00 22/11/2011 11:24

dal commento di Lino Pedron

INTRODUZIONE

Conoscere s. Paolo significa conoscere Cristo, di cui egli è stato costituito araldo e apostolo (1Tm 2,7) e di cui poteva dire di aver penetrato a fondo la mente (1Cor 2,16).

Egli applica a sé il termine servo nel senso sacro che questa parola aveva nell’AT, nel quale designa la dedizione e l’appartenenza totale di una persona a Dio. Paolo è il servo di Cristo Gesù (Rm 1,1).

Prendendo come punto di riferimento Cristo, la vita di Paolo può essere sintetizzata in tre espressioni: Paolo il nemico di Cristo, Paolo l’afferrato da Cristo, Paolo il cantore di Cristo.

1) Paolo, il nemico di Cristo.

Paolo fa esplicito riferimento, più di una volta, a questa sua primordiale condizione di nemico di Cristo e di persecutore della Chiesa, e non porta altra attenuante che quella dell’ignoranza e dell’educazione ricevuta: Certamente voi avete sentito parlare della mia condotta d’altri tempi nel giudaismo: come sfrenatamente perseguitassi la chiesa di Dio e superassi nel giudaismo molti coetanei della mia stirpe, essendo molto più zelante (di loro) nelle mie tradizioni paterne (Gal 1,13-14).

Rendo grazie a colui che mi ha dato la forza, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al ministero: io che per l’innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo senza saperlo, lontano dalla fede (1Tm 1,12-13). Io ritenevo, davanti a me stesso, di dover fare molte cose contro il nome di Gesù Nazareno; ciò che feci in Gerusalemme, e molti dei santi io rinchiusi in prigione avendo ricevuto potestà dai sommi sacerdoti, e mentre venivano uccisi portai il mio voto (At 26,9-10). Era tutta la sua rigida educazione giudaica e farisaica, congiunta al suo temperamento, che lo portava a questo scontro pesante con Cristo.

2) Paolo, l’afferrato da Cristo.

Mentre Saulo spirante minaccia e sterminio contro i discepoli del Signore (At 9,1) stava recandosi a Damasco per arrestare i cristiani di quella comunità, in un istante da persecutore diventa discepolo e apostolo di Cristo. La conversione di Paolo è stata un fragoroso naufragio ai piedi di un’invisibile montagna, Cristo, e a questa nuova terra-ferma egli ancorò da quel momento la sua vita. Ormai vivrà e morirà solo per lui: Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno (Fil 1,21). Il Risorto si è presentato a Paolo con il suo nome storico: Io sono Gesù che tu perseguiti (At 9,5). Colui che gli è apparso non è un fantasma, ma una persona viva in carne e ossa.

La conversione di Paolo coincide con la sua vocazione all’apostolato: questa seconda è la logica conseguenza della prima. Non è possibile incontrare il Cristo vivo senza provare la passione struggente di urlare questa scoperta a tutti gli uomini perché anch’essi aprano gli occhi e si convertano dalle tenebre alla luce. Non è un vanto per me predicare il vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il vangelo! (1Cor 9,16).

L’attività apostolica di Paolo ha del portentoso, soprattutto se si considera che egli fu sempre afflitto da una malattia cronica, particolarmente fastidiosa (Gal 4,13-15). Percorse a piedi 7. 800 Km e altri 9. 000 in mare. Il mondo intero allora conosciuto fu teatro della sua predicazione.

Egli non fondava soltanto nuove comunità cristiane, ma le assisteva continuamente, le governava anche da lontano e le consolidava. E questo accresceva la sua già grande fatica (2Cor 11,16-29). Per noi cristiani san Paolo è senza dubbio il più ammirabile esempio di quella fiamma alta e pura che Cristo Gesù sa accendere nelle anime che lo amano; per coloro poi che non condividono la sua fede, egli resta un genio, un eroe, il testimone delle cause che valgono più della vita, un uomo che fa onore all’uomo (H. Daniel-Rops).

3) Paolo, l’innamorato cantore di Cristo.

Oltre che grande apostolo, missionario e fondatore di chiese, Paolo fu anche pensatore geniale, scrittore denso ed efficace, il teologo più profondo e luminoso del cristianesimo e il mistico più infiammato che ha raggiunto Dio: Egli fu rapito in paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunziare (2Cor 12,4).

Le lettere di Paolo non hanno uno scopo letterario, ma esclusivamente apostolico: poter comunicare a distanza con le comunità cristiane per aiutarle a risolvere i loro problemi e per continuare ad evangelizzarle.

Non avendo nessuna mira letteraria, si capisce anche perché l’apostolo non indugi in preziosità di stile o in eleganze di effetto. Egli va diritto a quello che vuole dire senza sprecare parole superflue. Molte volte, poi, preso da un pensiero fisso, egli lo insegue anche se, la grammatica o la sintassi non lo seguono più: è il caso di paragoni non rifiniti (Rm 5,12), di frasi ellittiche (Rm 11,18; 1Cor 11,16; ecc. ), di concordanze a senso, di anacoluti, di parentesi aperte e non più rinchiuse, e cose simili.

Quando l’afflato lo prende, Paolo sa diventare anche eloquente. Nelle pagine del suo epistolario vibra la passione per Cristo, che lo spinge e lo divora. L’attività letteraria di Paolo non è scindibile dalla persona di Cristo che gli ha incatenato mente, cuore e parola. Senza Cristo l’epistolario paolino e la sua stessa vita non avrebbero più senso.

La Lettera ai Romani rappresenta il vertice più alto della dottrina e della teologia di Paolo. Pur essendo centrata su un tema ben determinato, cioè la giustificazione mediante la fede indipendentemente dalle opere della Legge (3,28), essa spazia su un vastissimo campo di argomenti riguardanti i più diversi aspetti della vita cristiana, riunificabili tutti però nel pensiero dominante: il vangelo di Cristo come forza di Dio per la salvezza di chiunque crede e come suprema rivelazione di grazia santificante e vivificante da parte di Dio (1,16-17).

Il protagonista di questa lettera è Dio Padre. Egli intende assolutamente salvare l’umanità venduta come schiava del peccato (7,14) senza distinzione tra giudei e pagani, comunicandole la sua giustizia, cioè la sua vita di santità. Cristo sarà strumento di questa universale riconciliazione (5,10). Mediante il battesimo Cristo ci inserisce nel mistero della sua morte e della sua risurrezione (6,5). Questo palpito di vita soprannaturale è reso più cosciente e operante dallo Spirito stesso di Cristo (9,8), che è lo Spirito del Padre, che ci è stato donato come pegno e frutto del suo amore: L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito che ci è stato donato (5,5). Di fronte a questo amore di Dio che ha fatto irruzione nella storia, l’uomo è invitato a dare la sua risposta: l’assenso della fede. Fede che è adesione intellettuale a tutte le verità rivelate attraverso la predicazione (10,14-16), soprattutto alla persona di Cristo, propiziatorio mediante il suo sangue; fede che è anche fiducia nella bontà del Padre e alimenta la speranza fino a quando non saremo definitivamente salvati; fede che è obbedienza interiore alla volontà di Dio (1,5; 16,26) e la traduce in pratica diventando così carità operante (Gal 5,6).

La fede è l’unica grandezza dell’uomo. Essa implica infatti l’onesto riconoscimento dei limiti dell’uomo: la sua ragione è incapace concretamente di raggiungere tutta la verità, anche quella di ordine puramente naturale e filosofico (1,18-21); soprattutto la sua volontà è incapace di attuare il bene conosciuto come tale: Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio (7,19). La fede non è il prezzo della salvezza, ma la condizione preliminare per la quale l’uomo riconosce la sua impotenza a salvarsi e accetta di essere salvato da Dio per mezzo di Cristo. La stessa vita morale sarà la traduzione in atto delle esigenze di questa nuova vita di fede in Cristo e nel suo Spirito: a somiglianza di Cristo morto e risorto anche voi consideratevi come morti al peccato, ma viventi a Dio in Cristo Gesù (6,11). Questa continua morte al peccato, ottenuta frenando le voglie della carne, sarà come un continuo sacrificio vivente, santo, bene accetto a Dio, il vero culto spirituale voluto dal Signore (12,1). Come tutto il mistero della salvezza si ricapitola nell’amore di Dio che è in Cristo Gesù Signore nostro (8,39), così tutta la morale del cristiano trova il suo centro nella legge della carità (agàpe) fraterna perché l’adempimento completo della legge è l’amore (agàpe) (13,10).

L’occasione che originò questa lettera deve essere cercata nell’irrefrenabile spirito di conquista missionaria di Paolo. Già da tempo egli pensava di recarsi in Spagna, ai confini dell’estremo occidente, per annunciare anche là Gesù Cristo (15,24-28). Come tappa intermedia e come quartiere generale delle sue spedizioni missionarie Paolo aveva scelto Roma. Questa città, capitale dell’impero, doveva esercitare un fascino particolare nella mente di Paolo. Per questo, quando era ancora ad Efeso, aveva detto: Bisogna che io vada a Roma (At 19,21). Dal cuore dell’impero sarebbe stato più facile irradiare dovunque la luce del vangelo.

Questa lettera potrebbe essere sintetizzata così:

1) Esordio (1,1-17) contenente saluti e auguri con enunciazione del tema: Il vangelo è forza di Dio per la salvezza di chiunque crede, per il giudeo prima e quindi per il greco (v.16).

2) Prima parte: dogmatica (1,18-11,36) intesa a dimostrare che la giustizia si ottiene solo per la fede in Cristo.

3) Seconda parte: morale (12,1-15,13) intesa come realizzazione concreta delle esigenze della fede.

4) Epilogo (15,14-16,27) con comunicazioni personali, piani di viaggio, ultime raccomandazioni e saluti e dossologia finale.