alla destra del Padre tu sali,
    o Gesú, quale giudice tu siedi;
    non dalla terra, ma dal ciel tu hai
    ricevuto ogni tuo potere.

    Tu sali per accogliere l`omaggio
    del mondo triplice creato,
    celeste, terrestre ed infernale,
    che, sottomesso, a te il ginocchio piega.

    Tremano gli angeli vedendo
    la sorte capovolta dei mortali:
    pecca l`uomo, redime l`Uomo;
    regna Dio, l`Uomo Dio.

    Nostra gioia sii tu che in ciel n`attendi
    per farti premio a noi; tu che governi
    con la destra la macchina del mondo
    tu che oltrepassi ogni mondana gioia.

    Quaggiú rimasti, noi ti supplichiamo,
    le nostre colpe nell`oblio perdona,
    in alto i cuori verso te solleva
    porgi l`aiuto di tua superna grazia.

    Sicché quando improvviso tornerai
    giudice sulle nubi luminoso,
    le meritate pene allontanate,
    le perdute corone a noi ridar tu possa.

    A te, Signor, sia gloria
    risorto dalle strette della morte,
    e al Padre, e al Santo Spirito,
    ora e nei secoli perenni. Amen.

    (Aeterne Rex altissime, Ascensione, liturgia horarum, hymn. ad off. lectionis)
    [Modificato da Coordin. 15/05/2012 08:44]
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 21/05/2012 08:29
    PENTECOSTE

    Letture: Atti 2,1-11
    1 Corinti 12,3b-7.12-13
    Giovanni 20,19-23

    1. Abbeverarsi alle fonti della Scrittura

    Beviamo dell`acqua viva "che zampilla per la vita eterna" (Gv 4,14; 7,38). Il Salvatore, "diceva questo infatti dello Spirito che dovevano ricevere coloro che avrebbero creduto in lui" (Gv 7,39). Sta` attento infatti a ciò che egli dice: "Dal seno di chi crede in me" - e non si limitò ad affermare, ma citò anche il Vecchio Testamento -, "come dice la Scrittura, scaturiranno torrenti di acqua viva" (Gv 7,38). Non torrenti nel senso materiale del termine, che irrigano solamente una terra che dà spine e alberi, bensì torrenti che illuminano le anime. Altrove dice: "L`acqua che io gli darò, diverrà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna" (Gv 4,14). Acqua di specie nuova, che vive, e zampilla; zampilla in verità su coloro che ne sono degni.
    E come mai chiamò la grazia dello Spirito con il nome di acqua? In effetti, l`acqua dà consistenza a tutte le cose; essa è animatrice di vita animale e vegetale. L`acqua scende dal cielo. Unica nell`aspetto, è molteplice nella virtù operativa. Una sola sorgente irriga tutto il giardino (cf. Gen 2,10) e un`unica pioggia scende su tutto il mondo. Essa si trasforma in bianco giglio, in rossa rosa, purpurea nelle viole e nei giacinti, e differente e variopinta nelle diverse specie. E diversa nella palma e nella vite ed tutto in tutte le cose, pur restando unica ed uguale a se stessa. La pioggia non muta e scende in forme diverse; si adatta invece alla natura delle cose che la ricevono ed è per ciascuna quel che le conviene.
    Così è anche dello Spirito Santo. Pur essendo uno solo, unico e indivisibile nell`aspetto, conferisce nondimeno a ciascuno la grazia a seconda del suo desiderio (cf. 1Cor 12,11). Alla stregua di un legno secco, che emette germogli se imbevuto di acqua, così avviene all`anima peccatrice, divenuta degna dello Spirito Santo attraverso la penitenza: produce grappoli di giustizia. Pur essendo uno solo, al cenno di Dio e nel nome di Cristo, lo Spirito Santo suscita le varie virtù. Di uno si serve per comunicare la sapienza; di un altro illumina la mente con la profezia; ad un altro ancora conferisce la potestà di scacciare i demoni, e ad un quarto dà il potere di interpretare le Scritture. Di uno corrobora la temperanza (o la castità), ad un altro insegna quanto conviene alla carità (ovvero all`elemosina)- ad un terzo, il digiuno e gli esercizi della vita ascetica; ad un quarto ispira il disprezzo delle cose corporali; ad un ultimo, infine, insegna a prepararsi al martirio. Differente negli altri, egli è sempre identico a se stesso, come sta scritto: "La manifestazione dello Spirito è data a ognuno per quanto gli conviene. Infatti, dallo Spirito a uno è dato il linguaggio della sapienza; ad un altro, il linguaggio della scienza, però secondo il medesimo Spirito; ad un altro, il dono di operare miracoli; ad un altro la profezia; ad un altro il discernimento degli spiriti; ad un altro la diversità delle lingue, ad un altro l`interpretazione delle lingue. Ora, tutte queste cose le compie un solo e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno in particolare come vuole" (1Cor 12,7-11)...
    In verità, la sua azione è tutta diretta al bene e alla salvezza. Anzitutto, soave e pacifico è il suo avvento; la sua presenza è avvertita come un profumo; il suo peso è leggero. Raggi splendenti di intelligenza precedono la sua venuta. Egli giunge con viscere di fraterno tutore: viene a salvare, infatti, ad insegnare, ad ammonire, a corroborare, a consolare, ad illuminare la mente dapprima in chi lo accoglie, poi, per opera di questa, negli altri. E alla stregua di chi, immerso dapprima nelle tenebre, ha visto improvvisamente il sole, che illumina l`occhio del suo corpo, sì da poter vedere ciò che prima non vedeva, così chi è stato reso degno di ricevere lo Spirito Santo rimane illuminato nell`anima e vede nel soprannaturale quanto prima non riusciva a vedere. Quantunque il suo corpo resti sulla terra, la sua anima contempla i cieli come in uno specchio. Vede, al pari di Isaia, "il Signore seduto sopra un trono alto ed elevato" (Is 6,1); come Ezechiele, "Colui che siede sui cherubini" (Ez 10,1); e come Daniele, "le miriadi di migliaia e le migliaia di migliaia" (Dn 7,10)...
    Se talora ti sorge il pensiero della castità o della verginità, sappi che si tratta d`una ispirazione suscitata in te dallo Spirito Santo. E quante volte una fanciulla, destinata ormai al letto nuziale, ne è fuggita via, dietro suggerimento dello Spirito? Quante volte un ricco, nello sfarzo dei suoi palazzi, si è sentito spinto dallo Spirito Santo a rinunziare alle sue ricchezze ed ai suoi privilegi? Quante volte un giovane, alla vista di qualcosa di bello, ha chiuso gli occhi e si è rifiutato di guardare, per non contaminarsi? Chi gli ha dato questa forza, domanderai? Ebbene, è stato lo Spirito Santo ad ispirare la mente del giovane. Quanti interessi e quanta cupidigia a questo mondo! E per questo che i cristiani scelgono la povertà. Per quale motivo? Ma per tener fede al comando dello Spirito.
    Davvero prezioso e buono è lo Spirito Santo! Giustamente noi veniamo battezzati nel Padre e nel Figlio e nello Spirito Santo (cf. Mt 28,19)!
    L`uomo, mentre vive ancora nel suo corpo, è costretto a lottare con molti e ferocissimi demoni. Sovente, poi, quel demonio che molti non erano riusciti a dominare, a causa della sua ferrea morsa, è stato sconfitto da qualcuno con la preghiera, grazie alla potenza dello Spirito Santo in lui presente. Il semplice soffio dell`esorcista, così, diventa fuoco per l`invisibile nemico. Dio, perciò, ci procura un soccorritore ed un protettore: grande dottore della Chiesa, altresì, e nostro valido difensore. Non temiamo, allora, né i demoni né il diavolo! Colui che combatte al nostro fianco, infatti, è più potente: apriamo a lui solo le nostre porte! Egli, infatti "va in cerca di quanti siano degni" (Sap 6,16), per arricchirli con i propri doni.
    E` chiamato, inoltre, Paraclito, poiché consola, incoraggia e risolleva la nostra debolezza. "Noi, infatti, non sappiamo ciò che ci conviene domandare, ma è lo Spirito stesso che intercede a nostro favore, con gemiti inesprimibili" (Rm 8,26), al cospetto, evidentemente, di Dio. Sovente coloro che sono stati insultati per causa di Cristo, hanno ingiustamente subito olttaggi; su costoro ha gravato la minaccia di martirio, d`ogni sorta di tormenti, del fuoco, della spada, di essere dati in pasto alle belve o di venir precipitati. Lo Spirito Santo però sussurra sommessamente: "Spera nel Signore" (Sal 26,14), o uomo; è una cosa da nulla quanto ti accade, di fronte alla grandezza dei doni che ti son destinati: dopo aver patito per poco, trascorrerai l`eternità in mezzo agli angeli. Infatti, "le sofferenze del tempo presente non possono essere paragonate alla gloria futura che si rileverà in noi (Rm 8,18). Lo Spirito, così, evoca all`uomo l`immagine del regno dei cieli, mostrandogli il paradiso delle delizie. Anche i martiri, d`altronde, pur costretti a guardare con gli occhi materiali i loro giudici, ma già detentori nondimeno della gloria nel paradiso, provavano unicamente disprezzo per quelle pene, per quanto dure apparissero.
    Vuoi conoscere come i martiri rendono testimonianza per la virtù dello Spirito Santo? Ascolta allora quanto dice il Salvatore ai suoi discepoli: "Quando vi trascineranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità non datevi pensiero del modo come vi difenderete o di che cosa dovete dire, giacché lo Spirito Santo vi insegnerà, in quel momento, come bisognerà parlare" (Lc 12,11s). Sarebbe infatti impossibile rendere testimonianza a Cristo, se non la si rendesse nello Spirito Santo. Se è vero, infatti, che "nessuno è in grado di dire «Signore Gesù», se non è in virtù dello Spirito Santo" (1Cor 12,), chi mai potrebbe offrire addirittura la propria vita per Gesù, se non nello Spirito Santo?

    (Cirillo di Gerus., Catech. 16, 11-12, 16. 19-21)


    2. I tre tipi di azione dello Spirito Santo in noi

    Celebriamo oggi, carissimi, la solennità dello Spirito Santo, solennità che merita di essere celebrata in pienezza di gioia e con ogni devozione. Poiché lo Spirito Santo è la suprema dolcezza di Dio, è la benevolenza di Dio, è Dio stesso. Perciò, se celebriamo le feste dei Santi quanto più dovremo celebrare colui dal quale ebbero il dono di essere santi tutti coloro che tali sono stati? Se veneriamo coloro che sono stati santificati, quanto più dovremo onorare il santificatore? Oggi è la celebrazione dello Spirito Santo, o di quella discesa per cui l`invisibile apparve visibile; come il Figlio, che, pur essendo invisibile in se stesso, si degnò di mostrarsi visibile nella carne umana. Oggi lo Spirito Santo ci rivela qualche cosa di se stesso, come prima conoscevamo qualche cosa del Padre e del Figlio: la perfetta conoscenza della Trinità è la vita eterna. Ora conosciamo solo in parte; ciò che non riusciamo a comprendere, lo accettiamo per fede...
    Prima lo Spirito invisibile manifestava il suo arrivo con segni visibili: quanto più poi i segni sono spirituali, tanto più sono convenienti allo Spirito Santo. Discese allora sopra i discepoli in lingue di fuoco, perch‚ dicessero parole di fuoco nelle lingue di tutte le genti e predicassero una legge di fuoco con lingua di fuoco. Nessuno si lamenti che tale manifestazione dello Spirito non venga fatta a noi: la manifestazione dello Spirito è fatta a ciascuno a seconda dell`utilità (1Cor 12,7). Ma veramente questa manifestazione è stata fatta più a noi che agli apostoli. A che servirono infatti a loro le lingue, se non per la conversione delle genti? Ci fu in loro una ben altra manifestazione più propriamente loro: e questa ancor oggi si rivela a noi. E` evidente, infatti, che dovettero essere rivestiti di potenza dall`alto quei tali che, da una così grande pusillanimità di spirito, pervennero poi a così meravigliosa costanza. Non fuggono più, non si nascondono più per paura dei Giudei; è più forte il loro coraggio nel predicare, che non sia stata la loro paura nel nascondersi. E che quel mutamento sia dovuto alla destra dell`Altissimo lo dice chiaramente la paura del principe degli Apostoli, che trema alle parole d`una serva, ma poi diventa forte sotto i flagelli del sinedrio: "Se ne andavano via dal sinedrio pieni di gioia, perchè erano stati ritenuti degni di subir ignominia per il nome di Gesù" (At 5,11). Eppure, mentre Gesù era condotto innanzi al sinedrio, eran tutti fuggiti e l`avevan lasciato solo. Chi può mettere in dubbio la discesa dello Spirito veemente, che fortificò le loro menti con invisibile potenza? Così anche oggi le cose che lo Spirito opera in noi danno testimonianza della sua presenza.

    (Bernardo di Chiarav., Sermo I, in Sp. Sanct., 1 s.)


    3. La Chiesa e il dono delle lingue

    Vediamo ora perchè fosse segno della presenza dello Spirito Santo il fatto che coloro che l`avevano ricevuto parlassero tutte le lingue. Anche oggi, infatti, si riceve in dono lo Spirito Santo, tuttavia coloro che lo ricevono non parlano tutte le lingue. Bisogna rendersi conto, fratelli carissimi, che è lo Spirito Santo, per il quale la carità si diffonde nei nostri cuori. E poiché la carità avrebbe dovuto raccogliere insieme la Chiesa da tutte le parti del mondo, ciò che, allora, un solo uomo, ricevendo lo Spirito Santo, poteva dire in tutte le lingue, ora, la stessa unità della Chiesa, radunata dallo Spirito Santo, lo può dire in tutte le lingue. Perciò, se uno dicesse a qualcuno dei nostri: «Hai ricevuto lo Spirito Santo, perchè non parli in tutte le lingue?» gli si pottebbe rispondere: «Ma parlo in tutte le lingue, perchè faccio parte di quel corpo di Cristo, cioè di quella Chiesa, che parla in tutte le lingue». Che altro, infatti, Dio volle significate con la presenza dello Spirito Santo, se non la sua Chiesa che avrebbe parlato in tutte le lingue?
    Si è compiuto, dunque, ciò che Dio aveva promesso: "Nessuno mette il vino nuovo in otri vecchi, ma si mette il vino nuovo in otri nuovi, così si mantengono il vino e gli otri" (Mt 9,17). Giustamente, allora, quando si sentirono gli Apostoli parlare in tutte le lingue, alcuni dissero: "Ma costoro son pieni di vino" (At 2,12). Difatti, erano diventati otri nuovi, rinnovati dalla grazia della santità, in modo che ripieni di vino nuovo, cioè di Spirito Santo, ribollissero parlando in tutte le lingue e con un miracolo evidentissimo preannunziassero la Chiesa cattolica, che si sarebbe diffusa per tutte le lingue...
    Celebrate allora questo giorno come membra dell`unità del corpo di Cristo. Non sarà inutile la celebrazione, se è questo ciò che celebrate, stringendovi a quella Chiesa, che il Signore riempie di Spirito Santo e, mentre cresce in tutto il mondo, egli la riconosce come sua e lui è riconosciuto da lei. Lo sposo non perde la sua sposa e nessuno gliene sostituisce un`altra. A voi tutti raccolti insieme come Chiesa di Cristo, come membra di Cristo, a voi corpo di Cristo, sposa di Cristo, l`Apostolo dice: "Sopportandovi l`un l`altro nella carità, sforzandovi a vicenda di conservare l`unità dello Spirito nel vincolo della pace " (Ef 4,2-3). Notate che dove ordinò di sopportarci scambievolmente, ivi ha posto la carità; dove ha fatto cenno dell`unità, ivi ha mostrato il vincolo della pace. Questa è la casa di Dio fatta di pietre vive, nella quale piace di abitare a un tal padre di famiglia, i cui occhi non devono essere offesi dalle rovine della divisione.

    (Fulgenzio di Ruspe, Sermo, 8, 2)


    4. Discorso sulla consacrazione episcopale

    Invero, la Chiesa universale di Dio è ordinata in gradi distinti gli uni dagli altri, affinché il suo santo corpo custodisca la propria integrità per l`apporto delle diverse membra; tutti, peraltro - come dice l`Apostolo - "siamo uno in Cristo" (Gal 3,28)...
    Nell`unità della fede e del battesimo (cf. Ef 4,5), la società che tra noi formiamo, carissimi, non presenta screzi ed è identica la dignità di tutti, secondo la buona novella annunciata dal beatissimo apostolo Pietro, con parole sacrosante: "E voi stessi, come pietre vive siete impiegati per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo"; e poco dopo: "Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato" (1Pt 2,5.9). In effetti, il segno della croce ha fatto di tutti i rigenerati in Cristo altrettanti re; l`unzione dello Spirito Santo li consacra come sacerdoti, affinché al di là dello specifico servizio del nostro ministero, tutti i cristiani spirituali e in coerenza con la propria ragione sappiano di essere di stirpe regale e di essere associati alla funzione sacerdotale. Cosa c`è infatti di più regale per un`anima del governare il proprio corpo in sottomissione a Dio? E cosa c`è di più sacerdotale del votare al Signore una coscienza pura e di offrirgli sull`altare del proprio cuore le vittime senza macchia della pietà? (cf.1Pt 2,5).
    Essendo ciò divenuto comune a tutti per grazia di Dio è atto religioso e meritevole di elogio da parte vostra che vi rallegriate nel giorno della nostra elezione, come si trattasse di un vostro onore personale; cosicché, è in tutto il corpo della Chiesa che si celebra l`unico sacramento di Pontefice, diffuso più abbondantemente, per effetto dell`unguento della benedizione, nelle membra superiori, ma che non ridiscende in minor misura nelle inferiori.

    (Leone Magno, Sermo 95, De natali ipsius, 4, 1)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 30/05/2012 08:24
    DOMENICA DOPO PENTECOSTE: SANTISSIMA TRINITA`

    Letture: Deuteronomio 4,32-34.39-40
    Romani 8,14-17
    Matteo 28,16-20

    1. La fede trinitaria

    Crediamo in un solo Dio, unico principio, privo di principio; increato, ingenito, indistruttibile e immortale, eterno, immenso, non circoscritto, illimitato, d`infinita potenza, semplice, non composito, incorporeo, immutabile, impassibile, immobile ed inalterabile; invisibile, fonte d`ogni bontà e giustizia, luce intellettuale e inaccessibile, potenza incommensurabile, misurata dalla sua volontà (può, infatti, "tutto ciò che vuole" [Sal 134,6]), fondatrice di tutte le cose sia di quelle visibili che delle invisibili conservatrice di tutto, provvidente per tutto, contenente e reggente tutto, avente su tutto un regno perpetuo ed immortale.
    (Crediamo in un solo Dio) al quale nulla si oppone, che riempie tutte le cose senza essere da nessuna circoscritto; anzi, egli stesso tutto circoscrive, tutto contiene e a tutto provvede, che penetra tutte le sostanze lasciandole intatte al di là di tutte le cose, trascendente ogni sostanza, soprasostanziale e superiore a ogni cosa; superiore per divinità, bontà, pienezza; un Dio che stabilisce tutti i poteri e tutti gli ordinamenti, mentr`egli si pone al di sopra d`ogni ordinamento e d`ogni potere; più alto per essenza, vita, parola, intellignza; un Dio che è la luce stessa, la bontà stessa, la vita stessa, l`essere stesso: egli non riceve, infatti, da nessun altro né l`essere proprio né quello di alcuna delle cose che esistono, ma, anzi, è lui stesso la fonte dell`essere, per tutto ciò che è; della vita, per tutto ciò che vive; della ragione, per tutte le creature che ne fanno uso.
    (Crediamo in un solo Dio) che è causa d`ogni bene per tutte quante le cose, che prevede tutto prima che avvenga; unica sostanza, unica divinità, unica potenza, unica volontà, unica attività, unico principio, unica potestà unica signoria, unico regno.
    (Crediamo in quest`unico Dio conosciuto nelle tre perfette persone e venerato con un unico atto di culto, oggetto di fede e di adorazione da parte di ogni creatura razionale; e queste persone sono unite senza mescolanza o confusione e separate (ciò che trascende ogni intelletto) senza alcuna distanza: nel Padre e nel Figlio e nello Spirito Santo, nel nome dei quali siamo anche stati battezzati. Infatti, così il Signore comandò agli apostoli di battezzare, quando disse: "Battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" (Mt 28,19).
    Crediamo nell`unico Padre, principio e causa di tutto, non generato da nessuno, unico salvatore non causato e ingenito; creatore di tutte le cose, Padre, per natura, del suo unico Figlio unigenito, e Dio, il nostro Gesù Cristo, e produttore del Santissimo Spirito.
    Crediamo, altresì, nel Figlio di Dio unigenito, Signor nostro, generato dal Padre prima di tutti i secoli; luce da luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; consustanziale con il Padre; per il quale tutte le cose sono state fatte...
    ...Allo stesso modo, crediamo anche nello Spirito Santo, Signore, vivificante, che procede dal Padre e risiede nel Figlio; che, insieme con il Padre ed il Figlio, è adorato e conglorificato, essendo consustanziale ed eterno come loro; Spirito di Dio, giusto, sovrano; fonte di sapienza, di vita e di santità; che è ed è chiamato Dio con il Padre ed il Figlio; increato, perfetto, creatore, che governa tutte le cose, creatore di tutto, onnipotente, potenza infinita che comanda a tutto il creato, senza essere sottoposto all`autorità di nessuno; che divinizza, senza essere divinizzato; che riempie, senza essere riempito; che è partecipato, ma non partecipa; che santifica, ma non è santificato; Paraclito, poich‚ accoglie le invocazioni di tutti; simile in tutto al Padre ed al Figlio; procedente dal Padre, viene concesso attraverso il Figlio ed è ricevuto da ogni creatura.

    (Giovanni Damasceno, De fide orthod., 1, 8)


    2. Preghiera alla Trinità

    Signore nostro Dio, crediamo in te, Padre e Figlio e Spirito Santo. Perché la Verità non avrebbe detto: "Andate, battezzate tutte le genti nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" (Mt 28,19), se Tu non fossi Trinità. Né avresti ordinato, Signore Dio, che fossimo battezzati nel nome di chi non fosse Signore Dio. E una voce divina non avrebbe detto: "Ascolta Israele: Il Signore Dio tuo è un Dio unico" (Dt 6,4), se Tu non fossi Trinità in tal modo da essere un solo Signore e Dio. E se Tu fossi Dio Padre e fossi pure il Figlio tuo Verbo, Gesù Cristo, e il vostro Dono lo Spirito Santo, non leggeremo nelle Sacre Scritture: "Dio ha mandato il Figlio suo (Gal 4,4; Gv 3,17), né Tu, o Unigenito, diresti dello Spirito Santo: "Colui che il Padre manderà in mio nome" (Gv 14,26) e: "Colui che io manderò da presso il Padre" (Gv 15,26). Dirigendo la mia attenzione verso questa regola di fede, per quanto ho potuto, per quanto tu mi hai concesso di potere, ti ho cercato ed ho desiderato di vedere con l`intelligenza ciò che ho creduto, ed ho molto disputato e molto faticato. Signore mio Dio, mia unica speranza, esaudiscimi e fa` sì che non cessi di cercarti per stanchezza, ma cerchi sempre la tua faccia con ardore. Dammi Tu la forza di cercare, Tu che hai fatto sì di essere trovato e mi hai dato la speranza di trovarti con una conoscenza sempre più perfetta. Davanti a Te sta la mia forza e la mia debolezza: conserva quella, guarisci questa. Davanti a Te sta la mia scienza e la mia ignoranza; dove mi hai aperto ricevimi quando entro; dove mi hai chiuso, aprimi quando busso. Fa` che mi ricordi di te, che comprenda te, che ami te. Aumenta in me questi doni, fino a quando Tu mi abbia riformato interamente. So che sta scritto: "Quando si parla molto non manca il peccato" (Pr 10,19), ma potessi parlare soltanto per predicare la tua parola e dire le tue lodi! Non soltanto eviterei allora il peccato, ma acquisterei meriti preziosi, pur parlando molto. Perchè quell`uomo di cui Tu fosti la felicità non avrebbe comandato di peccare al suo vero figlio nella fede, quando gli scrisse: "Predica la parola insisti a tempo e fuori tempo (2Tm 4,2). Non si dovà dire che ha molto parlato colui che non taceva la tua parola, Signore, non solo a tempo, ma anche fuori tempo? Ma non c`erano molte parole, perch‚ c`era solo il necessario. Liberami, o mio Dio, dalla moltitudine di parole di cui soffro nell`interno della mia anima misera alla tua presenza e che si rifugia nella tua misericordia. Infatti non tace il pensiero, anche quando tace la mia bocca. Se almeno non pensassi se non ciò che ti è grato, certamente non ti pregherei di liberarmi dalla moltitudine di parole. Ma molti sono i miei pensieri, tali quali Tu sai che sono "i pensieri degli uomini" cioè "vani" (Sal 93,11). Concedimi di non consentirvi e, anche quando vi trovo qualche diletto, di condannarli almeno e di non abbandonarmi ad essi come in una specie di sonno. Né essi prendano su di me tanta forza da influire in qualche modo sulla mia attività, ma almeno siano al sicuro dal loro influsso i miei giudizi, sia al sicuro la mia coscienza, con la tua protezione. Parlando di Te un sapiente nel suo libro, che si chiama Ecclesiastico, ha detto: "Molto potremmo dire senza giungere alla meta, la somma di tutte le parole è: Lui è tutto" (Sir 43,29). Quando dunque arriveremo alla tua presenza, cesseranno queste "molte parole che diciamo senza giungere a Te"; Tu resterai, solo, "tutto in tutti" (1Cor 15,28), e senza fine diremo una sola parola, lodandoti in un solo slancio e divenuti anche noi una sola cosa in Te. Signore, unico Dio, Dio-Trinità, sappiano essere riconoscenti anche i tuoi per tutto ciò che è tuo di quanto ho scritto in questi libri. Se in essi c`è del mio, siimi indulgente Tu e lo siano i tuoi. Amen.

    (Agostino, De Trinit. 15, 28)


    3. Gradualità della Rivelazione

    Ci sono stati due momenti decisivi nella storia, che son chiamati i due Testamenti e, per la celebrità della cosa, anche terremoti: uno segna il passaggio dal culto degli idoli alla legge ebraica e l`altro il passaggio dalla legge ebraica al vangelo. Un terzo terremoto ci annunzia anche la Scrittura, cioè, il passaggio da questa vita all`altra vita, che non conosce né moto né disastri.
    I due Testamenti hanno qualche cosa in comune. Ambedue non sono stati mutamenti repentini e totali. Perchè? Perchè non fossimo forzati da una violenza, ma condotti dalla persuasione. Perchè ciò che è contro la volontà non dura a lungo, come i fiumi, come le piante che sono trattenuti da una qualche forza. Ma uno è il modo della bontà di Dio e altro è il modo di un tiranno. Dio non volle mai forzare i suoi doni su chi non li accettava. Come un pedagogo o come un medico, un po` sopprime, un po` lascia correre gli antichi costumi, un po` s`adatta ai gusti del popolo, come il medico che tempera la medicina amara con qualche cosa dolce. Non è facile, infatti, da ciò che fu per lungo tempo tenuto in onore, passare ad altri usi. Perciò la legge, pur avendo soppressi gli idoli, lasciò i sacrifici; il vangelo soppresse i sacrifici, ma tollerò la circoncisione, poi gli Ebrei lasciarono i sacrifici e i cristiani la circoncisione; così i pagani divennero Giudei e i Giudei, attraverso mutazioni quasi furtive, divennero cristiani. Di questo ci dà testimonianza Paolo, il quale dall`osservanza della circoncisione e delle purificazioni si portò tanto innanzi da dire: «Se io, fratelli, ancora predico la circoncisione, perchè sono ancora perseguitato? Quello era un atto di accondiscendenza, questo è proprio della perfezione».
    A questo modo si è affermata la dottrina della divinità, se non che la cosa procede in modo contrario. Là il cambiamento avveniva per via di abolizione, qui si va alla perfezione per via di accessione. Ecco come stanno le cose: il Vecchio Testamento parlava apertamente del Padre, più oscuramente del Figlio. Il Nuovo ci propone esplicitamente il Figlio e indica piuttosto oscuramente lo Spirito Santo. Ora invece lo Spirito Santo sta con noi e si manifesta ancora più apertamente. Non era, infatti, sufficientemente sicuro, parlare apertamente del Figlio, quando la divinità del Padre non era sufficientemente stabilita, e il discorso dello Spirito Santo sarebbe stato troppo grave peso quando la divinità del Figlio non era sufficientemente riconosciuta. Saremmo stati come quelli che sono oppressi da troppo cibo, o che si espongono alla luce diretta del sole; invece la luce della Trinità doveva arrivare per gradi, di ascensione in ascensione. Perciò, credo lo Spirito Santo si porge ai discepoli a tratti, concedendosi secondo le capacità di chi lo riceveva; a principio del Vangelo ne corrobora le forze, dopo la passione viene alitato su di loro, dopo l`ascensione appare in lingue di fuoco. Gesù stesso ne parla a poco a poco, come puoi osservare tu stesso, se ci fai un po` più d`attenzione. "Pregherò il Padre" -dice - "ed egli vi manderà un altro Consolatore lo Spirito di Verità (Gv 14,16). Disse queste parole, perchè non pensassero a un avversario di Dio o a una qualsiasi altra potestà. Poi farà un`aggiunta "lo manderà nel mio nome" (Gv 14,26), ometterà l`inciso "Pregherò il Padre" e il "manderà" diventerà "manderò" per chiarire la sua autorità e dirà "verrà lo Spirito", per indicarne la personale potestà.
    Vedi che le illuminazioni rifulgono piano piano e vedi l`ordine della teologia, che dovremmo tenere anche noi, senza proiettare, cioè, all`improvviso tutta la luce insieme e senza nascondere qualche cosa fino alla fine. Il primo sarebbe dissennato, questo empio; quello potrebbe far male ai forestieri, questo ci alienerebbe i nostri. Aggiungerò una cosa che forse anche altri hanno pensato, io credo che sia un pensiero della mia mente. Il Salvatore aveva qualche cosa che gli sembrava, allora, troppo difficile per gli Apostoli e la teneva celata. E diceva che, alla venuta dello Spirito Santo avrebbero appreso tutto. Questa cosa tenuta celata penso che fosse la divinità dello Spirito Santo, che sarebbe stata dichiarata più tardi, esattamente quando, stabilita completamente la personalità del Salvatore, attraverso la risurrezione e l`ascensione; perchè allora non sarebbe più stato possibile che si compromettesse la fede in lui.

    (Gregorio di Nazianzo, Oratio 31 25-27)


    4. Il Battesimo e la fede

    Il Battesimo non è necessario a coloro ai quali basta la fede: Abramo, infatti, piacque a Dio per la sua fede, pur non avendo ricevuto il Battesimo. Ma sempre ciò che vien dopo porta a compimento e ha il sopravvento su quanto precede. Prima della passione e della risurrezione del Signore c`era salvezza grazie alla pura fede: ma dal momento che la fede per i credenti è stata rafforzata con la nascita, la passione e la risurrezione di Cristo, su di essa, resa più forte, è stato apposto il suggello del Battesimo, quasi abito della fede, che prima era nuda, ma non poteva più restare senza una sua legge. La legge del Battesimo è stata data e dettata in questi termini: "Andate e ammaestrate tutte le nazioni battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" (Mt 28,19). Inoltre sta scritto: "Se uno non nasce da acqua e da Spirito non può entrare nel regno dei cieli" (Gv 3,5); e ciò vuol dire che la fede deve essere necessariamente suggellata dal Battesimo. Perciò tutti i credenti vengono battezzati...

    (Tertulliano, De baptismo 13 1-3)


    5. La ineffabilità di Dio, nostro Padre

    Ascolta, o uomo: il sembiante di Dio è ineffabile, indescrivibile; né può essere visto con occhi corporei. Invero, la nostra mente non può afferrare né la sua gloria, né la sua grandezza, né la sua altezza; e tampoco può essere comparata la sua potenza o rapportata la sua sapienza; egli è inimitabile nella sua benignità, inenarrabile nella sua beneficenza. Infatti, se lo chiamo "luce", predico la sua opera; se lo dico "verbo" dico il suo principio se lo chiamo "mente", affermo la sua saggezza; se lo definisco "spirito" cito il suo respiro in me (cf.Gen 2,7); se lo chiamo "sapienza" nomino la sua progenie; se "forza" dico la sua potenza; se lo definisco "virtù" affermo la sua attività; se lo dico "provvidenza" predico solo la sua benignità; se lo dico "regno" dico la sua gloria; se lo dico "Signore" lo chiamo giudice; se lo dico "giudice" lo affermo giusto; se [però] lo chiamo "Padre" ho detto di Lui tutto.

    (Teofilo di Antiochia, Ad Autol. 1 3)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 05/06/2012 08:21
    SOLENNITA` DEL SS. CORPO E SANGUE DI CRISTO

    (Domenica dopo la Trinità)

    L`origine della festa del Corpus Christi va associata col sorgere di una nuova pietà eucaristica nel Medioevo che accentuava la presenza di Cristo nel Santissimo Sacramento. La causa prossima dell`introduzione della festa furono le rivelazioni della beata Giuliana (1193-1258), monaca agostiniana del convento di Mont-Cornillon, vicino a Liegi. La materia delle rivelazioni fu presentata ai teologi (tra i quali c`era il futuro papa Urbano IV), e dopo aver ricevuto il loro verdetto, nell`anno 1246, la festa fu introdotta nella diocesi di Liegi e celebrata il giovedí nell`ottava della SS. Trinità. Urbano IV estende la festa a tutta la Chiesa nel 1264; ma la sua morte non ha permesso la promulgazione del documento. Solo dopo aver pubblicato la bolla di papa Giovanni XXII, nell`anno 1317, la festa fu accolta in tutto il mondo.
    La prima menzione della processione in questo giorno proviene da Colonia (1277-1279); nel secolo XIV la conoscono già le altre diocesi di Germania, Inghilterra e Francia, e Roma stessa verso il 1350. Sul territorio di Germania, all`inizio del XV secolo, la processione del Corpus Christi fu legata alla supplica per il buon tempo ed il buon raccolto. Presso quattro altari si cantavano gli inizi dei quattro Vangeli: era comune la convinzione che il canto di questi brani avrebbe portato un particolare aiuto e protezione da tutti i pericoli.
    La processione supplicante diventa importante per i fedeli, che fanno tutto per renderla piú splendida. Sotto l`infiusso della Riforma, la processione assume un altro carattere, diventa la professione di fede nella reale presenza di Cristo nel Santissimo Sacramento. Si continua a cantare l`inizio dei Vangeli, ma questa prassi viene interpretata in altro modo: sotto le specie del pane è presente Cristo in mezzo a noi, Cristo che una volta ha vissuto sulla terra e il cui Vangelo è adesso annunciato.
    Pio IX, nell`anno 1849, in segno di gratitudine per il felice ritorno dall`esilio, costituì la festa del Preziosissimo Sangue di Cristo. Dato che la festa del Corpo di Cristo è nello stesso tempo festa del Sangue di Cristo, il nuovo calendario sopprime la festa del 1° luglio e alla festa del Corpus Christi dà nome: Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo.
    Cristo nel «mirabile Sacramento ci ha lasciato il memoriale della sua Pasqua» e la Chiesa, attraverso i secoli, celebrando l`Eucaristia «annuncia la morte del Signore, proclama la sua Risurrezione ed attende la sua venuta nella gloria». Cristo in modo mirabile rimane in mezzo a noi: ci fa partecipare al suo Sacrificio di Redenzione e si fa cibo per noi. Egli offre il suo Corpo per noi; il suo Sangue comporta la remissione dei peccati. Il Sacrificio di Gesú porta pace e salvezza a tutto il mondo. La Chiesa si nutre del Corpo e del Sangue del Signore: e allora tutti i suoi figli diventano «un solo corpo e un solo spirito in Cristo». La potenza dello Spirito Santo riveste tutti i credenti e fa sí che essi diventino in Cristo il sacrificio vivente a gloria di Dio Padre. L`Eucaristia diviene per chi crede il preannunzio della piena partecipazione alla vita di Dio nell`eternità, è il pegno della vita eterna. «Chi mangia il mio Corpo e beve il mio Sangue avrà la vita «eterna», disse il Signore.
    Cristo Signore è presente in mezzo a noi nel Santissimo Sacramento. La coscienza di ciò porta all`adorazione e alla lode, specialmente nella Solennità del Corpo e del Sangue del Signore. In questo giorno, il popolo cristiano dà pubblicamente e con pietà la testimonianza della sua fede nell`Eucaristia, esce in processione sulle strade con canti di lode.

    Mistero della Cena!
    Ci nutriamo di Cristo,
    si fa memoria della sua passione,
    l`anima è ricolma di grazia,
    ci è donato il pegno della gloria.

    (Liturgia Horarum, III: Sanctissimi Corporis et Sanguinis Christi, ad II Vesperas, ad Magnificat)


    1. Le condizioni per celebrare la Pasqua

    Facciamo pure cosí in ciò che spetta ai misteri (eucaristici), senza guardare soltanto ciò che abbiamo dinanzi a noi, ma tenendo presenti le sue parole. Perché la sua parola è infallibile ed i nostri sensi sono fallibili. La sua parola non è mai venuta meno mentre i sensi il piú delle volte si ingannano. Poiché la sua parola ci dice: Questo è il mio corpo, ubbidiamo e crediamo, e vediamolo con gli occhi dello spirito. Infatti, Cristo non ci diede nulla di sensibile, ma piuttosto, per mezzo di cose sensibili, non ci diede altro che cose spirituali. Cosí nel battesimo, per mezzo di una cosa sensibile, ci si dà il dono dell`acqua, ma sono spirituali la rinascita e il rinnovamento ivi prodotti. Se tu fossi incorporeo, ti avrebbe dato soltanto questi doni incorporei; ma poiché l`anima è unita al corpo, ti offre - per mezzo di cose sensibili - altre spirituali. Quanti ora dicono: «Vorrei vedere la sua forma, la sua figura, le sue vesti, i suoi calzari!». Ecco quindi che Lo vedi, Lo tocchi, Lo mangi. Tu desideri vedere le sue vesti; ma Egli stesso ti si dona, e non solo perché tu lo veda, ma perché tu lo veda, ma perché lo possa toccare e mangiare e lo riceva dentro di te. Nessuno, quindi, si avvicini con senso di fastidio, con tiepidezza; tutti vi giungano pieni di ardore, di fervore e ben desti. Perché se i giudei, stando in piedi, tenendo i calzari e i bastoni in mano, mangiavano in fretta, conviene assai di piú che tu sia in guardia. Se essi, infatti, dovevano recarsi in Palestina, e per questo prendevano la forma di viandanti, tu invece devi trasferirti in cielo.
    E` necessaria quindi una grande vigilanza: il tormento da cui sono minacciati coloro che comunicano indegnamente non è mediocre Considera come ti riempi di sdegno contro il traditore e contro quelli che hanno messo in croce Cristo. Bada bene di non essere anche tu reo del corpo santissimo, ma tu lo ricevi con l`anima immonda dopo aver ricevuto tanti benefici! Poiché Egli non si accontentò di farsi uomo, di essere schiaffeggiato e crocefisso, ma si unisce anche e si intrattiene con noi, e non solo per mezzo della fede, ma in realtà ci fa suo proprio corpo. Quale genere di purezza deve superare colui che partecipa a tale sacrificio? Quali raggi di luce da essere sorpassati dalla mano che spezza questa carne, dalla bocca che si riempie di questo fuoco spirituale, dalla lingua che si arrossa con questo sangue venerando?
    Considera quale onore tanto elevato ti viene reso, di quale banchetto fai parte. Colui che gli angeli vedono con tremore e, a causa del suo splendore, non osano guardare in faccia, di Questi noi ci alimentiamo, con Questi noi ci mescoliamo e diventiamo un solo corpo e carne di Cristo. Chi può narrare i prodigi del Signore, far risuonare tutta la sua lode? (Sal 105,2). Quale pastore non rnanda al pascolo le sue pecore servendosi dei suoi servi? Ma che dico, pastore? Vi sono spesse volte delle madri le quali, dopo aver sofferto i dolori del parto, offrono i loro figli ad altre affinché li allattino e li educhino. Ma Egli non ha voluto cosí; Egli ci alimenta col suo sangue e si unisce a noi con tutti i mezzi. Osservalo bene: è nato dalla nostra stessa sostanza. Ma ciò non appartiene a tutti, dirai. Invece, sí certamente: a tutti. Perché se è venuto a prendere su di sé la nostra natura, è evidente che è venuto per tutti. E se per tutti, anche per ognuno di noi.
    Ma come mai, mi dirai, non tutti hanno saputo trar profitto da questo guadagno? Non certamente per colpa di Colui il quale ha scelto questo in nome di tutti, bensí per colpa di coloro che non hanno voluto. Con ognuno dei fedeli Egli si unisce e si mescola per mezzo del sacramento, e coloro che ha generati li alimenta lui stesso e non li affida ad altri, e ti persuade allo stesso tempo col fatto che Egli ha preso la tua carne. Non dobbiamo quindi essere pigri, essendo stati giudicati degni di un sì grande amore ed onore. Non vedete con quale slancio i piccoli si attaccano al petto della madre, con quale impulso vi applicano le labbra? Avviciniamoci anche noi con lo stesso slancio a questa mensa, a questo petto e a questo calice spirituale; e ancora di piú: attiriamo con un impegno piú grande, come fanno i bimbi che devono essere allattati, la grazia dello Spirito Santo, e non abbiamo nessuna altra preoccupazione se non quella di non partecipare di questo alimento. L`Eucaristia non è opera dovuta alla virtù umana. Colui che in quella cena l`ha portata a compimento è Colui che ancor oggi la sostiene. Noi abbiamo la funzione di suoi ministri; ma Colui che santifica la offerta e la trasforma è Lui stesso.
    Non vi prenda parte, quindi, nessun Giuda, nessun avaro. Se qualcuno non è suo discepolo, si ritiri; il sacro banchetto non ammette tali commensali. Celebro la Pasqua, afferma, con i miei discepoli (Mt 26,8). Questa è la stessa mensa. Poiché non si può dire che Cristo abbia preparato quella e l`uomo questa: ambedue sono state preparate da Cristo. Questa è quel cenacolo in cui allora si trovavano e da cui si recarono al monte degli; Ulivi. Rechiamoci anche noi verso le mani dei poveri, perchè sono esse nel monte degli Ulivi. Ulivi piantati nella casa del Signore, sono la moltitudine dei poveri, i quali distillano l`olio che nell`al di là ci sarà di utilità, l`olio che avevano le cinque vergini, mentre le altre cinque perirono perché non seppero prenderlo da qua. Prendiamolo, dunque, ed entriamo per andar incontro allo Sposo con le lampade splendenti; prendiamolo ed usciamo da qua con esso. Non vi entri nessuno che sia disumano, nessuno che sia crudele e senza compassione, nessuno assolutamente che sia macchiato.
    Dico questo a voi che comunicate e a voi che amministrate la comunione. Perché è necessario parlare anche a voi affinché di affinché distribuiate questi doni con molta diligenza. Non vi viene riservato affatto un piccolo castigo se, conoscendo le cattiverie di qualcuno, permettete che partecipi a questo banchetto. Si domanderà conto del suo sangue alle vostre mani! (cf. Gen 42,22). Anche se si tratta del comandante militare, anche se si tratta del prefetto, anche se è colui stesso che si cinge il diadema, e si accosta indegnamente, allontanalo; tu hai un potere piú grande di quello che ha lui! Se tu avessi ricevuto l`incarico di conservare pura una fonte di acqua per un gregge, e vedessi una pecora con la bocca piena di fango, non le permetteresti di abbassarsi sulla corrente e di intorbidirla; e come mai adesso, che sei incaricato di una fonte non d`acqua, ma di sangue e spirito, e vedendo avvicinarsi ad essa alcuni che sono macchiati, non di terra e fango, ma di qualcosa di peggio, il peccato, come mai non ti adiri e non li allontani? Quale perdono pensi vi sia per te?
    Per questo Iddio vi ha distinti con sí grande onore, affinché voi possiate far la cernita tra i degni e gli indegni. Questa è la vostra dignità, questa è la vostra sicurezza, questa la vostra corona; e non passeggiare (per la chiesa) cinti di un bianco e splendente vestito.

    (Giovanni Crisostomo, In Matth., 82, 4-6)


    2. «Fate questo in memoria di me»

    E mentre cenavano, prendendo in mano il pane, lo spezzò. Per quale motivo ha celebrato questo mistero precisamente nel tempo della Pasqua? Affinché tu scopra in ogni luogo che Lui era il Legislatore dell`Antico Testamento, e che quanto è in esso contenuto è stato scritto per raffigurare questa realtà. Ed è per questo motivo che Egli ha collocato la verità al posto della figura. La sera, per suo conto, significava la pienezza dei tempi, e che gli avvenimenti erano vicini ormai al loro termine. Egli, inoltre, rende grazie, insegnandoci così come si deve celebrare questo mistero, dimostrandoci che Egli non cammina verso la Passione involontariamente, insegnandoci a portar avanti con gratitudine tutte le nostre sofferenze e proponendoci tante buone speranze. Poiché se la figura è stata un frutto di libertà da una cosí grande schiavitú, quanto piú lo sarà la verità che darà libertà a tutta la terra e verrà data per il bene della nostra natura! Ed è per questo motivo che Egli non ci ha donato il mistero fino a questo momento, ma soltanto quando le istituzioni legali dovevano cessare. Egli distrugge infine la principale di tutte le sue feste, trasportando [i suoi] ad un`altra mensa terribile, ed esclama: Prendete, mangiate: questo è il mio corpo, il quale viene spezzato per molti (1Cor 11,24).
    E come mai, all`udire questo, non ne furono turbati? Perché già in anticipo Egli aveva loro predetto su tale argomento molte e grandi cose. Per cui non le ribadisce ora, perché essi avevano già inteso parlare abbastanza sull`argomento, ma riporta la causa della sua passione, che era la remissione dei peccati. Egli chiama poi il suo sangue del Nuovo Testamento, vale a dire, della promessa, dell`annuncio della nuova legge. Infatti, ciò era stato promesso dai tempi antichi e viene confermato dal Testamento della legge nuova. E cosi come l`Antico Testamento usava pecore e vitelli, il Nuovo ha il sangue del Signore. Per questo stesso motivo fa capire che va verso la morte: per questo fa menzione di Testamento; e fa menzione dell`Antico, perché anch`esso si era iniziato col sangue.
    E ancora una volta accenna alla causa della sua morte. Il quale [il sangue] sarà effuso per molti per la remissione dei peccati; ed aggiunge: Fate questo in memoria di me. Vedete come si sta distaccando ed allontanando dalle usanze giudaiche? Così come quello anteriore - dice ad essi - lo facevate in memoria delle meraviglie di Egitto, ora fate questo in memoria di me. Quel sangue era stato effuso a salvezza dei primogeniti: questo invece in perdono dei peccati di tutto il mondo. Perché questo è il mio sangue - egli dice - che sarà versato in remissione dei peccati. E parlava in questo modo, dichiarando così che la passione e la croce sono un mistero, ed esortando in tale maniera allo stesso tempo i discepoli. E cosí come Mosè ha detto: Questo [sia] per voi ricordo sempiterno (Es 3,15), così pure Egli dice: In memoria di me (Lc 22,19) finché io verrò. Per questo motivo dice ancora: Ho desiderato ardentemente di mangiare questo agnello pasquale (Lc 22,15); e cioè, consegnarvi delle cose nuove e donarvi la pasqua, con la quale devo rendervi spirituali.
    Di esso [del sangue] ne bevve anche Lui. Infatti, affinché quelli, nell`udire ciò, non dicessero: «Come mai? Beviamo sangue e mangiamo carne?» e ne fossero turbati (poiché in realtà, quando Egli parlò di questo argomento, molti solo all`udire tali parole, ne furono scandalizzati), Egli - perché non venissero turbati anche ora - è stato il primo a farlo, invogliandoli tranquillamente alla partecipazione dei misteri. Per tal motivo bevve Egli stesso il suo proprio sangue. Ma come? dirai. E bisognerà fare anche quello di prima (quello dell`antica legge)? Niente affatto. Perché Egli ha detto: Fate questo, precisamente per allontanarci da quello. Infatti, se questo opera la remissione dei peccati - come in realtà avviene -, quello è ormai inutile. Cosí, dunque, come succedeva tra i Giudei, vincola ora al mistero il ricordo del beneficio, chiudendo in tal modo la bocca agli eretici. Perché quando essi dicono: «Da che cosa si deduce che Cristo è stato immolato?», oltre ad altre ragioni, chiudiamo le loro labbra per mezzo dei misteri. Poiché se Cristo non fosse morto, di che cosa sarebbero simbolo i misteri che noi celebriamo?

    (Giovanni Crisostomo, In Matth., 82, 1)


    3. Cibo e bevanda di vita eterna

    Quelli che, cadendo nelle insidie loro tese, hanno preso il veleno, ne estinguono il potere mortifero con un altro farmaco. Allo stesso modo, come è entrato nelle viscere dell`uomo il principio esiziale, deve entrarvi anche il principio salutare, affinché si distribuisca in tutte le parti del suo corpo la virtù salvifica. Avendo noi gustato il cibo dissolvitore della nostra natura, ci fu necessario un altro cibo, che riunisce ciò che è dissolto, perché, entrato in noi, questo medicamento di salvezza agisse da antidoto contro la forza distruggitrice presente nel nostro corpo. E cos`è questo cibo? Null`altro che quel Corpo che si rivelò piú possente della morte e fu l`inizio della nostra vita. Come un po` di lievito, secondo quanto dice l`Apostolo (cf. 1Cor 5,5), rende simile a sé tutto l`impasto, cosí quel Corpo, dotato da Dio dell`immortalità, entrato nel nostro, lo trasforma e lo tramuta tutto in sé. Come, infatti, il principio salutare mescolato al principio mortifero toglie il potere esiziale al miscuglio, cosí il Corpo immortale una volta dentro colui che lo ha ricevuto, lo tramuta tutto nella propria natura.
    Ma non è possibile entrare in un altro corpo, se non unendosi alle sue viscere, se non cioè, come alimento e bevanda: dunque è necessario ricevere la forza vivificante dello Spirito nel modo possibile alla natura. Ora, solo il Corpo, ricettacolo di Dio, ricevette la grazia dell`immortalità, ed è dimostrato che non è possibile, per il nostro corpo vivere nell`immortalità, se non partecipandovi per la comunione a quel Corpo. E` necessario considerare come mai sia possibile che quel Corpo, continuamente distribuito in tutto il mondo a tante migliaia di fedeli, rimanga sempre unico e identico in tutto se stesso, affinché la fede, riguardando ciò che è conseguente non abbia dubbi circa le nozioni proposte, è bene fermare un poco il nostro ragionamento sulla fisiologia del corpo.
    Chi non sa che il nostro corpo, per natura sua, ha una vita che non è in sé sussistente, ma, per l`energia che in esso affluisce, si mantiene e resta nell`essere attirando con moto incessante a sé ciò che è estraneo ed espellendo ciò che è superfluo? Un otre pieno di un liquido, se il contenuto esce dal fondo, non può mantenere inalterata la forma e il volume, se dall`alto non entra altro liquido al posto di quello che se ne è andato: perciò chi vede la massa a forma d`otre di questo recipiente, sa che non e propria dell`oggetto che vede, ma che è il liquido che in lui affluisce a dare forma e volume al recipiente. Cosí anche il nostro corpo, per sua struttura, non ha nulla di proprio, a quanto ci consta, per la propria sussistenza, ma resta nell`essere per una forza che introduce in sé. Questa forza è e si chiama cibo. Essa poi non è identica per tutti i vari corpi che si nutrono, ma per ciascuno è stato stabilito il cibo conveniente da colui che governa la natura. Alcuni animali scavano radici e se ne nutrono, per altri nutrimento è l`erba e per altri ancora, invece, la carne. Per l`uomo, l`alimento principale è il pane, mentre la bevanda, necessaria per mantenere e conservare l`umidità, non è solo la semplice acqua, ma spesso unita al vino, che è di giovamento al nostro calore animale. Chi dunque guarda questi cibi, vede in potenza la massa del nostro corpo. Quando infatti sono in me diventano rispettivamente carne e sangue, perché il potere assimilante muta l`alimento nella forma del nostro corpo.
    Esaminato cosí dettagliatamente tutto ciò, riportiamo il pensiero al nostro argomento. Ci si chiedeva dunque come il corpo di Cristo, che è in lui, possa vivificare la natura di tutti gli uomini che hanno fede, venendo a tutti distribuito e non diminuendo in se stesso. Forse non siamo lontani da una ragione plausibile. Infatti, se la realtà di ogni corpo deriva dall`alimentazione, che consta di cibo e bevande, e il cibo è pane, la bevanda acqua unita al vino; se poi, come abbiam detto sopra, il Logos di Dio, che è Dio e Logos, si uní alla natura umana, e venendo nel nostro corpo, non innovò la realtà di tale natura umana, ma diede al suo corpo la possibilità di permanere in vita per mezzo di ciò che è consueto e adatto, dominandone cioè la sussistenza, per mezzo del cibo e della bevanda; se quel cibo era pane; se come in noi - l`abbiamo già detto ripetutamente - chi vede il pane vede in un certo senso il corpo umano, perché il pane in esso entrato in esso si trasforma; cosí anche nel nostro caso: il corpo ricettacolo di Dio, preso il pane in nutrimento, era in un certo senso lo stesso che il pane, perché il nutrimento, come abbiamo detto, si tramuta nella natura del corpo.
    Ciò che è proprio di tutti i corpi umani si verifica anche in quella carne: quel Corpo cioè veniva sostentato dal pane; ma quel Corpo, per l`inabitazione del Logos di Dio, si era trasmutato in dignità divina: giustamente credo, dunque, che anche ora il pane santificato dal Logos (Parola) di Dio si tramuta nel Logos di Dio, anche quel Corpo, infatti, era in potenza pane; fu santificato dall`abitazione del Logos che si attendò nella carne. Come il pane, trasformato in quel Corpo, si mutò in potenza divina, cosí anche ora diventa la stessa realtà. Allora la grazia del Logos rese santo il corpo la cui sussistenza dipendeva dal pane e in un certo senso era anch`esso pane; allo stesso modo ora il pane, come dice l`Apostolo (cf. 1Tm 4,5), santificato dal Logos di Dio e dalla preghiera, diviene corpo del Logos, non lentamente, come fanno cibo e bevanda, ma immediatamente come disse il Logos stesso: Questo è il mio corpo (Mt 26,26).
    Ogni corpo si ciba anche di liquido: senza il suo apporto, infatti, l`elemento terrestre che è in noi, non resterebbe in vita. Come sostentiamo la parte solida del nostro corpo con il cibo solido e duro, cosí all`elemento liquido del nostro corpo aggiungiamo qualcosa della sua stessa natura. Quando questo liquido è in noi, per la funzione assimilatrice, si tramuta in sangue, soprattutto se dal vino ha ricevuto la forza di mutarsi in calore. Dunque, anche questo elemento accolse nella sua struttura quella carne ricettacolo di Dio, ed è chiaro che il Logos uní se stesso alla caduca natura degli uomini affinché per la partecipazione alla divinità ciò che è umano fosse anch`esso divinizzato; per questo motivo egli, per disegno della sua grazia, per mezzo della carne la cui sussistenza proviene dal pane e dal vino, quasi seminò se stesso in tutti i credenti, unendosi ai loro corpi, affinché per l`unione con ciò che è immortale anche l`uomo diventasse partecipe dell`incorruttibilità. Questo egli dona per la potenza della benedizione che tramuta in ciò la natura degli elementi visibili.

    (Gregorio di Nissa, Catech. M., 37)


    4. Credere per capire

    Ciò che dunque vedete è pane e vino; ed è ciò che anche i vostri occhi vi fanno vedere: ma la vostra fede vuol essere istruita, il pane è il corpo di Cristo, il vino è il sangue di Cristo. Veramente quello che è stato detto in poche parole forse basta alla fede: ma la fede desidera essere istruita. Dice infatti il profeta: Se non crederete, non capirete (Is 7,9). Infatti voi potete dirmi: «Ci hai insegnato a credere, fa` in modo che noi comprendiamo». Nel proprio animo qualcuno può pensare: «Sappiamo che Nostro Signore Gesú Cristo nacque da Maria Vergine. Da bambino fu allattato, nutrito; quindi crebbe, divenne giovane, fu perseguitato dai Giudei, fu messo in croce, morí in croce, fu deposto dalla croce, fu sepolto, il terzo giorno risuscitò come aveva stabilito, salí in cielo; come è asceso cosí verrà a giudicare i vivi e i morti; quindi ora siede alla destra del Padre: come può il pane essere il suo corpo? E il calice, ossia il vino che il calice contiene, come può essere il suo sangue?». Ma queste cose, fratelli, si chiamano Sacramenti, poiché in essi una cosa si vede, un`altra si intende. Ciò che si vede ha un aspetto corporeo, ciò che si intende ha sostanza spirituale. Se dunque vuoi farti una idea del corpo di Cristo, ascolta l`Apostolo che dice ai fedeli: Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra (1Cor 12,27). Perciò se voi siete il corpo e le membra di Cristo, il vostro mistero risiede nella mensa del Signore: voi accettate il vostro mistero. A ciò che siete voi rispondete Amen, e cosí rispondendo voi l`approvate. Infatti tu senti: «Il Corpo di Cristo»; e rispondi Amen. Sii membro del corpo di Cristo, perché sia vero quell`Amen. Perché dunque nel pane? Qui non aggiungiamo nulla di nostro, ascoltiamo sempre lo stesso Apostolo che, parlando di questo sacramento, dice: Poiché c`è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo (1Cor 10,17): comprendete e gioite; unità, verità, pietà, carità. Un pane solo: che cos`è questo solo pane? Pur essendo molti siamo un corpo solo. Ricordatevi che il pane non si ottiene da un solo chicco di grano, ma da molti. Quando venivate esorcizzati era come se foste macinati. Quando siete stati battezzati, come se foste impastati. Quando avete ricevuto il fuoco dello Spirito Santo, come se foste cotti. Siate ciò che vedete e accettate quello che siete. Questo ha detto del pane l`Apostolo. Quindi quello che intendiamo col calice, anche se non è stato detto, lo ha mostrato sufficientemente. Infatti come molti chicchi si fondono in uno solo per avere la forma visibile del pane, cosí avvenga ciò che la Sacra Scrittura dice dei fedeli: Essi avevano un cuor solo e un`anima sola rivolti verso Dio (At 4,32): ed è così anche per quanto riguarda il vino. Fratelli, ricordate da che cosa si ricava il vino. Molti sono i chicchi che pendono dal grappolo, ma poi tutti si mescolano in un solo liquido. Cristo Signore ha voluto che noi fossimo così, ha voluto che noi gli appartenessimo, ha consacrato alla sua mensa il mistero della pace e della nostra unità. Chi accoglie il mistero dell`unità, ma non mantiene il vincolo della pace, non accoglie il mistero in suo favore, ma una prova contro di sè.

    (Agostino, Sermo 272)


    5. Il dono ineffabile di Cristo

    Tali sono i gloriosi misteri della santa Chiesa, e tale è l`ordine nel quale sono celebrati dai sacerdoti.
    Felice colui che ha il cuore puro, nel momento in cui sono consacrati i misteri tremendi del Corpo di nostro Signore. Gli angeli del Cielo giudicano molto fortunati i figli della Chiesa che sono stati resi degni di ricevere il corpo e il sangue di Gesú Cristo nostro Signore.
    Gloria al tuo nome per il tuo dono ineffabile!
    E chi può adeguatamente rendere gloria alla tua divinità?
    Vieni, dunque, tu, che sei ammesso al sacramento dei figli della Chiesa, ad imparare secondo quella prescrizione che ti puoi avvicinare ai sacerdoti, purché te ne accosti secondo il modo che l`apostolo Paolo ha deciso.
    Avvicinati con cuore puro al corpo e al sangue di nostro Signore, che ti purificheranno dalle macchie dei peccati che tu hai commesso. I sacerdoti non allontanino il peccatore che viene a pentirsi, né l`impuro che si lamenta e che si affligge di essere impuro. Ma essi accolgono e gli impuri e i peccatori a condizione che essi facciano il proposito di non piú ritornare al male. Prega, allora, con amore, insieme col sacerdote, affinché colui che dà la vita e perdona i peccati ti accolga! Stai attento, tuttavia, a non uscire dalla nave per andare al di fuori, nel momento in cui sono consacrati i tremendi misteri! Chi è colui che volontariamente, rifiuterebbe questo pasto al quale sono invitati gli angeli e gli uomini? Chi è colui che, dal momento che è stato inserito nelle file della Chiesa, preferirebbe il posto degli estranei che la Chiesa ha allontanato?
    E` il momento in cui occorre comportarsi come un angelo in questo momento in cui lo Spirito Santo dimora. Questo istante dà la vita a colui che vi è presente, e condivide dei doni con colui che l`accoglie. Felice colui che vi crede, e riceve questi doni, poiché se egli è morto rivivrà, e se è vivo, non morrà per aver peccato!

    (Narsai il Lebbroso, Expositio Myster., passim)


    6. Il dono dell`Eucaristia

    Avendo amato i suoi ch`erano nel mondo, li amò fino alla fine (Gv 13,1). Allora diffuse sui suoi amici quasi tutta la forza del suo amore, prima di effondersi egli stesso, come acque per gli amici. Allora diede loro il sacramento del suo corpo e del suo sangue e ne istituí la celebrazione. Non so se piú ammirare la sua potenza o il suo amore! Per consolarli della sua partenza, inventò questo nuovo modo di presenza; cosí, anche lasciandoli e togliendo loro la sua presenza corporale, egli restava non solo con loro, ma in loro, per virtù del sacramento Allora, come se avesse completamente dimenticato la sua maestà e facesse oltraggio a se stesso - ma è un vanto per chi ama abbassarsi per gli amici - con una degnazione ineffabile il Signore - quel Signore! - lavò i piedi dei servi. Così, allo stesso tempo, diede loro un modello di umiltà e il sacramento del perdono.

    (Guerric d`Igny, Sermo in Ascens., 1)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 11/06/2012 08:13
    SOLENNITA` DEL SACRATISSIMO CUORE DI GESU`

    (Venerdí della terza settimana dopo Pentecoste)

    La devozione al Cuore di Gesú risale al Medioevo: i mistici dei secoli XI e XII incoraggiano i fedeli alla meditazione della Passione del Signore, alla venerazione delle ferite di Cristo e del Cuore trafitto dalla lancia del soldato.
    Si sviluppa particolarmente in Francia ed in Germania, specialmente in alcuni monasteri. I missionari gesuiti portano il culto in America: in Brasile, nell`anno 1585, sorge la prima chiesa dedicata al Cuore di Gesú. Il culto al Cuore di Gesú resta comunque una devozione privata.
    San Giovanni Eudes per primo, avendo ricevuto il permesso dal vescovo di Rennes, introduce la festa del Cuore di Gesú in tutte le case della sua Congregazione nell`anno 1670; la festa viene celebrata il 31 agosto. Le altre diocesi di Francia, alcune d`Italia e di Germania seguono l`esempio del vescovo di Rennes.
    Le rivelazioni di santa Maria Margherita Alacoque (+1690) influiscono maggiormente sulla diffusione della festa. Nonostante le numerose richieste indirizzate alla Sede Apostolica, Roma esita a lungo. Dopo la rinnovata richiesta dei vescovi polacchi, Clemente XIII, nel 1765, dà il permesso di celebrare la festa del Cuore di Gesú il venerdí dopo l`ottava del Corpus Christi e cosí essa entra nel ciclo delle feste cristiane. Pio IX, nel 1856, estende la festa su tutta la Chiesa; Leone XIII, consacra al Cuore di Gesú tutto il genere umano, Pio X, raccomanda di farlo ogni anno. Nel popolo cristiano si è comunemente diffusa la pratica della Comunione nei primi nove venerdí del mese.
    Il Cuore di Gesú, trafitto dalla lancia del soldato, rimane per sempre il simbolo del grande ed inconcepibile amore di Dio verso l`uomo. Dio è amore. Lui ci ha amati per primo ed ha mandato il suo Figlio per salvarci. Non c`è amore piú grande che dare la propria vita per qualcuno - disse il Signore - ed ha messo in pratica infatti queste parole. Dal costato trafitto di Cristo nasce la Chiesa. Dal costato trafitto di Cristo scorre sangue ed acqua, simbolo dei due Sacramenti: Battesimo ed Eucaristia.
    La chiave di lettura di tutta la storia della salvezza e della redenzione compiuta da Cristo è l`amore. Rendendo oggi il culto al Cuore di Gesú, ci rendiamo piú che mai conto che «l`amore non è amato». Perciò dobbiamo desiderare che i nostri cuori siano infiammati dal fuoco dell`amore di Dio, e vedendo quanti rimangono indifferenti alla chiamata del Signore, dobbiamo riparare alla loro mancanza di amore.

    Vieni in nostro aiuto, Signore,
    perché possiamo vivere e agire sempre in quella carità,
    che spinse il tuo Figlio a dare la vita per noi.

    (Missale Romanum, Domenica V di Quaresima Ccllecta)


    1. Rifocillarsi alla Fonte della vita

    Dateci ascolto, fratelli carissimi, come se doveste sentire qualcosa di necessario e rifocillate, senza stancarvene, la vostra sete alle acque di quella divina fonte, di cui vogliamo parlare; bevete; è la Fonte viva che c`invita; è la Fonte della vita che ci dice: Se uno ha sete, venga da me, e beva (Gv 7,37). Rendetevi conto di ciò che bevete. Sentite Geremia che fa dire alla Fonte: Hanno abbandonato me, Fonte di acqua viva, dice il Signore (Ger 2,13). Il Signore nostro Gesú Cristo in persona è, dunque, la Fonte della vita e ci invita, perché lo beviamo. Lo beve, chi lo ama; lo beve, chi si sazia della parola di Dio, chi ama molto, molto desidera; beve, chi arde d`amore per la sapienza. Corriamo a bere noi, dunque, pagani, ciò che hanno lasciato gli Ebrei. Per noi anche è stato scritto: «Apriamo le mandibole del nostro uomo interiore per mangiar con appetito e, per non esser visti, mangiamo svelti e in luogo nascosto». Per mangiare il pane, per bere alla fonte, che è lo stesso Signore Gesú Cristo, il quale ci dà a mangiare se stesso pane vivo, che dà la vita al mondo (Gv 6,33) e si fa fonte con le parole: Se uno ha sete, venga da me e beva (Gv 7,37). E di questa fonte anche il profeta dice: Presso di te è la fonte della vita (Sal 35,10).
    Vedete da dove viene questa fonte. Viene dallo stesso luogo da dove viene il pane; perché la stessa persona è Pane e Fonte il Figlio unico, il Signor nostro Cristo Dio, del quale dobbiamo aver sempre fame; anche se lo mangiamo col nostro amore, anche se lo divoriamo col nostro desiderio, cerchiamolo ancora come affamati. E beviamolo sempre come una sorgente, con la sovrabbondanza del nostro amore; beviamolo sempre con pienezza di desiderio e godiamoci la soavità della sua dolcezza. E` dolce e soave il Signore: anche se lo mangiamo e beviamo, cerchiamolo con fame e sete, perché il nostro cibo e la nostra bevanda non può mai essere totalmente mangiato o bevuto. Lui, anche se è mangiato, non è mai consumato, anche se è bevuto, non viene mai esaurito, perché il nostro Pane è eterno, la nostra Fonte è perenne, la nostra Fonte è dolce, perché il profeta dice: Voi che avete sete, andate alla Fonte (Is 55,2): egli è la Fonte di chi ha sete, non di chi è sazio; e perciò chiama a sé gli assetati; coloro che non si saziano mai di bere, coloro che quanto piú berranno, tanto piú avranno sete. Giustamente, fratelli, la Fonte della Sapienza, il Verbo di Dio (Sir 1,5) dev`essere desiderato, cercato, amato, perché sono in esso tutti i tesori della sapienza e della scienza (Col 2,3) ai quali egli invita, perché vi attingano, tutti coloro che hanno sete. Se hai sete, bevi alla Fonte della vita; se hai fame, mangia il Pane della vita. Beati quelli che hanno fame di questo Pane e hanno sete di questa Fonte; quanto piú mangeranno e berranno, tanto piú vorranno bere e mangiare. E` dolce davvero ciò che si mangia e beve sempre, e se ne ha sempre fame e sete, lo si gusta e lo si vuole sempre. Perciò il re profeta dice: Gustate e vedete quanto è dolce, quanto è soave il Signore (Sal 33,9). Perciò, fratelli, diamo ascolto a questa chiamata; è la Vita, che ci chiama alla Fonte della vita, ed egli è la Fonte, non solo dell`acqua viva, ma è anche Fonte di vita eterna, Fonte di luce, e Fonte d`ogni lume; di là vengono tutte queste cose: la sapienza, la vita, la luce eterna. L`autore della vita è Fonte di vita, creatore della luce, Fonte di lume. Perciò, trascurando tutte queste cose terrene, portiamoci al di sopra dei cieli, perché, come pesci ragionevoli e sapientissimi, cerchiamo la Sorgente della luce, Sorgente di vita, Sorgente d`acqua viva, perché possiamo bere l`acqua viva, che zampilla in vita eterna (Gv 4,14).
    Oh, se ti degnassi, Signore, Dio di misericordia, di mettermi vicino a quella Sorgente, perché anch`io, con tutti i tuoi assetati, possa bervi l`acqua viva della Fonte viva! Son certo che, tutto preso dalla dolcezza di quell`acqua, vi starei sempre attaccato e direi: Quanto è dolce la Sorgente dell`acqua viva, non vien mai meno e zampilla in vita eterna! O Signore, sei tu stesso questa Sorgente, sempre desiderata, sempre bevuta e mai esaurita. Dacci sempre, Signore Gesú Cristo, che anche in noi scaturisca una sorgente d`acqua viva, che zampilli nella vita eterna. Chiedo tanto, chi non lo comprende? Ma tu, Re di gloria, sei avvezzo ai grandi doni e alle grandi promesse: non c`è niente piú grande di te, e tu ci hai donato te stesso, hai dato te stesso per noi. Perciò noi ti chiediamo di darci te stesso: tu sei il nostro tutto: vita, luce, salvezza, cibo, bevanda, il nostro Dio. Ispira i nostri cuori, Signore Gesú, con l`aura del tuo Spirito e trafiggi i nostri cuori col tuo amore, perché possiamo dire con verità: Dimmi dov`è il mio diletto (Ct 1,6), perché l`amore m`ha ferito. Beata l`anima ferita dall`amorel Quella, sì, cerca la Sorgente, quella, sí, beve, e ha sempre sete, si ciba e ha sempre fame; ama e cerca sempre, sta bene quand`è ferita. E si degni il nostro pio medico, il Signore Gesú Cristo trafiggere i nostri cuori con tale ferita; lui che con lo Spirito Santo è un solo Dio nei secoli dei secoli. Amen.

    (Colombano il Giovane, Instructio 13)


    2. Le piaghe del Salvatore, luogo della nostra pace

    E veramente, dove puoi trovare una pace sicura e solida se non nelle piaghe del Salvatore? Tanto piú sicuro mi sento là dentro, quanto piú forte è lui per salvarmi. Freme il mondo, urge il corpo, insidia il diavolo; sto saldo, son fondato sopra una pietra ben solida. Ho peccato tanto; la mia coscienza n`è turbata, ma non disperata, perché mi ricorderò delle piaghe del Signore. Infatti lui è stato piagato per le nostre ferite (Is 53,5). Che cosa può essere cosí mortale, che non possa essere disciolto con la morte di Cristo? Se, dunque, ti ricorderai di una così potente ed efficace medicina, non ci sarà alcuna gravità di malattia che possa spaventarti.
    Sbagliò allora colui che disse: Il mio peccato è troppo grande, perché possa sperare perdono (Gen 4,13). Disse cosí perché non apparteneva alle membra di Cristo, non faceva conto sul merito di Cristo al punto da ritenere suo ciò che è di Cristo. Io invece, fiduciosamente, ciò che mi manca lo vado a prendere dalle viscere del Signore, che son piene di misericordia, e non vi mancan dei fori, perché ne venga fuori. Traforarono le sue mani e i suoi piedi, trapassarono il suo fianco con la lancia e attraverso queste fessure posso succhiare miele dalla pietra e olio dal piú duro dei sassi, cioè, posso gustare e vedere quant`è soave il Signore. Nutriva pensieri di pace e io non lo sapevo. Chi, infatti, conosceva l`indole di Dio, o chi gli ha mai suggerito qualche cosa? (Ger 29,11). I chiodi mi son diventati chiavi per scoprire la volontà di Dio. Perché non dovrei guardare attraverso quei fori? I chiodi, le piaghe protestano che veramente, in Cristo, Dio si rappacifica col mondo. La spada gli trapassò l`anima e raggiunse il suo cuore (Sal 104,18) certo non perché non imparasse a compatire le mie debolezze. Si vede il mistero del cuore, attraverso i fori del corpo, si scopre quel gran mistero di pietà, si scoprono le viscere della misericordia del nostro Dio con la quale dalla sua altezza è venuto verso di noi (1Tm 3,16). Perché non dovrebbero vedersi le viscere attraverso le ferite? In che cosa, infatti, si sarebbe visto piú chiaramente, se non nelle tue ferite, che tu, Signore, sei soave e mite e pieno di misericordia (Sal 85,5)? Nessuno ha maggiore affetto di chi dà la vita per dei rei e dei condannati.
    Tutto il mio merito è la misericordia del Signore. Non sono affatto privo di meriti, finché lui non è privo di misericordia. Che se la misericordia del Signore è tanta, anche i miei meriti son tanti. E che farò se m`accorgerò d`esser reo di molti delitti? Appunto, quanto piú furon numerosi i delitti, tanto piú abbondò la grazia (Rm 5,20). E se le misericordie di Dio vanno da una eternità all`altra, anch`io canterò in eterno le misericordie del Signore (cf. Sal 102,17; 88,1).

    (Bernardo di Chiarav., In Cant. Cant., 61, 3-5)


    3. La carità

    Chi ha la carità in Cristo pratichi i suoi comandamenti. Chi può spiegare il vincolo della carità (cf. Col 3,14) di Dio? Chi è capace di esprimere la grandezza della sua bellezza? L`altezza ove conduce la carità è ineffabile. La carità ci unisce a Dio: «La carità copre la moltitudine dei peccati» (cf. 1Pt 4,8; Gc 5,20). La carità tutto soffre, tutto sopporta. Nulla di banale, nulla di superbo nella carità. La carità non ha scisma, la carità non si ribella, la carità tutto compie nella concordia. Nella carità sono perfetti tutti gli eletti di Dio. Senza carità nulla è accetto a Dio. Nella carità il Signore ci ha presi a sé. Per la carità avuta per noi, Gesú Cristo nostro Signore, nella volontà di Dio, ha dato per noi il suo sangue, la sua carne per la nostra carne e la sua anima per la nostra anima.
    Vedete, carissimi, come è cosa grande e meravigliosa la carità, e della sua perfezione non c`è commento. Chi è capace di trovarsi in essa se non quelli che Dio ha reso degni? Preghiamo dunque e chiediamo alla sua misericordia perché siamo riconosciuti nella carità, senza sollecitazione umana, irreprensibili. Sono passate tutte le generazioni da Adamo sino ad oggi, ma quelli che con la grazia di Dio sono perfetti nella carità raggiungono la schiera dei piú, che saranno visti nel novero del regno di Cristo. Infatti è scritto: «Entrate nelle vostre stanze per pochissimo, finché passa la mia ira e il mio furore; mi ricorderò del giorno buono e vi risusciterò dai vostri sepolcri» (cf. Is 26,20; Ez 37,12). Siamo beati, carissimi, se eseguiamo i comandamenti di Dio nella concordia della carità, perché ci siano rimessi i peccati per la carità. E` scritto: «Beati quelli cui furono rimesse le malvagità e i cui peccati sono stati coperti; beato l`uomo del quale il Signore non considererà il peccato, né l`inganno è sulla sua bocca» (cf. Sal 32,1-2; Rm 4,7-8). Questa beatitudine è per quelli scelti da Dio per mezzo di Gesú Cristo nostro Signore. A lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

    (Clemente Romano, Ad Corinth., 49 s.)


    4. Invocazione a Dio buono

    T`invoco, Dio mio, misericordia mia (Sal 58,18), che mi hai creato e non hai dimenticato chi ti ha dimenticato. T`invoco nella mia anima, che prepari a riceverti col desiderio che le hai ispirato. Non trascurare ora la mia invocazione. Tu mi hai prevenuto (cf . Sal 58,11) prima che t`invocassi, insistendo con appelli crescenti e multiformi affinché ti ascoltassi da lontano e mi volgessi indietro chiamando te che mi richiamavi. Tu, Signore, cancellasti tutte le mie azioni cattive e colpevoli per non dover punire l`opera delle mie mani (cf. Sal 17,21), con cui ti ho fuggito; prevenisti tutti i miei meriti buoni per retribuire l`opera delle tue mani, con cui mi hai foggiato (cf. Sal 118,73). Tu esistevi prima che io esistessi, mentre io non esistevo cosí da offrirmi il dono dell`esistenza. Eccomi invece esistere grazie alla tua bontà, che prevenne tutto ciò che mi hai dato di essere e da cui hai tratto il mio essere. Tu non avevi bisogno di me, né io sono un bene che ti possa giovare, Signore mio e Dio mio (Gv 20,28). Il mio servizio non ti risparmia fatiche nell`azione, la privazione del mio ossequio non menoma la tua potenza, il mio culto per te non equivale alla coltura per la terra, cosí che saresti incolto senza il mio culto. Io ti devo servizio e culto per avere da te la felicità, poiché da te dipende la mia felicità.
    La tua creatura ebbe l`esistenza dalla pienezza della tua bontà.

    (Agostino, Confess., 13, 1)


    5. Conformarci al valore di colui di cui siamo consanguinei

    Bisogna uniformare la volontà con colui col quale si ha in comune il sangue. Non si può essere un po` discordi, un po` concordi; un giorno amarsi e un giorno farsi guerra; essere figli e meritarsi rimproveri; esser membra, ma morte, per le quali non fa piú senso essere nato e cresciuto come un tralcio, se poi non sei rimasto attaccato alla vite. Il tralcio staccato finisce, a ogni modo, per essere gettato al fuoco.
    Perciò colui che ha stabilito di vivere secondo Cristo, bisogna che si conformi al cuore e alla volontà di Cristo e ne dipenda, è di là che deriviamo la nostra vita. Ma certamente non sono legati a Cristo coloro che non vogliono ciò che Cristo vuole, o vogliono ciò che Cristo non vuole; bisogna perciò che, per quanto ci è possibile, ci si accomodi, ci si eserciti e ci si formi secondo la volontà di Cristo, si desideri ciò che lui desidera e si goda delle sue stesse cose. Infatti non possono nascere da uno stesso cuore desideri contrastanti. Un malvagio non può cavar dal suo cuore altro che male e il buono non ne cava altro che bene. E come i primi fedeli in Palestina avevano, per l`unione delle loro volontà, un cuor solo e un`anima sola (At 4,32), cosí, se uno non è unito con Cristo in modo da formare una sola mente con lui, ma cammina anzi per una via diversa dai suoi precetti, egli non dirige piú il suo cuore nella stessa direzione di Cristo ed è chiaro che è legato a un altro cuore, non a quello di Cristo. David, infatti, fu trovato secondo il suo cuore, perché poté dire di sé: Non ho dimenticato la tua legge (Sal 98,16). Son privi di vita, dunque, coloro che non aderiscono a quel cuore, e non aderiscono a quel cuore, coloro che nutrono desideri diversi da quelli che animano quel cuore.

    (Nicola Cabasilas, De vita in Christo, 6)


    6. Un soldato gli aprí il costato con la lancia

    Vennero, dunque, i soldati e spezzarono le gambe al primo, poi all`altro che era crocifisso insieme con lui. Giunti a Gesù, vedendolo già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli aprí il costato con la lancia, e subito ne uscí sangue ed acqua (Gv 19,32-34). L`evangelista ha usato un verbo significativo. Non ha detto: colpí, ferí il suo costato, o qualcosa di simile. Ha detto: aprí, per indicare che nel costato di Cristo fu come aperta la porta della vita, donde fluirono i sacramenti della Chiesa, senza dei quali non si entra a quella vita che è la vera vita. Quel sangue è stato versato per la remissione dei peccati quell`acqua tempera il calice della salvezza, ed è insieme bevanda e lavacro. Questo mistero era stato preannunciato da quella porta che Noè ebbe ordine di aprire nel fianco dell`arca (Gen 6,16), perché entrassero gli esseri viventi che dovevano scampare ai diluvio, con che era prefigurata la Chiesa. Sempre per preannunciare questo mistero, la prima donna fu formata dal fianco dell`uomo che dormiva (cf. Gen 2,22), e fu chiamata vita e madre dei viventi (cf. Gen 3,20). Indubbiamente era l`annuncio di un grande bene, prima del grande male della prevaricazione. Qui il secondo Adamo, chinato il capo, si addormentò sulla croce, perché cosí, con il sangue e l`acqua che sgorgarono dal suo fianco, fosse formata la sua sposa. O morte, per cui i morti riprendono vita! Che cosa c`è di piú puro di questo sangue? Che cosa c`è di piú salutare di questa ferita?

    (Agostino, In Io. Evang., 120, 2)


    7. La grazia viene di là donde è venuta la colpa

    Al tempo della Passione del Signore, all`approssimarsi del grande sabato, poiché nostro Signore Gesú Cristo o i ladroni erano ancora in vita, alcuni vennero inviati per percuoterli. Al loro arrivo, trovarono che nostro Signore Gesú Cristo era morto. Allora, uno dei soldati gli trafisse il costato con la sua lancia, e dal suo fianco uscí acqua e sangue (cf. Gv 19,31-34). Perché l`acqua? Perché il sangue? L`acqua per purificare, il sangue per riscattare. Perché dal fianco? Perché la grazia viene di là donde è venuta la colpa. La colpa è venuta dalla donna, la grazia da nostro Signore Gesú Cristo (cf. Gv 1,17).

    (Ambrogio, De sacramentis, V, 1, 4)


    8. «O quanto mirabile e singolare è la tua bontà!»

    Ormai, te solo amo, te solo seguo, te solo cerco, te solo sono pronto a servire, perché solo la tua dominazione è giusta; e io desidero pormi sotto la tua giurisdizione. Ordina, te ne prego, comanda ciò che vuoi; però risana ed apri le mie orecchie, perché io ascolti le tue parole; risana ed apri i miei occhi, perché io scorga i tuoi cenni. Allontana da me l`insipienza, perché io ti riconosca. Dimmi dove dirigere i miei sforzi, perché ti possa vedere, e spero di poter eseguire tutti i tuoi ordini. Accogli, te ne prego, il tuo fuggitivo, o Signore, Padre clementissimo. Bastino le pene subite dalla servitú impostami dai nemici che tu tieni sotto i tuoi piedi; bastino le menzogne che hanno fatto di me il loro giocattolo. Accogli in me il tuo schiavo che fugge lungi da essi; me, lo straniero, essi hanno bene accolto quando fuggivo lontano da te! Sento che devo ritornare a te. Mi si apra la tua porta, alla quale busso! Insegnami come arrivare fino a te. Io non ho altro al di fuori della mia buona volontà; non so nulla al di fuori del disprezzo che merita tutto ciò che è mutevole e caduco, e la necessaria ricerca dell`immutabile e dell`eterno. Questo io faccio, o Padre, perché è la sola cosa che conosco; ma ignoro come si arrivi fino a te. Ispirami, guidami, provvedi alle necessità del mio viaggio. Se è attraverso la fede che ti trovano coloro che si rifugiano presso di te, dammi la fede; se è attraverso la fortezza, dammi la fortezza; se è attraverso la scienza, dammi la scienza. Accresci in me la fede, accresci la speranza, accresci la carità. O quanto mirabile e singolare è la tua bontà!
    E` verso di te che voglio camminare; a te chiedo ancora quei mezzi che mi permettono di pervenirvi. Se tu ci abbandoni, è la morte! Ma tu non ci abbandoni perché sei il Sommo Bene che nessuno ha mai rettamente cercato senza trovarlo. Ognuno infatti lo ha rettamente cercato, se tu rettamente gli hai concesso di cercare. Insegnami dunque, o Padre, a cercarti; liberami dall`errore; a me che ti cerco, null`altro si presenti al di fuori di te. Se nient`altro desidero che te, possa io trovarti, te ne prego, o Padre. Ma se un qualche appetito superfluo permane in me, tu stesso purificami e rendimi capace di vederti.
    Per ciò che attiene la salute di questo corpo mortale, dato che ignoro quale utile trarne per me e per quelli che amo, te ne affido la cura, Padre ottimo e sapientissimo; ti chiederò per lui ciò che a tempo debito vorrai suggerirmi. Voglio solo invocare la tua sovrana clemenza, perché tu mi orienti interamente a te, e che nulla renda vano il mio sforzo verso di te; comanda che, anche con questo corpo da guidare e portare, io pratichi la purezza, il coraggio, la giustizia, la prudenza; che ami e percepisca pienamente la tua sapienza; che mi renda degno della tua dimora, e possa essere di fatto abitatore del tuo beatissimo regno. Amen, amen.

    (Agostino, Soliloquia, I, 1, 5 s.)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 19/06/2012 08:24
    XII DOMENICA

    Letture: Giobbe 38,1.8-11
    2 Corinti 5,14-17
    Marco 4,35-40

    1. Il sonno di Cristo sulla barca

    Tutte le volte che Cristo dorme nella nostra nave, e a causa del sonno della nostra ignavia s`addormenta nel nostro corpo, insorge una totale tempesta per la violenza dei venti, infieriscono minacciose le onde, e mentre troppo frequentemente si innalzano e cadono con flutti spumeggianti, amaramente suscitano nei naviganti con l`attesa i naufragi, come ha detto la lettura del nostro evangelista...
    "E lo prendono", disse, "cosí com`era nella nave" (Mc 4,36). Altro è il Cristo in Cielo, altro è il Cristo in nave: altro nella maestà del Padre, altro nella umiltà dell`umanità si avverte; altro si vede coeterno al Padre, altro temporale in rapporto alle età; altro dorme nel nostro corpo, altro veglia nella santità del suo spirito. "Lo prendono cosí com`era", disse, "nella nave". Lode di fede è ricevere il Cristo come è e si ha nella nave, cioè, nella Chiesa, dove è nato, dove crebbe, dove soffrí, dove fu crocifisso e sepolto, dove ascese al Cielo, siede alla destra di Dio Padre, donde verrà come giudice dei vivi e dei morti: professare tutto questo è di singolare salvezza. Colui che avrà accolto nella nostra nave e confessato il Cristo, qualora venga sommerso dagli scandali delle onde, non è immerso dai pericoli e coperto dalle onde... "Quella burrasca gettava le ondate nella nave" (Mc 4,37): poiché come le onde dei popoli e la ferocia delle persecuzioni agitano e squassano la nave del Signore esternamente, cosí all`interno i burrascosi flutti degli eretici irrompono ed infieriscono [contro di essa]. Il beato Paolo dichiara di aver sofferto questa tempesta, quando dice: "Al di fuori le lotte, internamente i timori: talmente che la nave fosse sommersa" (2Cor 7,5). Giustamente l`evangelista, a causa dei flutti spumeggianti, riferisce che la nave fosse ripiena [d`acqua], soffrendo la Chiesa un numero cosí grande di eresie, quante controversie della legge leggiamo che ci siano.
    "Ed egli", disse, "dormiva a poppa sopra un capezzale. Lo svegliano e gli dicono: Maestro, niente t`importa che affondiamo? E, alzandosi, minacciò il vento e disse al mare: Taci e ritorna tranquillo. E cessarono i venti ed il mare ritornò calmo" (Mc 4,38-39). Mentre avveniva ciò gli insegnamenti si resero palesi, e il tempo lo addita all`esempio. Dal momento che grande e abbastanza violenta incombe una burrascosa tempesta, mentre da ogni parte il turbine pericoloso dei venti ruggisce e infierisce, muggisce il mare, le stesse isole sono scosse dalle fondamenta e i litorali sono scossi da pauroso fragore. Ma poiché dicemmo: Cristo dorme nella nostra nave, avviciniamoci a lui piú con la fede che col corpo, e bussiamo alla sua porta [svegliamolo] piú con le opere di misericordia che con il contatto di disperati; scegliamolo non con un frastuono indecoroso ma con grida di canti spirituali: non mormorando maliziosamente, ma supplicandolo con animo vigile.
    Offriamo a Dio qualcosa del tempo della nostra vita, affinché questa infelice vanità e miseranda sollecitudine non sciupi tutto il tempo [della nostra vita]; affinché l`eccessivo sonno e il vano torpore non sciupi tutta la notte ma parimenti parte del giorno e della notte noi stessi dedichiamo all`autore del tempo.
    Vigila, uomo, vigila! Hai l`esempio, e ciò che il gallo ti impedisce all`ospite, tu offrilo al tuo creatore, soprattutto quando egli ti suggerisce che ti sarà di aiuto, quando ti spinge al lavoro, quando già vicina la luce del nuovo giorno; quanto piú con inni celesti ti conviene rivolgerti a Dio con virtù celeste per la tua salvezza. Ascolta il profeta che dice: "Durante la notte il mio spirito veglia presso di te, o Dio" (Is 26,9). E il salmista: "Sono con le mie mani di notte davanti a lui, e non sono stato ingannato" (Sal 76,3). Del giorno, invero, tre momenti lo stesso salmista ammonisce che bisogna riservare a Dio, dicendo: "Di sera, al mattino e nel mezzogiorno narrerò ed annunzierò, ed egli esaudirà la mia voce" (Sal 54,18). Mentre Daniele supplicava diligentemente Dio, in questi tre momenti [della giornata], ottenne non solo la prescienza del futuro, ma meritò la liberazione del suo popolo a lungo prigioniero. Ripetiamo, dunque, col profeta: "Sorgi, sorgi e non respingermi fino alla fine" (Mc 4,38). Diciamo con gli apostoli: "Maestro, niente t`importa che affondiamo?" (Mc 4,38). E veramente il maestro, non solo è il creatore di tutti gli elementi, ma anche il moderatore e il reggitore di essi. Ed egli quando ci avrà ascoltato, quando si sarà degnato di vigilare, si calmeranno le onde, e gli spaventosi marosi si appianeranno e cosí i colli, i venti si allontaneranno, cesserà la tempesta e quella che è imminente e la grande burrasca si trasformeranno nella piú grande calma.

    (Pier Crisologo, Sermo, 21, 1 ss.)


    2. L`esempio dei buoni pastori

    La Chiesa che naviga, come una grande nave, attraverso il mare di questo mondo, che è flagellata in questa vita da diversi flutti di tentazioni, non dev`essere abbandonata, ma diretta. E di questo ci diedero esempio i primi Padri, Clemente, Cornelio e altri assai nella città di Roma, Cipriano a Cartagine, Atanasio in Alessandria, i quali governarono, sotto imperatori pagani, la nave di Cristo, o meglio la sua carissima sposa, la Chiesa, insegnando, difendendo, lavorando e soffrendo fino allo spargimento del loro sangue...
    [I pastori che pascolano sé stessi] non guariscono col consiglio spirituale colui che è ammalato nei peccati, non ristabiliscono con l`aiuto sacerdotale chi è oppresso da varie tribolazioni, non riportano, colui che sbaglia, sulla via della salvezza, non richiamano al perdono con pastorale sollecitudine colui che s`è perduto nella disperazione, né difendono gli afflitti dalla violenza dei potenti, che come belve, s`avventano contro di loro...
    Perciò, fratello carissimo, poiché le cose stanno proprio cosí e la verità può essere tormentata, ma non può esser vinta né ingannata, la nostra mente afflitta ricorra a colui che attraverso Salomone dice: "Abbi fiducia nel Signore con tutto il tuo cuore e non contare sulla tua scaltrezza in tutte le tue cose. Ricordati di lui ed egli guiderà i tuoi passi" (Pr 3,5), e altrove: "E` torre fortissima il nome di Dio" (Pr 18,10). In questa si rifugia il giusto, e sarà salvo. Stiamo nella giustizia, prepariamoci alla tentazione, per aiutare l`aiuto di Dio e diciamogli: «Signore, sei il nostro rifugio da sempre». Confidiamo in colui che ci ha messo il peso sulle spalle. Ciò che non possiamo portare da noi, soli, portiamolo per mezzo di colui che è onnipotente e ci dice: "Il mio giogo è soave e il mio peso è leggero" (Mt 11,30). Stiamo nella battaglia nel giorno del Signore, poiché è giunto per noi il tempo dell`angustia e della tribolazione. Moriamo, se Dio lo vuole, per le sante leggi dei nostri padri, per poter meritare con loro l`eredità eterna. Non siamo cani muti, non siamo osservatori silenziosi, non siamo mercenari che fuggono innanzi al lupo, ma pastori solleciti, vigilanti sul gregge di Cristo, messaggeri del pensiero di Dio ai grandi e ai piccoli, ai ricchi e ai poveri, a tutte le condizioni sociali a tutte le età con tutta la forza che Dio ci darà.

    (Bonifacio di Magonza, Epist. ad Cutheb.)


    3. Se la fede è in noi, Cristo è in noi

    Se la fede è dentro di te, dentro di te c`è Cristo che freme e si turba; poiché se la fede è in noi, Cristo è in noi. Lo attesta l`Apostolo: "Per mezzo della fede, Gesú Cristo abita nei nostri cuori" (Ef 3,17). Se la tua fede deriva da Cristo, Cristo è nel tuo cuore.
    Ricordatevi l`episodio del Vangelo, in cui si narra di Cristo che dormiva nella barca: i discepoli vedendosi esposti al pericolo di un imminente naufragio, gli si avvicinarono e lo svegliarono. Cristo si alzò, comandò ai venti e alle onde, subito si fece gran calma sul mare. Fai anche tu cosí. I venti entrano nel tuo cuore, come se tu navigassi in questa vita su un mare procelloso e pieno di scogli pericolosi: il vento entra, sconvolge le onde, e la tua navicella ne è quasi travolta. Chi sono questi venti? Ti è stata rivolta un`offesa e tu sei colto dall`ira: l`offesa è il vento, l`ira è l`onda travolgente. Sei in pericolo, perché ti prepari a rispondere, ti prepari a restituire l`offesa con un`altra piú grave, e già la tua nave si avvicina al naufragio. Sveglia a questo punto Cristo che dorme. Tu eri travolto dalle onde, stavi per rispondere con una ingiuria all`oltraggio che ti è stato fatto, perché Cristo dormiva sulla tua navicella. Il sonno di Cristo nel tuo cuore è l`oblio della fede. Infatti, se svegli Cristo, cioè se fai appello alla fede, che cosa ti dice Cristo, sveglio nel tuo cuore? Ti dice: Ho sentito i miei nemici dirmi: tu hai il demonio in corpo, e io ho pregato per loro. Il Signore sente l`offesa e la sopporta: il servo invece sente l`offesa e si indigna! Anzi, tu ti vuoi vendicare. Ma come? Io - continua Cristo nel tuo cuore - mi sono forse vendicato? Quando la fede parla cosí nel tuo cuore, è come se comandasse ai venti e alle onde: subito si fa una gran calma.

    (Agostino, Comment. in Ioan., 49, 19)


    4. Simbologia della Chiesa

    Il mare è il mondo, in cui la Chiesa, come una nave nelle onde del mare, è sbattuta dai flutti, ma non fa naufragio; perché ha con sé Cristo, il suo accorto timoniere. Ha anche nel centro il trofeo eretto contro la morte, la croce del Signore. La sua prora è Oriente, la poppa Occidente, la carena Mezzogiorno, i chiodi i due Testamenti, le corde son la Carità di Cristo che tiene stretta la Chiesa, il lino rappresenta il lavacro di rigenerazione che rinnova i fedeli. Il vento è lo Spirito che vien dal cielo, per il quale i fedeli son condotti a Dio. Con lo Spirito ha anche àncore di ferro nei precetti di Cristo. Né le mancano marinai a destra e a sinistra, poiché i santi angeli la circondano e difendono. La scala, che sale sull`antenna, è immagine della salutare passione di Cristo, che porta i fedeli fino al cielo. Le segnalazioni in cima all`antenna son le luci dei Profeti, dei Martiri, degli Apostoli, che riposano nel regno di Cristo.

    (Ippolito di Roma, De Christ. et antichr., 59)


    5. La tempesta sedata (Mt 8,23-27)

    Quando del mare l`onde s`agitarono
    E la barca sballottata si affondava,
    Tu le rimbrottasti, ed esse tacquero;
    Le onde minacciose si placarono.

    Come già a Pietro, tendimi la mano (cf. Mt 14,31)
    Per ritrarmi dall`onde del Maligno
    Affinché l`onda agitata del peccato
    In sé non mi affoghi.

    (Nerses Snorhalí, Jesus, 446-447)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 25/06/2012 07:29
    XIII DOMENICA

    Letture: Sapienza 1,13-15; 2,23-25
    2 Corinti 8,7-9.13-15
    Marco 5,21-43

    1. I medici e il medico

    La sua fede arrestò in un istante, come in un batter d`occhio, il flusso di sangue che era sgorgato per dodici anni. Numerosi medici l`avevano visitata moltissime volte, ma l`umile medico, il figlio unico la guardò soltanto un momento. Spesso, quella donna aveva profuso forti somme per i medici; ma all`improvviso, accanto al nostro medico, i suoi pensieri sparsi si raccolsero in un`unica fede. Quando i medici terreni la curavano, ella pagava loro un prezzo terreno (cf. Mc 5,26); ma quando il medico celeste le apparve, ella le presentò una fede celeste. I doni terrestri furono lasciati agli abitanti della terra, i doni spirituali furono elevati al Dio spirituale nei cieli.
    I medici stimolavano coi loro rimedi i dolori causati dal male, come una belva abbandonata alla sua ferocia. Cosí, per reazione, come una belva inferocita, i dolori li diffondevano dappertutto, essi e i loro rimedi. Quando tutti si affrettavano di sottrarsi alla cura di quel dolore, una potenza uscí, rapida, dalla frangia del mantello di Nostro Signore; colpí violentemente il male, lo bloccò e s`attirò l`elogio per il male domato. Uno solo si prese gioco di quelli che s`erano presi gioco per molto. Un solo medico divenne celebre per un male che parecchi medici avevano reso celebre. Proprio quando la mano di quella donna aveva distribuito grandi cifre, la sua piaga non ricevette alcuna guarigione; ma quando la sua mano si tese vuota, la cavità si riempi di salute. Finché la sua mano era ripiena di ricompense tangibili, essa era vuota di fede nascosta, ma quando si spogliò delle ricompense tangibili, fu ripiena di fede invisibile. Diede ricompense manifeste e non ricevette guarigione manifesta; diede una fede manifesta e ricevette una guarigione nascosta. Sebbene avesse dato ai medici il loro onorario con fiducia, non trovò per il suo onorario una ricompensa proporzionata alla sua fiducia; ma quando diede un prezzo preso con furto, allora ne ricevette il premio, quello della guarigione nascosta...
    E coloro che non erano stati capaci di guarire quest`unica donna coi loro rimedi, guarivano frattanto molti pensieri con le loro risposte. Nostro Signore, invece, capace di guarire ogni malato, non voleva mostrarsi capace di rispondere anche ad un solo interrogativo; conosceva quella risposta, ma descriveva in anticipo coloro che avrebbero detto: "Tu, con la tua venuta, dai testimonianza di te stesso; la tua testimonianza non è vera" (Gv 8,13). La sua potenza aveva guarito la donna, ma il suo parlare non aveva persuaso quella gente. Eppure, per quanto la sua lingua restasse muta, la sua opera risuonava come una tromba. Col suo silenzio soffocava l`orgoglio arrogante; con la sua domanda: "Chi mi ha toccato?" (Lc 8,45) e con la sua opera, la sua verità era proclamata.
    Se non ci fosse che un senso da dare alle parole della Scrittura, il primo interprete lo troverebbe, e gli altri uditori non avrebbero piú il lavoro pesante della ricerca, né il piacere della scoperta. Ma ogni parola di Nostro Signore ha la sua forma, e ogni forma ha molti membri, e ogni membro ha la sua fisionomia propria. Ciascuno comprende secondo la sua capacità, e interpreta come gli è dato.
    E` cosí che una donna si presentò a lui e che la guarí. Si era presentata davanti a parecchi uomini che non l`avevano guarita avevano perduto il loro tempo con lei. Ma un uomo la guarí, quando il suo volto era girato da un`altra parte; egli biasimava cosí coloro che, con grande cura, si volgevano verso di lei, ma non la guarivano: "La debolezza di Dio è piú forte degli uomini" (1Cor 1,25). Sebbene il volto umano di Nostro Signore non poté guardare che da una sola parte, la sua divinità interiore aveva occhio dappertutto poiché vedeva da ogni lato.

    (Efrem, Diatessaron, VII, 6, 19-23)


    2. La guarigione dell`emorroissa

    «Colei che veniva a me, ha ricevuto la forza,
    poiché un segreto vigore mi ha sottratto.
    Perché, Simone figlio di Giovanni, tu mi dici
    che una immensa folla addosso mi si accalca?
    La mia divinità, essi non toccano.
    Ma questa donna, nella visibil veste
    la natura mia divina ha conquistato
    in modo manifesto, e la salute ha avuto
    gridandomi: Salvami, Signore! «.

    Vedendosi non rimasta inavvertita,
    cosí tra sé la donna rifletteva:
    «Mi farò scorgere dal salvatore mio, Gesú,
    adesso che dalle brutture mie sono mondata.
    E invero adesso non ho piú paura:
    per suo volere infatti io compivo questo.
    Ho fatto solo quel ch`ei desiderava:
    Incontro a lui son corsa con la fede
    dicendogli: Salvami, Signore!

    Non ignorava certo il Creatore
    quel ch`io facevo, bensí pietoso
    egli mi ha sopportata. Solo toccandolo,
    ho vendemmiato la forza, perché lui
    s`è lasciato spogliare volentieri.
    Cosí ora è sparita la paura d`esser vista,
    davanti a Dio gridando ch`egli è il medico
    degli infermi e il salvatore d`anime, signor
    della natura, al quale io dico: Salvami, Signore!

    A te ho ricorso, medico mio buono,
    l`obbrobrio mio alfine rigettando.
    Non levar contro di me tua collera,
    non adirarti contro la tua serva:
    solo per tuo volere io ho agito,
    poiché, ancor prima di pensare all`atto,
    presente, m`assistevi e m`incitavi a farlo.
    Sapevi che il cuor mio gridava: Salvami, Signore!».

    «Donna, coraggio ormai che per la fede
    e col mio assenso tu mi hai spogliato.
    Rassicurati ora, perché non è per farti biasimare
    che in mezzo a tanta gente t`ho condotto,
    ma per dar loro sicurezza: quando mi si spoglia
    io mi rallegro, non muovo alcun rimbrotto.
    Resta in buona salute, tu che in tutto il tuo male
    mi gridavi: Salvami, Signore!

    Non opra di mia mano è questo, ma della fede tua.
    Molti infatti han toccato la mia veste,
    senza però ricever forza, perché la fede non portavan seco.
    Tu che con molta fede m`hai toccato,
    hai colto della salute il frutto;
    ecco perché davanti a tutti t`ho portato,
    per farti dire ancora: Salvami, Signore!».

    O Figlio incomprensibile di Dio, incarnato
    per noi per amor dell`uomo,
    come la donna dal suo sangue hai liberata,
    cosí libera me dai miei peccati,
    tu che unico senza peccato sei.
    Per le preci e le suppliche dei santi,
    inclina il cuore mio o sol potente,
    alla meditazione incessante della tua parola,
    sí che tu possa salvarmi.

    (Romano il Melode, Hymn., 33, 15-21)


    3. Cristo ha vinto la morte

    "Giunto poi alla casa del capo della sinagoga e veduti i sonatori di flauto e molta gente che faceva grande strepito, cominciò a dire: «Ritiratevi, ché non è morta la fanciulla, ma dorme». E quelli lo deridevano" (Mt 9,23-24).
    Durante la tempesta riprende dapprima i discepoli; cosí, qui, dissipa anzitutto il turbamento che era nell`anima dei presenti e al tempo stesso dimostra che per lui è facile risuscitare i morti. Si comporta nell`identico modo prima di operare la risurrezione di Lazzaro, dicendo: "Lazzaro, l`amico nostro, dorme" (Gv 11,11). Insegna, inoltre, a non temere la morte: essa infatti non è piú morte, ma è diventata sonno. Cristo, infatti, doveva di lí a poco morire, e voleva perciò preparare i discepoli, nella persona di altri, ad aver coraggio e a sopportare pazientemente la sua morte. Da quando egli è venuto sulla terra, la morte è divenuta soltanto un sonno...
    A quel tempo non era palese che la morte era diventata un sonno: oggi, invece, questa verità è piú chiara del sole. Cristo non ha risuscitato la tua figliola? Ebbene, la risusciterà con assoluta certezza e con una gloria piú grande. Quella fanciulla, dopo essere stata risuscitata, piú tardi morí di nuovo: ma tua figlia, quando risusciterà, rimarrà per sempre immortale. Nessuno, dunque, pianga piú i morti, nessuno si disperi, né rigetti cosí la vittoria di Cristo. Egli infatti ha vinto la morte. Perché dunque piangi senza motivo? La morte è diventata un sonno. A che pro gemi e ti lamenti? Se i gentili che si disperano sono degni d`esser derisi, quale scusa un cristiano potrà avere comportandosi in modo cosí disonorevole in tali circostanze? Come potrà farsi perdonate tale stoltezza e insipienza, dopo che la risurrezione è stata provata molte volte e in modo evidente durante tanti secoli? Ma voi, come se foste impegnati ad accrescere la vostra colpa, portate qui tra noi donne pagane, pagate per piangere ai funerali e attizzare in tal modo la fiamma del vostro dolore e non ascoltate Paolo che dice: "Quale accordo può esserci tra Cristo e Belial? O quale cosa di comune tra il fedele e l`infedele?" (2Cor 6,15). Gli stessi pagani, che pure non credono nella risurrezione, finiscono col trovare argomenti di consolazione e dicono: Sopporta con coraggio; non è possibile eliminare quanto è accaduto e con le lacrime non ottieni nulla. E tu che ascolti parole tanto piú sublimi e consolanti di queste, non ti vergogni di comportarti in modo piú sconveniente dei pagani? Noi non ti esortiamo a sopportare con fermezza la morte, dato che essa è inevitabile e irrimediabile; al contrario ti diciamo: Coraggio, c`è la risurrezione con assoluta certezza: dorme la fanciulla e non è morta; riposa, non è perduta per sempre. Sono infatti ad accoglierla la risurrezione, la vita eterna, l`immortalità e l`eredità stessa degli angeli. Non senti il salmo che dice: "Torna, anima mia, nel tuo riposo, perché Dio ti ha fatto grazia" (Sal 114,7)? Dio chiama «grazia» la morte, e tu ti lamenti?

    (Giovanni Crisostomo, Comment. in Matth., 31, 2)


    4. Dio offre misericordia; la disperazione viene dal demonio

    Non devi, o uomo, diffidare di Dio e disperare della sua misericordia; non voglio che tu dubiti di poter cambiare in meglio; se il diavolo ti ha potuto trascinare dalle altezze celesti della virtù fino in fondo al baratro del male, quanto piú potrà Dio riportarti al vertice piú alto del bene e non solo rifarti quello che eri, ma anche farti molto piú beato di quanto fossi prima? Non ti scoraggiare e non ti nascondere la speranza del bene perché non ti avvenga ciò che avviene agli empi; non è, infatti, la moltitudine dei peccati che induce la disperazione, ma l`empietà; perciò Salomone disse: "Tutti quelli che giungono al fondo del male, disprezzano" (Pr 18,3). E` proprio degli empi, dunque, disperare e disprezzare, quando son giunti al fondo del peccato. L`empietà non gli consente di rivolgersi a Dio e di tornare là donde son caduti. Questo pensiero, dunque, che stronca la speranza della conversione, nasce da empietà e come un masso pesantissimo grava sulla cervice dell`anima, la forza a guardare sempre a terra, non le consente di alzar gli occhi verso il suo Signore; ma un animo virile e una mente illuminata deve strappare dal suo capo un peso inimicissimo dell`anima sua, deve cacciare il diavolo che l`opprime e imporsi alla sua anima per dire al Signore cantando le parole profetiche: «Come gli occhi degli schiavi son nelle mani dei loro padroni, come gli occhi della schiava son nelle mani della sua padrona, cosí gli occhi nostri si volgono al Signore Dio nostro, perché abbia pietà di noi. Pietà di noi, Signore, pietà di noi, perché siamo strapieni d`avvilimento» (cf.Sal 122,2). E` singolare questa dottrina e di celeste filosofia. Dice: «Siamo strapieni d`avvilimento» e ci vuole insegnare che, sebbene siamo ricolmi d`umiliazione a causa della moltitudine dei nostri peccati, i nostri occhi tuttavia si rivolgono al Signore nostro Dio, perché abbia pietà di noi e non finiremo di pregare finché non abbiamo ottenuto il perdono. Questo è proprio dell`anima perseverante, che non tralasci mai di sperare, ma che insista sempre nella preghiera fino a quando ottiene misericordia. E perché tu non pensi di far piuttosto una offesa, chiedendo troppo importunamente una cosa che non meriti, ricordati la parabola del Vangelo e ivi troverai che i peccatori insistenti non sono sgraditi al Signore, il quale, anzi, dice: «Se non lo darà a titolo di amicizia, almeno, per liberarsi da un fastidio, si alzerà e gli darà tutto ciò che gli serve». Renditi conto, allora, o carissimo, che il diavolo insinua la disperazione nella preghiera, proprio per sradicare la speranza nella misericordia di Dio, che è l`ancora della nostra salvezza e il fondamento della nostra vita, guida nel cammino, che porta al cielo, onde l`Apostolo dice: "Per la speranza siamo stati salvati" (Rm 8,24).

    (Rabano Mauro, De moto poenit., 4)


    5. Cristo è toccato dalla fede

    Cominciò a sperare in un rimedio che potesse salvarla: riconobbe che il tempo era venuto per il fatto che si presentava un medico dal cielo, si levò per andare incontro al Verbo, vide che egli era pressato dalla folla.
    Ma non credono coloro che premono intorno, credono quelli che lo toccano. Cristo è toccato dalla fede, è visto dalla fede, non lo tocca il corpo, non lo comprendono gli occhi; infatti non vede colui che non guarda pur avendo gli occhi, non ode colui che non intende ciò che ode, e non tocca colui che non tocca con fede...
    Se ora noi consideriamo fin dove giunge la nostra fede e se comprendiamo la grandezza del Figlio di Dio, vediamo che a suo confronto noi non possiamo che toccare la frangia del suo vestito, senza poterne toccare le parti superiori. Se dunque anche noi vogliamo essere guariti, tocchiamo la frangia della tunica di Cristo.
    Egli non ignora quelli che toccano la sua frangia, e che lo toccano quando egli è voltato dall`altra parte. Dio non ha bisogno degli occhi per vedere, non ha sensi corporali, ma possiede in se stesso la conoscenza di tutte le cose. Felice dunque chi tocca almeno la parte estrema del Verbo: e chi mai potrebbe riuscire a toccarlo tutto intero?

    (Ambrogio, Exp. in Luc., 6, 57-59)


    6. Dio è la gloria dell`uomo

    Dio è, in verità, la gloria dell`uomo; e, d`altro canto, l`uomo stesso è il ricettacolo dell`attività di Dio, di tutta la sua sapienza e potenza. E come il medico effettua i suoi esperimenti su coloro che sono malati, cosí Dio si manifesta negli uomini.

    (Ireneo di Lione, Adv. haer., III, 20, 2)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 03/07/2012 06:31
    XIV DOMENICA

    Letture: Ezechiele 2,2-5
    2 Corinti 12,7-10
    Marco 6,1-6

    1. Il profeta è disprezzato nella sua patria

    Venuto, dunque, nel suo paese, Gesú si astiene dai miracoli per non infiammare ulteriormente l`invidia dei suoi compaesani e non doverli condannare piú duramente per la loro testarda incredulità; ma, in cambio, espone loro la sua dottrina, che, certo, non merita minor ammirazione dei miracoli. Tuttavia, costoro, completamente insensati, mentre dovrebbero ascoltare con intenso stupore e ammirare la forza delle sue parole, al contrario lo disprezzano per l`umile condizione di colui che ritengono suo padre. Eppure hanno molti esempi, verificatisi nei secoli precedenti, di figli illustri nati da padri oscuri. Cosí David era figlio di Jesse, umile agricoltore; Amos era figlio di un guardiano di capre e pastore lui stesso; Mosè, il legislatore, aveva un padre assai meno illustre di lui. Dovrebbero, quindi, onorare e ammirare Gesú proprio per questo fatto: che, pur sembrando loro di umile origine, insegna quella dottrina. E` ben evidente cosí che la sua sapienza non deriva da studio, ma dalla grazia divina. Invece lo disprezzano per ciò che dovrebbero, al contrario, ammirare. D`altra parte Gesú frequenta le sinagoghe per evitare di essere accusato come solitario e nemico della convivenza umana, il che sarebbe accaduto se egli fosse vissuto sempre nel deserto. "Ed essi ne restavano stupiti e dicevano: Donde viene a costui questa sapienza e questa potenza?" (Mt 13,54), chiamando potenza la sua facoltà di operare miracoli o anche la sua stessa sapienza. "Non è questi il figlio del falegname?" (Mt 13,55). Quindi piú grande il prodigio, e maggiore lo stupore. "Sua madre non si chiama Maria? E i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe Simone e Giuda? E le sorelle sue non sono tutte qui fra noi? Donde mai gli viene tutto questo? E si scandalizzavano di lui" (Mt 13,55-57). Vedete che Gesú parla proprio a Nazaret? Non sono suoi fratelli, dicono, il tale e il tal altro? E che importa? Questa dovrebbe essere la ragione piú valida per credere in lui. Purtroppo l`invidia è una passione malvagia e spesso combatte e contraddice se stessa. Ciò che è straordinario, sorprendente e suscettibile di attirarli a Gesú, questo invece li scandalizza.
    Che risponde loro Cristo? «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e nella propria sua casa». "E non operò molti miracoli, a causa della loro incredulità" (Mt 13,57-58). Anche Luca da parte sua riferisce che non fece lí molti miracoli (cf. Lc 4,16-30). Ma, mi direte voi, sarebbe stato naturale e logico farli. Se Gesú aveva la possibilità di suscitare ammirazione - come in realtà avvenne -, per qual motivo non operava miracoli? Sta di fatto che egli non aveva di mira la propria gloria, ma il loro bene. Tuttavia poiché questo bene non si realizzava, Cristo trascurò la propria manifestazione per non aumentare il castigo dei suoi compaesani. Osservate dopo quanto tempo e dopo quale dimostrazione di miracoli egli torna presso di loro: ma neppur cosí lo accolgono, anzi si accendono piú vivamente di invidia. E perché allora, voi chiederete, Gesú ha operato qualche miracolo? L`ha fatto perché non gli dicessero: "Medico, cura te stesso" (Lc 4,23), e non affermassero che egli era avversario e nemico loro e disprezzava i suoi concittadini; non voleva infine sentir dire: Se avesse operato miracoli, noi pure avremmo creduto. Per questo egli opera qualche miracolo e in seguito si ritira, compiendo, da una parte, ciò che spetta a lui ed evitando dall`altra di condannarli piú severamente. Ebbene, osservate ora la potenza delle parole di Cristo: malgrado fossero dominati dall`invidia, quelli tuttavia restano stupiti. E come nelle sue opere non biasimano l`atto in se stesso, ma immaginano cause inesistenti dicendo: «In virtù di Beelzebul caccia i demoni», cosí anche ora non condannano la sua dottrina, ma ricorrono, per disprezzarlo, all`umiltà della sua origine. Ammirate d`altra parte la moderazione del Maestro: egli non li biasima con violenza, ma dichiara con molta mitezza: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria», e non si ferma qui, ma aggiunge: «e nella sua stessa casa», alludendo, io credo, con queste ultime parole ai suoi parenti.

    (Giovanni Crisostomo, Comment. in Matth., 48, 1)


    2. La famiglia di Gesú

    Circa l`esclamazione: "Donde gli viene tanta sapienza?" (Mt 13,54), essa mostra chiaramente la sapienza superiore e sconvolgente delle parole di Gesú, che si è meritata l`elogio: "Ed ecco che qui vi è piú di Salomone" (Mt 12,42). E i miracoli da lui compiuti erano piú grandi di quelli di Elia e di Eliseo, persino piú grandi di quelli, piú antichi, di Mosè e di Giosuè figlio di Nun. Mormoravano stupiti, perché non sapevano che egli era nato da una vergine, oppure non lo avrebbero creduto neppure se glielo avessero detto, mentre supponevano che egli fosse il figlio di Giuseppe, l`artigiano: "Non è egli figlio del falegname?" (Mt 13,55). E pieni di disprezzo verso tutto ciò che poteva sembrare la sua parentela piú prossima, dicevano: "Sua madre non si chiama Maria, e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte tra dí noi?" (Mt 13,55.56). Lo ritenevano dunque figlio di Giuseppe e di Maria. Quanto ai fratelli di Gesú, taluni pretendono, appoggiandosi al cosiddetto vangelo «secondo Pietro» o al «libro di Giacomo» [apocrifi], che essi siano i figli di Giuseppe, nati da una prima moglie che egli avrebbe avuto prima di Maria. I sostenitori di questa teoria vogliono salvaguardare la credenza nella verginità perpetua di Maria, non accettando che quel corpo, giudicato degno di essere al servizio della parola che dice: "Lo Spirito di santità scenderà su di te e la potenza dell`Altissimo poserà su di te la sua ombra" (Lc 1,35), conoscesse il letto di un uomo, dopo aver ricevuto lo Spirito di santità e la potenza discesa dall`alto, che la ricoprí con la sua ombra. Da parte mia, penso che sia ragionevole vedere in Gesú le primizie della castità virile nel celibato, e in Maria quelle della castità femminile, sarebbe in effetti sacrilego attribuire ad un`altra tali primizie della verginità...
    Le parole: "E le sue sorelle non sono tutte tra di noi?", mi sembrano avere il seguente significato: la loro sapienza e la nostra, non certo quella di Gesú, e nulla vi è in loro che sia a noi estraneo, la cui comprensione ci rimanga difficile, come in Gesú. E` possibile che, attraverso queste parole, affiori un dubbio circa la natura di Gesú, che non sarebbe un uomo, bensí un essere superiore, poiché, pur essendo, come essi credono, figlio di Giuseppe e di Maria, e pur avendo quattro fratelli, come pure alcune sorelle, non somiglia ad alcuno dei suoi prossimi e, senza aver ricevuto una istruzione e senza maestri, ha raggiunto un tale grado di sapienza e di potenza. Difatti, dicevano altrove: "Come fa costui a conoscere le Scritture, senza avere studiato?" (Gv 7,15). E` un testo simile a quello qui riportato. Tuttavia coloro che parlavano in questo modo, pieni di un tal dubbio e di stupore, ben lontani dal credere, si scandalizzavano a suo riguardo (cf. Mt 13,57), come se gli occhi della loro mente fossero asserviti (cf. Lc 24,16) da potenze di cui egli avrebbe trionfato (cf. Col 2,15) sul legno, nell`ora della sua Passione...
    E` venuto il momento di illustrare il passo: "Colà, egli non fece molti miracoli, a causa della loro incredulità" (Mt 13,58). Queste parole ci insegnano che i miracoli si compivano in mezzo ai credenti, poiché "a chi ha sarà dato e sarà nell`abbondanza" (Mt 25,29), mentre invece tra gli increduli i miracoli non solo non producevano effetto, ma addirittura, come ha scritto Marco, non potevano produrlo. Fa` attenzione, infatti, a queste parole: "Non poté compiere alcun miracolo"; difatti, non ha detto: "Non volle".... bensí: "Non poté"... (Mc 6,5), perché si sovrappone al miracolo che sta per compiersi una collaborazione efficace proveniente dalla fede di colui su cui agisce il miracolo, e che l`incredulità impedisca tale azione. Di modo che, è il caso di sottolinearlo, a coloro che hanno detto: "Per quale motivo non abbiamo potuto scacciarlo?", egli ha risposto: "A causa della vostra poca fede" (Mt 17,19-20), e a Pietro che cominciava ad affondare, fu detto: "Uomo di poca fede, perché hai dubitato?" (Mt 14,31). L`emorroissa, al contrario, senza aver neppure richiesta la guarigione, diceva tra sé semplicemente che "se avesse potuto toccare solo il lembo del suo mantello" (Mc 5,28), sarebbe guarita, e lo fu all`istante (cf. Mt 9,22; Lc 8,47); e il Signore riconobbe quel modo di guarire, quando disse: "Chi mi ha toccato? Perché ho avvertito una potenza uscire da me" (Lc 8,46; cf. Mt 5,30). E come taluni, quando si tratta dei corpi, esercitano una specie di attrazione naturale sugli altri - sul tipo di ciò che avviene tra la calamita e il ferro o tra la nafta e il fuoco -, cosí una fede del genere attira forse il miracolo divino; ecco perché egli ha anche detto: "Se aveste fede quanto un granello di senapa, direte a questo monte: «spostati da qui a là"», ed esso si sposterà" (Mt 17,20).
    Mi sembra che, però, Matteo e Marco abbiano voluto stabilire la netta superiorità della potenza divina, capace di agire anche in mezzo all`incredulità, senza tuttavia dimostrare la stessa potenza che di fronte alla fede di coloro che beneficiano del miracolo; quando il primo non ha detto che "egli non fece miracoli a causa della loro incredulità," bensí che "colà, egli non fece molti miracoli" (Mt 13,58); quando invece Marco dice: "In quel luogo non poté compiere alcun miracolo", non si limita a questo bensí aggiunge: "tranne che impose le mani su alcuni malati e li guarí"(Mc 6,5), poiché la potenza che è in lui trionfa, in tali condizioni, della stessa incredulità.

    (Origene, Comment. in Matth., 10, 17-19)


    3. Domiziano dà ordine di uccidere i discendenti di David

    Il medesimo Domiziano comandò che fossero uccisi quelli di stirpe davidica. Un`antica tradizione racconta che degli eretici denunziarono [perfino] i discendenti di Giuda, fratello del Signore secondo la carne, rilevando la loro derivazione genealogica da David e la loro parentela con Cristo. Egesippo stesso mette in chiaro tutto ciò esprimendosi in questi termini:
    «In quel tempo vivevano ancora i parenti del Salvatore vale a dire i nepoti di Giuda, che fu detto fratello di Lui secondo la carne (cf. Mt 13,55; Mc 6,3). Denunziati come discendenti di David, "dall`evocatus" furono condotti davanti a Domiziano, il quale al pari di Erode paventava la venuta di Cristo.
    L`imperatore cominciò a domandar loro se provenissero dalla stirpe di David e quelli risposero di sí. Domandò loro quante possessioni avessero e quanto denaro. Risposero che tutti e due assieme possedevano novemila denari, metà ciascuno; aggiunsero però che non li avevano in contanti, ma in terre dell`estensione di trentanove pletri, da essi lavorate per pagare i tributi e per il necessario alla vita.
    E gli mostrarono le mani e, a prova della loro personale fatica, gli facevano vedere le membra rudi e le callosità delle ruvide palme a causa del continuo lavoro.
    Interrogati intorno al Cristo e al Suo regno, intorno alla natura, al tempo e al luogo della Sua venuta, risposero che l`impero di Cristo non è mondano e terreno, ma celeste e angelico; che si attuerà alla fine dei tempi, quando Egli verrà nella gloria a giudicare i vivi e i morti, e renderà a ciascuno secondo le opere sue (cf. Mt 16,27; At 10,42; Rm 2,6; 2Tm 4,1).
    Udito questo, non li condannò: ebbe invece un pensiero di sprezzo per la loro condizione sí bassa, li rimise in libertà e, con un editto, fece cessare la persecuzione contro la Chiesa.
    Essi, poi, liberati, furono posti a capo delle Chiese, come martiri e parenti del Signore e, venuta la pace, vissero fino ai tempi di Traiano».

    (Eusebio di Cesarea, Hist. eccles., 3, 19 s.)


    4. Solo Dio è autore in senso proprio

    Vediamo, dunque, da quale fonte abbia origine questo nostro sole! Come è vero nasce da Dio, che ne è l`autore. E` figlio pertanto della divinità; dico, della divinità non soggetta a corruzione, intatta, senza macchia. Capisco il mistero facilmente. Perciò la seconda nascita per mezzo della immacolata Maria, poiché in un primo tempo era rimasta illibata a causa della divinità, la prima nascita fu gloriosa, affinché la seconda non diventasse ingiuriosa, cioè come vergine la divinità lo aveva generato, cosí anche la Vergine Maria lo generasse. E` scritto di avere un padre presso gli uomini, come leggiamo nel Vangelo ai Farisei che dicevano: " Non è questi figlio di Giuseppe il falegname, e Maria non è sua Madre?" (Mt 13,55).
    In questo anche avverto il mistero.
    Il padre di Gesú è chiamato falegname; è pienamente fabbro Dio Padre, che ha creato le opere di tutto il mondo.

    (Massimo di Torino, Sermo, 62, 4)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 11/07/2012 07:19
    XV DOMENICA

    Letture: Amos 7,12-15
    Efesini 1,3-14
    Marco 6,7-13

    1. Le caratteristiche della missione dei discepoli

    "E percorreva i villaggi circostanti insegnando. Chiamò poi i dodici e cominciò a mandarli a due a due a predicare e dava loro il potere sugli spiriti immondi" (Mc 6,6-7).
    «Benevolo e clemente, il Signore e maestro non rifiuta ai servi e ai discepoli i suoi poteri, e, come egli aveva curato ogni malattia e ogni debolezza, cosí dà agli apostoli il potere di curare ogni malattia ed ogni infermità. Ma c`è molta differenza tra l`avere e il distribuire, il donare e il ricevere. Gesú, quando opera, lo fa col potere di un padrone; gli apostoli, se compiono qualcosa, dichiarano la loro nullità e la potenza del Signore con le parole: "Nel nome di Gesú, alzati e cammina"» (Girolamo).
    "E ordinò loro di non prender nulla per il viaggio se non un bastone soltanto, non bisaccia, non pane, né denaro nella cintura, ma andassero calzati di sandali e non indossassero due tuniche" (Mc 6,8-9).
    «Tanto grande dev`essere nel predicatore la fiducia in Dio che, sebbene non si preoccupi delle necessità della vita presente, tuttavia deve sapere con certezza che non gli mancherà niente. E questo per evitare che, se la sua mente è presa da preoccupazioni terrene, egli non rallenti nell`impegno di comunicare agli altri le parole eterne (Greg. Magno).
    Quando infatti - secondo Matteo - disse loro: "Non vogliate possedere né oro né argento" - con quel che segue, - subito aggiunse: "Perché l`operaio ha diritto al suo sostentamento" (Mt 10,9-10). Mostra insomma chiaramente perché non ha voluto che essi possedessero né portassero seco quei beni; non perché questi non siano necessari al sostentamento di questa vita, ma perché egli li inviava in modo da far capire loro che tali beni erano loro dovuti dai credenti ai quali avrebbero annunziato il vangelo. E` chiaro dunque che il Signore non ordinò queste cose come se gli evangelisti non dovessero vivere di altro che di ciò che offrivano loro i fedeli cui essi annunziavano il vangelo (altrimenti si sarebbe comportato in modo opposto a questo precetto l`Apostolo [cf. 1Ts 2,9], che era solito ricavare il sostentamento dal lavoro delle sue mani per non essere di peso a nessuno), ma dette loro una libertà di scelta nell`uso della quale dovevano sapere che il sostentamento era loro dovuto. Quando il Signore comanda qualcosa, se questa non si compie, la colpa è della disobbedienza. Ma quando è concessa la facoltà di scelta, è lecito a ciascuno non usufruirne o sottostarvi liberamente. Ebbene il Signore, col dare l`ordine, che l`Apostolo ci riferisce (cf. 1Cor 2,9) essere stato da lui dato, a quanti annunziano il Vangelo, cioè di vivere della predicazione del Vangelo, intendeva dire agli apostoli che non dovevano possedere né dovevano avere preoccupazioni; che non dovevano portare con sé né tanto né poco di ciò che era necessario a questa vita; per questo aggiunse: "neppure il bastone", per sottolineare che da parte dei fedeli suoi tutto è dovuto ai suoi ministri che non chiedono nulla di superfluo. Aggiungendo poi "infatti l`operaio ha diritto al suo sostentamento", ha chiarito e precisato il perché delle sue parole. Ha simboleggiato nel bastone questa facoltà di scelta, dicendo che non prendessero per il viaggio altro che un bastone, per fare unicamente intendere che in grazia di quella potestà ricevuta dal Signore, e raffigurata nel bastone, gli apostoli non mancheranno neppure delle cose che non portano seco. La stessa cosa deve intendersi delle due tuniche nessuno di loro ritenga di doverne portare un`altra oltre quella che indossa, timoroso di poterne avere bisogno, in quanto può averla grazie a quella potestà di cui abbiamo parlato».

    (Beda il Vener., In Evang. Marc., 2, 6, 6-9)


    2. La vocazione degli apostoli

    I discepoli di Giovanni, avendolo sentito parlare con Nostro Signore, abbandonarono il loro maestro e seguirono Nostro Signore. La voce non poteva trattenere discepoli accanto a sé, e li inviò al Verbo (cf.Gv 1,29-37). Conviene, infatti, che all`apparire della luce del sole, si spenga la luce della lanterna. Giovanni non restò che per porre fine al proprio battesimo con i] battesimo di Nostro Signore; poi morí, e tra i morti fu un araldo coraggioso come lo era stato nel seno di sua madre, simbolo del sepolcro.
    Le parole: "Abbiamo trovato il Signore" (Gv 1,41), manifestano che la fama del Signore si era diffusa fin dall`epoca dei Magi e si era rafforzata a motivo del battesimo da parte di Giovanni e della testimonianza dello Spirito. Ora il Signore si era allontanato, si era reso di nuovo invisibile per il suo digiuno di quaranta giorni. Sicché le anime rattristate desideravano avere sue notizie; erano suoi strumenti, secondo la sua parola: "Io ho scelto voi prima della creazione del mondo" (Gv 15,16.19; Ef 1,4). Si è scelto dei Galilei, un popolo rozzo - infatti i profeti li hanno chiamati gente rozza e abitatori delle tenebre (cf. Is 9,1) -, ma sono essi che hanno visto la luce e i dottori della legge ne restarono confusi: "Dio ha scelto gli stolti del mondo per confondere con essi i sapienti" (1Cor 1,27) ...
    Vennero a lui pescatori di pesci e divennero pescatori di uomini (cf. Lc 5,10), come è scritto: "Ecco io invierò numerosi pescatori" - dice il Signore -" che li pescheranno; quindi invierò numerosi cacciatori che daranno loro la caccia su ogni monte, su ogni colle" (Ger 16,16). Se avesse inviato dei sapienti, si sarebbe potuto dire che essi avrebbero persuaso il popolo e l`avrebbero di conseguenza conquistato, o che essi l`avrebbero ingannato e cosí preso. Se avesse inviato dei ricchi, si sarebbe detto che essi avrebbero schernito il popolo nutrendolo oppure che l`avrebbero corrotto con l`argento, e in questo modo dominato. Se avesse inviato degli uomini forti, si sarebbe detto che questi li avrebbero sedotti con la forza, o costretti con la violenza.
    Ma gli apostoli non avevano nulla di tutto ciò. Il Signore lo indicò a tutti con l`esempio di Simone. Era pusillanime, poiché fu colto da spavento alla voce di una serva; era povero, infatti non poté nemmeno pagare la sua parte di tributo, un mezzo statere: "Non possiedo né oro, dice, né argento" (At 3,6; cf. Mt 17,24-27). Era incolto, poiché quando rinnegò il Signore, non seppe tirarsi indietro con l`astuzia.
    Dunque partirono, questi pescatori di pesci, e riportarono la vittoria sui forti, i ricchi e i sapienti. Miracolo grande! Deboli com`erano, attraevano, senza violenza, i forti alla loro dottrina; poveri, istruivano i ricchi; ignoranti, facevano dei saggi e dei prudenti i loro discepoli. La sapienza del mondo ha ceduto il posto a quella sapienza che è di per sé sapienza delle sapienze.

    (Efrem, Diatessaron, 4, 3, 17 s. 20)


    3. Tipologia dell`annunciatore del Regno

    "E ogni volta che qualcuno non vi riceverà, uscendo da quella città scuotete la polvere dai vostri piedi, in testimonianza contro di loro" (Lc 9,5).
    Gli insegnamenti del Vangelo indicano come deve essere colui che annunzia il Regno di Dio: senza bastone, senza bisaccia, senza calzature, senza pane, senza denaro, cioè a dire non preoccupato di cercare l`appoggio dei beni di questo mondo, stando sicuro nella sua fede che quanto meno cercherà i beni temporali tanto piú essi gli basteranno. Chi vuole, può intendere tutto questo passo nel senso che esso ha lo scopo di formare uno stato d`animo tutto spirituale, come di chi si è spogliato del corpo a mo` d`un vestito, non soltanto rinunziando a ogni forma di potere e disprezzando le ricchezze, ma ignorando anche ogni bisogno della carne.
    A costoro è fatta, prima di tutto, una raccomandazione generale che riguarda la pace e la costanza: essi porteranno ovunque la pace, andranno con costanza, osserveranno le norme e gli usi dell`ospitalità, poiché non si addice al predicatore del regno celeste correre di casa in casa e mutare con ciò le leggi inviolabili appunto dell`ospitalità. Ma se si suppone che generalmente sarà loro offerto il beneficio dell`ospitalità, tuttavia, nel caso che essi non siano bene accolti, vien loro impartito l`ordine di scuotersi la polvere di dosso e uscire dalla città. Questo ci insegna che una generosa ospitalità non riceve una ricompensa mediocre: non soltanto infatti noi procuriamo la pace ai nostri ospiti ma, se essi sono coperti da una leggera polvere di colpa, potranno togliersela accogliendo bene i predicatori apostolici. Non senza motivo in Matteo viene ordinato agli apostoli di scegliere bene la casa dove entreranno (cf. Mt 10,11), in modo da non trovarsi nella necessità di cambiare casa o di violare gli usi dell`ospitalità. Tuttavia, non si rivolge la stessa raccomandazione a colui che riceve l`ospite, nel timore che, operando una scelta fra gli ospiti, si finisca col limitare il dovere di ospitalità.
    Se noi con tutto questo abbiamo offerto, nel suo senso letterale, un valido precetto che riguarda il carattere religioso dell`ospitalità, tuttavia ci viene suggerita l`interpretazione spirituale del mistero. Ecco, quando si sceglie una casa, si ricerca un ospite degno. Vediamo un po` se per caso non sia la Chiesa che viene indicata alla nostra ricerca, e vediamo se l`ospite da scegliere non sia per caso Cristo. C`è una casa piú degna della santa Chiesa per accogliere la predicazione apostolica? E quale ospite potrà essere preferito a tutti gli altri, se non il Cristo? Egli è solito lavare i piedi ai suoi ospiti (cf. Gv 13,5) e, quanti egli riceve nella sua casa, non tollera che vi soggiornino con i piedi sporchi, ma, per quanto fangosi possano essere a causa della vita passata, egli si degna di lavarli per consentire che sia proseguito il viaggio. E` dunque lui che nessuno deve lasciare, né cambiare con un altro. A lui giustamente si dice: "Signore, a chi andremo noi? Tu hai parole di vita eterna, e noi crediamo" (Gv 6,68-69).

    (Ambrogio, Exp. in Luc., 6, 65-67)


    4. Non possedere due tuniche

    E` infatti un dovere proprio degli apostoli, piuttosto che del popolo, che se uno ha due tuniche, una la dia a chi non ne ha. E perché tu sappia che questo consiglio conviene agli apostoli piú che alle folle, ascolta ciò che il Salvatore dice loro: "Non portate per via due tuniche" (Mt 10,10).
    Sta di fatto che questi due abiti, dei quali uno serve a vestirci e l`altro ci vien consigliato di darlo a chi non ne ha, hanno un altro significato. Insomma il Salvatore, cosí come noi «non dobbiamo servire due padroni» (cf.Lc 16,3; Mt 6,24), vuole che non possediamo due tuniche e non siamo avvolti in un duplice abito, in quanto uno è l`abito del vecchio uomo e l`altro l`abito dell`uomo nuovo. Egli al contrario desidera vivamente che noi «ci spogliamo del vecchio uomo per rivestirci dell`uomo nuovo» (cf. Col 3,9-10). Fin qui la spiegazione è facile.
    Ma ci si chiede soprattutto perché, alla luce di questa interpretazione, venga ordinato di dare una tunica a chi non ne ha. Qual è l`uomo che non ha sul suo corpo neppure un abito, che è nudo, che non è coperto assolutamente da nessuna veste? Io non dico in verità che con questo precetto non ci venga comandato di essere generosi, di avere pietà per i poveri e di possedere una bontà illimitata, tanto da spingerci a coprire coloro che sono nudi coll`altra nostra tunica; ma affermo che questo passo ammette un`interpretazione piú profonda. Noi dobbiamo donare una tunica a chi ne è completamente sprovvisto: chi è quest`uomo senza tunica? E` colui che è assolutamente privo di Dio. Noi dobbiamo spogliarci e dare la tunica a chi è nudo. Uno possiede Dio, e l`altro, cioè il potere avversario, ne è del tutto privo. E cosí come sta scritto: "precipitiamo i nostri delitti in fondo al mare" (Mi 7,19), nello stesso senso dobbiamo buttar via lontano da noi i vizi e i peccati e gettarli su colui che è stato per noi la causa di essi.

    (Origene, In Evang. Luc., 23, 3)


    5. L`unzione dell`olio

    Cose simili a queste sono anche in Luca. Guarivano i malati ungendoli di olio è un particolare del solo Marco (Mc 6,13), ma c`è qualcosa di simile nella lettera Cattolica di Giacomo ove dice: "Sta male qualcuno in mezzo a voi, ecc." (Gc 5,14-15). L`olio è un rimedio per la stanchezza ed è fonte di luce e di gioia. L`unzione dell`olio, quindi, significa la misericordia di Dio, il rimedio delle malattie e l`illuminazione del cuore. Che la preghiera faccia tutto questo lo sanno tutti; l`olio, come credo, è simbolo di queste cose.

    (Cirillo di Ales., In Marcum comment. 6, 13)


    6. Il sacerdote, profeta di verità, anche se sgradito

    Non è degno d`un imperatore interdire la libertà di parola e non è degno d`un sacerdote non dire ciò che pensa. Niente in voi imperatori è cosí democratico e amabile, quanto gradire la libertà, anche in quelli che vi devono l`obbedienza militare. Questa è la differenza che passa tra i buoni e i cattivi principi: i buoni amano la libertà, i cattivi la schiavitú. Niente in un sacerdote è cosi pericoloso presso Dio e turpe presso gli uomini quanto il non dire liberamente ciò ch`egli pensa. Sta scritto: "Parlavo a tua testimonianza in faccia ai re e non mi vergognavo" (Sal 118,46) e altrove: "Figlio dell`uomo, ti ho messo a guardia della casa d`Israele, perché, se il giusto dovesse lasciar la via della giustizia e commettesse un delitto e tu non gli dicessi niente, non rimarrà nessun ricordo della sua passata giustizia e chiederò conto a te della sua condanna. Se però tu aprirai gli occhi al giusto, in modo che non cada nel peccato, ed egli non peccherà, il giusto vivrà e, perché tu gli parlasti, anche la tua vita sarà salva" (Ez 3,17-19).

    (Ambrogio, Epist., 40, 2)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 16/07/2012 07:29
    XVI DOMENICA

    Letture: Geremia 23,1-6
    Efesini 2,13-18
    Marco 6,30-34

    1. Gesù esige l`impegno di cercarlo

    Ritornati gli apostoli da Gesú, gli riferirono tutte le cose che avevano fatto e insegnato (Mc 6, 30).
    Gli apostoli non riferiscono al Signore soltanto ciò che essi avevano fatto e insegnato, ma, come narra Matteo, i suoi discepoli, o i discepoli di Giovanni, gli riferiscono il martirio che Giovanni ha subito mentre essi erano impegnati nell`apostolato (cf. Mt 14,12). Continua pertanto:
    "E disse loro: «Venite voi soli in un luogo deserto a riposarvi un poco»" (Mc 6,31), con quel che segue.
    Fa cosí non soltanto perché essi avevano bisogno di riposo, ma anche per un motivo mistico, in quanto, abbandonata la Giudea che aveva con la sua incredulità strappato via da sé il capo della profezia, era sul punto di largire nel deserto, ai credenti di una Chiesa che non aveva sposo, il cibo della parola, simile a un banchetto fatto di pani e di pesci. Qui infatti i santi predicatori, che erano stati a lungo schiacciati dalle pesanti tribolazioni nella Giudea incredula e contestataria, trovano pace grazie alla fede che viene concessa ai gentili. E mostra che vi era necessità di concedere un po` di riposo ai discepoli con le parole che seguono:
    "Erano infatti molti quelli che venivano e quelli che andavano; ed essi non avevano neanche il tempo di mangiare" (Mc 6,31).
    E` chiara da queste parole la grande felicità di quel tempo che nasceva dalla fatica incessante dei maestri e dallo zelo amoroso dei discenti. Oh, tornasse anche ai nostri giorni tanta felicità, in modo che i ministri della parola fossero talmente assediati dalla folla dei fedeli e degli ascoltatori da non avere piú nemmeno il tempo di prendersi cura del proprio corpo! Infatti, gli uomini cui è negato il tempo di prendersi cura del corpo, hanno molto meno la possibilità di dedicarsi ai desideri terreni dell`anima o della carne; anzi, coloro da cui si esige in ogni momento, a tempo opportuno e importuno, la parola della fede e il ministero della salvezza, hanno di conseguenza l`animo sempre ardentemente proteso a pensare e a compiere cose celesti, in modo che le loro azioni non contraddicano gli insegnamenti che escono dalla loro bocca.
    "E saliti sulla barca, partirono per un luogo deserto e appartato" (Mc 6,32).
    I discepoli salirono sulla barca non soli, ma dopo aver con sé il Signore, e si recarono in un luogo appartato, come chiaramente racconta l`evangelista Matteo (cf. Mt 14,13).
    "E li videro mentre partivano e molti lo seppero e a piedi da tutte le città accorsero in quel luogo e li precedettero" (Mc 6,33)
    Dicendo che li precedettero a piedi, si deduce che i discepoli col Signore non andarono con la barca all`altra riva del mare o del Giordano ma, varcato con la barca un braccio di mare o del lago, raggiunsero una località vicina a quella stessa regione che gli abitanti del luogo potevano raggiungere anche a piedi.
    "E uscito dalla barca, Gesú vide una grande folla, e si mosse a compassione di loro, perché erano come pecore senza pastore, e prese a dare loro molti insegnamenti" (Mc 6,34).
    Matteo spiega piú chiaramente in qual modo ebbe compassione di loro, dicendo: "Ebbe misericordia della folla e risanò i loro ammalati" (Mt 14,14). Questo è infatti nutrire veramente compassione dei poveri e di coloro che non hanno pastore, cioè mostrare loro la via della verità con l`insegnamento, liberarli con la guarigione dalle malattie corporali, ma anche spingerli a lodare la sublime liberalità del Signore ristorando gli affamati. Le parole seguenti di questo passo sottolineano appunto che egli fece tutto questo. Mette alla prova la fede delle folle e, dopo averla provata, la ricompensa con un degno premio. Cercando infatti la solitudine, vuol vedere se le folle vogliono o no seguirlo. Esse lo seguono e, compiendo il viaggio fino al deserto, «non su cavalcature o su carri, ma con la fatica dei loro piedi» (Girolamo), dimostrano quale pensiero essi abbiano per la loro salvezza. E Gesú, come colui che può, ed è salvatore e medico, fa intendere quanta consolazione riceva dall`amore di coloro che credono in lui, accogliendo gli stanchi, ammaestrando gli ignoranti, risanando gli infermi e ristorando gli affamati. Ma secondo il significato allegorico, molte schiere di fedeli, dopo aver abbandonato le città dell`antica vita, ed essersi liberati dall`appoggio di varie dottrine, seguono Cristo che si dirige nel deserto dei gentili. E colui che era un tempo «Dio conosciuto solo in Giudea» (cf. Sal 75,2), dopo che i denti dei giudei sono diventati «armi e frecce, e la loro lingua una spada tagliente», viene esaltato «come Dio al di sopra dei cieli e la sua gloria si diffonde su tutta la terra»«(cf. Sal 56,5-6).

    (Beda il Vener., In Evang. Marc., 2, 6, 30-34)


    2. Il comando di Dio: la continenza

    Ogni mia speranza è posta nell`immensa grandezza della tua misericordia. Da` ciò che comandi e comanda ciò che vuoi. Ci comandi la continenza e qualcuno disse: "Conscio che nessuno può essere continente se Dio non lo concede, era già un segno di sapienza anche questo, di sapere da chi ci viene questo dono". La continenza in verità ci raccoglie e riconduce a quell`unità, che abbiamo lasciato disperdendoci nel molteplice. Ti ama meno chi ama altre cose con te senza amarle per causa tua. O amore, che sempre ardi senza mai estinguerti, carità, Dio mio, infiammami! Comandi la continenza. Ebbene, da` ciò che comandi e comanda ciò che vuoi.

    (Agostino, Confess., 10, 29, 40)


    3. Valore della misericordia

    Dio ha tanta premura per la misericordia, che, fattosi uomo e vivendo con noi, non disdegnò e non ebbe vergogna di distribuire lui stesso ciò che serviva ai poveri. Sebbene avesse creato tanto pane e potesse fare, con una parola, tutto ciò che voleva, sebbene potesse allineare tutti insieme centinaia di tesori, non ne fece nulla; invece volle che i suoi discepoli avessero un borsello e che lo portassero appresso, per avere di che soccorrere gl`indigenti. Dio, infatti, fa gran conto della misericordia; non solo della sua, ma anche della nostra verso i fratelli; e fece molte leggi nel Vecchio e nel Nuovo Testamento, che hanno per oggetto la misericordia in parole, in danaro e in opere. Di questa parla Mosè a ogni passo: questa a nome di Dio proclamano i Profeti - "Voglio misericordia e non sacrificio" (Os 6,6) -; gli Apostoli dicono e fanno la stessa cosa (Mt 9,13). Non la trascuriamo, allora; non giova solo ai poveri, giova anche a noi; riceviamo piú di quanto diamo.

    (Giovanni Crisostomo, De eleemos., 5)


    4. Dio si fa uomo per amore

    Per qual motivo mai, ci si chiede, Dio si è umiliato a tal segno, che la fede rimane sconcertata di fronte al fatto che egli, benché non possa esser posseduto né compreso dalla ragione e non si diano parole all`altezza di descriverlo, giacché trascende ogni definizione ed ogni limite, venga poi a mischiarsi con l`involucro meschino e volgare della natura umana, al punto da far apparire le sue sublimi e celesti opere come vili anch`esse, in seguito ad una mescolanza cosí disdicevole?
    Non ci manca certo la risposta che conviene a Dio. Tu vuoi sapere il motivo per il quale Dio è nato fra gli uomini? Ebbene, se tu eliminassi dalla vita i benefici che hai ricevuto da Dio, non potresti certo piú indicare le cose attraverso le quali riconosci Dio. Noi riconosciamo la sua opera, infatti, proprio per il tramite di quei benefici di cui veniamo gratificati: è osservando ciò che accade, appunto, che noi individuiamo la natura di chi compie l`opera. Se, adunque, l`indizio e la manifestazione tipica della natura divina sono rappresentati dalla benevolenza di Dio nei confronti degli uomini, ecco che tu hai la risposta che chiedevi, il motivo, cioè, in base al quale Dio è venuto fra gli uomini. La nostra natura, infatti, afflitta com`era da una malattia, aveva bisogno di un medico. L`uomo, che era caduto, aveva bisogno di chi lo rimettesse in piedi. Chi aveva perduto la vita, aveva bisogno di chi la vita gli restituisse. Occorreva, a chi aveva smesso di compiere il bene, qualcuno che sulla via del bene lo riconducesse. Invocava la luce chi era prigioniero delle tenebre. Il detenuto aveva bisogno di chi lo liberasse, l`incatenato di chi lo sciogliesse, lo schiavo di chi lo affrancasse. Ora, son forse questi dei motivi futili e inadeguati perché Dio se ne sentisse stimolato a discendere in mezzo all`umanità, afflitta in questo modo dall`infelicità e dalla miseria?

    (Gregorio di Nissa, Catech. magna, 14-15)


    5. Pur rinnovati in Cristo, portiamo il peso della carne

    Dobbiamo considerare attentamente ciò che noi stessi siamo, e ciò che abbiamo intrapreso a esaminare. Siamo uomini, portiamo il peso della carne, siamo pellegrini in questa vita: anche se siamo stati rigenerati dalla parola di Dio, siamo stati rinnovati in Cristo, ma in modo da non essere ancora del tutto spogliati della antica natura di Adamo. E manifesto che quanto c`è in noi di mortale e di corruttibile, che opprime la nostra anima, deriva da Adamo (cf. Sap 9,15), mentre quanto c`è in noi di spirituale, che innalza l`anima, deriva dal dono di Dio e dalla misericordia di colui che mandò il suo Unigenito a condividere con noi la nostra morte, per condurci alla sua immortalità. Egli è il nostro maestro, che ci insegna a non peccare; il nostro intercessore, se avremo peccato e ci saremo confessati e saremo tornati a Dio; il nostro avvocato, se desideriamo dal Signore qualche grazia; ed è lui stesso, con il Padre, che ci elargisce doni e grazie, perché Padre e Figlio sono un solo Dio. Ma egli insegnava queste cose da uomo che parla agli uomini; la divinità era occulta, manifesto era l`uomo, affinché manifesta si facesse la divinità dell`uomo. Da Figlio di Dio si è fatto figlio dell`uomo, per fare altrettanti figli di Dio dei figli degli uomini. Riconosciamo, dunque, dalle sue stesse parole, che egli ha fatto tutto questo grazie alle risorse della sua sapienza. Si faceva piccolo per parlare ai piccoli, ma egli era piccolo e insieme grande; noi invece siamo piccoli, e grandi solo in lui. Egli parlava come fa la madre che riscalda e nutre i lattanti, che crescono grazie al suo amore.

    (Agostino, Comment. in Ioan., 21, 1)


    6. La carità vera si traduce in opere di misericordia

    Perciò, la Verità stessa (Cristo), mostratasi a noi nell`assunzione della nostra umanità, mentre sul monte si immerge nella preghiera nelle città opera miracoli (cf. Lc 6,12); ciò evidentemente nell`intento di appianare la via della imitazione alle buone guide di anime, perché, pur protese verso le supreme altezze della contemplazione, nondimeno si mescolino con la compassione alle necessità degli infermi. Infatti, la carità tende mirabilmente in alto se ed in quanto attratta in basso dalla misericordia verso i prossimi; e con quanto maggior benevolanza si piega verso le infermità, tanto piú gagliardamente risale alle vette.

    (Gregorio Magno, Lib. Reg. Pastor., 2, 5)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 24/07/2012 08:26
    XVII DOMENICA

    Letture: 2 Re 4,42-44
    Efesini 4,1-6
    Giovanni 6,1-15

    1. L`Eucaristia, dono grande e gratuito

    Nel deserto, Nostro Signore moltiplicò il pane (cf. Mt 14,13-21; 15,32-38; Gv 6,1-13), e a Cana mutò l`acqua in vino (cf. Gv 2,1-11). Abituò cosí la loro bocca al suo pane e al suo vino per il tempo in cui avrebbe dato loro il suo corpo e il suo sangue. Fece loro gustare un pane e un vino caduchi per suscitare in loro il desiderio del suo corpo e sangue che danno la vita. Diede loro con liberalità queste piccole cose perché sapessero che il suo dono supremo sarebbe stato gratuito. Le diede loro gratuitamente, sebbene avessero potuto acquistarle da lui, affinché sapessero che non sarebbe stato loro richiesto il pagamento di una cosa inestimabile; infatti, se potevano pagare il prezzo del pane e del vino, non avrebbero certamente potuto pagare il suo corpo e il suo sangue.
    Non soltanto ci ha colmato gratuitamente dei suoi doni, ma ancor piú ci ha vezzeggiati affettuosamente. Infatti, ci ha donato queste piccole cose gratuitamente per attirarci, affinché andassimo e ricevessimo gratuitamente quella cosa sí grande che è l`Eucaristia. Quegli acconti di pane e di vino che ci ha dato erano dolci alla bocca, ma il dono del suo corpo e del suo sangue è utile allo spirito. Egli ci ha attirati con quelle cose gradevoli al palato per trascinarci verso colui che dà la vita alle anime. Ha nascosto la dolcezza nel vino da lui fatto, per indicare ai convitati quale tesoro magnifico è nascosto nel suo sangue vivificante.
    Come primo segno, fece un vino che dà allegria ai convitati per mostrare che il suo sangue avrebbe dato allegria a tutte le genti. Il vino è parte in tutte le gioie immaginabili e parimenti ogni liberazione si riconnette al mistero del suo sangue. Diede ai convitati un vino eccellente che trasformò il loro spirito per far sapere loro che la dottrina con cui li abbeverava avrebbe trasformato i loro cuori. Ciò che all`inizio non era che acqua fu mutato in vino nelle anfore; era il simbolo del primo comandamento portato a perfezione; l`acqua trasformata era la legge perfezionata. I convitati bevevano ciò che era stato acqua, ma senza gustare l`acqua. Parimenti, quando udiamo gli antichi comandamenti, li gustiamo nel loro sapore nuovo. Al precetto: Schiaffo per schiaffo (cf. Es 21,24; Lv 24,20; Dt 19,21) è stata sostituita la perfezione: "Se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l`altra" (Mt 5,39).
    L`opera del Signore ottiene tutto; in un baleno, egli ha moltiplicato un po` di pane. Ciò che gli uomini fanno e trasformano in dieci mesi di lavoro, le sue dieci dita l`hanno compiuto in un istante. Le sue mani furono come una terra sotto il pane; e la sua parola come il tuono al di sopra di lui; il sussurro delle sue labbra si sparse su di lui come una rugiada e l`alito della sua bocca fu come il sole; in un brevissimo istante egli ha portato a termine quanto richiede di norma un lungo lasso di tempo. Dalla piccola quantità di pane è sorta una moltitudine di pani; come all`epoca della prima benedizione: "Siate fecondi e moltiplicatevi" (Gen 1,28). I pezzi di pane, prima sterili e insignificanti, grazie alla benedizione di Gesú - quasi seno fecondo di donna - hanno dato frutto da cui sono sopravanzati molteplici frammenti.
    Il Signore ha mostrato il vigore penetrante della sua parola a quelli che l`ascoltavano, e ha mostrato la rapidità con la quale egli elargiva i suoi doni a quelli che ne beneficiavano. Non ha moltiplicato il pane al punto che avrebbe potuto, ma fino alla quantità sufficiente per i convitati. Il miracolo non fu su misura della sua potenza, bensí della fame degli affamati. Se, infatti, il miracolo fosse stato misurato sulla sua potenza, riuscirebbe impossibile valutare la vittoria di quella. Commisurato alla fame di migliaia di persone, il miracolo ha superato le dodici ceste (cf. Mt 14,20). In tutti gli artigiani, la potenza è inferiore alla richiesta dei clienti; essi non possono fare tutto quanto gli domandano i clienti. Le realizzazioni di Dio, invece, superano i desideri. E: "Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto" (Gv 6,12) e non si pensi che il Signore abbia agito solo per fantasia. Ma, quando i resti saranno stati conservati un giorno o due, crederanno che il Signore ha agito in verità, e che non si trattò di un fantasma inconsistente.

    (Efrem, Diatessaron, 12, 1-4)


    2. L`Eucaristia tra natura e grazia

    I miracoli che fece nostro Signore Gesú Cristo, sono opere divine che insegnano alla mente umana a elevarsi al di sopra delle cose visibili per comprendere ciò che è Dio. Siccome Dio è una natura che non è visibile agli occhi del corpo, e siccome i miracoli, con i quali egli regge e governa tutto il mondo e ogni creatura dell`universo, sembrano aver perduto valore perché ininterrottamente si ripetono, tanto che nessuno pensa piú di apprezzare la pur stupefacente e mirabile potenza divina che si manifesta anche in un chicco di grano, nella sua misericordia egli si riservò alcune cose, da compiere al momento opportuno e al di fuori del normale corso degli avvenimenti naturali, in modo da suscitare stupore alla vista di tali fatti, non maggiori, ma insoliti, rispetto a quei quotidiani avvenimenti che non destano piú impressione. E` certamente un maggiore miracolo il governare tutto il mondo, che saziare cinquemila uomini con cinque pani; e, tuttavia, nessuno se ne stupisce mentre gli uomini si meravigliano di fronte al miracolo dei pani, non perché si tratta di una cosa maggiore dell`altra, ma perché è rara. Chi, infatti, nutre tutto il mondo, se non colui che da pochi chicchi crea le messi? E il Signore agí proprio come agisce Dio. Con la sua potenza divina moltiplica pochi chicchi facendone nascere le messi, e con la stessa potenza moltiplicò nelle sue mani i cinque pani. Vi era potenza infatti nelle mani di Cristo, e quei cinque pani erano come semi di grano che non furono gettati in terra nei solchi, ma furono moltiplicati da colui che aveva creato la terra.
    Questo fatto colpisce i nostri sensi e ci obbliga a elevare la mente; questo prodigio, compiuto sotto i nostri occhi, ci spinge a sforzare l`intelletto, in modo da ammirare, attraverso le opere visibili, Dio invisibile, e in modo da desiderare, dopo esserci innalzati alla fede ed esserci per mezzo di essa purificati, di riuscire a vedere Dio, la cui natura invisibile abbiamo conosciuto attraverso le opere visibili.
    Ma non è solo questo che dobbiamo vedere nei miracoli di Cristo. Interroghiamo gli stessi miracoli, sentiamo cosa ci dicono di Cristo: essi hanno infatti un loro linguaggio, se si sa intenderlo. Dato che Cristo è il Verbo di Dio, ogni atto del Verbo è per noi una parola.
    Abbiamo udito quanto fu grande questo miracolo: cerchiamo ora di vedere quanto sia profondo: non lasciamoci attrarre solo da ciò che appare in superficie, ma scrutiamone la sublime altezza . . .
    Il Signore vide la folla, si rese conto che essa aveva fame e misericordiosamente la nutrí, grazie alla sua bontà e alla sua potenza. A cosa avrebbe giovato la sola bontà, in quel luogo dove non c`era niente per nutrire la turba di affamati? Se alla bontà non si fosse aggiunta la potenza, quella folla digiuna sarebbe rimasta in preda alla fame...
    I cinque pani significano i cinque libri di Mosè: giustamente essi non sono di frumento ma d`orzo, poiché essi appartengono al Vecchio Testamento. Voi sapete che l`orzo è, per sua natura, fatto in modo che è difficile arrivare sino al midollo, che è rivestito di un tegumento tenace e molto aderente, che solo a fatica si riesce a togliere. Cosí è la parola del Vecchio Testamento, rivestita di immagini e misteri terreni: ma se si riesce ad arrivare al midollo, ce se ne può nutrire e saziare...
    E` venuto anch`egli nascosto nel mistero del midollo dell`orzo, per cui si manifestava, e del rivestimento dell`orzo, per cui restava nascosto. Egli stesso, cioè il Signore, venne portando in sé ambedue le persone, del sacerdote e del re: del sacerdote in quanto egli si offrí come vittima a Dio per salvare noi, del re in quanto da lui siamo governati: e ci vengono svelati i misteri che erano tenuti nascosti. Rendiamo a lui grazie: ha realizzato in se stesso ciò che nel Vecchio Testamento ci aveva promesso.
    Egli ordinò di spezzare i pani; e spezzandoli essi furono moltiplicati. Niente può esserci di piú vero di questo. Quei cinque libri di Mosè, quanti libri produssero quando furono spiegati, cioè quando furono spezzati, vale a dire discussi ed esaminati? ...
    Infine, che impressione ricevettero coloro che assistettero al prodigio? "Quella gente" - dice l`evangelista -, "veduto il prodigio che era stato compiuto, diceva: «Questo qui è davvero il profeta»"(Gv 6,14).
    Probabilmente ritenevano che Cristo fosse un profeta, in quanto si erano trovati seduti sull`erba. In verità egli era il Signore dei profeti, colui che aveva realizzato le profezie e che aveva santificato i profeti: e lui stesso era profeta, in quanto a Mosè era stato detto: "Farò sorgere per loro un profeta simile a te" (Dt 18,18). Simile secondo la carne, non simile secondo la maestà. E che quella promessa del Signore aveva per oggetto lo stesso Cristo, noi abbiamo letto chiaramente negli Atti degli Apostoli (cf. At 7,37). Lo stesso Signore dice di se stesso: "Non c`è profeta senza onore, se non nella sua patria" (Gv 4,44). Il Signore è profeta, il Signore è il Verbo di Dio e nessun profeta può profetare senza il Verbo di Dio; il Verbo di Dio è con i profeti ed egli stesso è profeta. I tempi che ci hanno preceduto meritarono di avere profeti ispirati e colmati di verità dal Verbo di Dio: noi abbiamo meritato di avere come profeta lo stesso Verbo di Dio. E Cristo è profeta come è Signore dei profeti, cosí come è angelo, e Signore degli angeli. Egli stesso è detto angelo del grande consiglio (cf. Is 9,6). E, del resto, cosa dice altrove il profeta? Non sarà né un inviato né un angelo, ma verrà egli stesso per salvarli; cioè per salvarli non manderà un inviato, non manderà un angelo, ma verrà egli stesso. Chi verrà? Verrà egli stesso come un angelo. Ma non per mezzo di un angelo, a meno che non si intenda che egli è un angelo, ma in quanto Signore degli angeli. Del resto, in latino, la parola angelo significa annunziatore, messaggero. Se Cristo non avesse annunziato niente, non sarebbe stato detto angelo; se non avesse profetato niente, non sarebbe stato chiamato profeta. Egli ci ha esortato ad abbracciare la fede, a meritarci la vita eterna: certe cose le annunziò con la sua presenza, altre le preannunciò come future. In quanto con la sua presenza annunziava, era un angelo; in quanto prediceva il futuro, era un profeta; in quanto Verbo di Dio fatto uomo, era Signore degli angeli e dei profeti.

    (Agostino, Comment. in Ioan., 24, 1 ss.)


    3. Il significato della moltiplicazione dei pani

    Cristo ha condotto la folla in un luogo deserto, perché il miracolo non sia assolutamente sospetto, e nessuno pensi che sia stato portato del cibo da qualche villaggio vicino. Per tale motivo l`evangelista ricorda anche l`ora, e non solo il luogo del miracolo.
    Ma in questa circostanza noi apprendiamo anche un`altra cosa: l`austerità cioè degli apostoli nelle necessità della vita e il loro disprezzo per il lusso e per ogni delicatezza. Sono dodici e hanno soltanto cinque pani e due pesci. Tanto trascurabile e secondario è per loro ciò che riguarda il corpo, e tanto presi e interessati sono esclusivamente delle cose spirituali. E neppure tengono per sé quel poco che hanno, ma lo donano a chi lo chiede loro. Da ciò dobbiamo imparare che per quanto poco noi abbiamo, pure questo dobbiamo dare a chi ne ha bisogno. Infatti, quando Gesú chiede agli apostoli di portargli quei cinque pani, non rispondono: E da che parte verrà il cibo per noi? come potremo calmare la nostra fame?, ma obbediscono immediatamente.
    Mi sembra inoltre che Gesú moltiplichi quei pochi pani che gli portano i discepoli, piuttosto che crearne altri dal niente, per spinger loro a credere, dato che la loro fede è ancora molto debole. Anche per questo il Signore leva gli occhi al cielo. Degli altri miracoli essi avevano molti esempi, ma del miracolo che ora sta per compiere, nessuno. Presi e spezzati i pani, li distribuisce per mano dei discepoli, onorandoli con tale incarico. Ma non solo intende render loro questo onore; vuole pure che al momento del miracolo non dubitino e che in seguito non se ne dimentichino, in quanto le loro stesse mani ne sono state testimoni. Per tale motivo permette anche, prima del miracolo, che la folla senta fame, e attende che gli apostoli si avvicinino e gli parlino. Per mezzo loro fa sedere tutti sull`erba e fa distribuire il pane, volendo prevenire sia gli uni che gli altri mediante le loro stesse dichiarazioni e i loro atti. Sempre per tale motivo prende dalle loro mani i pani, in modo che vi siano molte testimonianze del fatto ed essi abbiano molti ricordi del miracolo. Se infatti, dopo tante prove gli apostoli si dimenticano del miracolo, che avrebbero mai fatto se Gesú non avesse preso tali precauzioni? Gesú ordina alla folla di sedersi sull`erba, dando cosí una lezione di vita semplice, senza tante esigenze, poiché non vuole solo nutrire i corpi ma anche istruire le anime.

    (Giovanni Crisostomo, Comment. in Matth., 49, 2)


    4. Preghiera eucaristica

    Per l`Eucaristia ringraziate cosí:
    Prima sul calice:
    «Ti ringraziamo, o Padre nostro,
    per la santa vite di David tuo servo
    che a noi rivelasti per mezzo di Gesú tuo figlio.
    A te la gloria nei secoli».
    Per il pane spezzato:
    «Ti ringraziamo, Padre nostro,
    per la vita e la conoscenza
    che a noi rivelasti per mezzo di Gesú tuo figlio.
    A te la gloria nei secoli.
    Come questo pane spezzato era sparso sui colli
    e raccolto divenne una cosa sola
    cosí la tua Chiesa si raccolga dai confini della terra nel tuo regno
    poiché tua è la gloria e la potenza per Gesú Cristo nei secoli».
    Nessuno mangi né beva della vostra Eucaristia, tranne i battezzati
    nel nome del Signore. Per questo il Signore disse: non date
    le cose sante ai cani (cf. Mt 7,6).
    Dopo esservi saziati ringraziate cosí:
    «Ti rendiamo grazie, o Padre santo,
    per il tuo santo nome
    che hai fatto abitare nei nostri cuori
    per la conoscenza, la fede e l`immortalità
    che rivelasti a noi per mezzo di Gesú tuo figlio.
    A te la gloria nei secoli.
    Tu, Signore onnipotente, hai creato ogni cosa per il tuo nome
    e hai dato agli uomini a piacere cibo e bevanda
    perché ti rendano grazie
    e a noi donasti un cibo spirituale
    una bevanda
    e una vita eterna per mezzo di tuo figlio.
    Prima di tutto ti ringraziamo perché sei potente;
    a te la gloria nei secoli».
    Ricordati, Signore, della tua Chiesa,
    liberala da ogni male
    rendila perfetta nel tuo amore
    e santificata raccoglila dai quattro venti (cf. Mt 24,31) nel tuo
    regno
    che ad essa preparasti
    perché tua è la potenza e la gloria nei secoli.
    Venga la grazia e passi questo mondo.
    Osanna al Dio di David.
    Chi è fedele venga
    chi non lo è si converta
    Maran athà (cf. 1Cor 16,22; Ap 22,20). Amen.

    (Didacbè, IX ss.)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 31/07/2012 07:38
    XVIII DOMENICA

    Letture: Esodo 16,2-4.12-15
    Efesini 4,17.20-24
    Giovanni 6,24-35


    1. Sazietà e desiderio senza fine

    "Io sono il pane della vita: chi viene a me non avrà piú fame e chi crede in me non avrà piú sete" (Gv 6,35).
    "Chi viene a me" ha lo stesso significato di "chi crede in me". "Non avrà piú fame" vuol dire la stessa cosa di "non avrà piú sete". In un caso e nell`altro è significata la sazietà eterna quando piú nulla manca.
    Precisa, peraltro, la Sapienza: "Coloro che mi mangiano, avranno ancora fame; quelli che mi bevono avranno ancora sete" (Sir 24,29). Cristo, Sapienza di Dio (cf. 1Cor 1,24), non è mangiato fin d`ora fino a saziare il nostro desiderio, ma solo nella misura in cui eccita il nostro desiderio di sazietà; e piú gustiamo la sua dolcezza piú il nostro desiderio si ravviva. Ecco perché coloro che lo mangiano avranno ancora fame fino a che non sopraggiunge la sazietà. Ma, quando il loro desiderio sarà stato soddisfatto dai beni celesti, essi non avranno piú né fame né sete (cf. Ap 7,16).
    La frase: "Coloro che mi mangiano avranno ancora fame", può anche intendersi in rapporto al mondo futuro: infatti vi è in questa sazietà eterna una sorta di fame, che non deriva dal bisogno bensí dalla felicità. I commensali desiderano mangiarvi in continuazione: mai soffrono la fame, e nondimeno mai cessano dal venir saziati. Sazietà senza ingordigia, desiderio senza gemito. Cristo, sempre ammirabile nella sua bellezza, è del pari sempre desiderabile, "lui che gli angeli desiderano ammirare" (1Pt 1,12).
    Cosí, proprio quando lo si possiede lo si desidera; proprio quando lo si afferra lo si cerca, secondo quanto è scritto: "Cercate sempre il suo volto" (Sal 104,4).
    Sí, lo si cerca sempre, colui che si ama per sempre possederlo. Per cui, coloro che lo trovano lo cercano ancora, quelli che lo mangiano ne hanno ancora fame, quelli che lo bevono ne hanno ancora sete.
    Tale ricerca, però, rimuove ogni preoccupazione, tale fame scaccia ogni fame, tale sete estingue ogni sete. E` fame non dell`indigenza, bensí della felicità consumata. Della fame dell`indigente, è detto: "Chi viene a me non avrà piú fame, chi crede in me non avrà piú sete". Della fame del beato, invece: "Coloro che mi mangiano avranno ancora fame; quelli che mi bevono avranno ancora sete".
    Il termine fame può intendersi come equivalente di sete, sia che si tratti della miseria, sia che si tratti della felicità; però, se si preferisce sottolineare una differenza, il Salmista ne fornisce l`occasione, allorché dice: "Il pane sostiene il cuore dell`uomo", e: "Il vino allieta il cuore dell`uomo" (Sal 103,15).
    Per coloro che credono in lui, Cristo è cibo e bevanda, pane e vino. Pane che fortifica e rinvigorisce, del quale Pietro dice: "Il Dio di ogni grazia, che ci ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo Gesú, ci ristabilirà lui stesso dopo breve sofferenza, ci rafforzerà e ci renderà saldi" (1Pt 5,10). Bevanda e vino che allieta; è ad esso che si richiama il Profeta in questi termini: "Allieta l`anima del tuo servo; verso di te, infatti, o Signore, ho innalzato la mia anima" (Sal 85,4).
    Tutto ciò che in noi è forte, robusto e solido, gioioso e allegro, per adempiere i comandamenti di Dio, sopportare la sofferenza, eseguire l`obbedienza, difendere la giustizia, tutto questo è forza di quel pane o gioia di quel vino. Beati coloro che agiscono fortemente e gioiosamente!
    E siccome nessuno può farlo di suo, beati coloro che desiderano avidamente di praticare ciò che è giusto e onesto, ed essere in ogni cosa fortificati e allietati da Colui che ha detto: "Beati coloro che hanno fame e sete della giustizia" (Mt 5,6). Se Cristo è il pane e la bevanda che assicurano fin da ora la forza e la gioia dei giusti, quanto di piú egli lo sarà in cielo, quando si donerà ai giusti senza misura!

    (Baldovino di Ford, De sacram. altar., 2, 3)


    2. Caratteristiche del Pane di Cristo

    Altro è il cibo che dà salute e vita e altro il cibo che raccomanda e riporta l`uomo a Dio, altro il cibo che ristora i deboli, richiama gli erranti, rialza i caduti, porge ai morenti il distintivo dell`immortalità. Cerca il pane di Cristo, il calice di Cristo, se vuoi che la vita dell`uomo, mettendo da parte le cose periture della terra, si nutra d`un pascolo immortale.
    Ma qual è questo pane, o questo calice, del quale la Sapienza nel libro di Salomone dice a gran voce: "Venite, mangiate il mio pane e bevete il vino, che ho versato per voi" (Pr 9,5)? E Melchisedech, re di Salem e sacerdote del sommo Dio, al ritorno di Abramo, offrí un sacrificio in pane e vino (Gen 14,18). Ed anche Isacco, avendo già dato la benedizione a Giacobbe, poiché Esaú lo supplicava di benedire anche lui, gli rispose: "L`ho già costituito tuo padrone e i suoi fratelli li ho fatti suoi servi, l`ho provveduto di frumento e di vino" (Gen 27,37). Allora Esaú pianse amaramente la sua disgrazia, perché aveva perduto la grazia del frumento e del vino, cioè la grazia della felicità futura.
    Che poi questo pane divino sia offerto a persone consacrate, lo dice lo Spirito Santo per mezzo di Isaia: Cosí dice il Signore: ecco, coloro che mi servono, mangeranno, voi invece avrete fame; coloro che mi servono, saranno felici, voi avrete vergogna, il Signore vi ucciderà (Is 65,13-15). Non solo questo pane è rifiutato da Dio agli empi, ma vien minacciata anche una pena, si parla di morte acerba, come conseguenza dell`ira divina per gli affamati. A questo si riferiscono anche le venerande parole del salmo 33. Dice infatti lo Spirito Santo per mezzo di David: "Gustate e vedete quanto è dolce il Signore" (Sal 33,9). E` dolce il pascolo celeste, è dolce il cibo di Dio e non ha in sé il triste tormento della fame ed espelle dalle midolla degli uomini la malignità del veleno che vi trova. E che sia cosí lo dichiarano i seguenti oracoli della Scrittura: "Temete il Signore, voi che siete consacrati a lui, perché non manca nulla a coloro che lo temono. I ricchi soffriranno la fame, ma quelli che cercano il Signore, non mancheranno di alcun bene" (Sal 33,10). Tu che avanzi paludato nel tempio, che splendi di porpora, il cui capo è coperto di oro o alloro, una turpe indigenza sta per raggiungere il tuo errore e sul tuo capo pende un grave peso di povertà. Colui che tu disprezzi come povero, è ricco; Abramo gli prepara un trono nel suo seno. Tu invece, per mitigare le ferite della tua coscienza, attraverso le fiamme, gli chiederai una stilla d`acqua gocciolante e Lazzaro, anche se volesse, non potrà darti né impetrarti quel lenimento del tuo dolore. A lui è assegnata la vita in compenso dei mali di questo secolo, a te viene assegnata una perpetua pena di tormenti per i beni di questo secolo.
    Perché si capisse meglio quale fosse il pane per mezzo del quale si supera la morte, il Signore stesso lo ha indicato con la sua santa parola, perché la speranza degli uomini non fosse ingannata da false interpretazioni. Dice infatti nel Vangelo di Giovanni: "Io sono il pane della vita. Chi verrà a me non avrà fame, cbi crederà in me non avrà mai sete" (Gv 6,35). La stessa cosa dice nelle frasi seguenti: "Se uno ha sete, venga; e beva, chi crede in me". E di nuovo, per dare la sostanza della sua maestà a coloro che credono in lui dice: "Se non mangerete la carne del figlio dell`uomo e non berrete il suo sangue, non avrete la vita in voi".
    O miseri mortali fatti dèi! Cercate la grazia del cibo salutare e bevete il calice immortale. Cristo col suo cibo vi richiama alla luce e vivifica i vostri arti avvelenati e le vostre membra intorpidite. Ravvivate col cibo celeste l`uomo perduto, in modo che rinasca in voi, per grazia di Dio, tutto ciò che è morto. Sapete ormai che cosa val la pena fare, scegliete ciò che vi piace. Di là nasce la morte, di qui sgorga la vita immortale.

    (Firmico Materno, De errore prof. relig., 18, 2-8)


    3. Unione del collegio presbiterale con il vescovo

    Conviene procedere d`accordo con la mente del vescovo, come già fate. Il vostro presbiterato ben reputato degno di Dio è molto unito al vescovo come le corde alla cetra. Per questo dalla vostra unità e dal vostro amore concorde si canta a Gesú Cristo. E ciascuno diventi un coro, affinché nell`armonia del vostro accordo prendendo nell`unità il tono di Dio, cantiate ad una sola voce per Gesú Cristo al Padre, perché vi ascolti e vi riconosca, per le buone opere, che siete le membra di Gesú Cristo. E` necessario per voi trovarvi nella inseparabile unità per essere sempre partecipi di Dio...
    Nessuno s`inganni: chi non è presso l`altare, è privato del pane di Dio (cf. Gv 6,33). Se la preghiera di uno o di due ha tanta forza, quanto piú quella del vescovo e di tutta la Chiesa! Chi non partecipa alla riunione è un orgoglioso e si è giudicato. Sta scritto: "Dio resiste agli orgogliosi" (Pr 3,34). Stiamo attenti a non opporci al vescovo per essere sottomessi a Dio...
    Ognuno e tutti insieme nella grazia che viene dal suo nome vi riunite in una sola fede e in Gesú Cristo del seme di David (cf. Rm 1,3) figlio dell`uomo e di Dio per ubbidire al vescovo e ai presbiteri in una concordia stabile spezzando l`unico pane che è rimedio di immortalità...
    Come Gesú Cristo segue il Padre, seguite tutti il vescovo e i presbiteri come gli apostoli; venerate i diaconi come la legge di Dio. Nessuno senza il vescovo faccia qualche cosa che concerne la Chiesa. Sia ritenuta valida l`Eucaristia che si fa dal vescovo o da chi è da lui delegato. Dove compare il vescovo, là sia la comunità, come là dove c`è Gesú Cristo ivi è la Chiesa cattolica. Senza il vescovo non è lecito né battezzare né fare l`agape; quello che egli approva è gradito a Dio, perché tutto ciò che si fa sia legittimo e sicuro.

    (Ignazio di Antiochia, Ad Ephes., 4, 1-2; 5, 2-3; Ad Smyrn., 7, 2; 8, 2)


    4. Essere disposti a perdere tutto per guadagnare Cristo

    Uomini avidi! Perché restate avvinti al desiderio di guadagno? Perché non apprendere l`arte? Perché non disprezzate ciò che è privo di valore, o meglio, svantaggio e sozzura, per guadagnare Cristo? "Perché spendete denaro per ciò che non è pane e il vostro patrimonio per ciò che non sazia?" (Is 55,2). A me sembra che ai vostri occhi "il pane disceso dal cielo per dare la vita al mondo" (Gv 6,33) abbia meno valore del vostro denaro!... Se l`avaro stimasse almeno la propria persona piú preziosa della propria fortuna! Se potesse non mettere in vendita la propria anima per amore del denaro, e fintanto che resta in vita, non strapparsi le viscere (cf.Sir 10,10)! E` per contro un commerciante avveduto, un esperto attento al valore delle cose, colui che - parlo evidentemente di Paolo - stimava che la propria anima - ovvero la vita animale e sensibile - non valesse piú di lui (cf. At 20,24), e cioè del suo spirito, con il quale costituiva un tutt`uno e per il quale aderiva a Cristo. Era pronto a perdere la sua anima, al fine di poterla conservare per la vita eterna (cf. Gv 12,25).

    (Guerric d`Igny, Sermo de resurrect., 2, 3)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 08/08/2012 09:19
    XIX DOMENICA

    Letture: 1 Re 19,4-8
    Efesini 4,30; 5,2
    Giovanni 6,41-52

    1. Solo un cuore che ama può comprendere

    "Non mormorate tra voi: nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato" (Gv 6,43-44).
    Con queste parole il Signore ci annunzia una grande grazia. Nessuno va a lui se non è attirato. Non cercare di giudicare chi è che sarà attirato e chi è che non lo sarà, né di stabilire perché uno sarà attirato e un altro non lo sarà, se non vuoi sbagliare. Accetta queste parole e cerca di capirle. Non sei attratto dal Signore? Prega per esserlo. Cosa veniamo a dire, fratelli? Che se siamo attirati a Cristo, allora crediamo nostro malgrado, cioè è per effetto della costrizione, non per effetto della nostra libera volontà? In verità, si può entrare nella chiesa contro la propria volontà, e, contro la propria volontà si può essere indotti ad avvicinarci all`altare e a ricevere i sacramenti; ma non si può credere contro la propria volontà...
    Quando ascolti: «Nessuno viene a me se non è attirato dal Padre», non pensare di essere attirato tuo malgrado. La tua anima è attirata anche dall`amore. Non dobbiamo temere di essere rimproverati da quanti stanno attenti alle parole, ma restano lontanissimi dalla interpretazione delle cose divine, i quali, a proposito di questo passo delle sante Scritture, potrebbero dirci: In qual modo credo di mia volontà se sono attirato da Dio? Io rispondo: Non sei attirato per mezzo della volontà, ma per mezzo della gioia. Che significa essere attirati per mezzo della gioia? "Metti nel Signore la tua gioia, ed egli ti darà ciò che domanda il tuo cuore" (Sal 36,4). Si tratta di una certa qual gioia interiore, cui è nutrimento quel pane celeste.
    Se il poeta ha potuto dire: «Ciascuno è attirato dal suo piacere» (Virgilio, Egl., 2), - ho detto piacere, non necessità, gioia, non costrizione -, con quanta maggior ragione possiamo dire noi che l`uomo è attirato a Cristo, in quanto in esso trova la gioia della verità, della beatitudine, della giustizia, della vita eterna, tutto ciò insomma che è Cristo medesimo? Se il corpo ha i suoi piaceri, perché l`anima non dovrebbe avere i suoi? Se l`anima non avesse i suoi piaceri, il salmista non direbbe: "I figli dell`uomo spereranno sotto la protezione delle tue ali; si inebrieranno per l`abbondanza della tua casa, e, tu darai loro da bere alla fonte delle tue delizie; perché presso di te è la fonte della vita e nella tua luce vedremo la luce" (Sal 35,8ss).
    Dammi un cuore che ama, ed egli capirà ciò che io dico. Dammi un cuore che desidera, un cuore affamato e assetato che si sente in esilio in questa solitudine terrena, un cuore che sospira la fonte della sua eterna dimora ed egli confermerà ciò che dico. Ma se io parlo a un cuore gelido, egli non potrà capirmi. E tali erano coloro che mormoravano...
    "In verità, in verità vi dico, chi crede in me ha la vita eterna" (Gv 6,47). Ha voluto rivelare la sua natura. Avrebbe potuto dire piú brevemente: Chi crede in me avrà me stesso. Cristo è infatti vero Dio e vita eterna. Chi crede in me, egli dice, viene in me; e chi viene in me, ha me stesso. Cosa intende, Cristo, dicendo «ha me stesso»? Intende, avere la vita eterna.
    Colui che è vita eterna accettò la morte, ha voluto morire: ma nella tua natura, non nella sua. Egli ha ricevuto la natura carnale da te, in modo da morire per te. Ha preso la carne dagli uomini, ma non nel modo in cui la prendono gli uomini. Egli, che ha il Padre nel cielo, scelse una madre in terra: in cielo è nato senza madre, in terra è nato senza padre. La vita ha accettato la morte, affinché la vita uccidesse la morte. Dunque «chi crede in me - dice - ha la vita eterna»; non la vita che appare manifesta, ma quella che sta nascosta. Perché la vita eterna, cioè il Verbo, «in principio era presso Dio, ed era Dio il Verbo, e la vita era la luce degli uomini».
    Lui che è vita eterna, ha dato la vita eterna alla carne che aveva assunto. E` venuto per morire e nel terzo giorno è risuscitato. Tra il Verbo che accetta di farsi carne, e la carne che risuscita, la morte è annientata...
    "Io sono il pane vivo, io che sono disceso dal cielo" (Gv 6,51). Cioè sono vivo perché discendo dal cielo. Anche la manna era discesa dal cielo: ma la manna era un simbolo, questo pane è la verità. "Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno; e il pane che io darò, è la mia carne per la vita del mondo (ibid.)".
    Come la carne, cioè gli uomini, potevano comprendere il Signore che dava al pane il nome di carne? Egli chiamava carne ciò che la carne non può comprendere, e tanto meno lo comprende in quanto chiama il pane carne. Per questo essi inorridirono, e dissero che era troppo, e che non era possibile. «E` la mia carne - disse -per la vita del mondo».
    I fedeli conosceranno il corpo di Cristo, se non trascureranno di essere essi stessi il corpo di Cristo. Che divengano il corpo di Cristo, se vogliono vivere dello Spirito di Cristo. Solo il corpo di Cristo vive del suo Spirito. Cercate di capire, fratelli, quanto ho detto. Tu sei un uomo, hai lo spirito e hai il corpo. Chiamo spirito ciò che è chiamato anima, grazie alla quale l`uomo è uomo: infatti l`uomo consta di anima e di corpo. Hai dunque uno spirito invisibile, mentre il corpo è visibile. Dimmi: è il tuo spirito che vive del tuo corpo, o il tuo corpo che vive del tuo spirito? Mi rispondano coloro che vivono (e chi non può rispondere, io non so se egli vive); è il corpo che vive del mio spirito. Tu vuoi vivere dello Spirito di Cristo? Sii nel corpo di Cristo. Forse che - obietti - il mio corpo vive del tuo spirito? Il mio corpo vive del mio spirito, e il tuo del tuo. Il corpo di Cristo non può vivere se non dello Spirito di Cristo. Questo ci dice l`apostolo Paolo quando ci spiega la natura di questo pane: "Un solo pane, un solo corpo siamo noi, anche se siamo molti" (1Cor 10,17).
    Oh, grande mistero d`amore! grande simbolo di unità! grande legame di carità! Chi vuol vivere, ha dove vivere, e ha di che vivere. Si avvicini, creda, entri nel corpo, e parteciperà alla vita. Non fugga la unione con gli altri membri, non sia un membro corrotto che merita di essere tagliato, non sia un membro difforme di cui il corpo debba vergognarsi, sia bello, sia composto, sia sano, si unisca al corpo e viva di Dio e per Dio: si affaticherà sulla terra, ma per regnare, dopo, in cielo.

    (Agostino, Comment. in Ioan., 26, 2.4.10.13)


    2. Risurrezione per la carne e il sangue di Cristo

    Sono completamente stolti quelli che disprezzano tutta l`economia di Dio e negano la salvezza della carne e ne spregiano la rigenerazione, dicendo che essa non è capace di incorruttibilità. Ma se questa non si salva, né il Signore ci ha redento davvero col suo sangue, né il calice eucaristico è comunicazione del suo sangue, né il pane che spezziamo è la comunione del suo corpo. Non c`è infatti sangue se non dalle vene, dalle carni e dalla rimanente sostanza dell`uomo, quale veramente si è fatto il Verbo di Dio; egli col suo sangue ci ha redento, come dice l`Apostolo: "Nel quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati mediante il suo sangue" (Col 1,14). E poiché siamo sue membra, ci nutriamo con le sue creature. Egli infatti ce le offre: fa sorgere il suo sole e fa cadere la sua pioggia come a lui piace. Egli ha affermato che il calice, il quale è sua creatura, è il suo sangue sparso per noi, con cui aumenta il nostro sangue; e che il pane, il quale appartiene al creato, è il suo corpo, con il quale alimenta i nostri corpi.
    Se dunque il calice mescolato e il pane preparato ricevono il Verbo di Dio e si compie cosí l`Eucaristia del sangue e del corpo di Cristo, con cui cresce e si rafforza la sostanza della nostra carne, come possono negare che la carne può accogliere il dono di Dio, che è la vita eterna? Essa si nutre del sangue e del corpo di Cristo, è membro di lui. Lo dice il beato Apostolo nella lettera agli Efesini: "Siamo membra del suo corpo, della sua carne e delle sue ossa" (Ef 5,30). Non parla di un corpo invisibile e spirituale - "uno spirito infatti non ha né ossa né carne" (Lc 24,39) -, ma di un vero organismo umano che consta di carne, nervi e ossa; e che si nutre del calice che è il suo sangue e cresce con il pane che è il suo corpo.
    Come il legno della vite, piantato in terra, dà frutto a suo tempo, come il grano di frumento, caduto in terra e marcito, sorge molteplice per opera dello Spirito di Dio che tutto contiene - vite e frumento che, per la sapienza di Dio, servono alla vera utilità dell`uomo, perché accogliendo la parola di Dio diventano l`Eucaristia che è il corpo e il sangue di Cristo -; allo stesso modo i nostri corpi, nutriti dell`Eucaristia, deposti in terra e qui dissolti, risorgeranno a suo tempo perché il Verbo di Dio elargirà loro la risurrezione a gloria di Dio Padre. Egli circonda dell`immortalità questo corpo mortale e dona gratuitamente l`incorruttibilità a questo corpo corruttibile, perché la virtù di Dio si mostra nella debolezza. E questo affinché non ci avvenga di gonfiarci, come se avessimo da noi stessi la vita, e di innalzarci contro Dio con animo profondamente ingrato. E sapendo che per sua magnanimità e non per nostra natura vivremo in eterno, affinché non succeda mai che menomiamo la sua gloria. E neppure che ignoriamo la nostra natura, ma che ci rendiamo conto di quanto Dio può e di quanti benefici l`uomo può ricevere, e non ci capiti di errare nella valutazione della realtà, cioè del rapporto tra Dio e l`uomo. Dio, come abbiamo detto, non ha forse tollerato che ci dissolvessimo nella terra, affinché fossimo perfettamente istruiti e in futuro pienamente coscienti cosí da non misconoscere la nostra posizione di fronte a lui?

    (Ireneo di Lione, Adv. haer., 5, 2, 2-3)


    3. La validità oggettiva del sacerdozio

    Dirai: Dio ordina tutti, anche quelli che sono indegni?
    Dio non ordina tutti, ma opera per mezzo di tutti, anche se sono indegni, per la salvezza del suo popolo. Se, infatti, Dio parlò per mezzo di un`asina, per mezzo dello scellerato Balaam (Nm 22) in grazia del suo popolo, molto piú lo farà per mezzo del sacerdote. Che cosa non fa Dio per la nostra salvezza? che cosa non dice? di chi non si serve? Se si è servito di Giuda e di coloro ai quali dice: "Non vi conosco, andate via da me, operatori d`iniquità" (Mt 7,23), tanto piú agirà per mezzo di un sacerdote...
    Dirai ancora: Ma costui non fa elemosina ai poveri, non è onesto nella amministrazione.
    Come lo sai? Non accusare, se non sei sicuro, temi d`essere chiamato a render conto. Molte cose son dette in base a un sospetto. Imita il Signore. Senti che dice: "Verrò a vedere se agiscono come si dice" (Gen 18,21). Se hai sentito, esaminato e visto, aspetta il giudice; non arrogarti l`ufficio di Cristo. Tocca a lui trattare queste cose, non a te. Tu sei l`ultimo servo; non sei il padrone. Tu sei una pecora; non ti mettere a giudicare il pastore, per non rischiar di scontar la pena di ciò di cui lo accusi.
    Dirai: Perché non fa, ciò ch`egli stesso m`insegna?
    Non è lui che lo dice. E se obbedissi a lui, non meriteresti il premio. E Cristo che ti comanda. Che dico? Neanche Paolo dovrebbe essere obbedito, se parlasse da sé, se dicesse cose umane. Ma bisogna credere che in Paolo parla Cristo. Non giudichiamo, dunque, le cose degli altri, pensa alla tua vita.
    Dirai: Ma lui dovrebbe essere migliore di me.
    Perché? Perché è sacerdote. E che cosa non ha lui piú di te? Non forse fatiche, pericoli, contese, preoccupazioni, sfortune? Se ha tutte queste cose, come non è migliore di te? Ma anche se egli non fosse migliore di te, perché dovresti tu perderti? Ma questa è arroganza. Come fai a sapere che non è migliore di te? Se rubasse, diresti; se approfittasse delle cose sacre? Come sai questo, buon uomo? Perché ti vuoi buttare nel fosso?...
    Ti credi migliore d`un altro, e non chiedi pietà? non ti batti il petto, non pieghi il capo, non imiti il pubblicano? Ma cosí ti vuoi perdere, anche se sei migliore. Migliore? stai zitto, se vuoi rimaner migliore; se lo dici, ti svuoti tutto. Se credi di esserlo, non lo sei; se non lo credi, fai un passo avanti. Se, infatti, colui ch`era peccatore, perché se ne accusò, uscí dal tempio giustificato, colui che lo è e si giudica tale, che cosa non guadagnerà? Esamina la tua vita. Non rubi? ma strappi, fai violenza e tante cose simili. Con questo non plaudo al furto, per carità, tanto meno lo approverei, se versasse lacrime e continuasse ad esserlo. Infatti che gran male sia il sacrilegio neanche lo si può dire; ma preferisco fermarmi qui e non voglio diminuire la nostra virtù accusando gli altri...
    Dimmi: Se ti capita d`essere ferito, che forse innanzi al medico ti metti a domandargli se pure lui ha una ferita? e se l`ha, ti preoccupi? o, perché pure lui ce l`ha, tu non curi piú la tua e dici: - Il medico dovrebbe star bene. Se lui, che è medico, non sta bene, io mi riporto a casa la mia ferita? Che forse, se il sacerdote è cattivo, il fedele ne riceve un sollievo? Tutt`altro. Lui sconterà la sua pena, e tu la tua; il Maestro mette tutto a posto, dice, infatti: "Riceveranno tutti la sentenza di Dio" (Gv 6,45; Is 54,13)...
    L`offerta è la stessa, chiunque la faccia sia Pietro, sia Paolo; è la stessa che Cristo diede ai discepoli e che fanno oggi i sacerdoti. La nostra non è affatto inferiore a quella, perché non sono gli uomini a farla santa, ma il Cristo in persona che santificò la prima. Come le parole, che disse Cristo, sono le stesse che dice il sacerdote oggi; cosí la messa è la stessa, come il battesimo è ancora lo stesso. E tutta opera della fede. Scese lo Spirito nel centurione Cornelio, perché aveva creduto. Questo, come quello, è corpo di Cristo. Chi pensa che questo lo sia di meno non sa che Cristo è presente e opera nei sacramenti.

    (Giovanni Crisostomo, In II ad Timoth., 2, 3 s.)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 22/08/2012 07:52
    XX DOMENICA

    Letture: Proverbi 9,1-6
    Efesini 5,15-20
    Giovanni 6,52-59

    1. Seguire Cristo vuol dire aderire a lui

    "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna" (Gv 6,55). Insegnaci, Maestro buono (cf. Mc 10,17), tu che solo insegni all`uomo la sapienza (cf. Sal 93,10); insegnaci come dobbiamo mangiare la tua carne e bere il tuo sangue...
    Quando mangiamo quel pane corporeo e sensibile, noi mettiamo in bocca anzitutto un frammento staccato da un pane, che poi trituriamo con i denti, liquefacciamo con la saliva e ingoiamo, affinché il nutrimento, entrando dentro, distribuisca alimento e forza a tutto il corpo. Ora, il pane dell`anima è Cristo, "pane vivo disceso dal cielo" (Gv 6,41), che nutre i suoi, al presente nella fede, nel mondo futuro con la visione (cf. 2Cor 5,7). Infatti, Cristo abita per la fede in te, e la fede in Cristo è Cristo stesso nel tuo cuore (cf. Ef 3,17). Nella misura in cui credi in Cristo, in quella stessa misura tu lo possiedi. E Cristo è in verità un solo pane, poiché vi è un solo Signore, una sola fede (cf. Ef 4,5) per tutti i credenti, benché del dono dell`unica fede alcuni ricevano di piú e altri di meno. Epperò non vi sono tante fedi quanti sono i credenti, altrimenti non sarebbero i fedeli ad essere sottomessi alla fede, bensí questa a loro. Ora, come è una la verità, del pari una sola fede nell`unica verità guida e nutre tutti i credenti e un solo e medesimo Spirito distribuisce a ciascuno i suoi doni in particolare, secondo il suo beneplacito (cf. 1Cor 12,11).
    Viviamo tutti dunque dello stesso pane (cf. 1Cor 10,17), e ciascuno di noi riceve la sua porzione; tuttavia, Cristo è tutto intero per tutti, eccettuati coloro che lacerano l`unità. Non dico tutto intero nel senso che tu gusti Cristo cosí come lui stesso si gusta, il che non possono fare né gli angeli in cielo, né alcun` altra creatura. Però nel dono da me ricevuto, io posseggo tutto il Cristo, e Cristo mi possiede interamente, come il singolo membro appartiene a tutto il corpo e possiede in cambio il corpo nella sua interezza.
    Perciò, la porzione di fede da te ricevuta è come il pezzettino di pane nella tua bocca; però, se tu non mediti frequentemente e piamente il contenuto stesso del tuo credere, se con i tuoi denti, ovvero con i sensi dell`anima, non lo macini triturandolo, esso non andrà oltre la gola, come dire che non arriverà mai alla tua intelligenza. Come potrebbe essere compreso, in effetti, quel che viene raramente e con negligenza meditato, tenendo conto poi che si tratta di cosa tanto sottile quanto invisibile? La fede infatti propone cose invisibili, ed occorre compiere un grande sforzo di mente prima che alcunché possa essere deglutito e assimilato. Se, invero, la saliva della sapienza, scendendo dall`alto dal Padre dei lumi (cf. Gc 1,17), non ammorbidisce e liquefa quel nutrimento disseccato, tu fatichi invano (cf. Sal 126,1), perché le riflessioni da te coagulate non penetrano nell`intelligenza...
    Attraverso l`intelligenza, difatti, il cibo stesso passa nell`affetto del cuore, affinché tu non trascuri tutto ciò che hai compreso, e anzi tu lo raccolga con diligenza per mezzo dell`amore. Infatti, se tu non ami ciò che hai compreso, la tua intelligenza avrà lavorato invano: la sapienza, invero, sta nell`amore.
    In effetti, l`intelligenza precede lo spirito di sapienza e non gusta che in maniera del tutto transitoria: l`amore, invece, assapora cibo solido. Nell`amore ha sede tutta la forza dell`anima; in esso si raccoglie tutto il nutrimento vitale, ed è da qui che la vita viene diffusa per tutte le membra che sono le virtù. "Con ogni cura vigila sul cuore, perché da esso sgorga la vita" (Pr 4,23).
    L`amore, dunque, al pari del cuore, è posto al centro, verso il quale convergono le tre cose che lo precedono e cioè la fede, la meditazione e l`intelligenza, e qui si consolidano; da qui stesso poi, procedono e vengono dirette le successive conseguenze. In primo luogo, dall`amore procede l`imitazione. Chi infatti non desidera imitare ciò che ama? Se non amerai Cristo, non lo potrai imitare, e cioè non potrai seguirlo. Disse infatti a Simon Pietro, dopo aver indagato sul suo amore: "Seguimi" (Gv 21,19)...
    Occorre, dunque, seguire Cristo, aderire a lui. "Il mio bene" - è scritto - "è aderire a Dio" (Sal 72,28); e: "A te si stringe l`anima mia e la forza delta tua destra mi sostiene" (Sal 62,9). "Chi si unisce al Signore forma", infatti, "con lui un solo spirito" (1Cor 6,17). Non soltanto un sol corpo, ma anche un solo spirito. Dello spirito di Cristo tutto il suo corpo vive. Attraverso il corpo di Cristo, si perviene al suo spirito. Cerca quindi di stare nel corpo di Cristo e sarai un giorno un solo spirito con lui. Già, per la fede, sei unito al suo corpo; per la visione, poi, sarai unito anche al suo spirito. Tuttavia, né la fede, quaggiú, può stare senza lo spirito, né lo spirito potrà stare, lassú, senza il corpo, poiché i nostri corpi non saranno allora degli spiriti, bensí spiritualizzati (cf. 1Cor 15,44). "Voglio, o Padre" - dice infatti Gesú - "che come tu sei in me e io in te, siano anch`essi una cosa sola, perché il mondo creda (Gv 17,21). Ecco l`uomo per fede. E poco dopo: "Perché anch`essi siano perfetti nell`unità, e il mondo conosca" (Gv 17,23). Ecco l`unione per visione.
    Questo significa mangiare spiritualmente il corpo di Cristo: avere in lui una fede pura, e cercare sempre con l`attenta meditazione della stessa fede: e trovare ciò che cerchiamo con l`intelligenza; amare poi ardentemente ciò che si è trovato; imitare ciò che amiamo con tutte le nostre forze, e imitando aderire costantemente a lui; e aderendo, esservi perennemente uniti.

    (Guigone II, Certosino, Meditatio X)


    2. Il pane della concordia

    "Altercavano pertanto i giudei tra loro, dicendo: Come mai può costui darci da mangiare la sua carne?" (Gv 6,52). Altercavano fra di loro perché non capivano il significato del pane della concordia, e non volevano mangiarne; non litigano infatti coloro che mangiano tale pane, in quanto «un solo pane, un solo corpo siamo noi, anche se siamo molti». E per mezzo di questo pane, "Dio fa abitare insieme coloro che hanno un solo spirito" (Sal 67,7).
    Poiché litigando fra loro si domandano come possa il Signore dare in cibo la sua carne, non odono quanto ad essi egli dice di nuovo: "In verità, in verità, vi dico, se non mangerete la carne del Figlio dell`uomo e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita" (Gv 6,53). Voi non sapete in che modo si mangia questo pane, non sapete in qual modo si deve mangiare: tuttavia, «se non mangerete la carne del Figlio dell`uomo, e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita».
    Egli diceva queste cose non ai morti, ma ai vivi. E affinché essi credendo che egli parlava di questa vita terrena, di nuovo non litigassero, subito aggiunge: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna" (Gv 6,54). Non l`ha invece chi non mangia questo pane e non beve questo sangue: senza di ciò gli uomini possono avere la vita terrena e mortale, ma assolutamente non possono avere la vita eterna. Chi non mangia la sua carne e non beve il suo sangue, non ha in sé la vita: l`ha chi mangia la sua carne e beve il suo sangue.

    (Agostino, Comment. in Ioan., 26, 14)


    3. L`Eucaristia, fonte di unità con Cristo e con i fratelli

    Mentre porgeva il pane e il vino consacrato ai discepoli disse: "Questo è il mio corpo; questo è il mio sangue" (Mt 26; Lc 22). Crediamo, per favore, a ciò che abbiamo creduto. La verità non conosce menzogna.
    Questo è il legato del suo nuovo Testamento, legato ch`egli fece a nostro favore, come garanzia della sua presenza, quella sera che venne consegnato per essere crocifisso. Questo è il viatico del nostro cammino, di cui ci nutriamo nella via della vita, finché, usciti da questo mondo, arriviamo innanzi a lui; perciò il Signore disse: "Se non mangerete la mia carne e non berrete il mio sangue, non avrete in voi la vita" (Gv 6,53). Volle, infatti, che i suoi doni rimanessero presso di noi, volle che ci potessimo santificare col suo sangue prezioso, immagine della sua passione; perciò ordinò ai suoi discepoli, fatti da lui stesso sacerdoti della sua Chiesa, di operare senza interruzione questi misteri di vita eterna; misteri che tutti i sacerdoti in ciascuna Chiesa del mondo devono celebrare fino a quando Cristo tornerà dal cielo, perché gli stessi sacerdoti e tutti i fedeli, avendo ogni giorno innanzi agli occhi il modello della passione di Cristo, toccandolo con le mani e prendendolo nella bocca e nel petto, possano conservare un ricordo incancellabile della redenzione e ricavarne una dolce medicina d`eterna protezione contro il veleno del diavolo, come ci esorta lo Spirito Santo: "Gustate e vedete quanto il Signore è veramente soave" (Sal 33,9)...
    Di molti chicchi sfarinati e impastati con acqua si fa un pane, che viene poi cotto col fuoco; è la figura del corpo di Cristo, che è uno solo, ma che è formato dalla moltitudine di tutto il genere umano ed è consumato col fuoco dello Spirito Santo. Nacque infatti per opera dello Spirito Santo e poi, pieno di Spirito Santo, ch`era sceso su di lui in figura di colomba, esce dal Giordano, come attesta l`Evangelista: "Gesú pieno di Spirito Santo uscí dal Giordano" (Lc 4,1). Similmente il vino del suo sangue raccolto da molti acini, cioè dall`uva della vigna, da lui stesso piantata, viene spremuto nel torchio della croce e attraverso vasi capaci, ribolle per propria virtù nel cuore fedele di quelli che lo ricevono. Voi tutti che uscite dalla schiavitú dell`Egitto e del diavolo, prendete insieme a noi e con tutto l`ardore del vostro animo religioso questo sacrificio della Pasqua della salvezza, perché il nostro interno venga santificato dallo stesso Signore Gesú Cristo, che è presente nei suoi sacramenti e la cui inestimabile virtù rimane per tutti i secoli.

    (Gaudenzio da Brescia, Sermo 2)


    4. I motivi della istituzione dell`Eucaristia

    Nostro Signore Gesú ci ha lasciati per salire in alto, affinché, al momento del suo ritorno, potesse farci salire con lui nel regno dei cieli. E poiché andava in un luogo troppo lontano perché noi potessimo conoscerlo, volle confortarci con il suo corpo e il suo sangue fino al suo ritorno. E siccome non era possibile che egli desse il suo corpo e il suo sangue alla sua Chiesa, ci ordinò di realizzare questo sacramento con il pane e il vino. Beato il popolo dei cristiani! Quale dono possiede e quale speranza custodisce per sempre nei cieli!
    Infatti, quando giunse l`ora della Passione di colui che dà la vita a tutte le cose, egli mangiò la Pasqua legale con i suoi discepoli. Poi, prese il pane, lo benedisse, lo spezzò e lo dette ai discepoli, dicendo: Questo è il mio corpo in verità, senza alcun dubbio (cf. Lc 22,19; 1Cor 11,24-25). Quindi, prese il calice, rese grazie, lo benedisse e lo dette agli apostoli, dicendo: Questo è in verità il mio sangue, dato per voi. E ordinò a tutti di prenderlo e di berne, perché fossero rimesse le loro colpe per sempre (cf. ibid.).
    "Preghiera di Gesú durante la Cena secondo Teodoro di Mopsuestia"
    E` scritto, nel Vangelo pieno di vita, che Egli "rese grazie e benedisse (ibid.)". Ma, ciò che disse gli apostoli da lui scelti non ce lo hanno fatto conoscere. Il grande dottore e interprete Teodoro ci ha trasmesso ciò che nostro Signore ha detto prendendo il pane:
    «La tua natura divina, o Signore di tutte le cose, merita ogni gloria, ogni confessione e ogni lode, poiché, in tutte le generazioni, tu hai compiuto e realizzato la tua Economia [disegno di salvezza], come per la vita e la salvezza degli uomini; e quantunque essi si dimostrassero molto ingrati con le loro azioni, tu non hai cessato di soccorrerli con la tua misericordia. E per realizzare la salvezza e la restaurazione di tutti, tu hai preso me che sono della stessa natura di Adamo, e mi hai unito a te. In me si compiranno tutte le promesse e tutte le alleanze, e in me si realizzeranno i misteri e le figure che furono manifestati ai giusti. Perché sono senza macchia e ho adempiuto ogni giustizia, tu, per mio tramite, hai estirpato dall`umanità ogni peccato. E perché muoio senza essere colpevole e senza aver peccato, tu decreti, per mezzo mio, una risurrezione dei corpi per l`intera natura».
    Cosí il Figlio dell`Altissimo rese grazie a suo Padre e, donando il suo corpo e il suo sangue, pronunciò queste parole: «Questo è il mio corpo che io ho dato per i peccati del mondo, e questo, inoltre, è il mio sangue che ho voluto versare a causa delle offese. Chiunque mangia la mia carne con amore, e beve il mio sangue, vivrà per sempre; egli dimora in me, e io in lui. Fate cosí in memoria di me, all`interno delle vostre riunioni, e ricevete con fede il mio corpo e il mio sangue. Offrite il pane e il vino come io vi ho insegnato, e io agirò, facendo di essi il corpo e il sangue. Faccio del pane il corpo e del vino il sangue, per la venuta e l`opera dello Spirito Santo».
    Cosí parlò colui che dà la vita ai mondi, chiamando il pane suo corpo e il vino suo sangue. Non li denominò né simboli e neppure somiglianza, bensí corpo reale e sangue vero. Ed anche se la natura del pane e del vino è incommensurabilmente lontana da lui, tuttavia per il potere e per l`unione, il corpo è uno. Che gli angeli e gli uomini ti rendano grazie senza posa, Signore, Cristo, nostra speranza, che ti sei dato per noi! Per il suo potere, il corpo che i sacerdoti spezzano nella Chiesa, non fa che uno con il corpo che siede nella gloria alla destra del Padre. E cosí come il Dio di tutte le cose è unito alle «primizie» della nostra specie, del pari il Cristo è unito al pane e al vino che sono sull`altare. Ecco perché il pane è realmente il corpo di nostro Signore, e il vino, in senso proprio e vero, il suo sangue. Cosí ordinò a coloro che vi sono ammessi, di mangiare il suo corpo, e consigliò ai suoi fedeli di bere il suo sangue.
    Beato chi crede in lui e chi si fida della sua parola, poiché, se è morto, vivrà, se è vivo, non morirà per aver peccato!
    Gli apostoli adottarono con diligenza il comando del loro Signore, e lo trasmisero con cura a coloro che vennero dopo di loro. Esso è stato presente fino ad oggi nella Chiesa, e sarà conservato fino a quando Cristo stesso non abolisca il suo sacramento con la sua apparizione e la sua manifestazione.
    A tal fine, il sacerdote rende grazie davanti a Dio ed eleva la sua voce al termine della sua preghiera, per far sí che il popolo la senta. Fa sentire la sua voce e con la mano segna le offerte deposte sull`altare, e il popolo esprime il proprio assenso, dicendo: Amen!, approvando in tal modo la preghiera del sacerdote.

    (Narsaj il Lebbroso, Expositio myst.)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 28/08/2012 07:32
    XXI DOMENICA

    Letture: Giosuè 24,1-2a.15-17.18b
    Efesini 5,21-32
    Giovanni 6,61-70

    1. «Tu hai parole di vita eterna»

    L`evangelista ci racconta che il Signore restò con dodici discepoli, i quali gli dissero: "Ecco, Signore, quelli ti hanno abbandonato". E Gesú rispose: "Anche voi ve ne volete andare?" (Gv 6,67), volendo dimostrare che egli era necessario a loro, e non loro erano necessari a Cristo.
    Nessuno s`immagini d`intimorire Cristo, rimandando di farsi cristiano, quasi che Cristo sarà piú beato se ti farai cristiano. Diventare cristiano, è bene per te: perché, se non lo diverrai, con ciò non farai del male a Cristo. Ascolta la voce del salmo: "Ho detto al Signore: Tu sei il mio Dio, poiché non hai bisogno dei miei beni" (Sal 15,2). Perciò «Tu sei il mio Dio, poiché non hai bisogno dei miei beni». Se tu non sarai con Dio, ne sarai diminuito; ma Dio non sarà piú grande, se tu sarai con lui. Tu non lo fai piú grande, ma senza di lui tu diventi piú piccolo. Cresci dunque in lui, non ritrarti, quasi ne ricavasse una diminuzione. Se ti avvicini a lui, ne guadagnerai; ti distruggi, se ti allontani da lui. Egli non subisce mutamento, sia che tu ti avvicini, sia che tu ti allontani.
    Quando, dunque, egli disse ai discepoli: «Anche voi ve ne volete andare?», rispose Pietro, quella famosa pietra, e a nome di tutti disse: "Signore, a chi andremo noi? Tu hai parole di vita eterna" (Gv 6,68)...
    Il Signore si rivolse a quei pochi che erano rimasti: "Perciò Gesú disse ai dodici" - cioè a quei pochi che erano rimasti -: «"Anche voi ve ne volete andare?"» (Gv 6,67).
    Anche Giuda era rimasto. La ragione per cui era rimasto era già chiara al Signore, mentre a noi sarà chiara solo piú tardi. Pietro rispose per tutti, uno per molti, l`unità per la molteplicità: "Gli rispose Simone Pietro: «Signore, a chi andremo?"» (Gv 6,68). Se ci scacci da te, dacci un altro simile a te. «A chi andremo?». Se ce ne andiamo da te, da chi andremo?
    "Tu hai parole di vita eterna" (Gv 6,68). Vedete in qual modo Pietro, con la grazia di Dio, vivificato dallo Spirito Santo, ha capito le parole di Cristo. In che modo ha capito se non perché ha creduto? «Tu hai parole di vita eterna». Cioè, tu ci dai la vita eterna, nell`offrirci la tua carne e il tuo sangue.
    "E noi abbiamo creduto e abbiamo conosciuto" (Gv 6,69). Non dice Pietro, abbiamo conosciuto e abbiamo creduto, ma «abbiamo creduto e abbiamo conosciuto». Abbiamo creduto per poter conoscere; infatti se prima volessimo sapere e poi credere, non saremmo capaci né di conoscere né di credere. Che cosa abbiamo creduto e che cosa abbiamo conosciuto? "Che tu sei il Cristo Figlio di Dio (ibid.)", cioè che tu sei la stessa vita eterna, e tu ci dai, nella carne e nel sangue tuo, ciò che tu stesso sei.

    (Agostino, Comment. in Ioan., 11, 5; 27, 9)


    2. L`Eucaristia, pane spirituale

    Nella notte in cui nostro Signore Gesú Cristo fu tradito, prese il pane e dopo aver reso grazie lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: Prendete e mangiate, questo è il mio corpo. Poi prese il calice e reso grazie disse: Prendete e bevete, questo è il mio sangue (cf. 1Cor 11,23-25). Gesú stesso si è manifestato dicendo del pane: «Questo è il mio corpo». Chi avrebbe ora il coraggio di dubitarne? Egli stesso l`ha dichiarato dicendo: «Questo è il mio sangue». Chi lo metterebbe in dubbio dicendo che non è il suo sangue?
    Egli di sua volontà una volta cambiò a Cana di Galilea (cf. Gv 2,1-11) l`acqua in vino, e non è degno di fede se muta il vino in sangue? Invitato alle nozze fisiche fece questo miracolo strepitoso. E noi non lo confesseremo molto piú, avendo dato ai figli dello sposo (cf. Mt 9,15; Lc 5,34) la gioia del suo corpo e del suo sangue?
    Con ogni sicurezza partecipiamo al corpo e al sangue di Cristo. Sotto la specie del pane ti è dato il corpo, e sotto la specie del vino ti è dato il sangue perché tu divenga, partecipando al corpo e al sangue di Cristo, un solo corpo e un solo sangue col Cristo. Cosí diveniamo portatori di Cristo spandendosi il suo corpo e il suo sangue per le nostre membra. Cosí secondo il beato Pietro noi diveniamo "partecipi della natura divina" (2Pt 1,4).
    Una volta Cristo parlando ai giudei disse: "Se non mangiate la mia carne e non bevete il mio sangue non avete in voi la vita" (Gv 6,53). Quelli non intendendo spiritualmente le sue parole se ne andarono scandalizzati (cf. Gv 6,61.66), credendo che il Salvatore li invitasse alla sarcofagia.
    C`erano nell`Antico Testamento i pani della proposizione (cf. Lv 24,5-93; 1Mac 1,22; 2Mac 10,3) i quali proprio perché dell`Antico Testamento sono terminati. Nel Nuovo Testamento è un pane celeste e un calice di salvezza (cf. Sal 116,4) che santificano l`anima e il corpo. Come il pane è proprio per il corpo, cosí il Logos è proprio per l`anima.
    Non ritenerli come semplici e naturali quel pane e quel vino; sono invece, secondo la dichiarazione del Signore, il corpo e il sangue. Anche se i sensi ti inducono a questo, la fede però ti sia salda. Non giudicare la cosa dal gusto, ma per fede abbi la piena convinzione tu che sei giudicato degno del corpo e del sangue di Cristo...
    Avendo appreso queste cose hai piena coscienza che ciò che ti pare pane non è pane, anche se al gusto è tale, ma corpo di Cristo, e il vino che pare vino non è vino, anche se il gusto l`avverte come tale, ma sangue di Cristo. Di ciò anticamente David cantando disse: "Il pane fortifica il cuore dell`uomo, e il suo volto brilla d`olio" (Sal 104,15). Fortifica il tuo cuore, prendendo il pane come spirituale e si rallegri il volto della tua anima. Il tuo volto discoperto in una coscienza pura possa riflettere come in uno specchio la gloria del Signore (cf. 2Cor 3,18) e progredire di gloria in gloria nel Cristo Gesú nostro Signore al quale sia gloria nei secoli dei secoli.

    (Cirillo di Gerus., Catech. IV mist., 1-6.9)


    3. I sacrifici dell`Antico e del Nuovo Testamento

    Ritieni con somma fermezza e non dubitare affatto che lo stesso Verbo di Dio, unigenito e fatto carne, offrí se stesso per noi in sacrificio e ostia a Dio, in odore di soavità (cf. Ef 5,2). A lui, al tempo dell`Antico Testamento, insieme con il Padre e lo Spirito Santo, venivano sacrificati gli animali, dai patriarchi, dai profeti e dai sacerdoti; a lui ora, ai tempi del Nuovo Testamento, insieme con il Padre e lo Spirito Santo - con i quali egli ha l`identica natura divina - la santa Chiesa cattolica non cessa di offrire su tutta la terra, in fede e amore, il sacrificio del pane e del vino. Quelle vittime carnali erano una raffigurazione della carne di Cristo che egli, senza peccato, avrebbe immolato per i nostri peccati, e del sangue che avrebbe sparso in remissione dei nostri peccati.
    Questo sacrificio invece, è un ringraziamento e una commemorazione della carne di Cristo che egli offrí per noi, e del sangue che Dio stesso versò per noi. Di lui dice il beato Paolo negli Atti degli Apostoli: "Badate a voi e a tutto il gregge, in cui lo Spirito Santo vi ha posti come sovrintendenti per reggere la Chiesa di Dio, che ha acquistato con il suo sangue" (At 20,28). Quei sacrifici dunque rappresentavano simbolicamente ciò che a noi sarebbe stato donato; questo sacrificio invece mostra chiaramente ciò che ci è già stato donato. Quei sacrifici annunciavano che il Figlio di Dio sarebbe stato ucciso per i peccatori, questo invece annuncia che il Figlio di Dio è già stato ucciso per i peccatori, come attesta l`Apostolo che Cristo, "quando noi eravamo ancora infermi, a tempo opportuno, è morto per gli empi" (Rm 5,6) "e che quando eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del suo Figlio" (Rm 5,10).

    (Fulgenzio di Ruspe, De fide, 19, 60)


    4. Noi siamo in Cristo un solo corpo, come l`acqua e il vino nel calice

    In verità, poiché noi tutti portava il Cristo, il quale portava altresí i nostri peccati, possiamo veder simboleggiati nell`acqua il popolo e nel vino il sangue di Cristo. Quando, in effetti, acqua e vino si mescolano nel calice, il popolo è raccolto in Cristo e la massa dei credenti si unisce e congiunge a lui, nel quale ha creduto. Una unione e congiunzione di acqua e vino, risultante da una mescolanza tale nel calice del Signore, che quella commistione non può piú vicendevolmente separarsi.
    Di qui la conseguenza che neppure la Chiesa, cioè il popolo costituito come Chiesa, perseverante fedelmente e fermamente in ciò che ha creduto, nessuna cosa potrà separare da Cristo, sí da essere sempre unita e da restare un amore indivisibile.
    Dimodoché, il calice del sacrificio del Signore non può essere offerto con la sola acqua, e neppure con il solo vino. Infatti, se uno, per caso, offrisse il solo vino, il sangue di Cristo comincerebbe ad essere senza di noi; se invece fosse solo l`acqua, il popolo resterebbe senza Cristo. Quando poi l`uno e l`altra si mescolano e le confuse adunanze si uniscono tra loro vicendevolmente, allora si compie il sacramento spirituale e celeste. Per cui, il calice del Signore non è né la sola acqua, e neppure il solo vino, se l`uno e l`altra non si mescolano tra loro, come pure il corpo del Signore non può essere fatto di sola farina o di sola acqua, se entrambe non siano state radunate e congiunte sí da formare un solo pane solidamente compaginato.
    Ed è in questo stesso sacramento che il nostro popolo si mostra radunato; sicché, come molti chicchi raccolti insieme, macinati e intrisi formano un unico pane, cosí del pari in Cristo che è il pane del cielo, sappiamo di essere un sol corpo, nei quale noi tutti veniamo radunati e compaginati.

    (Cipriano di Cartagine, Epist., 63, 13)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 28/08/2012 07:33
    XXII DOMENICA

    Letture: Deuteronomio 4,1-2.6-8
    Giacomo 1,17-18.21b-22.27
    Marco 7,1-8a.14-15.21.23

    1. L`esteriorità inquina l`uomo

    E si radunarono presso di lui i farisei e alcuni scribi venuti da Gerusalemme. I quali avendo visto alcuni dei discepoli di lui che mangiavano il pane con mani impure, cioè non lavate, li rimproverarono (Mc 7,1-2).
    Quanto è giusta quella lode che rivolge al Padre il Signore dicendo: "Hai nascosto queste cose ai sapienti e ai saggi e le hai rivelate ai piccoli!" (Mt 11,25). Gli uomini della terra di Gennesaret, che erano considerati uomini ignoranti, non soltanto personalmente accorrono dal Signore, ma portano con sé i loro infermi, anzi li trasportano sulle lettighe, affinché possa capitare loro almeno di toccare la frangia del suo vestito ed essere salvati: per questo ottengono subito la meritata ricompensa della salvezza che avevano desiderata. Al contrario, i farisei e gli scribi, che dovevano essere maestri del popolo, accorrono dal Signore non per ascoltare la sua parola, non per ottenere la guarigione, ma soltanto per sollevare questioni e contrasti. Rimproverano i discepoli di non aver lavate le mani del corpo, benché non riuscissero a trovare nelle loro opere, compiute con le mani o con le altre membra del corpo, alcuna impurità; avrebbero fatto meglio a incolpare sé stessi, che pur avendo le mani ben lavate con l`acqua, recavano la coscienza insozzata dall`invidia.
    I farisei infatti e tutti i giudei, attaccati alla tradizione degli antichi, non mangiano se non si sono accuratamente lavate le mani, e non prendono cibo, di ritorno dal mercato, se non si sono prima purificati (cf.Mc 7,3-4).
    E una superstiziosa tradizione quella di lavarsi ripetutamente, dopo essersi già lavati, per mangiare il pane, e non prendere cibo di ritorno dal mercato senza essersi prima purificati. Ma è necessario l`insegnamento della verità, secondo il quale coloro che desiderano aver parte al pane della vita che discende dal cielo, debbono purificare le loro opere con il frequente lavacro delle elemosine, delle lacrime e degli altri frutti della giustizia, per poter partecipare ai misteri celesti in purezza di cuore e di corpo. E` necessario che le impurità di cui ciascuno si macchia nell`occuparsi degli affari terreni, siano purificate dalla successiva presenza dei buoni pensieri e delle buone azioni, se egli desidera godere dell`intimo ristoro di quel pane. Ma i farisei che accoglievano carnalmente le parole spirituali dei profeti - i quali ordinavano la purificazione del cuore e delle opere dicendo: "Lavatevi, siate puri, e purificatevi voi che portate i vasi del Signore" (Is 1,16) - osservavano tali precetti soltanto purificando il corpo (cf.Is 52,11). Ma invano i farisei, invano i giudei tutti si lavano le mani e si purificano tornando dal mercato, se rifiutano di lavarsi alla fonte del Salvatore. Invano osservano la purificazione dei vasi coloro che trascurano di lavare la sporcizia dei loro cuori e dei loro corpi, quando è fuor di dubbio che Mosè e i profeti - i quali ordinarono sia di lavare con l`acqua i vasi del popolo di Dio, sia di purificarli col fuoco, sia di santificarli con l`olio - non stabilirono tali prescrizioni per un motivo generico o per ottenere la purificazione di questi oggetti materiali, ma piuttosto per comandarci la purificazione e la santificazione degli spiriti e delle opere e la salvezza delle anime.

    (Beda il Venerabile, Evang. Marc., 2, 7, 1-4)


    2. I comandamenti dell`Antico e del Nuovo Testamento

    Da parte del Padre, poi, egli ha portato la libertà a coloro che lo servivano con fedeltà, con prontezza e di tutto cuore invece a coloro che lo disprezzavano, che non ubbidivano a Dio, ma per semplice gloria umana cercavano la mondezza esteriore -mondezza che era una semplice figura degli eventi futuri, una semplice ombra: la legge infatti prescriveva e delineava con mezzi temporanei le realtà eterne, e con mezzi terrestri le realtà del cielo - ma dentro erano pieni di ipocrisia, di cupidigia e di ogni malvagità... a costoro ha portato la perdizione, il taglio definitivo dalla vita.
    Di fatto la tradizione dei loro anziani, che fingevano di osservare la legge, era invece contraria alla legge data da Mosè. Per questo dice Isaia: "I tuoi osti aggiungono acqua al vino" (Is 1,22), mostrando cosí che gli anziani mistificavano gli austeri precetti di Dio con tradizioni annacquate, con una legge cioè adulterata e contraria alla vera legge. Anche il Signore lo dichiarò, dicendo loro: "Perché trasgredite il precetto di Dio per la vostra tradizione?" (Mt 15,3). Non contenti di violare la legge con l`inosservanza e di mescolare l`acqua al vino, promulgarono una legge contraria, che resta fino ad oggi e si chiama «legge farisaica». In essa hanno abrogato alcune disposizioni, altre ne hanno aggiunte e altre poi le interpretano come vogliono; i loro maestri le applicano a loro capriccio. Per rivendicare le loro tradizioni, non vollero sottomettersi alla legge che li preparava alla venuta di Cristo; anzi rimproverarono il Signore perché guariva di sabato (il che, come abbiamo detto, non era vietato dalla legge; anch`essa in un certo senso curava, circoncidendo l`uomo di sabato), ma non sapevano rimproverare a sé stessi di trasgredire il precetto di Dio per la tradizione e per la suddetta legge farisaica, e di non avere quello che è l`essenziale della legge, cioè l`amore verso Dio.
    Questo è infatti il primo e sommo comandamento, e il secondo è l`amore verso il prossimo. Ce l`ha insegnato il Signore, soggiungendo che da questi due precetti dipendono tutta la legge e i profeti. Egli poi non diede un altro precetto superiore a questo, ma lo rinnovò comandando ai suoi discepoli di amare Dio con tutto il cuore e il prossimo come sé stessi...
    Paolo dice: "L`amore è l`adempimento della legge" (1Cor 13,13), e soggiunge che quando tutto il resto verrà abolito, rimarranno la fede, la speranza e l`amore; ma piú grande di tutto è l`amore. Afferma poi che senza l`amore verso Dio, nulla giovano né la gnosi né la comprensione dei misteri né la fede né la profezia: tutto è inutile e vuoto, senza amore. L`amore rende l`uomo perfetto; chi ama Dio è perfetto in questo secolo e nel secolo futuro; mai infatti cesserà il nostro amore per Dio: quanto piú lo contempleremo, tanto piú lo ameremo...
    "Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei; tutto quello che vi dicono, fatelo dunque ed osservatelo; ma non agite come loro agiscono: infatti dicono e non fanno. Confezionano grossi fardelli e li pongono sulle spalle degli uomini, ma loro non li vogliono spostare neppure con un dito" (Mt 23,2s). Non denunciava la legge data da Mosè - che anzi invitava ad osservare fino a quando sarebbe esistita Gemsalemme - ma rimproverava coloro che avevano sulle labbra le frasi della legge, ma non avevano amore ed erano perciò ingiusti verso Dio e verso il prossimo. Cosí aveva detto Isaia: "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me; è inutile il culto che mi rendono, perché insegnano dottrine e comandamenti umani" (Is 29,13). Non chiamava comandamenti umani la legge data da Mosè, ma le tradizioni degli anziani, che quelli si erano congegnate e pretendevano di osservare violando la legge di Dio e disubbidendo perciò al suo Verbo.

    (Ireneo di Lione, Adv. haer., 4, 11, 4-12)


    3. L`amore verso i genitori

    Ma c`è un onore non solo di ossequio, ma anche di liberalità: "Onora le vedove, che sono veramente vedove" (1Tm 5,3). Onorare, infatti, significa trattare secondo i meriti.
    Nutri dunque tuo padre, nutri tua madre. E se nutrirai tua madre, non la ricompenserai certo per il dolore, per i tormenti ch`ella ha sofferto per te, non le restituirai le cure che per te ha avuto, non le renderai il cibo che ella ti ha dato con tenera pietà versando il latte delle sue mammelle nelle tue labbra, non le restituirai la fame che ha sopportato per te, quando non mangiava ciò che poteva nuocerti, ciò che poteva sciupare il suo latte. Per te ella ha digiunato, per te ha mangiato, per te non ha preso il cibo che desiderava e ha preso quello che non le piaceva, per te ha vegliato, per te ha pianto: e tu puoi tollerare che le manchi qualcosa? Oh, figlio, quale condanna ti attiri sulla testa, se non nutri tua madre? A lei devi ciò che hai, a lei devi ciò che sei...
    Tu forse dai agli altri? E se questi ti obietteranno: va` prima a nutrire tua madre? Infatti, anche se sono poveri, essi non vogliono fruire di un`empia elemosina. Non hai udito parlare poco fa di quel ricco, disteso sul letto di porpora e di bisso e dal cui tavolo Lazzaro raccoglieva le briciole, il quale ha subíto le torture dell`eterno supplizio per non aver dato cibi al povero? Se è grave colpa non dare agli estranei, quanto piú grave è escludere i genitori !
    Tu potresti replicare che preferisci donare alla Chiesa ciò che potresti dare ai tuoi genitori: ebbene, Dio non ti chiede un dono fondato sulla fame dei tuoi genitori. Non a caso il Signore, ai giudei che si lamentavano perché i discepoli di Cristo non si lavavano le mani, ha risposto: "Chiunque dirà: - E` sacra offerta il sussidio che dovrei darti, - non onora il padre e la madre" (Mt 15,5-6).

    (Ambrogio, Exp. in Luc., 8, 75.77)


    4. Le cose che macchiano l`uomo

    Dio, infatti, non richiede dall`uomo se mentre sta per mangiare si lava le mani, ma se ha il cuore puro e la coscienza monda dalle impurità dei peccati.
    In effetti, cosa giova lavare le mani ed avere la coscienza macchiata ?
    Quindi i discepoli del Signore poiché erano puri di cuore e preferivano una coscienza monda ed immacolata, non davano importanza a lavarsi le mani, che con tutto il corpo, insieme, nel battesimo avevano lavato, mentre il Signore diceva a Pietro: "Chi una volta è lavato, non ba bisogno di lavarsi di nuovo, ma è tutto puro, come siete voi" (Gv 13,10). Invece, che quel lavacro dei Giudei fosse necessario al popolo, il Signore da tempo lo aveva mostrato per mezzo del profeta, dicendo: "Lavatevi, siate puri, togliete l`iniquità dai vostri cuori" (Is 1,16). Con questo lavacro, quindi, fu prescritto non che si lavassero le mani, ma che togliessero le iniquità dai loro cuori. Per questo, se gli scribi e i farisei, avessero voluto capire o accettare questa celeste purificazione non si lamenterebbero mai delle mani impure.
    Per mostrare ancora piú ampiamente inutile il rimprovero degli scribi e dei farisei sulle mani non lavate, il Signore, chiamata a sé la folla disse: "Non ciò che entra nella bocca macchia l`uomo, ma ciò che esce lo rende impuro" (Mt 15,11) dimostrando che non dal cibo che entra per la bocca, ma piuttosto dai cattivi pensieri dell`anima, che provengono dal cuore, l`uomo si rende immondo. I cibi, infatti, che prendiamo da ingerire, sono stati creati da Dio per l`uso della vita umana e benedetti, e perciò non possono macchiare l`uomo.
    Ma i cattivi e contrari pensieri che provengono dal cuore, come lo stesso Signore ha interpretato, cioè, "gli omicidi, gli adulteri, le impurità, i furti, le false testimonianze, le bestemmie" (Mt 15,19) e tutte le altre azioni malvagie, che provengono dal demonio, che ne è l`autore, queste sono le cose che veramente macchiano l`uomo.

    (Cromazio di Aquileia, In Matth., Tract., 53, 1 s.)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 04/09/2012 09:06
    XXIII DOMENICA

    Letture: Isaia 35,4-7a
    Giacomo 2,1-5
    Marco 7,31-37

    1. Il sordomuto

    E gli conducono un sordomuto e lo pregano di imporre su di lui la mano (Mc 7,32).
    Il sordomuto è colui che non apre le orecchie per ascoltare la parola di Dio, né apre la bocca per pronunziarla. E` necessario perciò che coloro i quali, per lunga abitudine, hanno già appreso a pronunziare e ascoltare le parole divine, siano loro a presentare al Signore, perché li risani, quelli che non possono farlo per l`umana debolezza; cosí egli potrà salvarli con la grazia che la sua mano trasmette.
    "Ed egli, traendolo in disparte dalla folla, separatamente mise le sue dita nelle orecchie di lui" (Mc 7,33).
    Il primo passo verso la salvezza è che l`infermo, guidato dal Signore, sia portato in disparte, lontano dalla folla. E questo avviene quando, illuminando l`anima di lui prostrata dai peccati con la presenza del suo amore, lo distoglie dal consueto modo di vivere e lo avvia a seguire la strada dei suoi comandamenti. Mette le sue dita nelle orecchie quando, per mezzo dei doni dello Spirito Santo, apre le orecchie del cuore a intendere e accogliere le parole della salvezza. Infatti lo stesso Signore testimonia che lo Spirito Santo è il dito di Dio, quando dice ai giudei: "Se io scaccio i demoni col dito di Dio, i vostri figli con che cosa li scacciano?" (Lc 11,19-20). Spiegando queste parole un altro evangelista dice: "Se io scaccio i demoni con lo Spirito di Dio" (Mt 12,28). Gli stessi maghi d`Egitto furono sconfitti da Mosè in virtù di questo dito, dato che riconobbero: "Qui è il dito di Dio" (Es 8,18-19); infine la legge fu scritta su tavole di pietra (cf. Es 31,18); in quanto, per mezzo del dono dello Spirito Santo, siamo protetti dalle insidie degli uomini e degli spiriti maligni, e veniamo istruiti nella conoscenza della volontà divina. Ebbene, le dita di Dio messe nelle orecchie dell`infermo che doveva essere risanato, sono i doni dello Spirito Santo, che apre i cuori che si erano allontanati dalla via della verità all`apprendimento della scienza della salvezza...
    "E levati gli occhi al cielo, emise un gemito e pronunciò: «Effata», cioè «apriti»" (Mc 7,34).
    Ha levato gli occhi al cielo per insegnare che dobbiamo prendere da lí la medicina che dà la voce ai muti, l`udito ai sordi e cura tutte le altre infermità. Ha emesso un gemito non perché abbia bisogno di gemere per chiedere qualcosa al Padre colui che in unità col Padre dona ogni cosa a coloro che chiedono, ma per presentarsi a noi come modello di sofferenza quando dobbiamo invocare l`aiuto della divina pietà per i nostri errori oppure per le colpe del nostro prossimo.
    "E subito si aprirono le orecchie di lui e subito si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente" (Mc 7,35).
    In questa circostanza sono chiaramente distinte le due nature dell`unico e solo Mediatore tra Dio e gli uomini. Infatti, levando gli occhi al cielo per pregare Dio, sospira come un uomo, ma subito guarisce il sordomuto con una sola parola, grazie alla potenza che gli deriva dalla divina maestà. E giustamente si dice che «parlava correttamente» colui al quale il Signore aprí le orecchie e sciolse il nodo della lingua. Parla infatti correttamente, sia confessando Dio, sia predicandolo agli altri, solo colui il cui udito è stato liberato dalla grazia divina in modo che possa ascoltare e attuare i comandamenti celesti, e la cui lingua è stata posta in grado di parlare dal tocco del Signore, che è la Sapienza stessa. Il malato cosí risanato può giustamente dire col salmista: "Signore, apri le mie labbra, e la mia bocca annunzierà la tua lode" (Sal 50,17), e con Isaia: "Il Signore mi ha dato una lingua da discepolo affinché sappia rianimare chi è stanco con la parola. Ogni mattina mi sveglia l`orecchio, perché ascolti, come fanno i discepoli" (Is 50,4).
    "E ordinò loro di non dirlo a nessuno. Ma quanto piú cosí loro ordinava, tanto piú essi lo divulgavano e, al colmo dello stupore, dicevano: «Ha fatto tutto bene; ha fatto udire i sordi e parlare i muti»" (Mc 7,36-37).
    «Se il Signore, che conosceva le volontà presenti e future degli uomini, sapeva che costoro avrebbero tanto piú annunziato i suoi miracoli quanto piú egli ordinava loro di non divulgarli, perché mai dava quest`ordine, se non per dimostrare con quanto zelo e con quanto fervore dovrebbero annunziarlo quegli indolenti ai quali ordina di annunziare i suoi prodigi, dato che non potevano tacere coloro cui egli ordinava di non parlare? «(Agostino).

    (Beda il Vener., In Evang. Marc., 2, 7, 32-37)


    2. Ottenuto il perdono, persevera!

    Ieri eri la Cananea, piegata a terra dal peccato; oggi, grazie al Verbo, stai dritta. Non ti far piegare un`altra volta, come da un giogo posto sul tuo collo dal demonio, che ti opprime al punto da non consentirti di raddrizzarti. Ieri perivi per il tuo flusso di sangue, perché un rosso e sanguigno peccato veniva fuori da te, oggi, fermato il profluvio, torni a fiorire. Hai toccato la frangia del mantello di Cristo e il sangue s`è fermato. Fa` in modo che la purificazione duri, per non ricadere nella malattia, perché non sai se poi riuscirai un`altra volta a toccar il lembo di Cristo, per ricuperar la salute. Cristo non ha piacere che gli si porti via troppe volte qualche cosa, anche se è tanto benevolo e accessibile. Ieri stavi in un letto, inerte, e non avevi uno che ti calasse nell`acqua al movimento dell`angelo; oggi hai trovato l`uomo, che è lo stesso Dio e, piú precisamente, è uomo e Dio. Sei stato sollevato dal tuo lettuccio, anzi, hai sollevato tu il tuo lettuccio e lo hai mostrato, come un monumento del beneficio che avevi ricevuto. Stai attento a non ritornare, tornando al peccato, nell`inerzia di quel lettuccio. Al contrario, allontanati e ricorda il precetto: "Ecco, sei guarito; non peccare piú, percbé non ti accada di peggio" (Gv 5,14), se dopo un tal beneficio sei trovato cattivo. Sentisti, mentre giacevi nel sepolcro, questa voce potente - che cosa è piú forte della voce del Verbo? - "Lazzaro vieni fuori" (Gv 11,43); e sei venuto fuori, non dopo solo quattro giorni, ma dopo tanti, e sei tornato alla vita libero dai vincoli della morte, insieme a quel morto di tre giorni. Guarda di non morire un`altra volta e di non finire ancora, con le funi dei tuoi peccati, tra coloro che abitano nei sepolcri; non sai se sarai risuscitato un`altra volta dal sepolcro, prima dell`ultima e universale risurrezione, la quale porterà al giudizio tutte le tue azioni, non per curarle, ma per giudicarle, e perché ne renda conto...
    Fino a ieri l`avarizia faceva secca la tua mano, oggi la faccia morbida la beneficenza. E` una splendida cura della mano il distribuire, il dare ai poveri le cose di cui abbondiamo, darle fino a toccare il fondo (forse da quel fondo verrà il tuo alimento, come avvenne una volta alla vedova di Sarefta, specialmente se ti capiterà di nutrire Elia); sappi che è distinta ricchezza il soffrire indigenza per quel Cristo, che per noi soffrí la povertà. Se eri sordo e muto, risuoni il Verbo alle tue orecchie; o, piuttosto, trattieni colui che ha parlato, perché all`ammonizione del Signore non presenti, come un serpente incantato, delle orecchie serrate. Se sei cieco, illumina i tuoi occhi, per non addormentarti nella morte. Nella luce del Signore fissa la luce, nello Spirito di Dio riconosci il Figlio, riconosci dico, Dio trino, quella luce una e indivisa. Se accetti Cristo interamente, puoi raccogliere nella tua anima tutte le guarigioni con le quali tutti i malati uno alla volta furono guariti. Stai solo attento a non ignorare la grandezza della grazia, perché, mentre tu dormi e non sei ben saldo, il nemico non ti semini della zizzania. Stai anche attento che, vittima dell`invidia del demonio per la tua purità, non ti riduci un`altra volta alla miseria. Stai attento che, concedendoti troppo alla gioia d`una opera buona, non t`invanisca e abbia a cadere, mentre ti porti troppo in alto. Stai attento a non rallentar mai la cura della tua purificazione; cerca di crescere, anzi, e con molta diligenza proteggi il perdono ricevuto per grazia di Dio; in modo che si possa dire che, mentre il perdono è venuto da Dio, la conservazione della remissione è anche opera tua.

    (Gregorio di Nazianzo, Oratio LX, in sanat. Bapt., 33 s.)


    3. Anche nella Chiesa si operano le guarigioni

    E quando tu vedi, nell`assemblea di ciò che si chiama piú comunemente Chiesa, respinti dietro gli ultimi membri di questa Chiesa, come ai piedi del corpo di Gesú, i catecumeni che si presentano, ciascuno con la propria sordità, cecità, claudicazione, deformità, e che, col tempo, sono guariti secondo la parola (di Gesú) (cf.Mt 11,5), non avresti torto a dire che tali uomini, dopo essersi inerpicati, con le folle della Chiesa, su per la montagna dov`era Gesú, si sono gettati ai suoi piedi, curati da lui, tanto che la folla della Chiesa si stupisce (cf.Mt 15,29-31) dinanzi a un tale miglioramento di cosí gravi infermità, e potrebbe dire: Coloro che, un tempo erano sordomuti dicono la parola di Dio e gli zoppi camminano (cf. Mt 11,5), poiché si compie non soltanto nel corpo ma anche nello spirito, la profezia di Isaia che dice: "Lo zoppo salterà come un cervo e si scioglierà la lingua del muto" (Is 35,6). E non è per caso che, in questo testo, troviamo le parole: «Lo zoppo salterà come un cervo», diremo che non è inutile il paragone tra il cervo, l`animale puro e nemico dei serpenti, che resta immune dal loro veleno, e coloro che un tempo sono stati zoppi e, grazie a Gesú, saltano come un cervo. E si compie anche, nella misura in cui si vede che i sordomuti parlano, la profezia che dice: «E la lingua dei muti si scioglierà», o meglio ancora quella che dichiara: "Sordi, ascoltate" (Is 42,18). Poi i ciechi vedono, conformemente alla profezia, la quale, dopo aver detto: «Sordi, ascoltate», aggiunge: "Ciechi, recuperate la vista per vedere" (Is 42,18). Ed essi, i ciechi, vedono allorché, alla presenza del mondo, dalla grandezza e belleza delle creature per analogia contemplano il loro autore (cf. Sap 13,5), e quando: dalla creazione del mondo contemplano ciò che di lui (Dio) è invisibile e ciò che è percepito grazie alle sue opere (cf.Rm 1,20), il che significa che, in forza della loro attenzione, vedono e comprendono chiaramente.

    (Origene, Comment. in Matth., 11, 18)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 10/09/2012 08:17
    XXIV DOMENICA

    Letture: Isaia 50,5-9a
    Giacomo 2,14-18
    Marco 8,27-35

    1. Le due nature in Cristo

    A proposito di questa unità della persona da intendersi nelle due nature, si legge che il figlio dell`uomo è disceso dal cielo, quando il Figlio di Dio assunse carne dalla Vergine da cui nacque. E si dice ancora che il Figlio di Dio fu crocifisso e sepolto, per quanto egli abbia sofferto tutto ciò non nella sua divinità, per la quale l`Unigenito è coeterno e consustanziale al Padre, ma nella debolezza della natura umana. Per questo tutti professiamo nel Simbolo che l`unigenito Figlio di Dio fu crocifisso e sepolto, secondo quanto dice l`Apostolo: "Se infatti lo avessero saputo, non avrebbero mai crocifisso il Signore della maestà" (1Cor 2,8). E lo stesso Signore nostro e Salvatore, volendo ammaestrare nella fede i suoi discepoli, li interrogò chiedendo loro: «La gente chi dice che sia io, Figlio dell`uomo?». E avendo quelli riferito alcune opinioni altrui, disse: «Ma voi, chi dite che io sia?». Chi dite che sia io, proprio io, che sono figlio dell`uomo, che voi vedete in condizione di schiavo, in una carne vera? E allora san Pietro divinamente ispirato, per giovare con la sua professione a tutte le genti disse: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16). E ben giustamente il Signore lo proclamò beato e a buon diritto dalla pietra angolare (Cristo) egli derivò la forza e il nome, perché per divina rivelazione egli lo proclamò messia e insieme Figlio di Dio. Accettare una di queste due realtà senza l`altra, nulla avrebbe giovato alla salvezza, ed era ugualmente pericoloso credere che il Signore Gesú Cristo fosse solamente Dio e non uomo, o solo uomo e non Dio... La Chiesa cattolica vive e cresce in questa fede: in Gesú, non crede all`umanità senza vera divinità, e neppure alla divinità senza vera umanità.

    (Leone Magno, Epist. 28, ad Flav.)


    2. «Preziosa è agli occhi del Signore la morte dei suoi santi»

    Infatti, per tutti quelli che muoiono professando la fede in Cristo anche senza aver ricevuto il lavacro della nuova vita, tanto vale ciò, a cancellare i loro peccati, quanto il lavacro del sacro fonte battesimale. Infatti colui che ha detto: "Se qualcuno non sarà nuovamente nato dall`acqua e dallo Spirito Santo, non entrerà nel regno dei cieli" (Gv 3,5) ha fatto per loro un`eccezione affermando, in senso non meno generale: "Chi mi confesserà davanti agli uomini, anch`io lo confesserò davanti al Padre mio che è nei cieli" (Mt 10,32); e in un altro luogo: "Chi perderà la sua anima per me, la troverà" (Mt 16,25). Ecco perché sta scritto: "Preziosa è agli occhi del Signore la morte dei suoi santi" (Sal 115,15). Cosa infatti è piú prezioso della morte per la quale tutti i delitti vengono rimessi e i meriti aumentano a cumuli?

    (Agostino, De civit. Dei, 13, 7)


    3. Gesú sottolinea il motivo per cui soffrire

    «Chi vuol venire dietro a me»: cioè chiunque, uomo, donna, re, schiavo, s`incammini per questa via. E sembra esprimere qui una sola cosa, ma in realtà ne dice tre: «rinunzi a se stesso», «e prenda la sua croce», «e mi segua». Le prime due esortazioni sono congiunte, mentre la terza è proposta indipendentemente.
    Esaminiamo dapprima cosa vuol dire rinunziare a sé stessi. Per questo dobbiamo anzitutto capire cosa significhi rinunziare a un altro: comprenderemo allora che cosa voglia dire rinunziare a se stesso. Chi rinunzia a qualcuno, per esempio, a un fratello, a un servo o a chiunque altro, anche se lo vede frustato a sangue, incatenato, condotto a morte, sofferente per qualunque altro male, non s`avvicina, né gli porta aiuto, non piange, non s`addolora per lui, come se una volta separato da lui gli fosse completamente estraneo. Nello stesso modo il Signore vuole che noi non facciamo piú caso né risparmiamo il nostro corpo. Cosí quand`anche fosse flagellato, trafitto, gettato nelle fiamme, o dovesse sopportare qualunque altro tormento, noi non dovremmo avere riguardo né compassione per le sue sofferenze. Ma ciò significa risparmiare veramente e aver considerazione per il proprio corpo. I padri non mostrano mai tanta considerazione per i loro figli come quando li affidano a maestri, ordinando loro di non aver riguardo per essi. Cosí fa anche Cristo e non dice soltanto di non risparmiare e di non aver riguardo per sé stessi, ma con vigore ancor piú grande esorta a rinunziare a sé, il che vuol dire: non aver niente a che vedere e fare con sé stessi, ma abbandonarsi ai pericoli e alle lotte, senza avere reazioni come se fosse un altro a soffrire. E non dice: neghi, ma «rinneghi», rinunzi, manifestando, mediante questa piccola aggiunta, l`estremo grado del rinnegamento.
    «E prenda la sua croce». Si tratta di un`ulteriore conseguenza della rinunzia a sé stessi. Affinché non si creda che tale rinunzia consista semplicemente nel subire ingiurie e oltraggi a parole, il Signore sottolinea fin dove dobbiamo spingere il nostro rinnegamento: sino alla morte, e a una morte infamante. Non dice perciò: rinneghi se stesso sino alla morte, ma «prenda la sua croce», dichiarando apertamente di quale morte ignominiosa si tratti, e che si deve fare ciò non una o due volte, ma tutta la nostra vita. Porta ovunque e sempre con te questa morte - egli dice in altri termini - e ogni giorno sii pronto a lasciarti uccidere. Molte persone infatti hanno disprezzato le ricchezze, i piaceri e la gloria, ma non hanno superato il timore dei pericoli e della morte. Io voglio invece - continua Cristo - che il mio discepolo, il mio atleta lotti sino al sangue e affronti combattimenti fino alla morte. Se è necessario pertanto subire la morte e la morte piú vergognosa ed esecrabile, anche per un ingiusto sospetto, tutto devi sopportare coraggiosamente e, ancor piú, rallegrarti per questo.
    «E mi segua». Può accadere, infatti, che colui che soffre, non segua Cristo, in quanto non soffre per lui. Perché allora nessuno pensi che basti semplicemente soffrire, Gesú sottolinea in particolare quale deve essere il motivo delle nostre sofferenze. Qual è? Che si faccia ogni cosa e si soffra, seguendo lui; che tutto si sopporti per amor suo e che si mettano in pratica anche le altre virtù.

    (Giovanni Crisostomo, Comment. in Matth., 55, 1 s.)


    4. La sequela di Cristo esige fede e semplicità

    E` cosí che Abramo fu chiamato e uscí alla sequela di Dio: egli non si fece giudice della parola rivoltagli e non si sentí impedito dall`attaccamento alla razza e ai parenti, al paese e agli amici, né da altri vincoli umani; ma appena intese la parola e seppe che era di Dio, l`ascoltò semplicemente e, in spirito di fedeltà, la ritenne veritiera; disprezzò tutto e uscí con la semplicità della natura che non agisce con astuzia e per il male...
    Dio non gli rivelò qual fosse questo paese per far trionfare la sua fede e mettere in risalto la sua semplicità; e quantunque sembri che lo conducesse al paese di Canaan, gli prometteva di mostrargli un altro paese, quello della vita che è nei cieli, secondo la testimonianza di Paolo: "Egli aspettava la città dalle solide fondamenta, il cui architetto e cosruttore è Dio" (Eb 11,10). E ha detto ancora: "E` certo che ne desideravano una migliore del paese di Canaan, cioè quella celeste" (Eb 11,16). E per insegnarci chiaramente che quello che egli prometteva di mostrare ad Abramo non era il paese della promessa corporale, Dio lo fece dimorare ad Haran dopo averlo fatto uscire da Ur dei Caldei, e non lo introdusse nel paese di Canaan subito dopo la sua uscita; e affinché Abramo non pensasse aver inteso l`annuncio di una ricompensa e non uscisse per questa ragione secondo la parola di Dio, non gli fece conoscere fin dall`inizio il nome del paese dove lo conduceva.
    Considera perciò quella uscita, o discepolo, e sia la tua come quella; non tardare a rispondere alla viva voce di Cristo che ti ha chiamato. Là, egli non chiamava che Abramo: qui, nel suo Vangelo, egli chiama e invita a uscire alla sua sequela tutti quelli che lo vogliono, invero, è a tutti gli uomini che egli ha rivolto la sua chiamata quando ha detto: "Chi vuol venire dietro a me, rinunci a se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mt 16,24; Mc 8,34; Lc 9,23); e mentre là non ha scelto che Abramo, qui, invita tutti a divenire simili ad Abramo.

    (Filosseno di Mabbûg, Hom., 4, 75 s.)


    5. Dio va anteposto anche al valore della vita

    "Chi vorrà salvare la propria vita la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia la salverà" (Mc 8,35). E` come se si dicesse al contadino: Se tu serbi il tuo grano lo perdi; se invece lo semini, lo rinnovi. Chi ignora, infatti, che il grano, una volta seminato sparisce alla vista e muore sotto terra? Ma proprio perché marcisce nella polvere, vigoreggia poi rinnovato!
    Per la Chiesa, vi è un tempo di persecuzione e un tempo di pace; e il Redentore dà precetti diversi a seconda dei vari tempi. In tempo di persecuzione, ordina di dare la propria vita; in tempo di pace, impone di dominare quei desideri terreni che piú si rivelano prepotenti in noi. Ecco perché, anche oggi dice: "Che giova all`uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?" (Mc 8,36; Mt 16,26). Quando cessa la persecuzione da parte dei nemici, è tempo di custodire piú attentamente il cuore. Infatti, in tempo di pace, quando ci è concesso un quieto vivere, ci assalgono desideri smodati. E` questo stato di avarizia che va tenuto a freno con l`attenta considerazione della condizione di colui che viene assalito. In effetti, a che pro dovrebbe insistere nell`ammassare, chi di per sé non può rimanere quaggiú ad ammassare? Consideri perciò ognuno la propria durata e si accorgerà che gli può bastare senz`altro il poco che possiede! O ha paura, per caso, che lungo il cammino della vita gli venga a mancare il sostentamento? La brevità del cammino è però un rimprovero ai nostri desideri a lungo termine; è inutile, infatti, caricarsi di molte provviste, quando la meta cui si tende è vicina!
    Spesso capita che ci è facile aver ragione dell`avarizia, mentre ci arrestiamo poi davanti ad un altro ostacolo, trascurando in pratica l`impegno verso la perfezione. Ci lasciamo vincere dal rispetto umano, che ci impedisce di esprimere con la voce la rettitudine che sentiamo nell`intimo. In tal modo, di tanto trascuriamo gli interessi di Dio, con la difesa della giustizia, di quanto cediamo alla mentalità degli uomini, contro ogni giustizia. Ma anche per questo malanno, il Signore suggerisce il rimedio appropriato, quando dice: "Chiunque si vergognerà di me e delle mie parole [davanti a questa generazione adultera e peccatrice], anche il Figlio dell`uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi" (Mc 8,38).

    (Gregorio Magno, Hom. in Ev., 32, [4] 5)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 17/09/2012 06:53
    XXV DOMENICA

    Letture: Sapienza 2,12.17-20
    Giacomo 3,16; 4,3
    Marco 9,29-36

    1. «Imparate da me che sono mite»

    "Partiti di là, si aggiravano per la Galilea, e non voleva che alcuno lo sapesse. Ammaestrava frattanto i suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell`uomo sarà consegnato nelle mani degli uomini, e lo uccideranno, ma, ucciso, dopo tre giorni risorgerà»" (Mc 9,30-31).
    «Il Signore unisce sempre alle cose liete le tristi, affinché, quando queste giungeranno, non atterriscano gli apostoli, ma siano accolte da anime pronte. Cosí li rattrista dicendo che dovrà essere ucciso, ma li fa lieti col dire che nel terzo giorno risorgerà» (Girolamo).
    "Essi però non comprendevano quel discorso e temevano di interrogarlo" (Mc 9,32).
    Questa ignoranza dei discepoli non nasce tanto dalla limitatezza del loro intelletto, quanto dall`amore che essi nutrivano per il Salvatore, questi uomini ancora carnali e ignari del mistero della croce, non avevano la forza di accettare che colui che essi avevano riconosciuto essere vero Dio tra poco sarebbe morto. Ed essendo abituati a sentirlo parlare per parabole, poiché inorridivano alla sola idea della sua morte, tentavano di dare un significato figurato anche a quanto egli diceva apertamente a proposito della sua cattura e della sua passione.
    "E giunsero a Cafarnao. Entrati in casa chiese loro: «Di che cosa discutevate per via?». Ma essi tacevano. Infatti, mentre erano per strada discutevano tra loro chi fosse il piú grande"(Mc 9,33-34).
    Sembra che la discussione fra i discepoli sul primato fosse nata perché avevano visto che Pietro, Giacomo e Giovanni erano stati condotti in disparte sul monte e che ivi qualcosa in segreto era stato dato loro. Ma erano convinti già da prima, come narra Matteo (cf. Mt 16,18-19), che a Pietro erano state date le chiavi del regno dei cieli, e che la Chiesa del Signore doveva essere edificata sulla pietra della fede, dalla quale egli stesso aveva ricevuto il nome; perciò concludevano o che quei tre apostoli dovevano essere superiori agli altri, o che Pietro fosse superiore a tutti.
    "E sedutosi, chiamò i dodici e disse loro: «Se qualcuno vuole essere il primo, sarà l`ultimo di tutti e il servo di tutti». E preso un fanciullo lo collocò in mezzo a loro, e presolo tra le braccia, disse loro: «Chiunque riceverà uno di questi fanciulli nel mio nome, riceve me...»"(Mc 9,35-37).
    «Il Signore, vedendo i discepoli pensierosi, cerca di rettificare il loro desiderio di gloria col freno dell`umiltà, e fa loro intendere che non si deve ricercare di essere i primi, cosí dapprima li esorta col semplice comandamento dell`umiltà, e li ammaestra subito dopo con l`esempio dell`innocenza del fanciullo. Dicendo infatti: "Chiunque riceverà uno di questi fanciulli nel nome mio, riceve me", o mostra semplicemente che i poveri di Cristo debbono essere ricevuti da coloro che vogliono essere piú grandi per rendere cosí un atto d`onore al Signore, oppure li esorta, a motivo della loro malizia, ad essere anche essi come i fanciulli, cioè, come fanno i fanciulli nella loro età, a conservare la semplicità senza arroganza, la carità senza invidia, e la devozione senza ira» (Girolamo). Prendendo poi in braccio il fanciullo, fa intendere che sono degni del suo abbraccio e del suo amore gli umili, e che, quando essi avranno messo in pratica il suo comandamento: "Imparate da me che sono mite e umile di cuore" (Mt 11,29), solo allora potranno giustamente gloriarsene e dire: "La sua mano sinistra è sotto la mia testa e la sua destra mi abbraccerà" (Ct 2,6). E dopo aver detto: «Chiunque di voi riceverà uno di questi fanciulli», giustamente aggiunge: «nel mio nome», in modo che anch`essi sappiano di poter raggiungere, nel nome di Cristo e con l`aiuto della ragione, quello splendore della virtù che il fanciullo possiede per natura. Ma poiché egli insegnava ad accogliere se stesso nei fanciulli come si accoglie il capo accogliendo le membra, affinché i discepoli non avessero a fermarsi solo all`apparenza, aggiunge:
    ...«E chiunque riceve me, non riceve me, ma Colui che mi ha mandato»,
    volendo cosí convincere gli astanti che egli era tale e quale il Padre.

    (Beda il Vener., In Evang. Marc., 3, 9, 28-37)


    2. Umiltà e grandezza del Verbo incarnato

    Non è ovviamente, senza motivo il fatto che i tre magi, condotti dallo splendore di una nuova stella ad adorare Gesú, non lo abbiano visto in procinto di comandare ai demoni, di risuscitare i morti, di ridare la vista ai ciechi, o la deambulazione agli storpi, o la parola ai muti; né in procinto di compiere qualche altro gesto rivelatore della potenza divina; no, videro un bimbo silenzioso, tranquillo, affidato alle cure di sua madre; in lui non appariva alcun segno esterno del suo potere, offrendo invece alla vista un solo grande prodigio: la sua umiltà. Cosí, lo spettacolo stesso di quel santo bambino al quale Dio, il Figlio di Dio, si era unito, impartiva all`occhio quell`insegnamento che piú tardi doveva essere proclamato all`orecchio, e quanto non proferiva ancora il suono della sua voce, lo insegnava già il semplice fatto di guardarlo. Tutta la vittoria del Salvatore, infatti - vittoria che ha soggiogato il demonio e il mondo -, è iniziata dall`umiltà ed è stata consumata nell`umiltà. Egli ha inaugurato nella persecuzione i suoi giorni predestinati, e nella persecuzione li ha portati a termine; al bambino non è mancata la sofferenza, e a colui che era chiamato a soffrire non è mancata la dolcezza dell`infanzia; infatti, il Figlio unico di Dio ha accettato, con un unico atto di abbassamento della sua maestà, tanto di nascere volontariamente come uomo che di poter essere ucciso dagli uomini.
    Se dunque Dio onnipotente, per il privilegio della sua umiltà, ha reso buona la nostra causa sí perversa, e ha distrutto la morte e l`autore della morte (cf. 1Tm 1,10; Eb 2,14), non rifiutando quanto di sofferenze gli procuravano i suoi persecutori, sopportando anzi con suprema dolcezza e per obbedienza al Padre le crudeltà di coloro che si accanivano contro di lui; quanto noi stessi dovremmo essere umili, quanto pazienti, dal momento che, se qualche prova ci sopraggiunge, di certo mai la subiamo senza averla meritata! Chi si potrà vantare di avere il cuore puro o di essere esente da peccato? (cf. Pr 20,9). E, come afferma san Giovanni: "Se diciamo di essere senza peccato, mentiamo e la verità non è in noi" (1Gv 1,8).
    Chi si troverà sí indenne da colpa che la giustizia non abbia niente da rimproverargli in lui, o che la misericordia non debba perdonargli? Per cui, o carissimi, tutta la pratica della sapienza cristiana non consiste né in abbondanza di parole, né in abilità nel discutere, né in appetiti di lode e di gloria, bensí nella sincera e volontaria umiltà che il Signore Gesú Cristo ha scelto e insegnato con ogni mezzo, dal seno materno fino al supplizio della croce. Infatti, un giorno che i suoi discepoli disputavano, come dice l`evangelista, per stabilire "chi, tra di loro dovesse essere il più grande nel regno dei cieli, egli chiamò a sé un bambino e postolo in mezzo a loro, disse: In verità, in verità vi dico, se non vi convertirete e non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Chi dunque si farà piccolo come questo bambino, sarà il piú grande nel regno dei cieli" (Mt 18,1-4). Cristo ama l`infanzia che egli ha dapprima vissuto sia nell`anima che nel corpo. Cristo ama l`infanzia, maestra di umiltà, regola di innocenza, modello di dolcezza. Cristo ama l`infanzia e verso di lei orienta il modo di agire degli adulti; verso di lei riconduce gli anziani; egli attrae al suo esempio personale coloro che egli innalza al regno eterno.
    Se però vogliamo divenire capaci di capire come sia possibile pervenire ad una conversione cosí mirabile, e per quali trasformazioni si debba ritornare allo stato di infanzia, lasciamo che sia san Paolo ad istruirci, con le parole: "Non siate come bambini nel modo di giudicare, siate invece bambini in fatto di malizia" (1Cor 14,20). Non si tratta perciò per noi di ritornare ai giochi dell`infanzia, né alle goffaggini degli inizi, bensí di riprendere da essa una cosa che si addice benissimo anche agli anni della maturità, cioè che svaniscano senza indugi le nostre agitazioni interiori e che ritroviamo rapidamente la pace, che non serbiamo alcun ricordo delle offese; non siamo minimamente avidi di dignità; che amiamo stare insieme, serbando una uguaglianza secondo natura. E` un gran bene, infatti, non saper nuocere e non avere il gusto del male; infatti, far torto e restituire il torto, costituisce la sapienza di questo mondo; al contrario, non ricambiare a nessuno male per male (cf. Rm 12,17), è quello spirito d`infanzia, pieno di uguaglianza, proprio di un`anima cristiana. E` a questo tipo di somiglianza con i bambini che ci invita, o carissimi, il mistero della festa di oggi; ed è questa forma di umiltà che vi insegna il Salvatore bambino adorato dai magi. Per mostrare quale gloria egli prepara per i suoi imitatori, egli ha consacrato con il martirio dei neonati insieme a lui; nati a Betlemme come Cristo, essi sono stati in tal modo associati a lui sia nell`età che nella passione.
    Amino dunque i fedeli l`umiltà ed evitino ogni orgoglio; preferisca ciascuno a sé il proprio prossimo (cf. 1Cor 4,6) e che "nessuno ricerchi il proprio interesse, bensí quello degli altri" (1Cor 10,24); in tal modo, quando tutti saranno compenetrati da sentimenti di benevolenza, piú non esisterà il virus dell`invidia: infatti, "chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato" (Lc 14,11). E` quanto attesta lo stesso nostro Signore Gesú Cristo, che con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.

    (Leone Magno, Sermo VII, in Epiphan., 2-4)


    3. I danni dell`invidia e della gelosia per i singoli e per la Chiesa

    Molto si estende la rovina, molteplice e tristemente feconda, della gelosia. E` la radice di tutti i mali, la sorgente delle stragi, il vivaio dei delitti, la sostanza delle colpe. Da lei sorge l`odio, da lei procede l`animosità. La gelosia infiamma l`avarizia, perché non può essere contento del suo, chi vede l`altro piú ricco di sé. La gelosia eccita l`ambizione, se si vede qualcuno maggiormente onorato. Quando la gelosia accieca il nostro senso e soggioga al suo potere l`intimo della nostra mente, si disprezza il timore di Dio, si trascura l`insegnamento di Cristo, non si pensa al giorno del giudizio. La superbia si gonfia, la crudeltà si esacerba, la perfidia si erge, l`impazienza si scuote, furoreggia la discordia e ferve l`ira; e chi è in potere altrui non può piú reggere e reprimere sé. Si rompe cosí il vincolo della pace donataci dal Signore, si viola la carità fraterna, si adultera la verità, si scinde l`unità, ci si getta nell`eresia e nello scisma, si disprezzano i sacerdoti, si invidiano i vescovi -lamentandosi di non essere stati nominati al posto loro - e si sdegna di riconoscere i propri superiori. Cosí ricalcitra e si ribella chi è superbo per l`invidia e pervertito dalla gelosia: chi è nemico, per animosità e livore, non dell`uomo, ma della sua dignità.
    Ma quale tignola per l`anima, quale muffa per il pensiero, quale ruggine per il cuore, invidiare in altrui, o la sua virtù, o la sua felicità, odiare cioè in lui o i suoi meriti, o i benefici divini, convertire in male proprio il bene altrui, esser tormentati dalla prosperità dei ricchi, far propria pena della gloria degli altri, e radunare quasi nel proprio tetto i propri carnefici, farsi cioè torturare dai propri pensieri e dai propri sensi, lasciarsi da loro lacerare con sofferenze profonde, strappare a brani l`intimo del cuore con le unghie del rancore. In tale stato non si può gustare cibo o apprezzare bevanda: e si sospira sempre, si geme e ci si duole; mai gli invidiosi depongono il loro livore, giorno e notte il loro petto è internamente lacerato senza posa. Gli altri mali hanno un termine e ogni sentimento delittuoso, una volta compiuto il delitto, si placa... ma l`invidia non ha termine: è un male sempre vivo, un peccato senza fine; piú chi è oggetto di invidia avanza e ha successo, piú l`invidioso arde in un maggiore fuoco di gelosia...
    Perciò il Signore, preoccupandosi di questo pericolo e che nessuno incappasse nel laccio mortale dell`invidia contro i fratelli, interrogato dai suoi discepoli chi tra loro fosse maggiore, disse: "Chi sarà il minimo fra tutti voi, costui sarà grande" (Lc 9,48).

    (Cipriano di Cartagine, De zelo et livore, 6-7)


    4. Il vero significato di bambino per Gesú

    Anche noi, sicuramente, andiamo fieri di un termine che evoca nel bambino i beni piú belli e piú perfetti che possediamo in questa vita, quelli che siamo soliti definire "educazione e pedagogia". Per pedagogia intendiamo una buona formazione che porti qualitativamente dall`infanzia alla virtù. Il Signore, d`altronde, ci ha indicato chiaramente cosa bisognasse intendere per "bambino. Essendo sorta una disputa tra gli apostoli per stabilire chi di loro fosse il piú grande, Gesú pose in mezzo a loro un bambino e disse: Chi si farà come questo bambino sarà il piti grande nel regno dei cieli" (Mt 18,1-4; Lc 9,46-48; Mc 9,33-37).
    Non si serve del termine "bambino" pensando all`età in cui si manca di intelligenza, come certuni hanno ritenuto. E quando dice: "Se non diverrete come questi bambini, non entrerete nel regno dei cieli" (Mt 18,3), non bisogna interpretarlo scioccamente.
    In effetti, noi non siamo piú dei bambini che camminano carponi, non ci trasciniamo piú sul suolo come prima, alla maniera di serpenti rotolandoci con tutto il nostro corpo nei desideri irragionevoli; al contrario, tesi verso l`alto con la nostra intelligenza, separati dal mondo e dai peccati, toccando appena la terra con la punta del piede, pur apparendo presenti in questo mondo, conseguiamo la santa sapienza. Questa, però, sembra una follia (cf. 1Cor 1,18-22) a coloro che sono orientati alla malvagità.
    Sono davvero dei bambini coloro che riconoscono Dio come unico Padre, semplici, piccolini, puri...
    Nei confronti di coloro che sono progrediti nel Logos, (il Signore) ha fatto una simile dichiarazione; ordina loro di disprezzare i fastidi di quaggiú e di fissare l`attenzione solamente sul Padre, imitando i bambini.
    Ecco perché dice loro subito dopo: "Non datevi pensiero per il domani, perché ad ogni giorno basta il suo affanno" (Mt 6,34). Egli intende prescrivere in tal modo di deporre le preoccupazioni di questa vita per affezionarsi al Padre solamente. E chi mette in pratica questo precetto è realmente un piccolino e un bambino, ad un tempo per Dio e per il mondo: questo lo considera nell`errore; quegli lo ama. Ma poiché, come dice la Scrittura, vi è un solo maestro, che è nei cieli (cf. Mt 23,8), in accordo con ciò si potrà dire con ragione che tutti gli abitanti della terra sono suoi discepoli. E tale è in effetti la verità: la perfezione appartiene al Signore, che non cessa di insegnare, fintanto che noi conserviamo il carattere di bambini e di piccolini e non cessiamo di apprendere.

    (Clemente di Ales., Paedagogus, V, 16, 1 - 17, 3)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 29/09/2012 09:06
    XXVI DOMENICA

    Letture: Numeri 11,25-29
    Giacomo 5,1-6
    Marco 9,37-42.44.46-47

    1. Ricevere un piccolo è accogliere Cristo

    "Giovanni gli rivolse la parola: «Maestro, abbiamo visto un tale che scacciava i demoni in nome tuo, ma non gliel`abbiamo permesso perché non è dei nostri»" (Mc 9,38).
    Giovanni, che amava con straordinario fervore il Signore e perciò era degno di essere riamato, riteneva dovesse essere privato del beneficio chi non ricopriva un ufficio. Ma viene ammaestrato che nessuno dev`essere allontanato dal bene che in parte possiede, ma che piuttosto dev`essere invitato a ciò che non ancora possiede. Continua infatti:
    "Ma Gesú gli disse: «Non gliel`impedite. Non c`è nessuno infatti che operi miracoli nel mio nome e possa subito dopo parlar male di me. Chi infatti non è contro di voi, è con voi»" (Mc 9,39-40).
    Lo stesso concetto ripete il dotto Apostolo: "Purché Cristo sia in ogni modo annunziato, per dispetto o con lealtà, io di questo godo e godrò!" (Fil 1,18). Ma anche se egli s`allieta per coloro che annunziano Cristo in modo non sincero e, poiché fanno di conseguenza talvolta miracoli per la salvezza degli altri, consiglia che non ne vengano impediti, tuttavia costoro per tali miracoli non possono sentirsi giustificati; anzi, in quel giorno in cui diranno: "Signore, Signore, non abbiamo forse profetato in nome tuo, e non abbiamo scacciato i demoni nel tuo nome, e nel tuo nome non abbiamo compiuto molti miracoli?", essi riceveranno questa risposta: "Non vi ho mai conosciuti, allontanatevi da me voi che operate l`iniquità" (Mt 7,22-23). Perciò, per quanto riguarda gli eretici e i cattivi cattolici, dobbiamo solennemente respingere non quelle credenze e quei sacramenti che essi hanno in comune con noi e non contro di noi, ma la scissione che si oppone alla pace e alla verità, per la quale essi sono contrari a noi e non seguono in unità con noi il Signore.
    «Infatti, chiunque vi darà da bere un biccbier d`acqua in mio nome, perché siete di Cristo, in verità vi dico che non perderà la sua ricompensa» (Mc 9,41).
    Leggiamo nel profeta David (cf. Sal 140,4) che molti, a titolo di scusa dei loro peccati, pretendono che siano giusti gli stimoli che li spingono a peccare, cosí che, mentre volontariamente peccano, s`illudano di farlo per necessità. Il Signore, che scruta il cuore e i reni, sarà capace di vedere i pensieri di ciascuno. Aveva detto: "Chiunque riceverà uno di questi fanciulli in mio nome, riceve me" (Mt 18,5). Qualcuno avrebbe potuto obiettare polemizzando: «Me lo vieta la povertà, la mia miseria mi impedisce di riceverlo», ma il Signore annulla anche questa scusa col suo lievissimo comandamento per indurci almeno a porgere con tutto il cuore un bicchier d`acqua, magari fredda, come dice Matteo (cf. Mt 10,42). Dice un bicchiere d`acqua fredda, non calda, affinché non si cerchi in questo caso una scusa adducendo la miseria e la mancanza di legna per scaldarla.

    (Beda il Vener., In Evang. Marc., 9, 38-43)


    2. Il figlio dell`ancella e il figlio della libera

    Due sono dunque i figli di Abrahamo, "uno dall`ancella e uno dalla libera" (Gal 4,22), tuttavia l`uno e l`altro figli di Abrahamo, quantunque non ambedue anche della libera. Per questo colui che nasce dall`ancella, non diventa ugualmente erede con il figlio della libera, tuttavia riceve doni e non viene rimandato a mani vuote; anch`egli riceve una benedizione, ma il "figlio della libera" riceve la promessa (cf.Gal 4,23.30); anch`egli diventa "una nazione numerosa" (Gen 21,13; Gen 12,2), ma costui il popolo dell`adozione (cf. Gal 4,31; 1Pt 2,9-10).
    Spiritualmente, dunque, tutti quelli che mediante la fede giungono alla conoscenza di Dio, possono essere detti figli di Abrahamo; ma fra questi ve ne sono alcuni che aderiscono a Dio per amore, altri per la paura e il timore del giudizio futuro. Per cui anche l`apostolo Giovanni dice: "Chi teme non è perfetto nell`amore; l`amore perfetto scaccia il timore" (1Gv 4,18). Questi dunque, che è "perfetto nell`amore", nasce da Abrahamo, ed è "figlio della libera". Chi invece custodisce i comandamenti non per amore perfetto, ma per paura della pena futura e per timore dei supplizi, certo è anch`egli figlio di Abrahamo, anch`egli riceve doni, cioè la mercede della sua opera (poiché anche chi avrà dato soltanto un bicchiere di acqua fresca per riguardo al nome di discepolo, la sua mercede non verrà meno [Mt 10,42]), tuttavia è inferiore a colui che è perfetto non nel timore servile, ma nella libertà dell`amore.

    (Origene, Hom. in Genesim, 7, 4)


    3. Il verme che non morirà e il fuoco che non estinguerà

    Avverrà, avverrà certamente ciò che Dio ha detto, per mezzo del suo profeta, circa il supplizio eterno dei dannati: "Il loro verme non morirà e il loro fuoco non si estinguerà" (Is 66,24). E` per rincalzare con piú forza questa verità che il Signore Gesú -raffigurando con le membra che scandalizzano quegli uomini che amiamo come le nostre stesse membra - dice comandando di amputarle. "E` bene per te entrare nella vita mutilato, piuttosto che con due mani andartene nella gehenna, nel fuoco inestinguibile, dove il loro verme non muore e il loro fuoco non si estingue" (Mc 9,43s). Cosí, parlando del piede, dice: "E` bene per te entrare zoppo nella vita eterna, piuttosto che con due piedi essere mandato nella gehenna del fuoco inestinguibile, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue" (Mc 9,45s). E non altrimenti dice, parlando dell`occhio: "E` bene per te entrare guercio nel regno di Dio, piuttosto che con due occhi essere mandato nella gehenna del fuoco, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue" (Mc 9,47s). Non esita a ripetere nello stesso passo per tre volte le stesse parole. Chi non è atterrito per questa ripetizione, e per la minaccia tanto veemente di quella pena uscita dalla bocca divina?
    Alcuni intendono che questi due elementi, il fuoco e il verme, siano pene dell`anima e non del corpo, e dicono anche che gli uomini, che saranno stati separati dal regno di Dio, saranno riarsi dal dolore dell`anima, che troppo tardi e senza frutto ormai si pente, e perciò pretendono che si può convenientemente usare il termine «fuoco» al posto di questo dolore bruciante, come nella frase dell`Apostolo: "Chi viene scandalizzato, che io non ne arda?" (2Cor 11,29). E pensano che nello stesso modo si debba interpretare «verme»; infatti, come dicono, sta scritto: "Come la tignola consuma il vestito e il verme il legno, cosí la tristezza tormenta il cuore dell`uomo" (Pr 25,20). Coloro invece che non hanno dubbi sulla presenza, in quel supplizio, di pene sia dell`anima e del corpo, affermano che il corpo sarà bruciato dal fuoco e l`animo sarà roso quasi dal verme dell`afflizione. Quantunque questa affermazione sia piú attendibile - è certamente assurdo infatti che ivi non vi sia dolore o dell`anima o del corpo -, a me tuttavia sembra piú ovvio asserire che tutt`è due questi dolori interessino il corpo, piuttosto che nessuno dei due. Perciò in quelle parole della divina Scrittura non si parla del dolore dell`anima, perché è logico, anche se non lo si dice, che quando il corpo soffre tanto, anche l`anima ne sia tormentata da una sterile penitenza. Si legge del resto anche nelle antiche Scritture: "La vendetta sulla carne dell`empio: fuoco e verme" (Eccli 7,19). Si poteva dire piú in breve: «La vendetta sull`empio». Perché dunque si dice «sulla carne dell`empio», se non per il fatto che ambedue, cioè il fuoco e il verme, saranno pena della carne? Se poi la Scrittura ha voluto parlare di vendetta della carne, perché si punirà nell`uomo la sua vita secondo la carne (per la quale l`uomo vien travolto dalla morte seconda, come ci insegna l`Apostolo dicendo: "Infatti se vivrete secondo la carne morirete" [Rm 8,13]), ciascuno scelga ciò che gli piace: o riferire il fuoco al corpo e il verme all`anima - quello in senso proprio, questo in senso figurato -; o riferire tutt`e due in senso proprio al corpo.

    (Agostino, De civ. Dei, 21, 9, 1)


    4. Nell`anima, e non nel corpo, si deve combattere il peccato

    "Se uno dei tuoi membri ti è d`inciampo, taglialo e gettalo via da te come ci vien comandato" (Mt 5,30). E ancora: "Se un tuo occhio ti è di scandalo, strappalo e gettalo via dal tuo viso" (Mt 5,29; Mc 9,47). Ma l`agiografo non ti insegna a distruggere in realtà le tue membra: tu non devi annientare ciò che Dio ha creato, perché egli ha creato tutto bene. L`occhio non ha mai commesso un adulterio, perché questo peccato non rientra nelle sue azioni; e neppure la mano ha mai commesso furto, perché essa è per sua natura priva d`intelligenza. Vi sono adulteri ciechi e ladri monchi; non pensare, perciò, che la causa dei peccati sia nella mano o nell`occhio. Ma è il tuo spirito piuttosto che vede qualcosa e lo brama; contro di lui devi combattere. E` la bramosia cattiva che ti è di impaccio: taglia essa via da te e gettala lontano: ciò ti è comandato. Il pazzo si recide le membra, ma non allontana, con ciò, il male da sé. Una parte del suo corpo in tal modo è stata asportata e gettata, ma il peccato è ancora attivo in lui. Le membra ubbidiscono alla tua anima come docili discepoli, e configurano le loro azioni secondo il modello da essa proposto.
    All`uomo esteriore corrisponde quello interiore, e l`uomo percepibile al di fuori è simile a quello nascosto, all`uomo spirituale. Anche l`uomo interiore ha occhi, ha orecchie e mani, proprio come quello esteriore e ha i suoi sensi. Chiudi i tuoi occhi e comprenderai che non solo l`organo visivo corporeo può vedere; tappa le orecchie e odi il tumulto dei tuoi pensieri! Vedi: esso ti travolge in una guerra crudele; perché tendi le tue orecchie a ciò che sta di fuori? Vedi: in casa tua vi sono i ladri; dove corri tu, dietro di loro? Perché dunque le tue membra hanno peccato? Combatti contro la tua anima! Ciò che è esterno non è in te causa di peccato: con l`interno devi sostenere battaglia. Ma anche se riuscissero a tagliare dal loro corpo la concupiscenza malvagia coloro che si son mutilati delle proprie stesse membra, non otterrebbero con ciò la giustizia.
    Anche l`Apostolo, come abbiam visto sopra, biasima quei vili che sono crudeli col loro corpo, ma non vivono in onore, come conviene. Secondo la tua idea, quale tuo membro sarebbe tanto aggravato di peccati che, amputando esso solo, tu possa allontanare il male dal tuo corpo? I tuoi discorsi sono peggiori di un adulterio e ciò che ascolti è piú perverso del furto; la tua bocca commette continuamente il grave crimine dell`omicidio, le tue labbra sono come un arco teso e le tue parole producono ira; senza pietà ricopri di ridicolo coloro che si rivolgono a te. La tua lingua è piú acuta di una spada e il tuo occhio è rivolto al male. Tutto ciò è in te nascosto, e tu credi che vi sia un unico male? Se tu vuoi tagliarti un membro, taglia piuttosto questo male che hai dentro. Invece che un membro, che non ha peccato, colpisci la causa di tutte le colpe, non essere un giudice ingiusto tra il tuo corpo e la tua anima; come arbitro, non condannare l`innocente invece del colpevole. Rimprovera l`uomo spirituale che sta nascosto in te e rivolgi il tuo furore verso chi in te si cela, non verso chi in te è visibile!

    (Isacco di Antiochia, Carmen de poenit.)


    5. Temere solo per il castigo è riprovevole

    "Laggiú non morrà il loro verme né si spegnerà il fuoco che li divora" (Mc 9,43). Ascoltando queste minacce, che toccheranno certamente agli empi, alcuni, presi da timore, si astengono dal peccato. Hanno paura e per questa paura non commettono peccati. Son persone che temono [il castigo] ma non ancora amano la giustizia. Tuttavia quel timore che li spinge ad astenersi dal peccato crea in loro un`inclinazione costante per la giustizia, e ciò che prima era difficile comincia a piacere e si assapora la dolcezza di Dio. A tal punto l`uomo inizia a vivere nella giustizia non per timore delle pene ma per amore dell`eternità.

    (Agostino, Enarrat. in Ps., 127, 7)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 04/10/2012 08:34
    XXVII DOMENICA

    Letture: Genesi 2,18-24
    Ebrei 2,9-11
    Marco 10,2-16

    1. E` Dio l`autore dell`unione coniugale

    Non ripudiare quindi la tua sposa: significherebbe negare che Dio è l`autore della tua unione. Infatti se è tuo compito sopportare e correggere i costumi degli estranei, a maggior ragione lo è nei riguardi di tua moglie.
    Ascolta quanto dice il Signore: "Chi ripudia la sposa ne fa un`adultera" (Mt 5,32). Colei infatti che, finché vive il marito, non può sposarsi di nuovo, può essere soggetta alla lusinga del peccato. Cosí colui che è responsabile dell`errore lo è anche della colpa, quando la madre è ripudiata con i suoi bambini, quando, già anziana e col passo ormai stanco, è messa alla porta. Ed è male scacciare la madre e trattenere i suoi figli: perché si aggiunge, all`oltraggio fatto al suo amore, la ferita nei suoi affetti materni. Ma piú crudele è scacciare anche i figli per causa della madre, in quanto i figli dovrebbero piuttosto riscattare agli occhi del padre il torto della madre. Quale rischio esporre all`errore la debole età di un adolescente! E quale durezza di cuore scacciare la vecchiaia, dopo aver deflorato la giovinezza! Sarebbe lo stesso se l`imperatore scacciasse un soldato veterano senza compensarlo per i suoi servigi, togliendogli gli onori e il comando che ha; o che un agricoltore scacciasse dal suo campo il contadino spossato dalla fatica! Ciò che è vietato fare nei confronti dei sudditi, sarebbe dunque permesso nei riguardi dei congiunti?
    Tu invece ripudi la tua sposa quasi fosse nel tuo pieno diritto, senza temere di commettere un`ingiustizia; tu credi che ciò ti sia permesso perché la legge umana non lo vieta. Ma lo vieta la legge di Dio: e se obbedisci agli uomini, devi temere Dio. Ascolta la legge del Signore cui obbediscono anche quelli che fanno le leggi: "Ciò che Dio ha unito, l`uomo non divida" (Mt 19,6).
    Ma non è soltanto un precetto del cielo che tu violi: tu in certo modo distruggi un`opera di Dio.
    Tu permetteresti - ti prego - che, te vivente, i tuoi figli dipendessero da un patrigno, oppure che, mentre è viva la loro madre, essi vivessero sotto una matrigna? E supponi che la sposa che hai ripudiata non torni a sposarsi: ebbene, ti era sgradita, quando eri suo marito, questa donna che si mantiene fedele a te, ora che sei adultero? Supponi invece che torni a sposarsi: la sua necessità è un tuo crimine, e ciò che tu credi un matrimonio in realtà è un adulterio. E senza importanza che tu commetta adulterio pubblicamente, oppure che tu lo commetta sembrando marito; c`è solo il fatto che la colpa commessa per principio è piú grave di quella commessa furtivamente.
    Forse qualcuno potrà dire: "Ma allora perché Mosè ha comandato di dare il libello di divorzio e di licenziare la moglie?" (Mt 19,7; Dt 24,1). Chi parla in questo modo è giudeo, non è cristiano: egli obietta ciò che fu obiettato al Signore, e perciò lasciamo al Signore il compito di rispondergli: "Per la durezza del vostro cuore" - dice - "Mosè vi permise di dare il libello del divorzio e di ripudiare le mogli; ma all`inizio non era così" (Mt 19,8). Cioè egli dice che Mosè lo ha permesso, ma Dio non lo ha ordinato: all`inizio valeva la legge di Dio. Qual è la legge di Dio? "L`uomo lascerà il padre e la madre e si unirà alla sua sposa, e saranno due in una carne sola" (Gen 2,24; Mt 19,5). Dunque chi ripudia la sposa, dilania la sua carne, divide il suo corpo.

    (Ambrogio, Exp. in Luc., 8, 4-7)


    2. Due in una sola carne

    "Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina, e disse: Per questo l`uomo abbandonerà il padre e la madre sua e si unirà alla sua donna e saranno i due in una sola carne? Pertanto non sono piú due, ma una carne sola. Non separi dunque l`uomo ciò che Dio congiunse" (Mt 19,4-6; Gen 2,24). Ammira la sapienza del Maestro. Interrogato, infatti, se sia lecito ripudiare la propria moglie, non risponde subito: Non è lecito, per non turbare e confondere i suoi ascoltatori. Ma, prima di pronunciare la sua sentenza, chiarisce la questione dimostrando che quel comando veniva dal Padre suo e che egli ordinava questo non per opporsi a Mosè. E notate che non si limita a confermare la verità di quanto dice solo con la creazione dell`uomo e della donna, ma con il comando stesso del Padre. Cristo non dice soltanto che Dio ha fatto un solo uomo e una sola donna, ma che ha dato anche questo comando: che l`uomo deve unirsi a una sola donna. Se Dio avesse voluto che l`uomo, lasciata una donna, ne sposasse un`altra, dopo aver creato l`uomo, avrebbe creato molte donne. Il fatto è che, con il modo stesso della creazione e con la sua legge, Dio ha dimostrato che un uomo deve convivere sempre con una sola donna e che l`unione non deve mai essere spezzata. Considera le parole stesse di Cristo: «Il Creatore da principio li creò maschio e femmina»; essi cioè uscirono da una stessa radice e si unirono in una stessa carne. E aggiunge che i due saranno in una carne sola. Poi, volendo intimorire chi pretende condannare questa legge e per fissare bene questa norma, non dice: Non dividete e neppure non separate. Ma che dice allora? «Non separi dunque l`uomo ciò che Dio congiunse». E se voi - aggiunge - mi citate Mosè, io vi cito il Signore di Mosè e ve lo confermo inoltre riferendomi al tempo. Infatti «Dio da principio li creò maschio e femmina». Questa infatti è una legge antichissima, anche se sembra che sia io a introdurla ora, e venne stabilita con grande vigore e fermezza. Dio infatti non presentò semplicemente all`uomo la donna, ma gli comandò che per lei abbandonasse il padre e la madre. E non ordinò soltanto di accostarsi alla donna, ma di congiungersi a lei, indicando, con la forma stessa delle espressioni, l`inseparabilità dei due. E neppure di questo si contentò, ma ricercò e aggiunse un altro vincolo piú intimo: «Saranno i due in una sola carne».
    Dopo aver riproposto la legge antica, promulgata con fatti e con parole, e aver dimostrato il rispetto che meritava a causa di colui che l`aveva emanata, ora con autorità egli stesso la interpreta e sancisce, dicendo: «Pertanto non sono piú due, ma una carne sola». Ebbene, cosí come è delitto tagliare carne umana, è un crimine separare il marito dalla moglie. E non si limita a questo, ma si appella anche all`autorità di Dio, dicendo: «Non separi dunque l`uomo ciò che Dio congiunse». Dimostra cosí che tale separazione va contro natura e contro la legge: contro natura, perché si taglia ciò che è una sola carne; contro la legge, perché avendo Dio congiunto e comandato che non si separi ciò che egli ha unito, essi non pensino ugualmente a separarlo.

    (Giovanni Crisostomo, Comment. in Matth., 62, 1 s.)


    3. Il regno dei cieli è di coloro che somigliano ai bambini

    "Allora gli furono condotti dei fanciulli perché imponesse loro le mani e pregasse per essi. I discepoli li sgridarono, ma Gesú disse loro: «Lasciate che i fanciulli vengano a me, poiché di quelli che sono come loro è il regno dei cieli «; e dopo aver imposto loro le mani, proseguí il suo cammino" (Mt 19,13-15). Per qual motivo i discepoli allontanano da Gesú i fanciulli? A causa della sua dignità. Che fa allora il Maestro? Per insegnar loro a essere umili e a calpestare il fasto e la gloria mondana, non solo accoglie i fanciulli, ma li abbraccia e promette il regno dei cieli a quelli che sono come loro: affermazione questa che già ha fatto precedentemente. Anche noi, dunque, se vogliamo ereditare il regno dei cieli, cerchiamo con grande impegno di acquistare questa virtù: il termine, infatti, la meta della filosofia è appunto la semplicità unita alla prudenza. Questa è vita angelica. L`anima del bambino, infatti, è pura da ogni passione: non serba rancore per quelli che l`offendono, ma si accosta a loro come ad amici, come se nulla fosse accaduto. E per quanto la madre lo picchi, il bambino sempre la ricerca e la preferisce a tutti. E quand`anche tu gli presentassi una regina con il suo diadema, egli non la preferirebbe a sua madre, anche se la madre fosse vestita di stracci: guarderebbe infatti con maggior piacere a lei, ricoperta di quei poveri abiti, che non alla regina con tutti i suoi ornamenti: ché il bambino sa distinguere i suoi dagli estranei, non per la loro ricchezza o per la loro povertà, ma per l`amore che essi hanno per lui e che lui sente per loro. Non ricerca niente piú del necessario, ma quando il seno della madre l`ha saziato allora si stacca da esso. Il fanciullo non si dà pena, come facciamo noi, per futili motivi, come ad esempio per la perdita di denaro e per cose simili; né si rallegra come noi per cose passeggere: non si estasia, infatti, davanti alla bellezza dei corpi. Perciò Gesú ha detto: «Di quelli che sono come loro è il regno dei cieli», affinché noi facciamo per libera volontà ciò che i fanciulli fanno per natura.
    Siccome i farisei non avevano altro movente alle loro azioni se non la malvagità e l`orgoglio, per questo il Signore ripete ai suoi discepoli in ogni occasione il comando di essere semplici, e mentre allude ai farisei istruisce i discepoli. Niente infatti come il comando e la preminenza spinge gli uomini all`arroganza. Orbene, siccome i discepoli avrebbero goduto di grande onore per tutta la terra, il Signore previene il loro spirito e non permette che essi abbiano qualche sentimento umano, che ricerchino gli onori della moltitudine o si offrano a spettacolo davanti alle folle. Benché queste cose sembrino insignificanti, tuttavia esse sono causa di grandi mali. Cosí i farisei, per aver desiderato i saluti, l`autorità e i primi posti, hanno raggiunto il culmine della malvagità; di qui sono passati a concepire la piú furiosa passione per la gloria e sono precipitati infine nell`empietà. Ecco perché si allontanano da Gesú, dopo aver attirato su di sé la sua maledizione per averlo tentato; i fanciulli, invece, ottengono la sua benedizione, essendo liberi da tutte queste passioni.
    Diventiamo anche noi come i fanciulli e siamo come loro privi di malizia. Non vi è infatti altro modo di vedere il cielo.

    (Giovanni Crisostomo, Comment. in Matth., 62, 4)


    4. La moglie fedele

    La moglie che ha cura della casa, sarà anche pudica e regolerà tutto; né si darà ai piaceri, a spese ingiustificate e simili cose. "Perché non sia bestemmiato il nome di Dio", dice l`Apostolo. Lo vedi che egli si preoccupa principalmente della predicazione e non delle cose temporali? Difatti, scrivendo a Timoteo dice: "Meniamo una vita quieta e tranquilla con tutta pietà e onestà" (1Tm 2,2); qui poi dice: "Perché non sia bestemmiato il nome e la dottrina di Dio". Se capita, infatti, che una donna fedele maritata a un infedele, non sia ben fornita di virtù, di qui suole nascere la bestemmia contro Dio, ma se è ben fornita di virtù le sue parole e le sue azioni promuoveranno la gloria di Dio. Sentano le donne che sono sposate a uomini malvagi o infedeli; sentano e imparino a indurli alla pietà con i loro buoni costumi. Se, infatti, non dovessi cavarci altro né riuscissi a ridurlo alla vera fede, però ne chiuderai la bocca e non gli darai occasione di bestemmiare contro la religione cristiana. E questo non è tanto poco, è anzi moltissimo, perché dai contatti della vita la nostra verità acquista ammirazione.

    (Giovanni Crisostomo, In epist. ad Tit., 4, 2)


    5. Scena provvisoria del mondo

    Infatti non si può trovare il principio di una sfera o dove cominci il globo lunare o dove termini quando la luna mensilmente scompare. Ma anche se tu non riesci a rendertene conto, non per questo la sfera non ha avuto un punto d`inizio o non finirà mai. Se tu con l`inchiostro o con lo stilo tracciassi una circonferenza o la descrivessi con un compasso, dopo un po` di tempo non potresti o cogliere con gli occhi o ricordare con la mente dove hai cominciato e dove hai finito; e tuttavia sei testimone a te stesso di aver cominciato e di aver finito tale figura. Anche se ciò sfugge ai sensi, non scalza la verità. Ciò che ha un inizio, ha pure una fine, ed è chiaro che a ciò cui si pone fine è stato dato inizio. E che il mondo finirà, lo stesso Salvatore insegna nel suo Vangelo dicendo: "Passa infatti la figura di questo mondo" (1Cor 7,31) "e il cielo e la terra passeranno" (Mt 24,35) e piú sotto: "Ecco io sono con voi sino alla fine del mondo" (Mt 28,20).

    (Ambrogio, Exameron, I, I, 3, 10)


    6. La nostra gioia è per ora in speranza

    Benediciamo il Signore Dio nostro, che ci ha qui riuniti a letizia spirituale. Conserviamo il cuore sempre nell`umiltà, e riponiamo nel Signore la nostra gioia. Non ci inorgogliamo per una qualsiasi prosperità terrena, piuttosto rendiamoci conto che la felicità nostra avrà inizio solo quando tutte queste cose saranno passate. La nostra gioia, fratelli miei, per ora sia in speranza; nessuno goda delle cose presenti, se non vuole arrestarsi per via. Tutta la gioia sia nella speranza del futuro, tutto il nostro desiderio, nella vita eterna. Tutti i sospiri siano volti a Cristo; lui solo sia desiderato, il piú bello fra tutti, che amò noi, difformi per farci belli. Corriamo a lui solo, per lui il nostro gemito: "e dicano sempre: sia esaltato il Signore, quelli che amano la pace del suo servo" (Sal 34,27).

    (Agostino, Comment. in Ioan., 10, 13)


    7. Rispondere con amore all`amore

    Siamo accorti nel formare e nel conservare l`unione coniugale, amiamo la parentela a noi concessa. Se coloro che sono stati separati in lontane regioni sin dal tempo della loro nascita ritornano insieme, se il marito parte per l`estero, né la lontananza né l`assenza possano mai diminuire l`amore reciproco. Unica è la legge che stringe i presenti e gli assenti; identico è il vincolo di natura che stringe, nell`amore coniugale, sia i vicini, sia i lontani unico è il giogo benedetto che unisce i due colli, anche se uno deve allontanarsi assai in regioni remote: hanno infatti accolto il giogo della grazia non sulle spalle di questo corpo, ma sull`anima.

    (Ambrogio, Exameron, 5, 18)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 08/10/2012 08:33
    XXVIII DOMENICA

    Letture: Sapienza 7,7-11
    Ebrei 4,12-13
    Marco 10,17-30

    1. Significato spirituale delle parole del Signore: «Vendi ciò che hai»

    "Vendi ciò che hai" (Mt 19,21). Che significa? Non quello che alcuni ammettono cosí a prima vista, che cioè il Signore ci comandi di far getto dei beni posseduti e di rinunciare alle ricchezze; ci comanda piuttosto di bandire dall`anima i pensieri usuali sulla ricchezza, la passione morbosa verso di essa, le preoccupazioni, le spine dell`esistenza che soffocano il seme della vita. Non è infatti nulla di grande e di desiderabile l`essere privi di ricchezze ma non per lo scopo di raggiungere la vita eterna: altrimenti i miserabili che non hanno nulla, che son privi di ogni mezzo, che mendicano ogni giorno il sostentamento, gli accattoni che giacciono per le vie e che pur non conoscono Dio e la giustizia di Dio, solo perché sono tanto poveri e non sanno procacciarsi da vivere e son privi anche del minimo necessario, dovrebbero essere i piú beati e amati da Dio e i soli atti a possedere la vita. Non è una novità rinunciare alle ricchezze ed elargirle ai poveri e ai mendici: molti l`han fatto, prima che il Salvatore scendesse quaggiú: alcuni per aver tempo di dedicarsi agli studi e alla sapienza morta, altri per una fama vuota ed una gloria vana: gli Anassagora, i Democrito, i Cratete.
    Cos`è dunque la novità, da lui annunciata come qualcosa proprio di Dio, che solo vivifica e che non salvò gli antichi? Cos`è la rarità, cos`è la «nuova creazione», che il Figlio di Dio proclama e insegna? Non qualcosa di manifesto o che altri han già fatto egli ci prescrive, ma qualcosa d`altro, piú grande, piú divino e piú perfetto, che da quella vien simboleggiato: liberare l`anima e la sua intima disposizione dalle passioni, e rescindere ed estirpare dalla radice ciò che è estraneo alla ragione. E` questa la scienza propria dell`uomo di fede, è questo l`insegnamento degno del Salvatore. Quegli antichi disprezzarono le cose esteriori, rinunciarono ai loro beni e li distribuirono, ma son convinto che alimentarono cosí le passioni dell`anima. Crebbero nella superbia, nella millanteria, nella vanagloria, e nel disprezzo degli altri uomini, come se avessero compiuto qualcosa di sovrumano. E come potrebbe il Salvatore comandare a coloro che vivranno in eterno ciò che è di danno e di rovina per la vita che egli promette? Inoltre è possibile anche questo: che uno deponga il peso dei propri possessi e tuttavia porti radicata e vivida in sé la brama e l`anelito alle ricchezze, ed è possibile anche che uno ne abbia perso l`uso, ma per la privazione e il desiderio di ciò che ha sperperato sia tormentato da una duplice sofferenza: la mancanza del necessario e il pentimento di ciò che ha fatto. E` impossibile, è impensabile, infatti, che chi manca del necessario per la vita, non abbia l`animo tutto agitato e continuamente stimolato dalla continua ricerca di una situazione migliore: in che modo e dove se la possa procurare.
    Ma quanto meglio è il contrario: che uno possegga il necessario, e cosí non debba soffrire lui e abbia da elargire agli altri ciò che conviene. Che possibilità ci sarebbe di beneficare il prossimo, se tutti non possedessero nulla? E come si potrebbe negare che questa dottrina non sia in netto contrasto con molti altri ottimi insegnamenti del Signore? "Fatevi degli amici con il mammona di iniquità, affinché quando giungerete alla fine, vi accolgano nelle tende eterne" (Lc 16,9). "Preparatevi tesori in cielo, dove né la ruggine, né la tignola distruggono, né i ladri scavano" (Mt 6,20). E come si potrebbe dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi e accogliere i pellegrini - e a quelli che non fan ciò vien minacciato il fuoco e le tenebre esteriori -, se prima non si possedesse tutto questo? Anzi, egli stesso comanda di accoglierlo come ospite a Zaccheo e a Matteo, che pur erano ricchi e pubblicani; e non comanda loro di rinunciare alle ricchezze, ma, dopo aver suggerito il retto uso e vietato quello ingiusto, soggiunge: "Oggi si è compiuta la salvezza per questa casa, perché anch`egli è figlio di Abramo" (Lc 19,9). Loda dunque l`uso delle ricchezze, imponendo però di comunicarle agli altri: dar da bere a chi ha sete, dar del pane a chi ha fame, accogliere lo straniero e vestire l`ignudo. Ora, nessuno può compiere questi uffici senza le ricchezze; eppure il Signore ci comanda di rinunciarvi. Che altro fa dunque se non imporre di dare e non dare, di nutrire e non nutrire, di accogliere e non accogliere, di comunicare agli altri e non comunicare? Ma ciò è assolutamente contraddittorio.
    Non si hanno perciò da rigettare le ricchezze che devono servire a vantaggio del prossimo; sono possessi perché la loro caratteristica è di essere possedute e son dette beni perché servono al bene, e sono state preparate da Dio per i bisogni degli uomini. Esse dunque sono presenti, sono a portata, come materia, come strumento per servire ad un buon uso a chi bene le conosce. Se ne usi con intelligenza, lo strumento è intelligente; ma se manchi di intelligenza, partecipa alla tua mancanza di intelligenza, pur non avendone colpa. Un tale strumento, dunque sono le ricchezze. Ne puoi usare con giustizia: ti sono ministre di giustizia. Qualcuno ne usa ingiustamente? Scopriamo che sono ministre di ingiustizia. La loro natura è di servire, non di comandare. Non dobbiamo dunque rimproverare loro di non avere in sé né il bene né il male e di essere fuori causa; bensí dobbiamo rimproverare chi può usarne o bene o male come gli pare, cioè la mente e il giudizio umano, che è libero in sé e padrone di usare delle cose a lui concesse. Nessuno cerchi dunque di distruggere la ricchezza, ma le passioni dell`anima, che non permettono l`uso migliore dei beni, non lasciano che l`uomo sia veramente virtuoso e capace di usare rettamente della ricchezza. L`ordine dunque di rinunciare ai nostri beni e di vendere ciò che si possiede lo si deve intendere in questo modo: è stato impartito contro le passioni dell`animo.

    (Clemente di Ales., Quis dives, 11-14)


    2. Le esigenze della perfezione cristiana

    Di conseguenza, dobbiamo sapere che a noi non è richiesto quel che prescrive la Legge, bensí quello che tuona alle nostre orecchie il precetto evangelico: "Se vuoi essere perfetto, va` vendi quanto possiedi, dallo ai poveri ed avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi"(Mt 19,21); e offrendo le decime dei nostri beni rimaniamo in qualche modo sotto il giogo della Legge e non siamo ancora pervenuti alla sublime perfezione del Vangelo che non si limita ad accordare a chi l`osserva i benefici della vita presente, ma elargisce anche i premi futuri. A chi osserva la Legge non è dato in cambio il regno dei cieli, ma le consolazioni di questa vita, come è scritto: "Chiunque metterà in pratica i comandamenti, vivrà" (Lv 18,5). Invece, il Signore dice ai suoi discepoli: "Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli" (Mt 5,3); e inoltre: "Chiunque avrà lasciato o casa, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o moglie, o figli, o campi per causa mia, riceverà il centuplo e avrà la vita eterna" (Lc 19,29). E non a torto. Vi è infatti meno gloria nell`astenersi da cose vietate che non nel rinunciare a cose permesse, o nel non usarne affatto in ossequio a colui che ha permesso una tale larghezza alla nostra infermità.
    Perciò, se coloro che obbediscono ai precetti antichi del Signore, offrendo fedelmente le decime dei loro frutti, non possono ancora ascendere alle vette evangeliche, non è difficile rilevare la distanza che li separa da chi non arriva neppure a tanto. Come avranno parte alla grazia evangelica coloro che disdegnano di praticare precetti molto piú accessibili dei precetti della Legge antica? Tale facilità dei precetti antichi è il tono imperativo del Legislatore che l`attesta. Non ha forse minacciato persino la maledizione per coloro che non li adempiono? "Maledetto", è scritto infatti, "chi non mantiene in vigore le parole di questa legge, per metterla in pratica!" (Dt 27,26). Qui, però, è tale la sublimità e l`eccellenza dei comandamenti che vien detto soltanto: "Chi può comprendere, comprenda" (Mt 19,12)...
    Non poteva, invero, un tal precetto essere codificato per la generalità, né, per cosí dire, si poteva esigere da tutti come si trattasse di una norma, ciò che per la sua sublimità non può essere ritenuto indistintamente alla portata di tutti. E` preferibile allora rivolgere l`invito alla grazia sotto forma di consiglio; cosí, i piú validi hanno il modo di conquistare la corona della virtù perfetta; i piú piccoli, che non possono colmare "la misura che conviene alla piena maturità di Cristo" (Ef 4,13) - anche se possono sembrare ecclissati dallo splendore dei primi -, come da stelle di prima grandezza, sfuggano nondimeno alle tenebre delle maledizioni legali, né si vedano abbandonati ai mali presenti o condannati all`eterno supplizio.
    Cristo dunque non costringe nessuno, con la necessità della norma, ad elevarsi alle vette sublimi della virtù; provoca invece la nostra libera scelta, ci eccita con la bontà del consiglio, ci infiamma con il desiderio della perfezione. Dove c`è il precetto, infatti, c`è del pari la necessità, e di conseguenza la sanzione. E poi, coloro che osservano solo quel minimo al quale lí costringe la severità di una legge categorica, evitano di incorrere nella pena prevista dalla sanzione, ma non guadagnano alcuna ricompensa.
    E` cosí che il Vangelo sa innalzare i forti verso ciò che vi è di piú grande e sublime, senza permettere tuttavia che i deboli precipitino nell`abisso della miseria. Ai perfetti, esso procura la piena beatitudine, mentre accorda il perdono a coloro che si lasciano vincere dalla propria fragilità...
    Però, non è solo chi si rifiuta di adempiere il precetto della Legge che va visto come ancora soggetto alla Legge, ma anche colui che, soddisfatto di osservare ciò che essa prescrive, non porta frutti degni della vocazione e della grazia cristiane. Infatti, Cristo non ci dice: "Tu offrirai le decime e le primizie dei tuoi beni al Signore tuo Dio" (Es 22,29), bensí: "Va`, vendi quanto possiedi, dallo ai poveri ed avrai un tesoro in cielo, poi, vieni e seguimi", dove la magnificenza della perfezione appare tale che, al discepolo che lo interroga (Gesú) non concede neppure il breve spazio di tempo per la sepoltura del padre, subordinandosi il dovere della umana carità alla virtù dell`amore divino.

    (Giovanni Cassiano, Collationes, 21, 5, 1-3; 6, 1; 7, 2)


    3. L`insegnamento della Legge

    La legge aveva insegnato agli uomini la necessità di seguire Cristo. Lo mostrò chiaramente Cristo stesso al giovane che g]i chiese cosa avrebbe dovuto fare per ereditare la vita eterna. Gli rispose infatti: "Se vuoi entrare nella vita osserva i comandamenti". Quegli chiese: "Quali?", e il Signore soggiunse: "Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non dire falsa testimonianza; onora il padre e la madre, e ama il prossimo tuo come te stesso" (Mt 19,17ss). Proponeva cosí a tutti coloro che volevano seguirlo i comandamenti della legge come gradini di entrata alla vita: quello che diceva a uno, lo diceva a tutti. Il giovane rispose: "Ho fatto tutto ciò" - e forse non lo aveva fatto, che altrimenti non gli sarebbe stato detto: osserva i comandamenti -; allora il Signore, rinfacciandogli la sua cupidigia, gli disse: "Se vuoi essere perfetto, va`, vendi tutto ciò che hai, dividilo tra i poveri, poi vieni e seguimi" (ib.). Con queste parole prometteva l`eredità degli apostoli a chi avesse fatto così, non annunciava certo a coloro che lo avessero seguito un altro padre, diverso da quello che era stato annunciato fin dall`inizio della legge, e neppure un altro figlio; ma insegnava a osservare i comandamenti imposti da Dio all`inizio, a liberarsi dall`antica cupidigia con le buone opere e a seguire Cristo. Che poi la distribuzione dei propri beni ai poveri liberi davvero dalla cupidigia, lo ha mostrato Zaccheo dicendo: "Ecco, do la metà dei miei beni ai poveri; se poi ho frodato qualcuno, gli rendo il quadruplo" (Lc 19,8).

    (Ireneo di Lione, Adv. haer., IV, 12, 5)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 16/10/2012 08:29
    XXIX DOMENICA

    Letture: Isaia 53,2a.3a.10-11
    Ebrei 4,14-16
    Marco 10,35-45

    1. Gesú risponde alla madre di Giacomo e Giovanni

    Considerate che cosa chiede per i figli e con i figli. E` certo una madre cui bisogna perdonare - anche se la sua premura l`ha resa piuttosto smoderata - l`eccesso della richiesta. E poi una madre anziana d`anni, d`intenti religiosi, priva d`ogni conforto, la quale, proprio quando avrebbe dovuto essere validamente sorretta dall`aiuto dei figli, accettò la loro lontananza e antepose al suo piacere il vantaggio dei figli, che seguivano Cristo; questi, infatti, chiamati dal Signore, alla prima parola, come leggiamo in Matteo (Mt 4,22), lasciato il padre e le reti, lo seguirono.
    Costei, dunque, spinta dall`amore materno, prega il Salvatore, dicendo: "Ordina che questi miei due figli stiano nel tuo regno uno alla tua destra e l`altro alla tua sinistra" (Mt 20,21). Anche se è un errore, è un errore di affetto materno; una madre non sa aspettare; c`è un po` d`interesse nella preghiera, ma è un interesse comprensibile, poiché essa non è avida di danaro ma di favore; e non è una domanda spregevole quella di una madre, che non chiede per sé, ma per i figli. Pensate alla madre, si tratta d`una madre...
    Considerate anche la donna, cioè il sesso piú debole, che il Signore ancora non aveva rafforzato con la sua passione. Considerate, dico, l`erede di quella prima Eva, debole per una ingenita cupidigia incontrollata, che il Signore non aveva ancora redenta col suo sangue, non aveva ancora lavata dal desiderio smodato d`onore. Sbagliava per una specie di errore ereditario.
    Che c`è di strano che una madre, per amor dei figli - il che fa la cosa piú tollerabile, che se fosse a proprio vantaggio -, faccia una questione di preminenza, quando gli stessi apostoli ne facevano oggetto d`una loro disputa? (cf. Lc 22,24).
    Non giudicò, dunque, il medico che una madre, priva di tutto, e una mente ancora inferma dovessero essere colpite da biasimo, solo per una richiesta un po` orgogliosa.
    Perciò il Signore - che voleva far onore alla pietà materna -non rispose alla donna, ma ai figli, dicendo: "Potete bere il calice, che io sto per bere?" E quando essi risposero: "Lo possiamo, Gesú disse loro: Il mio calice lo berrete; ma lo star seduti alla mia destra o alla mia sinistra non è cosa mia darlo, ma toccherà a coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio" (Mt 20,22-25).
    Quanto è paziente e clemente il Signore; che alta sapienza e benevola carità! Volendo, infatti, far vedere che non avevan chiesto una cosetta da niente, ma una cosa tale che non l`avrebbero potuta ottenere, fece ricorso alla prerogativa della benevolenza del Padre; e non temé una derogazione al suo diritto, al diritto di "colui che non credette di fare un torto dichiarandosi uguale a Dio" (Fil 2,6). Amando però i suoi discepoli - "li amò sino alla fine" (Gv 13,1) - non volle dar loro l`impressione che negasse loro quanto chiedevano. Santo e buono il Signore, che preferisce dissimulare il suo diritto, piuttosto che detrarre qualche cosa alla sua benevolenza: "La carità", infatti, "è paziente è benigna, non vuol sopraffare, non si gonfia, non reclama diritti" (1Cor 13,4 ).
    Perché finalmente vi rendiate conto che l`espressione "non è cosa mia darlo" vuole suggerire indulgenza piú che mancanza di autorità, osservate che, in Marco (Mc 10,40), dove non si parla della madre, non si fa alcuna menzione del Padre, ma è detto soltanto: "Non è cosa mia darlo a voi, ma a coloro per i quali è stato preparato". In Matteo, invece, dove è la madre che prega, vien detto: "Per i quali è stato preparato dal Padre mio" (Mt 20,23); e l`aggiunta "Padre mio" è fatta perché l`amore materno richiedeva una maggiore indulgenza.
    Ammettiamo che fosse stato possibile per degli uomini ottenere ciò che si chiedeva, che cosa significa quel: "Non è cosa mia darvi di star seduti alla mia destra o alla mia sinistra" (Mt 20,23)? Che vuol dire cosa "mia"? Piú sopra disse: «Il mio calice lo berrete», poi dice: «Non è cosa "mia"». Il "mio" unito a calice, ci fa luce per capire che cosa vuol dire qui cosa "mia".
    Pregato da una donna, come uomo, di far sedere i suoi figli alla sua destra e alla sua sinistra; dal momento ch`ella s`era rivolta a lui, come a un uomo, anche il Signore, solo come uomo, accennando alla sua passione, risponde: "Potete bere il calice, che io berrò?"
    Perciò, poiché parlava secondo la carne della passione del suo corpo, volle dimostrare che ci lasciava un esempio di una passione da soffrire nella carne. "Non è cosa mia" va inteso come l`altra espressione: "La mia dottrina non è mia" (Gv 7,16), non è mia secondo la carne, perché le cose divine non sono oggetto del parlare della carne.
    Rivelò tuttavia subito la sua indulgenza verso i suoi amati discepoli, chiedendo: «Ma il mio calice lo berrete?». Cosí, non potendo dar loro ciò che chiedevano, fece un`altra proposta, per poter dir loro un sí, prima di un no; perché capissero ch`era mancata piú a loro l`equità nella richiesta fatta, che non la generosità nella risposta del Signore.
    "Il mio calice, sí, lo berrete", cioè affronterete la passione della mia carne, perché potete imitare ciò che deriva in me dalla natura umana; vi ho dato la vittoria della passione, l`eredità della croce; "ma non è cosa mia il darvi di star seduti alla mia destra o alla mia sinistra". Non dice semplicemente: "Non è cosa mia dare", ma "darvi", cioè dare a voi. E questo dovrebbe significare che non si tratta di mancanza di potere in lui, ma di merito nelle creature.
    Si può anche intendere cosí: "Non è cosa mia", di me che venni a insegnar l`umiltà, di me che venni non per essere servito, ma per servire; di me, che seguo la giustizia, non favoritismi.
    Poi appellandosi al Padre aggiunse: "Per i quali è stato preparato", per dire che il Padre non guarda le raccomandazioni, ma i meriti, perché Dio non fa preferenze di persone (cf. At 10,34). Perciò l`Apostolo dice: "Coloro che sapeva lui e che predestinò" (Rm 8,29); prima li conobbe e poi li predestinò, vide i meriti e predestinò il premio...
    A ragione, dunque, è ripresa la donna che chiese delle cose impossibili, e domandò che fossero ridotte a speciale privilegio quelle cose che il Signore voleva dare non solo a due apostoli, ma a tutti i suoi discepoli, e non a titolo di una particolare raccomandazione, ma per sua volontaria generosità, come sta scritto: "Voi dodici siederete sopra troni, per giudicare le dodici tribú d`Israele" (Mt 19,28).

    (Ambrogio, De fide, 5, 56s., 60-65, 77-84)



    2. L`ora di Gesú: la Passione

    "E` giunta l`ora che sia glorificato il Figlio dell`uomo" (Gv 12,23). Dice Gesú: ormai è vicino il tempo in cui sarò glorificato davanti a tutti. Qui Gesú usa il titolo di «Figlio dell`uomo» poiché prima di caricarsi della croce accetta interamente il destino dell`uomo, Egli che dopo la sua Risurrezione e Ascensione è adorato da tutte le creature per il fatto che è unito al Verbo di Dio. Dopo aver annunciato la sua mirabile glorificazione, che sembrava inconciliabile con la sua imminente passione, aggiunge: "In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto" (Gv 12,24). Non temete dunque per la mia morte. Il chicco di grano è solo prima di cadere nel profondo, ma una volta caduto e morto germoglia gloriosamente e produce duplice frutto, stende davanti a tutti le sue ricchezze e mostra agli occhi lo splendore della sua bellezza. Sappiate che cosí avverrà anche di me. Adesso sono solo e senza gloria, sconosciuto in mezzo a tutti gli altri uomini. Ma dopo la mia morte di croce, risusciterò nella gloria. Allora produrrò molti frutti e tutti mi riconosceranno. E non solo i Giudei, ma anche gli uomini di tutta la terra mi chiameranno loro Signore, e perfino le potenze dello spirito mi glorificheranno.
    Dopo queste parole Gesú esorta i suoi discepoli ad imitarlo: "Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna" (Gv 12,25). Dunque non solo non dovete scandalizzarvi per la mia passione, né dubitare delle mie parole che confermeranno i fatti, ma anche voi dovete essere pronti a sopportare le stesse sofferenze per produrre gli stessi frutti. Infatti, secondo Gesú, chi si preoccupa della propria vita su questa terra e non vuole esser messo alla prova, la perderà nel mondo che verrà; mentre chi la odia in questo mondo accettando le sofferenze che si presentano, raccoglie per sé molti frutti... Dice poi molto semplicemente: "Se uno mi vuol servire mi segua" (Gv 12,26). Se qualcuno vuol essere mio servo, dimostri con i propri atti che vuol seguirmi. Ma qualcuno potrebbe dire: «Che cosa otterranno coloro che soffriranno insieme con te?». Risponde Gesú: "Dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà" (Gv 12,26). Chi parteciperà alle mie sofferenze, parteciperà anche alla mia gloria; sarà con me in eterno nella vita futura e parteciperà al mio trionfo nel regno dei cieli. Ecco come il Padre mio onorerà quelli che mi avranno servito fedelmente.

    (Teodoro di Mopsuestia, Evang. Iohan.)


    3. Ama l`umiltà e avrai gloria!

    Se ti ricordi che Cristo dice che si perde la mercede innanzi a Dio, quando uno va cercando onore presso gli uomini e fa il bene per essere visto dagli uomini, metti tanta accortezza a non essere onorato dagli uomini, quanta ne mettono gli altri per averne gloria. "Hanno ricevuto la loro mercede" (Mt 6,2), dice il Signore. Perciò non ti far danno da te stesso, andando dietro alla gloria degli uomini. Dio è un grande osservatore; cerca di aver gloria presso Dio, Dio distribuisce splendide ricompense. Hai forse raggiunto una gran rinomanza, ti stimano, ti onorano, ti cercano? Cerca di diportarti come un suddito "Non come chi esercita un potere sugli altri" (1Pt 5,3) e non seguir l`esempio dei principi mondani. Il Signore ha comandato che, chi vuol essere il primo, deve essere servo di tutti (cf.Mc 10,44). In una sola parola: pratica l`umiltà, come conviene a chi la ama. Amala e avrai gloria. Questo è il cammino verso la vera gloria, che si ha tra gli angeli, innanzi a Dio. Cristo ti dichiarerà suo discepolo innanzi agli angeli (cf.Lc 12,8) e ti darà gloria, se imiterai la sua umiltà; egli, infatti, disse: "Imparate da me, che sono mite e umile di cuore e troverete pace per le vostre anime" (Mt 11,29).

    (Basilio di Cesarea, Hom. de humilit., 7)


    4. L`amore infinito di Dio

    Non è dunque giusto che Dio ci respinga e ci castighi quando, offrendosi egli stesso a noi in tutto, noi lo respingiamo? Evidentemente sí. Se tu vuoi ornarti - egli dice - prendi il mio ornamento; se vuoi armarti, prendi le mie armi; se desideri vestirti, ecco la mia veste; se vuoi nutrirti, ecco la mia mensa; se intendi camminare, percorri la mia via; se desideri ereditare, ecco la mia eredità; se vuoi entrare in patria, entra nella città di cui io sono l`architetto e il costruttore; se pensi di costruirti una casa, edificala nei miei territori: io di certo, per quello che do, non ti chiedo pagamento. Anzi, per il fatto stesso che vuoi usare ciò che è mio, per questo io ti voglio ricompensare. Che cosa può essere paragonato a simile generosità? Ecco cosa dice il Signore: Io padre, io fratello, io sposo, io casa, io alimento, io vestito, io radice, io fondamento: io sono tutto ciò, se tu vuoi; di nulla tu mancherai. Io ti servirò anche, perché sono venuto "per servire, non per essere servito" (Mt 20,28). Io sarò anche amico, e membro, e capo, e fratello, e sorella, e madre, tutto io sarò; solo, comportati familiarmente con me. Io sono stato povero per te, mendico per te, sulla croce per te, nel sepolcro per te; in cielo io supplico il Padre per te; in terra sono venuto ambasciatore per te da parte del Padre. Tutto tu sei per me: fratello, coerede, amico, membro. Che cosa vuoi di piú? Perché respingi chi ti ama cosí?

    (Giovanni Crisostomo, Comment. in Matth., 76, 5)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 25/10/2012 06:29
    XXX DOMENICA

    Letture: Geremia 31,7-9
    Ebrei 5,1-6
    Marco 10,46-52

    1. Gesù ci indica il modo di seguirlo

    Il nostro Redentore, prevedendo che gli animi dei suoi discepoli si sarebbero turbati a causa della sua Passione, predisse loro con molto anticipo sia lo strazio della Passione che la gloria della sua Risurrezione, affinché, vedendolo morente, cosí come era stato predetto, non avessero dubitato che sarebbe anche risorto. E siccome i discepoli erano ancora carnali e del tutto incapaci di comprendere le parole del mistero, il Signore operò un miracolo. Davanti ai loro occhi, un cieco riacquistò la vista, perché coloro che non capivano le parole dei misteri celesti per mezzo dei fatti celesti venissero consolidati nella fede. Però, fratelli carissimi, i miracoli del Signore e Salvatore nostro vanno considerati in modo tale da credere che non soltanto accaddero realmente, ma vogliono altresí insegnarci qualcosa con il loro simbolismo. I gesti di Gesú, invero, oltre a provare la sua divina potenza, con il mistero insito in loro ci istruiscono. Noi non sappiamo in verità chi fosse quel cieco, però sappiamo cosa egli significa sul piano del mistero. Il cieco è simbolo di tutto il genere umano, estromesso dal paradiso terrestre nella persona del primo padre Adamo. Da allora, gli uomini non vedono piú lo splendore della luce superna, e patiscono le afflizioni della loro condanna. E nondimeno, l`umanità è illuminata dalla presenza del suo Salvatore, sí da poter vedere - almeno nel desiderio - il gaudio della luce interiore, e dirigere cosí i passi delle buone opere sulla via della vita.
    Una cosa è degna di nota a questo punto ed è il fatto che il cieco riacquista la vista allorché Gesú si avvicina a Gerico. Gerico sta per luna, e luna, secondo la Scrittura, indica le deficienze della umana natura. Il motivo è forse da ricercare nel fatto che essa va soggetta ogni mese a fenomeni di decrescenza, cosicché è stata designata quale espressione della fragilità della nostra carne mortale. Sta di fatto che mentre il nostro Autore si appressa a Gerico, il cieco riacquista la vista. Il che vuol dire che allorché il Signore assunse la debolezza della nostra natura, il genere umano riacquistò la luce che aveva perduto. La risposta al gesto di Dio, che incomincia a patire le umane debolezze, è il nuovo modo di essere dell`uomo, elevato ad altezze divine. Ecco perché, a buon diritto, il Vangelo dice che il cieco sedeva lungo la via a mendicare. Gesú, infatti, che è la Verità, afferma: "Io sono la via" (Gv 14,6).
    Chi perciò ignora lo splendore dell`eterna luce è cieco; se, però, già crede nel Redentore, egli siede lungo la via; se però, pur credendo, trascura di pregare per ricevere l`eterna luce, è un cieco che siede lungo la via, senza mendicare. Solo se avrà creduto e avrà conosciuto la cecità del suo cuore, pregando per ricevere la luce della verità, egli siede come cieco lungo la via e mendica. Chiunque perciò riconosce le tenebre della propria cecità, chiunque comprende cosa sia questa luce di eternità che gli fa difetto, invochi con le midolla del cuore, invochi con tutte le espressioni dell`anima, dicendo: "Gesú, Figlio di David, abbi pietà di me". Ma occorre anche ascoltare quanto segue al clamore del cieco: "Coloro che gli camminavano innanzi lo rimproveravano affinché tacesse" (Lc 18,38-39).
    Cosa mai significano quei tali che precedono Gesú che viene, se non le turbe dei desideri carnali e il tumulto dei vizi che, prima che Gesú arrivi al nostro cuore, con le loro suggestioni dissipano la nostra mente e confondono le voci del cuore in preghiera? Spesso, quando intendiamo far ritorno a Dio dopo il peccato, e ci sforziamo di pregare per la remissione di quelle colpe che abbiamo commesso, si presentano alla vista i fantasmi dei nostri peccati e accecano l`occhio dell`anima, turbano lo spirito e soffocano la voce della nostra orazione. Si spiega cosí il fatto che coloro che precedevano Gesú imponevano al cieco di tacere; infatti, prima che Gesú arrivi al nostro cuore, i peccati commessi si impadroniscono del nostro pensiero invadendolo con le loro immagini e turbandoci nella nostra preghiera.
    Prestiamo attenzione ora a quel che fece allora quel cieco che anelava ad essere illuminato. Continua il Vangelo: "Ma il cieco con più forza gridava: Figlio di David, abbi pietà di me!" (Lc 18,39). Vedete? Quello stesso che la turba rimproverava perché tacesse, grida con lena centuplicata, a significare che tanto piú molesto risulta il tumulto dei pensieri carnali, tanto piú dobbiamo perseverare nella preghiera. Sí, la folla ci impone di non gridare, perché i fantasmi dei nostri peccati spesso ci molestano anche nel corso della preghiera. Ma è assolutamente necessario che la voce del nostro cuore tanto piú vigorosamente insista quanto piú duramente si sente redarguita. In tal modo, non sarà difficile aver ragione del tumulto dei pensieri perversi e, con la sua assidua importunità, la nostra preghiera perverrà alle orecchie pietose di Dio.
    Ritengo che ognuno potrà trovare in se stesso la testimonianza di quanto vado dicendo. Quando ritraiamo l`anima dal mondo per orientarla a Dio, quando ci votiamo all`orazione, succede che molte cose, fatte per l`innanzi con piacere, ci diventino pesanti, moleste e importune nella preghiera. Allora, sí e no riusciamo a scacciare il pensiero di tali cose, allontanandole dagli occhi del cuore, pur usando la mano del santo desiderio. Sí e no riusciamo a vincere certi molesti fantasmi, pur levando gemiti di penitenza.
    Però, allorché insistiamo con vigore nella preghiera, fermiamo nella nostra anima Gesú che passa. Per questo viene aggiunto: "Gesú si fermò e ordinò che il cieco gli fosse condotto dinnanzi" (Lc 18,40). Ecco, colui che prima passava, ora sta. E` cosí, perché fintanto che sopportiamo le turbe dei fantasmi, sentiamo quasi che Gesú passa. Quando invece insistiamo con forza nell`orazione, Gesú si ferma per ridarci la luce. Infatti, se Dio si ferma nel cuore, la luce smarrita è riacquistata...
    Ma ormai è tempo di ascoltare cosa fu fatto al cieco che domandava la vista, o anche cosa fece egli stesso. Dice ancora il Vangelo: "Subito recuperò la vista e si mise a seguire Gesú" (Lc 18,43). Vede e segue chi opera il bene che ha conosciuto; vede, ma non segue chi del pari conosce il bene, epperò disdegna di farlo. Se pertanto, fratelli carissimi, conosciamo già la cecità del nostro peregrinare; se, con la fede nel mistero del nostro Redentore, già stiamo seduti lungo la via; se, con la quotidiana orazione, già domandiamo la luce del nostro Autore; se, inoltre, dopo la cecità, per il dono della luce che penetra nell`intelletto siamo illuminati, sforziamoci di seguire con le opere quel Gesú che conosciamo con l`intelligenza. Osserviamo dove il Signore si dirige e, con l`imitazione, seguiamone le orme. Infatti, segue Gesú solo chi lo imita...

    E siccome noi scadiamo dall`interiore gaudio verso il piacere delle cose sensibili, egli volle mostrarci con quale sofferenza si debba ritornare a quel gaudio. Che cosa non dovrà patire l`uomo per il proprio vantaggio, se Dio stesso ha tanto patito per gli uomini? Chi dunque ha già creduto in Cristo, ma va ancora dietro ai guadagni dell`avarizia, monta in superbia per la propria dignità, arde nelle fiamme dell`invidia, si sporca nel fango della libidine, o desidera le prosperità mondane, disdegna di seguire quel Gesú nel quale ha creduto. Uno al quale la sua Guida ha mostrato la via dell`asprezza, percorre una strada diversa, perciò se ricerca gioie effimere e piaceri.

    (Gregorio Magno, Hom. in Ev., 2, 1-5.8)


    2. Cristo è l`autentica luce del mondo

    Cristo è dunque "la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo" (Gv 1,9), e la Chiesa, illuminata dalla sua luce, diventa essa stessa "luce del mondo", che illumina "coloro che sono nelle tenebre" (Rm 2,19), come Cristo stesso attesta quando dice ai suoi discepoli: "Voi siete la luce del mondo" (Mt 5,14). Di qui deriva che Cristo è la luce degli apostoli, e gli apostoli, a loro volta, sono la luce del mondo...
    E come il sole e la luna illuminano i nostri corpi, cosí da Cristo e dalla Chiesa sono illuminate le nostre menti. Quantomeno, le illuminano se noi non siamo dei ciechi spirituali. Infatti, come il sole e la luna non cessano di diffondere la loro luce sui ciechi corporali che però non possono accogliere la luce, cosí Cristo elargisce la sua luce alle nostre menti, epperò non ci illuminerà di fatto che se non vi si oppone la cecità del nostro spirito. In tal caso, occorre anzitutto che coloro che sono ciechi seguano Cristo dicendo e gridando: "Figlio di David, abbi pietà di noi" (Mt 9,27), affinché, dopo aver ottenuto da Cristo stesso la vista, possano successivamente essere del pari irradiati dallo splendore della sua luce.
    Inoltre, non tutti i vedenti sono egualmente illuminati da Cristo, ma ciascuno lo è nella misura in cui egli può ricevere la luce. Gli occhi del nostro corpo non sono egualmente illuminati dal sole: piú si salirà in alto, piú si alzerà l`osservatorio dal quale lo sguardo contemplerà la sua levata, e meglio si percepirà anche il chiarore e il calore; analogamente, piú il nostro spirito, salendo ed elevandosi, si sarà avvicinato a Cristo, esponendosi piú da vicino allo splendore della sua luce, piú magnificamente e brillantemente si irradierà il suo fulgore, come rivela Dio stesso per mezzo del profeta: "Avvicinatevi a me e io mi avvicinerò a voi, dice il Signore" (Zc 1,3); e dice ancora: "Io sono un Dio vicino e non un Dio lontano" (Ger 23,23).
    Non è però che tutti andiamo a lui nella stessa maniera, bensí ciascuno va a lui secondo le proprie possibilità (cf. Mt 25,15). O andiamo a lui insieme alle folle e allora ci ristora in parabole (cf. Mt 13,34), solo perché il prolungato digiuno non ci faccia soccombere lungo la via (cf. Mt 15,32; Mc 8,3); oppure, rimaniamo continuamente e per sempre seduti ai suoi piedi, non preoccupandoci che di ascoltare la sua parola, senza lasciarci turbare "dai molti servizi, scegliendo la parte migliore" che non ci verrà tolta (cf. Lc 10,39s).
    Avvicinandosi cosí a lui (cf. Mt 13,36), si riceve da lui molta piú luce. E se, al pari degli apostoli, senza allontanarci da lui sia pure di poco, restiamo sempre con lui in tutte le sue tribolazioni (cf. Lc 22,28), allora egli ci espone e spiega nel segreto ciò che aveva detto alle folle (cf. Mc 4,34) e ci illumina con maggiore chiarezza. E anche se si è capaci di andare a lui fino alla sommità del monte, come Pietro, Giacomo e Giovanni (cf. Mt 17,1-3), non si verrà illuminati solamente dalla luce di Cristo, ma anche dalla voce del Padre in persona.

    (Origene, Hom. in Genesim, 1, 6-7)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 31/10/2012 08:01
    XXXI DOMENICA

    Letture: Deuteronomio 6,2-6
    Ebrei 7,23-28
    Marco 12,28b-34

    1. Il modo esatto di amare il prossimo

    Dunque, poiché non è necessario un ordine, perché ognuno ami se stesso e la propria persona, cioè, poiché ciò che noi siamo singolarmente e comunitariamente ci riguarda in modo particolare, amiamo con una legge fermissima che anche negli animali è stata estesa - infatti anche gli esseri inferiori amano sé stessi e i loro corpi - non rimaneva, e per quel precetto che è sopra di noi, e per quello che è presso di noi, che osservarlo, come sta scritto: «Amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, e con tutta la tua intelligenza» e, «Amerai il prossimo tuo come te stesso». "Da questi due comandamenti dipende tutta la legge e i profeti" (Mt 22,37-40). L`amore, infatti, è lo scopo del precetto, cioè, ambedue di Dio e del prossimo. Poiché se tu ti ami nella tua interezza, cioè nell`anima e nel corpo, e parimenti, il tuo prossimo, nell`anima e nel corpo - la persona umana, infatti, è composta di anima e di corpo - in questi due comandamenti non è tralasciata nessuna delle cose che bisogna amare. Precedento, infatti, l`amore di Dio ed apparendo prescritta la maniera di amarlo, tanto che le rimanenti cose sono comprese in esso, sembra che niente sia stato detto intorno all`amore di te stesso, ma, poiché si è detto: «Ama il tuo prossimo come te stesso» simultaneamente anche l`amore di te stesso non è stato disgiunto da te.
    Vive, infatti, una vita giusta e santa, colui che sa stimare rettamente le cose, questi inoltre, è colui che ha un amore ordinato, perché o non ama ciò che è da amarsi, oppure non ama ciò che deve amarsi, o ama esageratamente ciò che deve amare di meno, oppure ama in maniera eguale ciò che deve amare o di meno o di piú, poiché è da amarsi in maniera giusta.
    Ogni peccatore, in quanto è tale, non lo si deve amare, ed ogni uomo, in quanto è tale, deve essere amato per amor di Dio, ma Dio, per se stesso.
    E se si deve amar maggiormente Dio che ogni uomo, ognuno deve amare Dio piú di se stesso. Parimenti si deve amare di piú un altro uomo che la propria persona, poiché è a motivo di Dio che tutte queste cose si debbono amare, e un altro uomo può insieme con noi godere di Dio, ciò che non può il corpo, poiché il corpo vive per mezzo dell`anima, con la quale godiamo di Dio.
    Tutti gli uomini, inoltre, debbono amarsi in maniera giusta, ma poiché tu non puoi essere di utilità a tutti, devi provvedere in special modo a quelli che sono uniti a te piú strettamente quasi con una certa sorte, dalle condizioni o dei luoghi, o dei tempi o di qualsiasi altra circostanza.
    Come, infatti, se tu fossi nell`abbondanza in qualche cosa, ciò che bisognerebbe dare a colui che non ha, non si sarebbe potuto dare a due persone, se ti venissero incontro due, dei quali né il primo né il secondo supera l`altro o per indigenza o in qualche bisogno verso di te, [e cosí agendo] non faresti niente di piú giusto che scegliere per sorte a chi si dovrebbe dare, poiché non è possibile dare a tutti e due, così negli uomini, ai quali tutti tu non possa provvedere, si deve giudicare che ognuno può esserti congiunto temporaneamente dalla sorte.
    Inoltre, fra tutti, quelli che con noi possono godere di Dio, in parte amiamo quelli che aiutiamo, in parte quelli dai quali siamo aiutati, in parte quelli del cui aiuto abbiamo bisogno ed alla cui indigenza siamo venuti incontro, in parte quelli ai quali né abbiamo dato alcunché di utilità e né da quelli da cui attendiamo che venga elargito a noi. Dobbiamo, tuttavia, volere che tutti amino Dio insieme con noi, e deve tendere tutto a quest`unico scopo il fatto o che noi siamo loro di aiuto, oppure essi di giovamento a noi.

    (Agostino, De dectr. christ., 1, 26-29)


    2. Amore di Dio e amore del prossimo

    Mosè scrisse nella legge: "Dio fece l`uomo a immagine e somiglianza sua" (Gen 1,26). Considerate, di grazia, la dignità di queste parole. Dio onnipotente, invisibile, incomprensibi!e ineffabile, inestimabile, fa l`uomo con del limo, e lo nobilita con la dignità della sua somiglianza. Qual è il rapporto tra il limo e Dio? Quale, quello tra il limo e lo spirito? Dio infatti, è spirito (Gv 4,24). Enorme degnazione di Dio, il quale donò all`uomo l`impronta della sua eternità e la somiglianza dei suoi costumi! Enorme dignità per l`uomo la sua somiglianza con Dio, se questa vien conservata, ma anche poi tremenda rovina, qualora venga profanata l`immagine di Dio!...
    Tutte le virtù che Dio seminò in noi nella nostra condizione primitiva, ci ha insegnato, poi, coi suoi precetti, a restituirgliele. Questa è la prima: "Amare il nostro Dio con tutto il cuore" (Mt 22,37; Mc 12,30), "perché lui per primo ci ha amati" (1Gv 4,10), dal principio, prima ancora che fossimo. L`amor di Dio è la rinnovazione della sua immagine. Ama Dio chi ne ossetva le leggi; disse infatti: "Se mi amate, osservate i miei precetti" (Gv 13,34). Il vero amore non è fatto di parole, ma di opere (cf.1Gv 3,23). Restituiamo perciò a Dio, nostro Padre, la sua immagine inviolata nella santità, perché lui è santo ("Siate santi, perché io sono santo", Lv 11,44; 1Pt 1,16), inviolata nella carità, perché lui è amore (1Gv 4,8: Dio è amore), inviolata nella pietà e nella verità, perché lui è pio e verace.
    Evitiamo di farci un `immagine diversa da quella di Dio; infatti sarebbe a immagine di un tiranno, chi fosse superbo, iracondo, feroce...
    Perché, dunque non ci diamo delle immagini di tiranni, dipinga in noi Cristo la sua immagine, lui che dipinse un`immagine, quando disse: "Vi do la mia pace, vi lascio la mia pace" (Gv 14,27). Ma che cosa vale sapere che la pace è un bene, se poi questa pace non è ben conservata? Di solito quanto piú una cosa è buona, tanto piú è fragile, e quanto piú è preziosa, tanto piú accortamente dev`essere custodita; è veramente troppo fragile ciò che si può sciupare con una sola parola o con un piccolo sgarbo...
    Purtroppo niente è piú gradito agli uomini che interessarsi delle cose altrui, parlar di cose inutili e dir male degli assenti; perciò coloro che non possono dire: "Il Signore mi ha dato una lingua raffinata, per sostener con la mia parola colui che è stanco" (Is 50,4) tacciano e, se vogliono dir qualcosa, sia detto solo al fine di fomentar la pace...
    "Chi non ama sta nella morte" (1Gv 3,14). Dunque, o non si deve far altro che amare, o non ci si può aspettar altro che la morte. "La pienezza della legge", infatti, "sta nell`amore" (Rm 13,8). E che questo amore si degni ispirarci abbondantemente il Signor nostro e Salvatore Gesú Cristo, che ci è stato donato da Dio, autore della pace e dell`amore.

    (Colombano Abate, Praecepta, 11, 1-4)


    3. Chi ama Dio lo conosce

    Osserviamo quanto l`apostolo Giovanni ci raccomandi l`amore fraterno: "Colui che ama il suo fratello", egli dice, "dimora nella luce, e nessuno scandalo è in lui" (1Gv 2,10). E` chiaro che egli ha posto la perfezione della giustizia nell`amore del fratello; perché colui nel quale non c`è scandalo è perfetto. E tuttavia sembra aver taciuto dell`amore di Dio, cosa che non avrebbe mai fatto se nello stesso amore fraterno non sottintendesse Dio. Poco dopo infatti, nella stessa Epistola, dice in modo chiarissimo: "Carissimi, amiamoci vicendevolmente perché l`amore viene da Dio; colui che ama è nato da Dio, e conosce Dio. Chi non ama, non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore" (1Gv 4,7-8). Questo contesto mostra in maniera sufficiente e chiara che questo amore fraterno - infatti l`amore fraterno è quello che ci fa amare vicendevolmente - non solo viene da Dio, ma che, secondo una cosí grande autorità, è Dio stesso. Di conseguenza, amando secondo l`amore il fratello, lo amiamo secondo Dio. Né può accadere che non amiamo principalmente questo amore, con cui amiamo il fratello. Da ciò si conclude che quei due precetti non possono esistere l`uno senza l`altro. Poiché in verità "Dio è amore" (1Gv 4,8.16), ama certamente Dio, colui che ama l`amore ed è necessario che ami l`amore colui che ama il fratello. Perciò poco piú innanzi l`apostolo Giovanni afferma: "Non può amare Dio, che non vede, colui che non ama il prossimo che vede" (1Gv 4,20), perché la ragione per cui non vede Dio è che non ama il fratello. Infatti chi non ama il fratello, non è nell`amore e chi non è nell`amore non è in Dio, perché "Dio è amore" (1Gv 4,16). Inoltre chi non è in Dio non è nella luce, perché: "Dio è luce, e tenebra alcuna non è in lui" (1Gv 1,5). Qual meraviglia, dunque, se chi non è nella luce non vede la luce, cioè non vede Dio, perché "è nelle tenebre" (1Gv 1,9-11)? Vede il fratello con sguardo umano che non permette di vedere Dio. Ma se amasse colui che vede per sguardo umano, con carità spirituale, vedrebbe Dio, che è la carità stessa, con lo sguardo interiore con cui lo si può vedere. Perciò "chi non ama il fratello che vede, come potrà amare Dio che non vede", precisamente perché "Dio è amore" (1Gv 4,8.16.20), amore che manca a colui che non ama il fratello? E non si ponga piú il problema di sapere quanto amore dobbiamo al fratello, quanto a Dio. A Dio, senza alcun confronto, piú che a noi. Al fratello poi tanto, quanto a noi stessi. Amiamo infine tanto piú noi stessi quanto piú amiamo Dio.

    (Agostino, De Trinit., 8, 8, 12)


    4. L`amore fa abitare Dio in noi

    "Nessuno vide Dio". Ecco, dilettissimi: "Se ci amiamo vicendevolmente, Dio resterà in noi, e il suo amore in noi sarà perfetto". Incomincia ad amare e giungerai alla perfezione. Hai cominciato ad amare? Dio ha iniziato ad abitare in te, ama colui che iniziò ad abitare in te affinché, abitando in te sempre piú perfettamente, ti renda perfetto. "In questo conosciamo che rimaniamo in lui e lui in noi: egli ci ha dato il suo Spirito" (1Gv 4,12-13). Bene, sia ringraziato il Signore. Ora sappiamo che egli abita in noi. E questo fatto, cioè che egli abita in noi, da dove lo conosciamo? Da ciò che Giovanni afferma, cioè che egli "ci ha dato il suo Spirito". Ed ancora, da dove conosciamo che "egli ci ha dato il suo Spirito?" Sí, che egli ci ha dato il suo Spirito, come lo sappiamo? Interroga il tuo cuore: se esso è pieno di carità, hai lo Spirito di Dio. Da dove sappiamo che proprio a questo segno noi conosciamo che abita in noi lo Spirito di Dio? Interroga Paolo apostolo: "La carità di Dio è diffusa nei nostri cuori, per mezzo dello Spirito Santo che è dato a noi".

    (Agostino, In Io. ep. tract., 8, 12)


    5. La legge dell`amore

    Gesú Cristo ci insegna ciò che è giusto, onesto, utile, e tutte le virtù, in pochissime parole, chiare, comprensibili a tutti, come quando dice: "In due comandi si riassumono la legge e i profeti" (Mt 22,40), cioè nell`amore verso Dio e nell`amore verso il prossimo; oppure, quando ci dà questa norma di vita: "Fate agli altri tutto ciò che voi volete ch`essi facciano a voi. Sta in questo la legge e i profeti" (Mt 7,12). Non c`è contadino, né schiavo, né donna semplice, né fanciullo, né persona di limitata intelligenza che non riesca a comprendere facilmente queste parole: nella loro chiarezza, infatti, è il segno della verità, e l`esperienza ha dimostrato questo.

    (Giovanni Crisostomo, Comment. in Matth., 1, 5)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 11/11/2012 08:14
    XXXII DOMENICA

    Letture: 1 Re 17,10-16
    Ebrei 9,24-28
    Marco 12,38-44

    1. Investire i talenti ricevuti nella banca del Signore

    L`apostolo Paolo grida: "Non abbiamo portato nulla venendo in questo mondo, neanche lo possiamo portar via" (1Tm 6,7) e anche: "Che cosa hai, che tu non abbia ricevuto?" (1Cor 4,7). Perciò, carissimi, non siamo avari del nostro, ma diamo a interesse ciò che ci è stato affidato. Abbiamo ricevuto dei beni, da usare come temporale merce di scambio, non come possesso eterno di cosa privata. Se li riconoscerai come temporaneamente tuoi sulla terra, potrai fartene una ricchezza eterna nei cieli. Se ti ricorderai di quei tali che ricevettero dei talenti dal Signore e che cosa il padre di famiglia diede loro in compenso, capirai quanto sia meglio mettere il danaro alla banca del Signore, perché si moltiplichi; capirai con quanta sterilità di fede, con quanta perdita per il servo inutile, fu conservato quel talento, che fruttò solo un aumento di pena a chi l`aveva nascosto.
    Sbrigati, dunque, per meritar di sentir le parole: "Via, servo buono, entra nel gaudio del tuo signore" (Mt 25,21), piuttosto che le altre: "Servo malvagio e pigro ti giudico dalle tue parole" (Lc 19,21); il servo pigro fu gettato in carcere, il suo talento fu dato a chi era già ricco per la moltiplicazione dei suoi crediti, e il Signore sentenziò: "A colui che ha sarà dato, a chi non ha, sarà tolto anche ciò che ha" (Mt 25,29). Ricordiamoci anche di quella vedova che, trascurando se stessa per amor dei poveri, testimone lo stesso Giudice, si privò di tutto il suo cibo: Gli altri hanno dato parte di ciò che loro sovrabbondava, essa, invece piú bisognosa forse anche di molti poveri, che aveva solo due spiccioli, ma nell`animo era piú ricca di tutti i ricchi, interessata solo dell`eterna mercede, cupida del tesoro celeste, rinunciò a tutto ciò che proviene dalla terra e si riconverte in terra. Diede ciò che aveva, per poter possedere ciò che non aveva ancora visto. Diede cose corruttibili, per procurarsi le incorruttibili. Quella poveretta non disprezzò il criterio di Dio circa la ricompensa futura, e il giudice finale non trascurò il suo gesto e preannunziò la sua sentenza; predicò nel vangelo colei che avrebbe coronato il giorno del giudizio.
    Diamo, dunque, a interesse al Signore i suoi stessi doni non abbiamo, infatti, nulla che non sia suo dono, noi che siamo noi stessi, un suo dono. E noi, in verità, che cosa possiamo ritenere nostro, se per un piú grande e speciale debito non siamo nostri? e non solo perché creati da Dio, ma anche perché da lui ricomprati. Rallegriamoci anche, perché siamo stati ricomprati a caro prezzo, col sangue dello stesso Signore; col quale prezzo non siamo piú vili e venali. Riportiamo, dunque, i suoi doni al Signore; diamo a colui che riceve attraverso il povero; diamo, dico, con gioia e riceveremo da lui esultanti. Piace a lui, infatti, che gli facciamo forza, spezzando con le opere buone le sbarre del cielo. Il Signor nostro, il solo buono, come il solo Dio, non vuol ricevere per un calcolo di avarizia, ma per generosità di affetto. Che cosa manca, infatti, a colui che dà tutte le cose? O che cosa non possiede, colui che è padrone dei possidenti? Tutti i ricchi sono nelle sue mani, ma la sua immensa giustizia e bontà vuole che gli si faccia dono dei suoi stessi doni, per avere ancora un titolo di misericordia verso di te, perché è buono. E davvero ti prepari lui un merito di cui tu sia degno, perché egli è giusto!

    (Paolino di Nola, Epist., 34, 2-1)


    2. Il Regno di Dio vale tutto ciò che uno possiede

    Avete udito, fratelli carissimi, che Pietro e Andrea non appena furono chiamati, al primo suono del comando, lasciarono le reti e seguirono il Redentore. Non l`avevano ancora visto operare alcun prodigio; ancora non l`avevano ascoltato in tema di premio eterno; e nondimeno, al primo cenno del Signore, dimenticarono tutto quello che poteva costituire il loro possesso...
    Mi sembra, peraltro, di sentire qualcuno che dice tra sé: Pietro e Andrea erano pescatori, non possedevano nulla o quasi. Cosa mai lasciarono al comando del Signore? Ma, in questo caso, fratelli carissimi, dobbiamo guardare piú all`affetto che al valore del censo. Certamente, molto lascia chi non trattiene nulla per sé; molto lascia chi abbandona completamente tutto quel che possiede. Noi, invece, siamo aggrappati gelosamente a quanto possediamo e desideriamo avidamente quel che non abbiamo. Pietro e Andrea lasciarono davvero molto, dal momento che rinunciarono persino al desiderio di possedere. Sí, questi apostoli lasciarono molto, rinunciando non solo alle cose ma altresí al desiderio di esse. Tanto lasciarono, ponendosi al seguito di Cristo, quanto avrebbero potuto desiderare, se non avessero intrapreso la sua sequela.
    Nessuno dica, quindi, allorché vede che altri han lasciato tutto: imiterei volentieri questi spregiatori del mondo, però non ho nulla da lasciare. Infatti, fratelli, anche voi rinunciate a molto, se rinunciate ai desideri terreni. Lasciando il poco che possedete, è quanto basta per far contento il Signore: egli guarda il vostro cuore, non il vostro patrimonio. Non guarda quanto gli offriamo in sacrificio, bensí l`amore con cui glielo offriamo. Se guardiamo al patrimonio terreno, dobbiamo dire che quei due santi mercanti acquistarono la vita eterna degli angeli, in cambio delle reti e della barca.
    Il Regno di Dio, invero, non ha prezzo; però esso vale tutto ciò che uno possiede. Nel caso di Zaccheo, esso valse la metà dei suoi beni, perché l`altra metà egli se la riservò per restituire il quadruplo a coloro che aveva defraudato (cf. Lc 19,8); nel caso di Pietro e Andrea, valse le reti e la barca (cf. Mt 4,20); per la vedova, valse solo due spiccioli (cf. Lc 21,2); per un altro, sarà valso magari un semplice bicchiere d`acqua fresca (cf. Mt 10,42). Quindi, il Regno di Dio, come ho già detto, vale tutto quello che uno possiede.
    Riflettete, dunque, fratelli, sul valore del regno dei cieli: niente vi è di meno costoso nell`acquisto e niente di piú prezioso nel possesso. Supponiamo però di non avere neppure un bicchiere d`acqua fresca da dare al povero; ebbene, anche in questo caso ci soccorre la parola divina. Alla nascita del Redentore, si mostrarono i cittadini del cielo, cantando: "Gloria a Dio nell`alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buon volere" (Lc 2,14). Davanti a Dio, la nostra mano non è sprovvista di doni, se l`arca del cuore è piena di buona volontà. Ecco perché il Salmista dice: "In me sono, o Dio, i voti che ti rendo, a te si levano le mie lodi" (Sal 55,12). E` come se dicesse: «Anche se non trovo fuori di me doni da offrire, nondimeno trovo nel mio intimo qualcosa da porre sull`altare della tua lode, poiché tu non ti pasci del nostro dono, ma ti lasci placare dall`offerta del cuore.

    (Gregorio Magno, Hom. in Ev., 5, 1-3)


    3. Nelle opere di pietà vi è posto per tutti

    Le opere della pietà sono vastissime e la loro stessa varietà dà ai veri cristiani la possibilità di svolgere per intero il proprio ruolo nella distribuzione delle elemosine, siano essi ricchi e nell`abbondanza, o, al contrario, poveri e mediocri, cosicché coloro che sono ineguali nelle possibilità di largizione, siano almeno simili nell`affetto del cuore. Infatti, quando, sotto gli occhi del Signore, molti buttavano nel gazofilacio del tempio grosse cifre prese dalla loro opulenza, una vedova vi introdusse due monetine e meritò di essere onorata dalla testimonianza di Gesú Cristo per quel dono minimo, preferito all`offerta di tutti gli altri: infatti, davanti ai doni magnifici di coloro ai quali restava ancora molto, il suo, per misero che fosse, costituiva tutto il suo avere (cf. Lc 21,1-4).
    Pertanto, se qualcuno è ridotto ad una povertà tale da non poter neppure elargire due spiccioli ad un indigente trova nei precetti del Signore di che adempiere il dovere deila benevolenza. Infatti, neppure chi avrà donato ad un povero un semplice bicchiere d`acqua fresca rimarrà senza ricompensa per il suo gesto (cf. Mt 10,42): oh, quali scorciatoie non ha preparato il Signore ai suoi servi per far loro conquistare il suo Regno, se persino il dono di un bicchiere d`acqua, d`uso gratuito e comune, non deve restare senza ricompensa!
    E, perché nessuna difficoltà potesse frapporvi ostacoli, è proprio un po` d`acqua fresca che viene proposto come esempio di misericordia, per timore che qualcuno cui manca la legna per fare il fuoco e farla scaldare, potesse pensare di essere privato della ricompensa.
    Il Signore, peraltro e non senza ragione, avvertí che tale bicchiere d`acqua doveva essere dato in suo nome, perché è la fede che rende preziose cose in sé stesse vili, e che le offerte degli infedeli, anche se fatte senza badare a spese, restano nondimeno vuote di ogni giustificazione.

    (Leone Magno, Sermo, 31, 2)


    4. Dio non pesa la quantità ma il cuore

    Grande è quel che Egli trarrà dal poco disponibile, poiché sulla bilancia della giustizia divina non si pesa la quantità dei doni, bensí il peso dei cuori. La vedova del Vangelo depositò nel tesoro del tempio due spiccioli e superò i doni di tutti i ricchi (cf. Mt 12,41-44). Nessun gesto di bontà è privo di senso davanti a Dio, nessuna misericordia resta senza frutto. Diverse sono senza dubbio le possibilità da lui date agli uomini, ma non differenti i sentimenti che egli reclama da loro.
    Valutino tutti con diligenza l`entità delle proprie risorse e coloro che hanno ricevuto di piú diano di piú.

    (Leone Magno, Sermo de jejunio dec. mens., 90, 3)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 16/11/2012 15:30
    XXXIII DOMENICA

    Letture: Daniele 12,1-3
    Ebrei 10,11-14.18
    Marco 13,24-32


    1. Il ritorno di Cristo

    Annunciamo la venuta di Cristo, non la prima solo, ma anche una seconda, molto piú bella della prima. La prima fu una manifestazione di pazienza, la seconda porta il diadema della regalità divina. Tutto è per lo piú duplice nel Signore nostro Gesú Cristo: doppia la nascita, una da Dio prima dei secoli, una dalla Vergine alla fine dei secoli; doppia la discesa: una oscura, come (rugiada) sul vello (cf. Gdc 6,36-40; Sal 71,6), l`altra piena di splendore: quella che verrà. Nella prima venuta fu avvolto in panni nella mangiatoia, nella seconda è circondato di luce come d`un mantello. Nella prima subí la croce, subí disprezzi e vergogna; nella seconda viene sulle schiere degli angeli che l`accompagnano, pieno di gloria. Non fermiamoci dunque alla prima venuta solamente, ma aspettiamo anche la seconda. Nella prima abbiam detto: "Benedetto colui cbe viene nel nome del Signore" (Mt 21,9), e nella seconda lo ripeteremo ancora: insieme con gli angeli andremo incontro al Padrone, ci getteremo ai suoi piedi e diremo: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore». Viene il Salvatore non per essere nuovamente giudicato, ma per chiamare in giudizio quelli che lo condannarono. Egli, che tacque la prima volta quando fu giudicato, lo ricorderà agli scellerati che osarono crocifiggerlo, dicendo: "Questo facesti, e tacqui" (Sal 49,21). Per la divina economia, venne allora ad ammaestrare gli uomini con la persuasione; ora invece per regnare su di loro a forza, anche se non lo vogliono.
    Di queste due venute dice il profeta Malachia: "E subito verrà al suo tempio il Signore, che voi cercate" (Ml 3,1). Ecco la prima venuta. Invece della seconda venuta dice: "E l`angelo del testamento che voi cercate. Ecco, viene il Signore onnipotente: chi sosterrà il giorno della sua venuta, chi sopporterà la sua vista? Si appresserà infatti come il fuoco della fornace, come la soda dei lavandai, si siederà per fondere e pulire" (Ml 3,2s). E subito dopo il Salvatore stesso dice: "Vi verrò incontro per fare giustizia, e sarò un testimone pronto contro gli avvelenatori e gli adulteri, contro quelli che nel mio nome giurano il falso" (Ml 3,5). Già Paolo allude a queste due parusie scrivendo a Tito: "E` apparsa la grazia di Dio, salvatore di tutti gli uomini, e ci ha insegnato a rinnegare l`empietà e le cupidigie mondane, e a vivere in questo mondo con temperanza, con giustizia e pietà, aspettando la beata speranza e la manifestazione gloriosa del nostro grande Iddio e salvatore Gesú Cristo" (Tt 2,11-13). Per questo nella fede che a noi è annunciata anche oggi ci è tramandato di credere in colui «che è asceso al cielo, siede alla destra del Padre, e verrà nella gloria a giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine».
    Viene dunque il Signore nostro Gesú Cristo dai cieli; viene nella gloria alla fine di questo mondo, nell`ultimo giorno; ci sarà infatti la fine di questo mondo e il mondo creato sarà rinnovato. Infatti la corruzione, il furto, l`adulterio e ogni specie di delitto si è effuso sulla terra e nel mondo si è mescolato sangue al sangue, affinché perciò questa mirabile dimora non resti oppressa dall`iniquità, se ne va questo mondo perché ne sia inaugurato uno migliore. Vuoi una dimostrazione di ciò dai detti scritturistici? Odi Isaia che dice: "Il cielo si avvolgerà come una pergamena e tutte le stelle cadranno come le foglie dalla vite, come cadono le foglie dal fico" (Is 34,4). E il Vangelo dice: "Il sole si oscurerà la luna non darà piú il suo splendore e gli astri cadranno dal cielo" (Mt 24,29). Non affliggiamoci come se noi soli dovessimo finire: anche le stelle finiscono, ma forse di nuovo risorgeranno. Il Signore arrotola i cieli, non per distruggerli, ma per farli risorgere piú belli. Ascolta il profeta David che dice: "In principio tu, Signore, hai fondato la terra, e opera delle tue mani sono i cieli. Essi periranno, ma tu rimani" (Sal 101,26).
    Ma qualcuno obietterà: «Però dice chiaramente che periranno». Ma ascolta in che senso dice «periranno»: è chiaro da ciò che segue: "E tutti invecchieranno come un vestito e tu li avvilupperai come un mantello: ed essi muteranno" (Sal 101,27). Si parla infatti come di una morte di un uomo, come sta scritto: "Vedete in che modo perisce il giusto, e nessuno se la prende a cuore" (Is 57,1), ma se ne aspetta la risurrezione; così aspettiamo quasi la risurrezione dei cieli. "Il sole si muterà in tenebre e la luna in sangue" (Gl 2,31; At 2,20). Notino questo i convertiti dal manicheismo: non attribuiscano piú la divinità agli astri, né ritengano empiamente che questo sole, il quale si oscurerà, sia Cristo. E ascolta ancora il Signore che dice: "Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno" (Mt 24,25). Le parole del Signore non possono paragonarsi alle realtà create. Le realtà visibili passano e vengono le realtà che aspettiamo, piú belle delle presenti: ma nessuno ne ricerchi curiosamente il tempo: "Non sta in voi" - è detto infatti - "conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato in suo potere" (At 1,7). Non osare dunque di stabilire il tempo in cui ciò avverrà; ma neppure, al contrario, non adagiarti supinamente: "Vigilate" - è detto infatti -, "perché nell`ora in cui non aspettate, il figlio dell`uomo verrà" (Mt 24,44).

    (Cirillo di Gerusalemme, Catech., 15, 1-3)


    2. Il mistero dell`ultimo giorno

    Affermano alcuni che nessuno, neanche il Figlio, ma il solo Padre, conosca l`ultimo giorno.
    Ma com`è possibile che la Sapienza ignori anche una sola delle cose che sono, che l`ignori il creatore e rinnovatore dei secoli, colui che è il fine di tutte le cose create, che conosce le cose di Dio, come lo spirito dell`uomo conosce ciò che ha in se stesso? Che c`è al mondo di piú pieno e perfetto di questa conoscenza? E com`è possibile che quello stesso che conosce tutto ciò che precede un evento e ne conosce esattamente lo svolgimento, non ne conosca poi ora? E` come se uno dicesse di sapere tutto ciò che è innanzi a un muro e di non saper nulla del muro, o come se uno conoscesse la fine di un giorno, ma ne ignorasse il principio della notte seguente. E` fuor di dubbio che Cristo, come Dio, conosce l`ora della fine del mondo, ma, poiché qui si parla di Figlio senza alcun riferimento, possiamo ritenere che questa ignoranza la si possa attribuire alla umanità del Cristo, senza coinvolgere la sua divinità.

    (Gregorio di Nazianzo, Oratio, 30, 15)


    3. Scienza umana e divina di Gesú

    Certo, quando nel Vangelo dice di sé, come di uomo: "Padre viene l`ora, glorifica tuo figlio" (Gv 17,1), mostra chiaramente che egli conosce, come Verbo, l`ora in cui verrà la fine di tutte le cose, ma che l`ignora come uomo. Perché è proprio dell`uomo ignorare, particolarmente cose di questa specie. Ma questo è un tratto di singolare benevolenza del Salvatore. Fattosi uomo, infatti, non si vergogna di accusare la sua ignoranza di uomo. Non disse: "Neanche il Figlio di Dio lo sa" (Mc 13,32), perché non sembrasse che la divinità lo ignorasse; ma solo: "neanche il Figlio", perché si capisse che parlava dell`ignoranza del Figlio nato dagli uomini.

    (Atanasio, Contra Arian., 3, 43)


    4. Solo il Padre conosce «il giorno e l`ora»

    E` irragionevole, pertanto, che voi, tronfi di alterigia, affermiate con audacia che si possano conoscere i misteri mirabili di Dio, dal momento che lo stesso Signore, il Figlio di Dio in persona, ammise che solo al Padre era dato conoscere il giorno e l`ora del giudizio, dicendo espressamente: "Quanto poi a quel giorno o a quell`ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli del cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre" (Mc 13,32).
    Se dunque la conoscenza del giorno lo stesso Figlio non ebbe remore a riferirla al Padre, ma disse semplicemente quel che è vero, neppure noi dobbiamo averne nel riservare a Dio quelle cose che superano le nostre possibilità di giudizio. "Nessuno", infatti, "è superiore al proprio maestro" (Mt 10,24; Lc 6,40).
    Di conseguenza, se qualcuno ci avrà chiesto: «Come dunque il Figlio è generato dal Padre?», possiamo rispondergli che una tale accezione, o generazione, o denominazione, o spiegazione, o altro termine con cui si voglia chiamare la di lui generazione è indicibile nella sua esistenza, e nessuno lo sa.

    (Ireneo di Lione, Adv. haer., II, 28, 6)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 21/11/2012 08:05
    XXXIV DOMENICA: SOLENNITA` DI CRISTO RE

    Letture: Daniele 7,13-14
    Apocalisse 1,5-8
    Giovanni 18,33b-37

    1. Gesú e Pilato

    In questo discorso dobbiamo esaminare e spiegare che cosa disse Pilato a Cristo, e cosa egli rispose a Pilato.
    Dopo aver detto ai giudei: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge», e dopo che essi gli ebbero risposto: «Non è permesso a noi dare la morte ad alcuno», "Pilato rientrò nel pretorio, e chiamò Gesú e gli disse: «Tu sei il re dei giudei?». Rispose Gesú: «Da te lo dici, ovvero altri te l`hanno detto di me?»" (Gv 18,33-34). Il Signore sapeva bene quel che chiedeva a Pilato, come pure sapeva cosa egli gli avrebbe risposto; tuttavia, volle che fosse detto ciò, non per sapere quanto già sapeva, ma perché fosse scritto quanto voleva che giungesse a nostra conoscenza. "Rispose Pilato: «Sono io forse giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me: che hai fatto?». Rispose Gesú: «Il mio regno non è di questo mondo. Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servi avrebbero certamente combattuto perché io non fossi dato nelle mani dei giudei; invece il mio regno non è di quaggiú»" (Gv 18,35-36).
    Questo è quanto il buon maestro ci volle insegnare: ma prima era necessario dimostrarci quanto vana fosse l`opinione che del suo regno avevano sia i gentili sia i giudei, dai quali Pilato l`aveva appresa. Essi pretendevano che egli dovesse esser messo a morte nerché aveva cercato di impadronirsi ingiustamente del regno; oppure perché sia i romani che i giudei dovevano temere, come avverso al loro potere, il suo regno, in quanto appunto i detentori del potere sono soliti temere ed esser gelosi di chi potrebbe prendere il loro posto. Il Signore avrebbe potuto rispondere subito alla prima domanda di Pilato: «sei tu il re dei giudei?», dicendo: «il mio regno non è di questo mondo». Ma egli, chiedendo a sua volta se quanto Pilato domandava, lo diceva da sé, cioè fosse la sua opinione personale, oppure l`avesse inteso da altri, volle che fosse palese, attraverso la risposta di Pilato, che erano i giudei a formulare tale accusa contro di lui. Egli ci mostra cosí la vanità dei pensieri degli uomini (cf. Sal 93,11), che ben conosceva, e rispondendo loro, giudei e gentili insieme, con parole piú opportune ed efficaci, dopo quanto ha detto Pilato, dice: «Il mio regno non è di questo mondo».
    Se avesse fatto questa dichiarazione subito dopo la prima domanda di Pilato, si sarebbe potuto pensare che egli rispondesse, non anche ai giudei ma ai soli gentili, come se fossero stati solo questi ad avere di lui una tale opinione. Poiché invece Pilato risponde: «Sono io forse giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me», allontana da sé ogni sospetto che si possa ritenere che egli abbia spontaneamente detto, e non piuttosto sentito dai giudei, che Gesú aveva affermato di essere re dei giudei. E Pilato, inoltre, col chiedergli: «che hai tu fatto?», lascia intendere che egli era stato condotto a motivo di un delitto. E` come se Pilato dicesse: Se non sei re, che hai fatto di male da essere consegnato a me? Quasi non fosse già straordinario il fatto che si consegnasse al giudice per essere punito chi diceva di essere re, ecco che se non avesse detto ciò, il giudice deve chiedere cos`altro abbia fatto di male per essere condotto da lui ad essere giudicato.
    Ascoltate dunque, giudei e gentili, ascoltate circoncisi e incirconcisi; tutti i regni della terra prestino orecchio: Io non danneggio il vostro potere in questo mondo, dice in sostanza il Signore, perché «il mio regno non è di questo mondo». Non fatevi prendere dall`assurdo timore che colse Erode, quando apprese la nascita di Cristo, e si spaventò tanto che fece uccidere tutti i neonati, sperando di uccidere anche Gesú tra quelli, mostrandosi cosí sanguinario e crudele piú per la paura che non per la collera (cf. Mt 2,3-16). «Il mio regno» - dice il Signore - «non è di questo mondo». Che volete di piú? Venite dunque nel regno che non è di questo mondo; venite credendo, e guardatevi dalla crudeltà ispirata dalla paura. E` vero che in una profezia, il Figlio, parlando di Dio Padre, ha detto: "Sono stato consacrato re da lui su Sion, il sacro suo monte" (Sal 2,6), ma questo monte e quella Sion non sono dl questo mondo. Di chi è composto il suo regno, se non di coloro che credono in lui, ai quali egli ha detto: «Non siete del mondo, cosí come io non sono del mondo»? Senza dubbio egli voleva che essi dimorassero nel mondo, e per questo chiese al Padre: «Non domando che tu li tolga via dal mondo, ma che li custodisca dal male». Notate che anche ora non dice: Il mio regno non è in questo mondo; ma dice: «il mio regno non è di questo mondo». E dopo aver provato la sua asserzione, soggiungendo: «Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servi avrebbero certamente combattuto perché io non fossi dato nelle mani dei Giudei», non dice: invece il mio regno non è qui, ma dice: «il mio regno non è di quaggiú». In realtà, il suo regno è qui, sulla terra, fino alla fine dei secoli, dove la zizzania è mischiata al buon grano sino alla mietitura che sarà alla fine dei tempi quando verranno i mietitori, cioè gli angeli, e toglieranno dal suo regno tutti gli scandalosi (cf. Mt 13,38-41). E questo non potrebbe accadere, se il suo regno non fosse sulla terra. Tuttavia, esso non è di quaggiú, perché è esiliato nel mondo. E` al suo regno, cioè a questi pellegrini nel mondo, che egli dice: «Voi non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo». Essi erano del mondo, quando ancora non facevano parte del suo regno ma appartenevano al principe di questo mondo. Tutto quanto negli uomini è stato creato da Dio, ma che ha avuto origine dalla stirpe colpevole e dannata di Adamo, appartiene al mondo; e tutto quanto è stato rigenerato in Cristo fa parte del regno e non appartiene piú al mondo. E` in questo modo che Dio ci ha sottratti al potere delle tenebre (cf. Col 1,13) e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore. Ed è appunto di questo regno che egli dice: «Il mio regno non è di questo mondo», oppure: «Il mio regno non è di quaggiú».
    "Gli disse allora Pilato: «Dunque tu sei re?». E Gesú rispose: «Tu dici che io sono re»" (Gv 18,37).
    Il Signore non teme di riconoscersi re, ma la sua espressione: «tu lo dici», è cosí calibrata che non nega di essere re (re, si intende, il cui regno non è di questo mondo), ma neppure afferma di esserlo, in quanto ciò potrebbe far pensare che il suo regno è di questo mondo. In questo senso infatti pensava Pilato, col dire: «dunque tu sei re?». Gesú risponde: «tu lo dici», cioè tu sei della terra, e secondo la carne cosí ti esprimi.

    (Agostino, Comment. in Ioan., 115, 1-3 )


    2. La città terrena è fondata sull`amore di sé, la città di Dio sull`amore di Dio

    Due amori fondarono due città: l`amore di sé fino al disprezzo di Dio fondò la città terrena; l`amore di Dio fino al disprezzo di sé, invece, la città celeste. Perciò quella si gloria in se stessa, questa nel Signore. Quella ricerca la gloria dagli uomini; la gloria piú grande di questa, invece, è Dio, testimone della sua coscienza. Quella innalza il capo nella sua gloria; questa dice al suo Dio: "Gloria mia, che innalza il mio capo" (Sal 3,4). Quella è dominata dalla brama di dominio sui principi o sulle nazioni soggiogate; in questa si servono a vicenda, nella carità, i capi governando, i sudditi obbedendo. Quella ama, nei suoi potenti, la propria forza; questa dice al suo Dio: "Amo te, o Signore, o forza mia" (Sal 17,2)...
    Ma la città celeste, o meglio quella sua parte che è pellegrina in questo corpo mortale e vive di fede, è necessario che fruisca di questa pace fino a quando questo suo stato mortale cui tale pace è necessaria non se ne passi. Pertanto, mentre trascorre la sua vita in schiavitú e pellegrinaggio nella città terrena, pur avendo già accolto la promessa della redenzione e il dono spirituale che ne è il pegno, non dubita di obbedire alle leggi della città terrena; quelle, cioè, con cui questa si amministra, leggi atte a sorreggere la vita mortale. Le è comune con essa il suo stato mortale: si mantiene di tal modo la concordia tra le due città in tutto ciò che a questo stato mortale si riferisce...
    Questa città celeste, dunque, mentre è pellegrina sulla terra, raccoglie i propri cittadini da tutte le genti, e raduna una società pellegrinante, dai popoli di tutte le lingue: non bada a ciò che nei costumi, nelle leggi e nelle tradizioni è diverso, se pur crea o mantiene la pace terrena; nulla disprezza di quei popoli, nulla distrugge, ma anzi tutto conserva e osserva. Infatti, benché diverso in diverse nazioni, tutto serve allo stesso fine di ottenere la pace terrena, se non impedisce la religione che ci insegna di dover adorare un unico sommo e vero Dio. La città celeste, dunque, gode, in questo suo pellegrinaggio, della pace terrena e di tutto ciò che giova alla natura umana; difende e desidera, quanto lo ammette l`integrità della devozione e della religione, la concordia delle volontà e mette in rapporto la pace terrena alla pace terrestre. Ma è quest`ultima la vera pace, tanto che si può dir l`unica pace della creatura razionale, cioè l`unione ordinatissima e piena di armonia nel godimento di Dio e nel godimento reciproco in Dio; al quale quando si giungerà, la vita non sarà piú mortale, ma certamente e pienamente vitale; e il corpo non sarà piú animale, che si corrompe e aggrava l`anima, ma spirituale, senza bisogno alcuno, soggetto in ogni sua parte alla volontà. Anche in questo pellegrinaggio possiede tale pace nella fede; e per questa fede vive nella giustizia perché al raggiungimento di tale pace ordina tutte le sue buone azioni compiute verso Dio e verso il prossimo; la vita infatti di tale città è evidentemente sociale.

    (Agostino, De civit. Dei, 14, 28; 19, 17)


    3. I Giudei e il mistero della salvezza

    Sappiamo, infatti, che il Cristo verrà e che i Giudei non lo rifiuteranno, giacché daranno la loro speranza alla sua venuta.
    Né su questo argomento la maggior parte dovrebbe cercare di sapere di piú, dal momento che nell`antichità tutti i profeti avevano predicato su di lui, come Isaia: "Cosí dice il Signore Dio al mio Cristo: lo ascoltino tutte le genti, di lui ho la destra! frantumerò il regno della potenza, aprirò davanti a Lui le porte, e le città non gli saranno chiuse" (Is 45,1). E questo noi lo vediamo adempiuto in Lui. A chi, infatti, tiene la destra Dio Padre, se non al Cristo, suo Figlio, che tutti i popoli hanno ascoltato, del quale nei salmi di David sono mostrati e i predicatori e gli apostoli: "In tutta la terra risuonò la loro voce e fino ai confini della terra le loro parole?" (Sal 18,5).
    In quale altro, infatti, tutti i popoli credettero, se non nel Cristo che già è venuto? [A chi in effetti, credettero le genti] "Parti e Medi ed Elamiti e quelli che abitano la Mesopotamia, Armenia (Frigia), la Cappadocia, e gli abitanti del Ponto e dell`Asia, la Frigia e la Panfilia, i dimoranti in Egitto, e le regioni dell`Africa, che è al di là di Cirene, e quelli che risiedono - Romani e stranieri" - allora e i "Giudei in Gerusalemme" e tutti gli altri popoli, come le differenti razze di Getuli e i molti confini dei Mauri, e tutti i limiti degli Ispani e le diverse nazioni delle Gallie, e le regioni dei Britanni inaccessibili ai Romani, assoggettati, invero, al Cristo, e dei Sarmati, e delle molte popolazioni lontane e delle province e delle isole a noi ignote, che non possiamo in nessun modo enumerare? In tutte queste regioni, il nome di Cristo, alle quali già giunse, e regna (cf. Is 45,1), poiché prima di lui le porte di tutte le città sono state aperte (cf. Is 45,2), e a lui nessuna è stata chiusa, prima del quale quelle di ferro.
    Quantunque queste cose anche spiritualmente sono intellegibili, poiché l`intimità dei singoli in vari modi posseduta dal demonio, della fede del Cristo è stata liberata, tuttavia anche per la propria natura sono state adempiute, affinché il popolo nel nome di Cristo abitasse in tutti quei luoghi.
    Chi, infatti, avrebbe potuto regnare in tutti i popoli, se non il Cristo, figlio di Dio, che veniva annunziato a tutti che avrebbe regnato per sempre? (cf. Sal 10,16).
    Ma il nome di Cristo è predicato ovunque, dovunque è creduto, è onorato da tutti i popoli sopra enumerati, regna ovunque, ed è adorato dappertutto.
    A tutti, in ogni luogo, è presentato in maniera eguale; presso di lui non c`è maggior grazia di re, non minor gioia di alcun barbaro; i suoi meriti distinti non dipendono o dalla dignità o dai natali; per tutti è uguale, per tutti è re; per tutti è giudeo; di tutti è il Signore e il Dio.

    (Tertulliano, Adv. Judaeos, 7, 2-6.9)
2