RIFLESSIONI BIBLICHE

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Coordin.
00venerdì 25 settembre 2015 07:05
E' sempre buona cosa per noi ascoltare l'incoraggiamento del Signore. "Coraggio, Zorobabele; coraggio, Giosuè, sommo sacerdote; coraggio, popolo tutto del paese, e al lavoro, perché io sono con voi". Non c'è incoraggiamento maggiore di questo, né più efficace: "Io sono con voi. il mio Spirito sarà con voi, non temete".
Se vogliamo sapere in quale condizione Dio lavorerà con noi, dobbiamo riflettere sulle due lettere di oggi, che in un certo senso sono complementari. Esse mi fanno pensare alle regole date da sant'Ignazio per il tempo della desolazione e per il tempo della consolazione: quando ci si sente consolati, pieni di coraggio e di ottimismo, bisogna pensare alle difficoltà che verranno, alla desolazione che verrà e prepararsi ad affrontarle. il Vangelo va in questa direzione, è un Vangelo di consolazione, poiché è la rivelazione del Messia. Gesù provoca la dichiarazione entusiasta dei suoi discepoli: "Tu sei il Cristo di Dio!". Ma subito dopo proibisce di dirlo e rivela di dover percorrere una strada di sofferenza e di morte. La regola di sant'Ignazio per il tempo della desolazione dice che allora bisogna pensare alla consolazione che verrà, sapere che la desolazione non durerà a lungo, che Dio ci aiuterà, anzi ci sta già aiutando e che quindi possiamo camminare con fiducia e perseveranza. Questa è la lezione della prima lettura. Siamo in un momento di scoraggiamento: "Chi di voi è ancora in vita che abbia visto questa casa nel suo primitivo splendore? Ma ora in quali condizioni la vedete? In confronto a quella, non è forse ridotta a un nulla?".
I Giudei sono ritornati dall'Egitto con grandi progetti, con grandi ambizioni. Venivano per ricostruire
il tempio di Dio, e la loro fantasia era piena delle descrizioni del tempio di Salomone e della sua gloria. Non solo, ma fra loro c'erano dei vecchi che una sessantina di anni prima avevano visto quel tempio prima che venisse distrutto ed ora erano delusi di come le cose stavano andando. La ricostruzione era stata intralciata da mille difficoltà, noti c'erano i mezzi per fare qualcosa di grande e di bello e il profeta lo constata:
"Non è forse ridotta a un nulla?". E tuttavia, in queste circostanze desolanti, arriva a tutti un messaggio di consolazione: "Coraggio dice Dio io sono con voi, io lavoro con voi". E promette di scuotere il cielo e la terra, il mare e la terraferma per far affluire a questo tempio miserabile tutti i tesori delle nazioni. "La gloria di questa casa sarà più grande di quella di una volta, dice il Signore degli eserciti; in questo luogo porrò la pace".
Per capire questo oracolo di Dio bisogna riferirci ancora al Vangelo e al mistero di Cristo.
Non è soltanto questione di circostanze esterne noti favorevoli; è veramente necessario che il tempio sia ricostruito nell'umiltà e in una certa angustia. "Il Figlio dell'uomo deve soffrire molto": è una necessità. Bisogna che sia rifiutato, messo a morte e che risusciti il terzo giorno. La profezia di Aggeo si realizza veramente nel nuovo tempio che è il corpo di Cristo, il vero tempio di Dio. È nel corpo di Cristo che possiamo incontrare Dio. Non solo, ma possiamo tutti insieme formare, nel corpo di Cristo, il vero tempio di Dio.
Ma perché questo tempio fosse ricostruito erano necessarie la sofferenza e l’umiliazione, era necessario che Cristo soffrisse per entrare nella sua gloria.
Questa necessità si ritrova in ogni esistenza. E necessario che viviamo periodi di difficoltà, anche di umiliazione, perché il nostro amore sia purificato, la nostra offerta sia davvero degna di Dio. Invece di scoraggiarci per le difficoltà, dobbiamo, proprio a motivo di esse, aumentare la nostra fiducia, perché sono un segno che Dio lavora in noi.
Oggi non è raro ascoltare riflessioni simili a quelle del profeta Aggeo. Ci sono persone che si lamentano della situazione della Chiesa: "Prima sì che le cose erano meravigliose: tutta questa unità, tutta quella disciplina... Adesso non si capisce più dove andremo a finire ". E quello che si dice della Chiesa si dice della vita religiosa e di tante altre realtà. Non scoraggiamoci, ma torniamo continuamente al mistero di Cristo: viviamo con umiltà e fiducia, sapendo che Dio è con noi, che il suo Spirito è in mezzo a noi e non dobbiamo temere. Certo, perché Dio sia con noi bisogna che noi siamo con lui, nella docilità al suo Spirito. Docilità che si esprime nell'ottimismo costante, non l'ottimismo facile di chi non vuol vedere, ma l'ottimismo della fede, l'ottimismo di chi aderisce al mistero di Cristo nel concreto della vita
Coordin.
00sabato 26 settembre 2015 04:48
Le due letture odierne ci richiamano i due aspetti del mistero di Cristo, che la Chiesa celebra nella Messa e al quale tutti partecipiamo. Nel Vangelo troviamo l'aspetto della sofferenza: "Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato in mano degli uomini". E un aspetto difficile da accettare, perché è contrario ai sogni umani, nei quali la gloria è senza pena, mentre Dio glorifica attraverso la prova che trasforma l'uomo per portarlo all'unione con lui. L'aspetto della gloria lo troviamo nel profeta Zaccaria che, come Aggeo, ha predicato la ricostruzione del tempio e anche quella di Gerusalemme. Il tempio si deve ricostruire, ma bisogna anche ricostruire la città di cui il tempio è il centro, il cuore. E Zaccaria profetizza che Gerusalemme sarà una città molt6 grande, meravigliosa, la città del Signore: "Gerusalemme sarà priva di mura, per la moltitudine di uomini e di animali che dovrà accogliere. Io stesso dice il Signore le farò da muro di fuoco all'intorno e sarà una gloria in mezzo ad essa". ~ Signore è attorno e in mezzo a Gerusalemme: è dovunque nella città che è sua. Questa immagine della nuova Gerusalemme diventa realtà nel Nuovo Testamento, in molti modi.
Alla nuova Gerusalemme il profeta dice: "Gioisci, esulta, figlia di Sion, perché, ecco, io vengo ad abitare in mezzo a te oracolo del Signore . Questa profezia si compie in maniera speciale, meravigliosa in Maria santissima alla quale l'Angelo ha portato questo annuncio: "Gioisci, piena di grazia, il Signore è con te". La profezia di Zaccaria evoca dunque la maternità divina di Maria e insieme la maternità umana di lei, Madre della Chiesa, Madre dei fedeli: "Nazioni numerose aderiranno in quel giorno al Signore e diverranno suo popolo". Noi siamo queste numerose nazioni, che abitiamo la nuova città che Cristo ha costruito con la sua risurrezione, la Chiesa, città piena di gioia perché il Signore è in mezzo ad essa.
Chiediamo alla Madonna che ci faccia capire sempre meglio il nostro grande privilegio
Coordin.
00domenica 27 settembre 2015 08:32
padre Ermes Ronchi
Si può essere di Cristo senza appartenere al gruppo dei Dodici

Maestro, c'era uno che scacciava demoni e volevamo impedirglielo, perché non era dei nostri. Un uomo, che liberava altri dal male e li restituiva alla vita, viene bloccato dai seguaci di Gesù.
Giovanni si fa portavoce di una mentalità gretta, fatta di barriere e di muri, per la quale non conta la vita piena dell'uomo, il vero progetto di Gesù, ma la difesa identitaria del gruppo, il loro progetto deviato.
Mettono quindi l'istituzione prima della persona, la loro idea prima dell'uomo: il malato può aspettare, la felicità può attendere.
Ma la "bella notizia" di Gesù non è un nuovo sistema di pensiero, è la risposta alla fame di più grande vita. Il Vangelo non è una morale, ma una sconvolgente liberazione.
Infatti Gesù sorprende i suoi: chiunque aiuta il mondo a liberarsi e fiorire è dei nostri. Semini amore, curi le piaghe del mondo, custodisci il creato? Allora sei dei nostri. Sei amico della vita? Allora sei di Cristo.
Quanti seguono il Vangelo autentico, senza neppure saperlo, perché seguono l'amore.
Si può essere di Cristo, senza appartenere al gruppo dei dodici.
Si può essere uomini e donne di Cristo, senza essere uomini e donne della chiesa, perché il regno di Dio è più vasto della chiesa, non coincide con nessun gruppo.
Allora impariamo a godere e a ringraziare del bene, da chiunque sia fatto.
Quelli non sono dei nostri. Tutti lo ripetono: gli apostoli di allora e i partiti di oggi, le chiese e le nazioni davanti ai migranti. Invece Gesù era l'uomo senza barriere, uomo senza confini, il cui progetto è uno solo: voi siete tutti fratelli.
Gli esseri umani sono tutti dei nostri e noi siamo di tutti, siamo gli "amici del genere umano" (Origene).
Tante volte ci sentiamo frustrati, impotenti, il male è troppo forte. Gesù dice: tu porta il tuo bicchiere d'acqua, fidati, il peggio non prevarrà.
Se tutti i miliardi di persone portassero il loro bicchiere d'acqua, quale oceano d'amore si stenderebbe a coprire il mondo. Basta un sorso d'acqua per essere di Cristo.
Ma l'annuncio di Gesù si fa più coraggioso: Ti darò cento fratelli, se mi segui (Mt 19,29) e intendeva dire: cento cuori su cui riposare, ma anche cento labbra da dissetare.
Il Vangelo termina con parole dure: se la tua mano, il tuo piede, il tuo occhio ti scandalizzano, tagliali. Gesù ripete un aggettivo: il tuo occhio, la tua mano, il tuo piede. Non dare sempre la colpa del male agli altri, alla società, all'infanzia, alle circostanze. Il male si è annidato dentro di te: è nel tuo occhio, nella tua mano, nel tuo cuore. Cerca il tuo mistero d'ombra e convertilo.
La soluzione non è una mano tagliata, ma una mano convertita. A offrire il suo bicchiere d'acqua.



Coordin.
00lunedì 28 settembre 2015 05:57
Anche oggi il Vangelo ci ricorda le condizioni di una vera fraternità. E la prima condizione è l'umiltà: non discutere per sapere chi è il più grande. Bisogna supporre che questo problema fosse molto vivo per gli Apostoli, perché Gesù nel Vangelo ritorna spesso su questo punto. È vero che questo è naturale nell'uomo e non è un male: è Dio, il Creatore che ha messo in noi questo desiderio di grandezza, perché dobbiamo trovare la grandezza vera. Il Signore non ci rimprovera di cercarla, anzi ce ne insegna la strada. Dicendo: "Chi è il più piccolo tra tutti voi, questi è grande", egli approva il nostro desiderio, ma ci indica dove si trova la vera grandezza e ci mostra come abbiamo torto quando ci paragoniamo gli uni agli altri e desideriamo innalzarci altri: la vera grandezza sta nel servire. Servire, essere ignorato, essere disprezzato è grandezza maggiore che essere servito, onorato al di sopra degli altri.
Ancora, il Signore ci insegna la strada dicendoci di accogliere i piccoli. Non solo di farci piccoli, ma di metterci al servizio dei piccoli. Egli stesso ci ha dato l'esempio nell'Ultima cena, nella quale ci ha fatto intravedere il senso della sua imminente passione: si è messo ai nostri piedi, ci ha lavato i piedi come uno schiavo. E si è umiliato fino alla morte, alla morte di croce. Per questo scrive san Paolo ai Filippesi Dio l'ha esaltato al di sopra di tutti.
Se la nostra idea di grandezza ha come modello questa immagine del Signore, la nostra fraternità è autentica e il Signore è presente in mezzo a noi nella sua umiltà e grandezza.
Il secondo passaggio del Vangelo ci indica un'altra caratteristica della vera fraternità: la tolleranza. "Maestro, abbiamo visto un tale che scacciava demoni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non è con noi". Ma Gesù non è dello stesso parere: "Non glielo impedite". Non si può pretendere che nel seguire il Signore tutti camminino allo stesso modo: questa sarebbe uguaglianza esteriore, ma noti fraternità che rispetta la vocazione irripetibile di ciascuno. il Signore qui dice una frase un po' speciale: "Chi non è contro di voi, è per voi". Un'altra volta egli ha detto: "Chi non è con me, è contro di me" e sembrano parole in contrasto tra loro. Non è così, perché qui non si tratta di lui, ma dei discepoli e del loro modo di seguire il Maestro. I discepoli devono essere contenti di vedere che anche altri seguono Cristo, sia pure in una maniera che non è la loro.
Domandiamo al Signore questa apertura di cuore, perché in ogni comunità cristiana l'umiltà, il servizio reciproco e la vicendevole tolleranza costruiscano una vera fraternità
Coordin.
00martedì 29 settembre 2015 05:19
Gli Angeli sono esseri misteriosi, e in forma misteriosa ne parla il profeta Daniele nella celebre profezia sul Figlio dell'uomo che la liturgia ci fa leggere oggi:
"Un fiume di fuoco scendeva dinanzi a lui; mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi lo assistevano". Daniele non nomina gli Angeli: parla di fuoco, di migliaia, di miriadi di miriadi... Sono veramente esseri misteriosi. Noi li rappresentiamo come uomini dal viso soave e dolce, nella Scrittura invece appaiono come esseri terribili, che incutono timore, perché sono la manifestazione della potenza e della santità di Dio, che ci aiutano ad adorare degnamente: "A te voglio cantare davanti ai tuoi angeli, mi prostro verso il tuo tempio santo". Come preghiamo nel prefazio di oggi: "Signore, Padre santo, negli spiriti beati tu ci riveli quanto sei grande e amabile al di sopra di ogni creatura". Nella visione di Daniele non sono gli Angeli gli esseri più importanti: vediamo più avanti "uno, simile ad un figlio d'uomo" ed è lui, non gli Angeli, ad essere introdotto fino al trono di Dio, è a lui che egli "diede potere, gloria e regno", è a lui che "tutti i popoli serviranno". La stessa cosa vediamo nel Vangelo: gli Angeli sono al servizio del Figlio dell'uomo. "Vedrete i cieli aperti e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo" dirà Gesù, facendo allusione sia a questa visione di Daniele sia alla visione di Giacobbe, che nel sonno vede gli Angeli salire e scendere sul luogo dove è coricato e che dà il senso della presenza di Dio in tutti i luoghi della terra.
Gli Angeli di Dio sono dunque al servizio del Figlio dell'uomo, cioè di Gesù di Nazaret; la nostra adorazione non è rivolta agli Angeli, ma a Dio e al Figlio di Dio. Gli Angeli sono servitori di Dio che egli, nella sua immensa bontà, mette al nostro servizio e che ci aiutano ad avere un senso più profondo della sua santità e maestà e contemporaneamente un senso di grande fiducia, perché questi esseri terribili sono al nostro servizio, sono nostri amici.
Domandiamo al Signore che ci faccia comprendere davvero la sua santità e maestà infinite, perché ci prostriamo con sempre maggiore reverenza alla sua presenza, davanti ai suoi Angeli
Coordin.
00mercoledì 30 settembre 2015 07:44
Ringraziamo Dio per il grande dono della Scrittura: è un dono del suo amore, un dono antico e sempre nuovo che dobbiamo sfruttare nella fede.
Nel Vangelo Gesù ci dice appunto che il nostro tesoro è contemporaneamente antico e nuovo. E ogni epoca è invitata a discendere in questa miniera inesauribile per trovare nuove ricchezze, e le trova davvero.
Il modo attuale di studiare la Scrittura non assomiglia a quello dei secoli passati: vi scopriamo aspetti nuovi, che ci aiutano ad apprezzarne meglio la varietà e la ricchezza. Così si rinnova continuamente il gusto e l'interesse per lo studio della Bibbia.
Sappiamo che la Scrittura si studia bene soltanto nella fede. "Le Sacre Scritture scrive Paolo a Timoteo possono istruirti per la salvezza, che si ottiene per mezzo della fede in Cristo Gesù". Lo studio della Scrittura è fatto per mezzo della fede, che lo guida. Per aver fede bisogna prima capire un po' la Scrittura, perché se non si capisce niente dell'annuncio di salvezza non è possibile aderirvi, quindi per arrivare a credere è necessario fare un certo lavoro di intelligenza, un certo studio. Ma d'altra parte per approfondire la Scrittura è necessaria la fede: credere per, comprendere.
Se qualcuno ha il senso delle cose spirituali capisce profondamente la Bibbia anche se non ha cultura, perché la fede illumina gli occhi del suo cuore e questa illuminazione è più preziosa di tutti i mezzi della scienza, che possono far luce su aspetti secondari, ma non raggiungono il centro, che è il "proprio" della fede.
Non bisogna disprezzare lo studio faticoso degli scienziati, perché i loro sforzi sono necessari per far penetrare la fede in tutti i settori della vita e di ogni epoca. Ma Dio ha rivelato i tesori della Scrittura non soltanto agli intelligenti, ma anche a chi è meno dotato, mediante la fede, luce divina.
Siamo dunque riconoscenti al Signore per questo tesoro che tutti noi utilizziamo e aiutiamo ad approfondirlo insieme agli studiosi, perché la scienza aiuta a comprendere le Scritture, ma ancor più aiuta la santità
Coordin.
00giovedì 1 ottobre 2015 06:23
Una ragazza morta a ventiquattro anni diventa dopo neppure cinquant'anni modello di tutta la Chiesa. Pio XI era molto devoto di santa Teresa di Gesù Bambino e la nominò patrona delle Missioni, lei, la cui breve vita si svolse tutta fra Alenon e Lisieux e che dopo i suoi quindici anni non usci più dal convento.
Quanto spesso Gesù dimostra che i pensieri di Dio non sono i nostri pensieri, né le sue vie le nostre vie I nostri pensieri vengono dall'orgoglio, quelli di Dio dall'umiltà; le nostre vie sono tutte uno sforzo per essere grandi, quelle di Dio si percorrono solo diventando piccoli. Come sulle strade per andare a Nord bisogna prendere la direzione opposta al Sud, così per camminare sulle vie di Dio dobbiamo prendere la direzione opposta a quella verso cui il nostro orgoglio ci spinge.
Teresa aveva grandi ambizioni, grandi aspirazioni: voleva essere contemplativa e attiva, apostolo, dottore, missionario e martire, e scrive che una sola forma di martirio le sembrava poco e le desiderava tutte... il Signore le fece capire che c'è una sola strada per piacergli: farsi umili e piccoli, amarlo con la semplicità, la fiducia e l'abbandono di un bimbo verso il padre da cui si sa amato. "Non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze. Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre". ~ bellissimo salmo 130 può essere applicato alla lettera alla vita di Teresa.
Così questa giovanissima donna ravvivò nella Chiesa il più puro spirito evangelico ricordando una verità essenziale: prima di dare a Dio è necessario ricevere. Noi abbiamo la tendenza a guardare sempre a quello che diamo; Teresa ha capito che Dio è amore sempre pronto a dare e che tutto riceviamo da lui. Chi vuol mettere la propria generosità prima della misericordia, prima dell'amore misericordioso di Dio, è un superbo; chi riceve quello che Dio gli dà con la semplicità di un bambino arriva alla santità: è contento di non saper far nulla e riceve tutto da Dio. È un atteggiamento spirituale che è anch'esso dono di Dio ed è tutt'altro che passività. Teresa fece di sé un'offerta eroica e visse nella malattia e nella prova di spirito con l'energia e la forza di un gigante: la forza di Dio si manifestava nella sua debolezza, che ella abbandonava fiduciosamente nelle mani divine. Riuscì così in modo meraviglioso a trasformare la croce in amore, una croce pesante, se ella stessa dirà alla fine della sua vita che non credeva fosse possibile soffrire tanto.
Impariamo questa grande lezione di fiducia, di piccolezza, di gioia e preghiamo Teresa che ci aiuti a camminare come lei nella povertà di spirito e nell'umiltà del cuore. Saremo come lei inondati da un fiume di pace
Coordin.
00venerdì 2 ottobre 2015 05:17
I testi liturgici ci invitano a riflettere sulla nostra relazione con Dio e a prendere coscienza che su di essa è fondata la vera fraternità.
La prima lettura, un passo dell'Esodo, parla dell'Angelo che il Signore manda davanti al suo popolo come protettore e come guida. "Dice il Signore: "Abbi rispetto della sua presenza, ascolta la sua voce ".
Subito queste parole suscitano il sentimento della presenza di Dio. Ma il contesto biblico chiarisce che la presenza dell'Angelo indica che la relazione del popolo con Dio è ancora imperfetta, deve progredire. Dio non può rivelarsi pienamente, non può mettere il popolo in relazione immediata con se stesso perché è un popolo peccatore, ribelle, che si trova soltanto all'inizio del lungo cammino che lo condurrà alla Terra promessa, alla diretta presenza di Dio. L'Angelo è come un intermediario, colui che fa camminare verso Dio e che contemporaneamente, in un certo senso, protegge dalla sua terribile presenza, fino a quando il popolo sarà in grado di reggere di fronte alla sua maestà.
L'Angelo ci fa ascoltare la voce di Dio; secondo la Bibbia la sua presenza accanto a noi non ha altro scopo che di metterci in relazione con lui. E Dio dice: "Ascolta la sua voce, non ribellarti a lui; egli non ti perdonerebbe, perché il mio nome è in lui".
Se siamo docili a questa voce interiore, che è la voce stessa di Dio, siamo condotti progressivamente a una unione profonda con il Signore, simboleggiata nella Bibbia dalla entrata nella Terra promessa, il paese dove scorrono latte e miele, dove Dio prepara tutti i beni della salvezza.
Anche il Vangelo di oggi parla del rapporto con Dio: "Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli".
Gesù stesso ci dice come dobbiamo rapportarci gli uni agli altri e che, per rispettare veramente le persone, per avere rapporti cristiani, dobbiamo anzitutto pensare al loro rapporto con Dio. Avvicinando qualsiasi persona dobbiamo pensare che Dio l'ama, che ha dei progetti su di lei, che l'aiuta a corrispondere a questi progetti. Se ci pensiamo seriamente, il nostro atteggiamento sarà molto più positivo: avremo più pazienza, più comprensione e soprattutto più amore.
Uno dei primi Gesuiti, il beato Pietro Fabre, che viaggiava molto e doveva incontrare tante persone, avvicinare tante autorità nella sua lotta contro l'eresia protestante, aveva molta devozione agli Angeli. Quando passava nelle città, quando si preparava ad incontrare qualcuno, pregava l'Angelo custode di queste città, di queste persone e otteneva grazie mirabili. Si era messo alla presenza di Dio e questa presenza irraggiava da lui sugli altri. Se ci ispiriamo a questo esempio, ogni nostro rapporto splenderà davvero della luce del Signore, nonostante noi siamo cosi deboli e imperfetti, e camminererno sempre più, con la sua grazia, verso la sua presenza
Coordin.
00sabato 3 ottobre 2015 07:40
La prima lettura, presentandoci Gerusalemme "vedova e desolata per i peccati dei suoi figli", ma anche piena di speranza di una loro ripresa, ci fa pensare a Maria, madre della vera Gerusalemme, preoccupata per i suoi figli che non hanno seguito il Signore ma si sono allontanati da lui e hanno peccato.
Nelle sue apparizioni la Madonna esprime sempre la sua materna sollecitudine per i peccatori, esorta a pregare per loro, li invita a penitenza, li incoraggia come fa Gerusalemme: "Coraggio, figli, gridate a Dio, perché si ricorderà di voi colui che vi ha provati. Come pensaste di allontanarvi da Dio, così ritornando decuplicate lo zelo per ricercano.. .". Maria è la madre che chiama tutti alla conversione, con slancio pieno di fiducia, con tenerezza, con forza. Ella ci ama e vuole la nostra gioia, per questo le sue parole sono sempre: "Penitenza! Penitenza!... Pregate per i poveri peccatori.. .". La via della gioia vera e la via della conversione coincidono.
Uniamoci a lei, portiamo a lei il mondo attuale con le sue desolazioni, le sue angosce, i suoi peccati, le sue inconsapevoli speranze di salvezza, perché tutti i nostri fratelli, ritornando a Dio, ritrovino la gioia
Coordin.
00domenica 4 ottobre 2015 08:43
padre Ermes Ronchi
Una carne sola: Dio congiunge le vite, è autore della comunione

Alcuni farisei si avvicinano a Gesù per metterlo alla prova. La domanda è scontata: è lecito a un marito ripudiare la moglie? La risposta è facile: sì, è lecito. Ma non è questa la vera posta in gioco. Il brano mette in scena uno dei conflitti centrali del Vangelo: il cuore della persona o la legge? Gesù afferma una cosa enorme: non tutta la legge ha origine divina, talvolta essa è il riflesso di un cuore duro (per la durezza del vostro cuore Mosè diede il permesso del ripudio...). La Bibbia non è un feticcio. E per questo Gesù, infedele alla lettera per essere fedele allo spirito, ci prende per mano e ci insegna ad usare la nostra libertà per custodire il fuoco e non per adorare la cenere! (Gustav Mahler).
C'è dell'altro, più importante e più vitale di ogni norma, e sta dalle parti di Dio. A Gesù non interessa regolamentare la vita, ma ispirarla, accenderla, rinnovarla, con il sogno di Dio. Ci prende per mano e ci accompagna a respirare l'aria degli inizi: in principio, prima della durezza del cuore, non fu così.
L'uomo non separi quello che Dio ha congiunto. Dal principio Dio congiunge le vite! Questo è il suo nome: Dio-congiunge, fa incontrare le vite, le unisce, collante del mondo, legame della casa, autore della comunione. Dio è amore, e «amore è passione di unirsi all'amato» (san Tommaso). Il Nemico invece ha nome Diavolo, Separatore, la cui passione è dividere.
L'uomo non divida, cioè agisca come Dio, si impegni a custodire la tenerezza, con gesti e parole che creano comunione tra i due, che sanno unire le vite. Tutto parte dal cuore, non da una norma esterna. Chi non si impegna totalmente nelle sue relazioni d'amore ha già commesso adulterio e separazione. Il peccato è tradire il respiro degli inizi, trasgredire un sogno, il sogno di Dio.
Portavano dei bambini a Gesù... Ma i discepoli li rimproverarono. Al vedere questo, Gesù si indignò. È l'unica volta, nei Vangeli, che viene attribuito a Gesù questo verbo duro. L'indignazione è un sentimento grave e potente, proprio dei profeti davanti all'ingiustizia o all'idolatria: i bambini sono cosa sacra.
A chi è come loro appartiene il regno di Dio. I bambini non sono più buoni degli adulti; non sono soltanto teneri, ma anche egocentrici, impulsivi e istintivi, però sanno aprire facilmente la porta del cuore a ogni incontro, non hanno maschere, sono spalancati verso il mondo e la vita.
I bambini sono maestri nell'arte della fiducia e dello stupore. Loro sì sanno vivere come i gigli del campo e gli uccelli del cielo, si fidano della vita, credono nell'amore.
Prendendoli fra le braccia li benediceva: perché nei loro occhi il sogno di Dio brilla, non contaminato ancora.
Coordin.
00lunedì 5 ottobre 2015 07:28
Le due letture di oggi parlano di lontananza e di vicinanza. Giona fugge per non andare a Ninive come Dio gli ha comandato, ma allontanandosi dai Niniviti si allontana anche dal Signore. Il Samaritano invece si avvicina all'uomo malmenato dai ladroni, se ne prende cura, si rende disponibile.
È questa la dinamica di Dio, che si fa prossimo a noi pieno di amore e di misericordia. Dio è il pastore che cerca la pecorella smarrita per riportarla salva all'ovile, è il padre che corre incontro al figlio perduto che ritorna, è il Samaritano che si china premuroso sul ferito. È Gesù, che muore sulla croce per noi. Dio è così e non vuole una religione che metta al riparo, che separi dagli altri nel timore di contaminarsi, che non dia il primato alla carità.
Ascoltiamo dunque sempre come rivolto a noi l'invito di Gesù: "Va' e fa' anche tu lo stesso". Non è facile essere costantemente a disposizione degli altri e quindi di Dio; per questo è necessaria molta preghiera, che apra il nostro cuore alla carità paziente, longanime, generosa.
Questo mi porta ad un'altra osservazione. Giona, gettato in mare, è inghiottito da un pesce e portato all'asciutto. Ma tra il primo evento e la liberazione c'è una lunga fiduciosa preghiera del profeta, che la liturgia ha omesso per farne il Salmo responsoriale: "Nella mia angoscia ho invocato il Signore ed egli mi ha esaudito; dal profondo degli inferi ho gridato e tu hai ascoltato la mia voce...". E un elemento importantissimo, perché senza preghiera non è possibile aprirsi alla grazia, passare dall'egoismo preoccupato di sé, della propria vita, della propria reputazione, all'amore che si fa prossimo a chi è nella necessità, sull'esempio del Signore Gesù
Coordin.
00martedì 6 ottobre 2015 08:56
Forse il Vangelo di oggi suscita in noi un po' di nostalgia, se preferiamo essere Maria, seduta ai piedi di Gesù ad ascoltare la sua parola, e invece dobbiamo necessariamente essere l'indaffarata Marta. Ma con molta probabilità non è una nostalgia totalmente pura. Se riflettiamo un po' ci rendiamo conto che quando avremmo tutto il tempo per assumere il ruolo di Maria preferiamo prendere quello di Marta e viceversa. Vuol dire che in realtà cerchiamo sempre di accontentare Il nostro egoismo, e il ruolo di Maria in fondo ci piace non per ascoltare la parola di Gesù, ma per starcene tranquilli, che è un'altra cosa.
Chi è veramente fedele al Signore approfitta di tutti i momenti per tentare di essere Maria, ascoltando davvero la parola del Signore, cercando la gioia vicino a lui. Allora, anche in mezzo a molte occupazioni, si riesce a continuare ad essere Maria. Ci sono persone attivissime, che devono continuamente passare da un 'occupazione all'altra, e internamente sono in profonda pace, in una segreta contemplazione, perché davvero rimangono con il cuore vicino a lui. Fanno tutto quello che devono fare, non in un artificioso distacco dalle cose, ma con piena tranquillità, perché così servono il Signore e l'amore per lui e per il prossimo mette nel loro cuore una tranquillità straordinaria.
Domandiamo al Signore che ci aiuti ad essere fedeli alla sua voce e a non cercare noi stessi, sia nel riposo che nell'attività, perché possiamo avere la vera tranquillità nell'unione con lui, in ogni azione e in tutte le nazioni
Coordin.
00mercoledì 7 ottobre 2015 06:36
La memoria del Rosario conduce il pensiero alle prime parole dell'Ave Maria: "Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te", che ripetiamo tante volte quando preghiamo il Rosario. E un modo di metterci alla presenza di Maria e nello stesso tempo alla presenza del Signore, perché "il Signore è con lei", di rimanere in maniera semplice con la Madonna, rivivendo con lei tutti i misteri della vita di Gesù, tutti i misteri della nostra salvezza.
Il racconto dell'annunciazione a prima vista ci presenta un solo mistero, ma se guardiamo bene vi si trovano tutti i misteri del Rosario: l'annunciazione, ma anche la visitazione, perché vi si nomina Elisabetta, e il Natale di Gesù: "Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù". Anche i misteri gloriosi sono annunciati: "Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore gli darà il trono di Davide suo padre... e il suo regno non avrà fine". E nella risurrezione e ascensione che Gesù riceve la dignità di re messianico, la gloria eterna nel regno del Padre. Dunque, misteri gaudiosi e misteri gloriosi. Sembra che manchino quelli dolorosi, ma troviamo anche quelli, non descritti, ma nel loro principio. Pensiamo alla risposta di Maria all'annuncio dell'Angelo: non è un grido di trionfo, ma una parola di umiltà: "Eccomi, sono la serva del Signore", che la mette in profonda consonanza con il Servo del Signore annunciato da Isaia, il Servo che sarà glorificato, ma prima umiliato, condannato, ucciso, "trafitto per i nostri delitti".
Maria sa, per ispirazione dello Spirito Santo, che i misteri gloriosi non possono avvenire senza passaggio attraverso l'obbedienza fiduciosa e dolorosa al disegno divino.
I misteri del Rosario sono una sola unità, ed è importante sapere che in ogni mistero gaudioso ci sono in radice tutti i misteri gloriosi e anche i dolorosi, come via per giungere alla gloria.
Chiediamo alla Madonna di aiutarci a capire profondamente l'unità del mistero di Cristo, perché esso si possa attuare nei suoi diversi aspetti in tutti gli eventi della nostra vita.
Mi piace riportare, a proposito della preghiera del Rosario, un piccolo testo che trovai anni fa in una rivista benedettina: "Dì il tuo Rosario dice Dio e non fermarti ad ascoltare gli sciocchi che dicono che è una devozione sorpassata e destinata a morire. Io so che cos'è la pietà, nessuno può dire che non me ne intendo, e ti dico che il Rosario mi piace, quando è recitato bene. I Padre Nostro, le Avemarie, i misteri di mio Figlio che meditate, sono Io che ve li ho dati. Questa preghiera te lo dico io è come un raggio di Vangelo, nessuno me la cambierà. Il Rosario mi piace dice Dio semplice e umile, come furono mio Figlio e sua Madre...".
Rinnoviamo, se è necessario, la nostra stima per il Rosario. Certo, bisogna pregarlo con rispetto, ed è meglio dirne due decine senza fretta che cinque di corsa. Ma detto con tranquillità è un modo di essere in compagnia di Maria alla presenza di Gesù
Coordin.
00giovedì 8 ottobre 2015 08:37
Ecco un Vangelo confortante e illuminante. Gli Ebrei andavano dicendo: "E inutile servire Dio: che vantaggio abbiamo ricevuto? Dobbiamo invece proclamare beati i superbi che, pur facendo il male, si moltiplicano e, pur provocando Dio, restano impuniti". La risposta, più che nell'Antico Testamento, la troviamo nel Nuovo. I musulmani danno a Dio novantanove bellissimi nomi, ma tra questi non c'è l'appellativo "padre". Essi insistono sulla trascendenza di Dio e la loro è soltanto preghiera di sottomissione; noi invece crediamo alla rivelazione della sua paternità e la nostra preghiera è sì di sottomissione alla sua volontà, ma anche di fiducia filiale.
Gesù nel Vangelo di oggi porta l'esempio di un padre che dà al figlio da mangiare, e gli dà cose buone. Dobbiamo andare al nostro Padre celeste con la semplicità e l'insistenza dei bambini e otterremo tutto da ~ui. L'ultima frase sorprende, perché Gesù in modo inaspettato conclude parlando dello Spirito Santo, dono di Dio, condizione di ogni richiesta: "... quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!".
Così la nostra preghiera viene orientata verso i beni ultimi. Con lo Spirito Santo abbiamo tutto: la gioia vissuta nell'azione di grazie, la pace, un atteggiamento particolare di serenità anche nella sofferenza... Sono tutti frutti dello Spirito Santo, che danno una felicità intima, profonda.
Ci rivolgiamo allora a Gesù perché ci ottenga dal Padre il dono dello Spirito Santo e lo ringraziamo per averci aperto un orizzonte sempre luminoso, per averci dato la possibilità di andare a Dio come a un Padre che ci ama e vuol donarci tutto
Coordin.
00venerdì 9 ottobre 2015 09:19
Il Vangelo odierno parla della lotta tra Gesù e il demonio, una lotta che avviene nell'anima dell'uomo. Noi sappiamo di essere stati liberati dal peccato e dal demonio per la grazia di Dio e il Battesimo e poi, nel corso della vita, attraverso il sacramento della Riconciliazione. In questo brano evangelico, che contiene alcuni passaggi un po' difficili, ci fermiamo a riflettere su quello che il Signore dice alla fine: "Quando lo spirito immondo esce dall'uomo, si aggira per luoghi aridi in cerca di riposo e, non trovandone, dice: Ritornerò nella mia casa da cui sono uscito. Venuto, la trova spazzata e adorna. Allora va, prende con sé altri sette spiriti peggiori di lui ed essi entrano e vi alloggiano e la condizione finale di quell'uomo diventa peggiore della prima".
Quando il demonio è stato scacciato "da uno più forte di lui", cioè dal Signore Gesù, la "casa" è spazzata e adorna, ma c'è il pericolo che rimanga vuota. Se questo succede, il demonio può tornare e la condizione finale può diventare peggiore della prima. Che cosa vuol dire questa casa vuota? Spontaneamente noi desideriamo di essere liberati dal male e specialmente dal peccato che pesa sulla nostra coscienza; lo desideriamo e siamo contenti e riconoscenti al Signore quando egli ci libera: allora la nostra casa è pulita e ben arredata. Ma nella vita spirituale c'è un'altra tappa necessaria, che spontaneamente ci piace meno, perché in questa bella casa noi vogliamo starcene tranquilli, da padroni, senza nessuno che ci comandi. Eppure bisogna che il padrone sia un altro, sia il Signore, e questo non sempre ci piace. Quando egli ci disturba, preferiamo rimanere soli nella nostra casa, e lui ci disturba in molte maniere: con le circostanze, servendosi degli altri, con le sue richieste, mentre per noi non è spontaneo fare quello che egli vuole. Eppure, se vogliamo essere noi padroni della nostra vita, ci mettiamo in una condizione molto pericolosa: l'egoismo che si manifesta così è peggiore del peccato che prima sporcava la nostra casa, perché ci fa vivere in modo contrario all0 spirito di Dio. Si vive senza voler essere disturbati, né da Dio né dal prossimo, facendo le cose come ci pare e a comodo nostro, e può venirne una specie di sottile, profonda perversione, che fa il gioco del demonio.
Rinnoviamo oggi il proposito di lasciare che il Signore diventi il padrone della nostra casa, di lasciar cadere i nostri pensieri, le nostre preferenze, i nostri capricci, per accogliere in ogni momento i desideri suoi.
Coordin.
00domenica 11 ottobre 2015 08:19
Quest’uomo sembrava avere tutto. Egli era ricco e, in più, obbediva ai comandamenti divini. Si è rivolto a Gesù perché voleva anche la vita eterna, che desiderava fosse come una assicurazione a lunga scadenza, come quella che si ottiene da una grande ricchezza. Gesù aveva già annunciato che per salvare la propria vita bisognava essere disposti a perderla, cioè che per seguirlo occorreva rinnegare se stessi e portare la propria croce (Mc 8,34-35).
L’uomo era sincero e si guadagnò uno sguardo pieno d’amore da parte di Gesù: “Una sola cosa ti manca, decisiva per te. Rinuncia a possedere, investi nel tesoro del cielo, e il tuo cuore sarà libero e potrà seguirmi”. Ma né lo sguardo né le parole di Gesù ebbero effetto. Quest’uomo, rattristato, certo, ha tuttavia preferito ritornare alla sicurezza che gli procurava la propria ricchezza. Non ha potuto o voluto capire che gli veniva offerto un bene incomparabilmente più prezioso e duraturo: l’amore di Cristo che comunica la pienezza di Dio (Ef 3,18-19). Paolo lo aveva capito bene quando scrisse: “Tutto ormai io reputo spazzatura, al fine di guadagnare Cristo... si tratta di conoscerlo e di provare la potenza della sua risurrezione...” (Fil 3,8-10).
Coordin.
00domenica 11 ottobre 2015 08:21
padre Ermes Ronchi
La libertà che il giovane ricco non ha capito

Un tale corre incontro al Signore. Corre, con un gesto bello, pieno di slancio e desiderio. Ha grandi domande e grandi attese. Vuole sapere se è vita o no la sua. E alla fine se ne andrà spento e deluso. Triste, perché ha un sogno ma non il coraggio di trasformarlo in realtà. Che cosa ha cambiato tutto? Le parole di Gesù: Vendi quello che hai, dallo ai poveri, e poi vieni. I veri beni, il vero tesoro non sono le cose ma le persone. Per arrivarci, il percorso passa per i comandamenti, che sono i guardiani, gli angeli custodi della vita: non uccidere, non tradire, non rubare. Ma tutto questo l'ho sempre fatto. Eppure non mi basta. Che cosa mi manca ancora? Il ricco vive la beatitudine degli insoddisfatti, cui manca sempre qualcosa, e per questo possono diventare cercatori di tesori. Allora Gesù guardandolo, lo amò. Lo ama per quell'eppure, per quella inquietudine che apre futuro e che ci fa creature di domanda e di ricerca.
Una cosa ti manca, va', vendi, dona.... Quell'uomo non ha un nome, è un tale, di cui sappiamo solo che è molto ricco. Il denaro si è mangiato il suo nome, per tutti è semplicemente il giovane ricco. Nel Vangelo altri ricchi hanno incontrato Gesù: Zaccheo, Levi, Lazzaro, Susanna, Giovanna. E hanno un nome perché il denaro non era la loro identità. Che cosa hanno fatto di diverso questi, che Gesù amava, cui si appoggiava con i dodici? Hanno smesso di cercare sicurezza nel denaro e l'hanno impiegato per accrescere la vita attorno a sé. È questo che Gesù intende: tutto ciò che hai dallo ai poveri! Più ancora che la povertà, la condivisione. Più della sobrietà, la solidarietà. Il problema è che Dio ci ha dato le cose per servircene e gli uomini per amarli. E noi abbiamo amato le cose e ci siamo serviti degli uomini...
Quello che Gesù propone non è tanto un uomo spoglio di tutto, quanto un uomo libero e pieno di relazioni. Libero, e con cento legami. Come nella risposta a Pietro: Signore, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito, cosa avremo in cambio? Avrai in cambio una vita moltiplicata. Che si riempie di volti: avrai cento fratelli e sorelle e madri e figli...
Seguire Cristo non è un discorso di sacrifici, ma di moltiplicazione: lasciare tutto ma per avere tutto. Il Vangelo chiede la rinuncia, ma solo di ciò che è zavorra che impedisce il volo. Messaggio attualissimo: la scoperta che il vivere semplice e sobrio spalanca possibilità inimmaginabili. Allora capiamo che Dio è gioia, libertà e pienezza, che «il Regno verrà con il fiorire della vita in tutte le sue forme» (Vannucci). Che ogni discepolo può dire: «con gli occhi nel sole/ a ogni alba io so/ che rinunciare per te/ è uguale a fiorire» (Marcolini).
Coordin.
00lunedì 12 ottobre 2015 08:19
Iniziamo oggi la lettera di san Paolo ai Romani. Sappiamo, dalla lettera stessa, che Paolo scrive da Corinto, nell'inverno del 5758, mentre sta per partire per Gerusalemme, dove porterà le offerte raccolte per i poveri. Nello stesso tempo egli sta pensando a viaggi ulteriori e ha intenzione di andare a Roma e di giungere poi fino in Spagna. A Roma, prima che vi venissero Paolo e Pietro, c'erà già una comunità cristiana, della quale non sappiamo come si sia formata e Paolo desiderava molto mettersi in contatto con questi cristiani che non conosceva. La solennità dell'inizio della lettera rivela quale importanza l'Apostolo attribuiva a questa Chiesa. Paolo non si preoccupa di curare il suo stile, e questo inizio è un po' irregolare e di difficile lettura, perché egli vuol dire tante cose importanti e non le dice con ordine, ma vediamo immediatamente come egli sia fiero di essere apostolo: "Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione, prescelto per annunziare il Vangelo di Dio". Anche noi Dio ha scelto; noi pure, come cristiani, siamo chiamati ad annunciare il Vangelo di Dio, certo in modo molto più modesto di lui, Apostolo delle genti. E dobbiamo sentire un santo orgoglio per questa chiamata che Dio ci ha rivolto.
Paolo sviluppa il suo pensiero. Centro di questa vocazione non è lui stesso, ma Cristo, che egli mostra nel duplice aspetto: Cristo uomo e Cristo Dio:
"(Cristo) figlio di Dio, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne". E noi vediamo già tutto il mistero di Cristo e della sua croce; tuttavia: "Costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dei morti, Gesù Cristo, nostro Signore".
Gesù Cristo, il centro di tutto il pensiero di Paolo. E la lettera rivela chiaramente come la fede sia fondamento di tutta la vita di Paolo, di tutto il suo apostolato.
Egli gli chiama tutti all'obbedienza della fede, fondandosi su Cristo, unicamente su Cristo e non su se stessi, sulla propria forza, sui propri meriti, ma sull'amore di Cristo, sull'amore di Dio che ci viene da Cristo.
Con questi sentimenti egli si rivolge "a quanti sono in Roma diletti da Dio e santi per vocazione". Sono espressioni che ci danno un senso di gioia, sia che abitiamo a Roma, sia che abitiamo altrove, perché Roma è per tutti i cristiani "'a loro città", la città dello spirito
Spesso all'inizio della Messa la liturgia ci fa ripetere il saluto di Paolo: "Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo". È il saluto cristiano, che assume e trasforma il saluto greco e quello dei Giudei.
I Giudei dicevano: "Pace!", e Paolo dice "Pace", pace che viene da Dio Padre e insieme da Gesù Cristo. I Greci si auguravano la gioia, e Paolo augura la grazia. È quasi la stessa cosa, ma più profonda.
Riceviamo questo augurio splendido di Paolo e rallegriamoci più che mai della nostra splendida vocazione
Coordin.
00martedì 13 ottobre 2015 07:30
San Paolo in questo inizio della lettera ai Romani ci mostra la disposizione di colui che è mandato, che ha una missione: "Io non mi vergogno del Vangelo". È la sua prima parola, per annunciare ciò che andrà esponendo in tutta la lettera. "Non mi vergogno del Vangelo, poiché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo prima e poi del Greco". Paolo è fiero del Vangelo: è la prima condizione perché egli possa compiere la sua missione. Se se ne vergognasse non potrebbe proclamarlo, forse lo custodirebbe nel cuore, ma non andrebbe verso gli altri per chiamarli a credere. Ragioni per vergognarsi ci sarebbero, e in un'altra lettera Paolo stesso dice che il linguaggio della croce è follia per i Greci e scandalo per i Giudei; è dunque un messaggio non gradito all'uomo, che lo disprezza e se ne burla. E follia dire che Cristo è stato vincitore lasciandosi crocifiggere, ed è uno scandalo, per il Giudeo che attendeva miracoli, l'assenza del miracolo al momento della morte di Gesù. Ma Paolo sa che il Vangelo è potenza di Dio, che Cristo ha vinto e che la sua vittoria è trasmessa dalla parola.
È abbastanza stupefacente leggere che il Vangelo è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede. Come può una parola essere una potenza? In altri passi Paolo contrappone parola e potenza, ed è ciò che anche noi facciamo quando diciamo: "Sono solo parole, lasciano il tempo che trovano". Ma il Vangelo è una parola speciale, che ha in sé tutta la potenza di Dio. Lo crediamo davvero? Troppo volte noi lo riceviamo come una parola che ci viene detta affinché mettiamo al suo servizio le nostre forze. Ti viene detto: "Farai questo! " e non è che queste parole te ne diano la forza, anzi ti domandano di usare le tue forze per agire come ti è stato detto.
Paolo dice che il Vangelo non è una parola così, che esige e basta. La parola del Vangelo è potente, deve essere accolta come una forza e non come un comando, perché il Vangelo trasmette la fede e tutta la nostra vita è costruita sulla fede; la forza la attingiamo dalla fede e non dalla fiducia in noi stessi. Per la fede ci apriamo alla potenza di Dio e fondiamo la nostra vita sulla grazia, sul dono gratuito che egli ci fa. Poi vengono le nostre opere, animate dalla grazia che ci è stata data, e non viceversa; prima le nostre opere e poi la grazia divina.
Paolo, nel passo che leggiamo oggi, annuncia la salvezza della fede: "E in esso (nel Vangelo) che si rivela la giustizia di Dio di fede in fede, come sta scritto: "Il giusto vivrà mediante la fede"".
Il seguito della lettura si accorda con questo annuncio per antitesi. San Paolo ha detto: "La giustizia di Dio (giustizia che salva) si rivela nel Vangelo per chiunque crede", e continua: "L'ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà". Qui l'Apostolo annuncia la tesi che svilupperà subito dopo per dimostrare la necessità del Vangelo, potenza di Dio.
L'umanità è in una situazione di angoscia, di miseria e di schiavitù: si è incatenata al peccato ed è meritevole dell'ira di Dio, quindi non ha via di uscita.
Proprio per questo Dio ha stabilito un altro mezzo di salvezza: non le opere dell'uomo, tutte corrotte dal peccato, ma la fede in Cristo. Ecco allora la missione di Paolo: predicare la fede e perciò la salvezza per dono gratuito di Dio, per grazia.
Anche nel Vangelo di oggi, che a prima vista sembra non aver punti di corrispondenza con il grande affresco della lettera ai Romani, Gesù dà lo stesso annuncio: è necessario cambiare mentalità, convertirsi. Egli invita i farisei a passare da una religione di purità esteriore a una religione interiore di misericordia, di umiltà, di comunione. il fariseo che ha invitato Gesù a casa sua si mette subito a giudicarlo, perché non si è lavato le mani prima del pasto. Per i farisei queste abluzioni erano importanti, perché considerate non come un gesto di igiene, ma come una garanzia di purità davanti a Dio. L'ospite di Gesù si stupisce, ma il Signore respinge questo concetto di religione e di purità e dichiara che non queste cose sono necessarie, ma la purezza interiore: "Voi farisei purificate l'esterno della coppa e del piatto, ma il vostro interno è pieno di rapina e di iniquità". Pulire l'esterno è facile, ma purificare il cuore non è possibile all’uomo. Bisogna accogliere la grazia di Dio, cioè rinunciare alla pretesa di salvarsi con le opere e mettersi con umiltà davanti a lui, e contemporaneamente nella misericordia e nella benevolenza verso gli altri, perché Dio non dà la sua grazia se non a chi è disposto a far grazia agli altri.
Gesù continua con una frase che non ci aspetteremmo in questo contesto: "Piuttosto date in elemosina quel che c'è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà mondo". Quando il cuore dell'uomo (l'"interno") è rinnovato dalla conversione, diventa buono, generoso, passa da una religione di separazione a una religione di partecipazione, di dono, di comunione
Coordin.
00mercoledì 14 ottobre 2015 05:25
Nella prima parte della sua lettera ai Romani san Paolo dimostra che tutti hanno bisogno della misericordia di Dio: da soli non possiamo essere giusti e piacere a Dio. E nel secondo capitolo l'Apostolo si rivolge a quelli che farisaicamente si credono giusti, gente che non ha bisogno della misericordia di Dio, perché sono veramente come devono essere. San Paolo dice che pensano così di sé per una illusione molto comune, perché giudicano gli altri: "Sei inescusabile, chiunque tu sia, o uomo che giudichi, perché mentre giudichi gli altri condanni te stesso; infatti, tu che giudichi, fai le medesime cose".
E veramente un'illusione comune credersi giusti perché si giudicano gli altri. Nelle cose esterne, materiali succede che se vediamo qualcuno che sbaglia noi abbiamo l'impressione che al suo posto faremmo meglio, anche in cose in cui magari non siamo competenti. E non pensiamo che un conto è giudicare, criticare e un conto è fare e che molto probabilmente noi che critichiamo faremmo molto peggio di chi è oggetto del nostro giudizio. Così capita in campo morale, spirituale. Vedendo compiere un'azione non giusta, pensiamo, anche senza dirlo esplicitamente, che noi, nella stessa situazione, faremmo la cosa giusta. E questo non è vero perché, al posto della persona che noi giudichiamo, noi, coi nostri difetti, eviteremmo forse l'errore che lei ha commesso, ma ne faremmo degli altri.
San Paolo mette di fronte a questa situazione colui che giudica, dicendogli: "Tu che giudichi, fai le stesse cose". Infatti chi giudica, anche se può evitare molte delle cose che critica, per il fatto stesso che giudica manca gravemente alla vera giustizia e, come dice Gesù, trascura le cose più importanti, che sono la giustizia e l'amore. Giudicando ci si separa dagli altri, ci si mette in una situazione di egoismo e di orgoglio. Anche se uno facesse tutto bene, gli manca la cosa fondamentale e non può piacere a Dio. Fare il bene consiste nel mettersi con gli altri, non nel separarsi da loro: chi pretende di essere buono e si separa dagli altri, per questo stesso fatto non lo è, anzi è più profondamente cattivo di chi pecca, ma si pone in umiltà e semplicità a Dio.
Dunque san Paolo ha perfettamente ragione di dire: "Sei inescusabile, tu che giudichi gli altri, perché mentre li giudichi condanni te stesso". Dobbiamo essere tutti insieme davanti alla misericordia di Dio: è la sola strada della salvezza. Paolo lo ripeterà più avanti: è necessario accettare la grazia di Dio, che è offerta a tutti. Giudei e Greci, cristiani e pagani, peccatori e giusti devono insieme accettare la grazia di Dio. Ricordiamoci che questa è un'attitudine fondamentale per essere salvati. Siamo tutti peccatori perdonati e nessuno può separarsi dagli altri giudicandoli severamente, se vuol piacere a Dio
Coordin.
00giovedì 15 ottobre 2015 07:18
Santa Teresa è stata riconosciuta dottore della Chiesa perché nei suoi scritti ha saputo esprimere i segreti della vita spirituale e spiegarli agli altri, parlando veramente dall'abbondanza del cuore. E un piacere leggere i suoi scritti, per la spontaneità dello stile che li fa assomigliare non a dei trattati di teologia, ma ad una viva conversazione con una donna colma di Dio e che appunto racconta come ha incontrato Dio su tutte le sue strade, come ha lavorato con Dio per fondare ovunque carmeli che fossero centri di intensa vita spirituale.
Il passo della lettera ai Romani evoca la fecondità interiore della santa e capiamo che tutta la sua dottrina veniva proprio da un cuore formato dallo Spirito Santo. Ella stessa parla della forza delle sue aspirazioni spirituali, della loro profondità; si tratta veramente di gemiti, come dice san Paolo: "Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, intercede per noi con gemiti inesprimibili". "Salvàti nella speranza", noi gemiamo verso Dio.
Questa vita "spirituale" nel senso più forte del termine, unisce santa Teresa alle tre Persone divine, e lo si comprende meglio leggendo i versetti successivi a quelli riportati, che già parlano dello Spirito di Dio che prega in noi con gemiti inesprimibili. La nostra preghiera è in noi stessi l'attività di Dio, del suo Spirito, se è preghiera autentica, se è preghiera cristiana. Non sono parole di sapienza umana, non sono un'invenzione umana: è l'attività dello Spirito in noi, che cerca di penetrare il nostro essere, di trasformarlo per slanciarci in Dio, per approfondire in noi il desiderio di Dio, per dare uno slancio fortissimo verso il Pa
dre. Questo grido dello Spirito in noi è espresso nel salmo di ingresso: "L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente", anela a Dio, perché già abbiamo gustato la vita di Dio, perché siamo abitati da Dio. "E Dio che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito": c'è una corrispondenza tra ciò che Dio vuole per noi e ciò che in noi lo Spirito realizza secondo la volontà di Dio.
Ora tutto questo continua la lettera di Paolo – è affinché diventiamo simili al Figlio, perché "quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo".
Lo Spirito ci è dato per mezzo del Figlio. È per la parola del Figlio che possiamo ricevere in noi lo Spirito; è per il sacrificio del Figlio che otteniamo in noi la vita di Dio, che è vita dello Spirito: l'acqua viva, simbolo dello Spirito Santo, è ormai unita al sangue uscito dal fianco di Cristo; è dunque attraverso Cristo che riceviamo lo Spirito che ci slancia verso il Padre, trasformandoci a immagine del Figlio.
E il nostro cuore diventa un cuore buono perché in esso vive la Trinità. Dice un passo del Vangelo che l'uomo buono estrae cose buone dal suo cuore. Noi non possiamo pretendere che il nostro cuore sia buono: è lo Spirito che venendo vi porta la vita di Dio e lo trasforma, in modo che possiamo estrarre dal suo tesoro cose buone per coloro che avviciniamo. E ciò che ha fatto Teresa d'Avila. Ha spalancato il suo cuore a tutta la forza della vita divina che veniva a lei da Cristo e dallo Spirito e che la lanciava verso Dio e da questo cuore colmo di Dio ha estratto tesori di vita spirituale per tutti quelli che le erano affidati e per le generazioni successive.
Domandiamo al Signore la stessa fiducia di santa Teresa e di aprire il nostro cuore all'azione dello Spirito Santo che ci viene da Gesù e ci conduce al Padre
Coordin.
00venerdì 16 ottobre 2015 08:01
Nella tradizione ebraica Abramo era giustamente considerato campione dell'obbedienza nella fede, l'uomo giusto per eccellenza, poiché non aveva esitato ad offrire a Dio il sacrificio dell'unico figlio. Paolo non ha dubbi: Abramo fu giustificato prima di offrire Isacco in sacrificio, perché fu giustificato dalla sua fede nella promessa di Dio, sperò infatti "contro ogni speranza". Solo la fede giustifica, rende cioè santi davanti a Dio, sorgente di ogni santità e giustizia.
Scrive san Paolo: "Che cosa dice la Scrittura? "Abramo ebbe fede in Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia"".
Paolo continua la sua argomentazione. La gratuità della giustizia che Dio dona a chi ha fede in lui è ancora più evidente quando si tratta di un peccatore. Eppure la Bibbia dice: "Beati quelli le cui iniquità sono state perdonate".
Si tratta quindi, per essere salvati, di aderire con un atto di fede a Dio, al suo dono gratuito, alla divina giustizia che purifica e ci rende peccatori perdonati. E un atteggiamento fondamentale nella vita spirituale: dobbiamo essere concretamente convinti che non le nostre opere valgono, ma la sua santità, accolta in noi con la fede. Il rapporto con Dio sta proprio in questa continua accoglienza del suo dono di "giustizia", che egli ci elargisce per la nostra fede.
Di conseguenza verranno anche le opere, ma saranno allora "opere della fede", opere che per la sua grazia noi possiamo compiere, perché egli le ha preparate per noi.
Rendiamo grazie all'amore del Signore, che ci domanda soltanto di lasciarci salvare, di lasciare che egli abbia cura di noi e chiediamogli che aumenti la nostra fede
Coordin.
00sabato 17 ottobre 2015 08:51
Nelle tre virtù teologali la speranza si trova tra la fede e la carità: si appoggia alla fede e dà slancio alla carità. Avere molta speranza è come orientarsi verso la cima di una montagna: chi vuoi raggiungerla desidera superare tutti gli ostacoli per poter contemplare il meraviglioso panorama che si gode dall'alto.
Sant'Ignazio d'Antiochia era colmo di un'immensa speranza; non assomigliava a quelli che san Paolo descrive nella lettera ai Filippesi, privi di speranza perché sono "tutti intenti alle cose della terra". Nella lettera agli Efesini san Paolo attribuisce alla mancanza di speranza tutta l'immoralità del mondo pagano: non avendo speranza, si sono abbandonati ai loro desideri impuri, che li trascinano in basso. I cristiani invece sono uomini e donne ricchi di una grande speranza, sanno di essere cittadini del cielo "e di là aspettano come Salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso".
Anche il Signore, nel Vangelo di oggi, ci anima a una grande speranza: la speranza di conservare la nostra vita per la vita eterna, di essere con lui dove egli e, cioè nella gloria del Padre, di essere onorati dal Padre: "Se uno mi serve, il Padre lo onorerà". "Chi ha questa speranza dice san Giovanni si conserva puro". E la speranza a dare la forza di resistere alle tentazioni, a dare il coraggio di resistere nelle difficoltà. Nella Colletta della messa di oggi chiediamo a Dio che la passione di sant'Ignazio di Antiochia sia per noi fonte di fortezza nella fede. Perché possiamo pregare cosi? Perché essa è una manifestazione di grande speranza. Sant'Ignazio ha avuto il coraggio di perdere la vita per guadagnarla. Scrivendo ai Romani egli dice:
"C'è in me un'acqua viva che mi sussurra: Vieni al Padre!". E l'espressione della sua speranza: la parola di Cristo è diventata in lui come una sorgente che vuol zampillare fino al Padre. Egli ardeva dal desiderio di guadagnare Cristo e per questo vedeva la necessità di essere simile a lui nella passione, di essere macinato dai denti delle belve per diventare frumento di Cristo. "Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto", leggiamo nel Vangelo. Nella sua grande speranza egli corre incontro al martirio, con un coraggio intrepido; scrive ai Romani di non intervenire per allontanare da lui quelle sofferenze che sono la ragione della sua speranza, perché grazie ad esse potrà ricevere la più grande grazia di Dio, la vittoria del martirio e infine la gloria di essere accanto a Cristo.
Ed ora Ignazio splende ai nostri occhi come un santo ardente di fervore e di amore, che ci fa vergognare dei nostri atteggiamenti di fronte alle piccole difficoltà della nostra vita. Il Signore vuol darci molto; per questo ci manda qualche sofferenza, che dovrebbe non diminuire ma far crescere la nostra speranza. Come san Paolo scrive ripetutamente, dovremmo poter dire: "Noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce la pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza". Ed è una speranza che non delude
Coordin.
00domenica 18 ottobre 2015 04:48
padre Ermes Ronchi
Come Gesù chi vuol essere grande sia servitore

Giovanni, non un apostolo qualunque ma il preferito, il più vicino, il più intuitivo, chiede per sé e per suo fratello i primi posti. E l'intero gruppo dei dieci immediatamente si ribella, unanime nella gelosia.
È come se finora Gesù avesse parlato a vuoto: «Non sapete quello che chiedete!». Non sapete quali argini abbattete con questa fame di primeggiare, non capite la forza oscura che nasce da queste ubriacature di potere, che povero cuore ne esce.
Ed ecco le parole con cui Gesù spalanca la differenza cristiana: «tra voi non sia così». I grandi della terra dominano sugli altri... Tra voi non è così!
Credono di governare con la forza... non così tra voi!
Chi vuole diventare grande tra voi. Una volontà di grandezza è innata nell'uomo: il non accontentarsi, il "morso del più", il cuore inquieto. Gesù non condanna tutto questo, non vuole nel suo regno uomini e donne incompiuti e sbiaditi, ma pienamente fioriti, regali, nobili, fieri, liberi.
La santità non è una passione spenta, ma una passione convertita: chi vuole essere grande sia servitore. Si converta da "primo" a "servo". Cosa per niente facile, perché temiamo che il servizio sia nemico della felicità, che esiga un capitale di coraggio di cui siamo privi, che sia il nome difficile, troppo difficile, dell'amore.
Eppure il termine servo è la più sorprendente di tutte le autodefinizioni di Gesù: «Non sono venuto per farmi servire, ma per essere servo». Parole che ci consegnano una vertigine: servo allora è un nome di Dio; Dio è mio servitore!
Vanno a pezzi le vecchie idee su Dio e sull'uomo: Dio non è il Padrone dell'universo, il Signore dei signori, il Re dei re: è il Servo di tutti! Non tiene il mondo ai suoi piedi, è inginocchiato lui ai piedi delle sue creature; non ha troni, ma cinge un asciugamano. Come sarebbe l'umanità se ognuno avesse verso l'altro la premura umile e fattiva di Dio? Se ognuno si inchinasse non davanti al potente ma all'ultimo?
Noi non abbiamo ancora pensato abbastanza a cosa significhi avere un Dio nostro servitore. Il padrone fa paura, il servo no. Cristo ci libera dalla paura delle paure: quella di Dio. Il padrone giudica e punisce, il servo non lo farà mai; non spezza la canna incrinata ma la fascia come fosse un cuore ferito. Non finisce di spegnere lo stoppino dalla fiamma smorta, ma lo lavora finché ne sgorghi di nuovo il fuoco. Dio non pretende che siamo già luminosi, opera in noi e con noi perché lo diventiamo.
Se Dio è nostro servitore, chi sarà nostro padrone? Il cristiano non ha nessun padrone, eppure è il servitore di ogni frammento di vita. E questo non come riserva di viltà, ma come prodigio di coraggio, quello di Dio in noi, di Dio tutto in tutti.
Coordin.
00lunedì 19 ottobre 2015 08:28
Nella lettera ai Romani Paolo ritorna alla figura di Abramo che "non esitò con incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio". Quale contrasto con l'uomo ricco di cui parla oggi il Vangelo! Questi cerca il fondamento della vita nei beni terreni: "Dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni: riposati, mangia, bevi e datti alla gioia". Abramo fonda la sua vita in una realtà che sembra inconsistente: una parola, e neppure detta da un uomo, che si vede, si può conoscere e valutare per decidere poi di fidarsi di lui, ma una parola sentita da Dio. Eppure proprio nel rapporto con Dio ha raggiunto la massima sicurezza. Anche Abramo era ricco, aveva la sicurezza materiale e poteva pensare di trascorrere tranquillo il resto della sua vita nel suo paese di Carran. Ma egli sapeva che la vera sicurezza si trova nel fare quello che Dio vuole.
Chi dei due ha avuto ragione? La parabola narrata da Gesù lo dice chiaramente: "Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita". E Gesù conclude: "Così è di chi accumula tesori per sé e non arricchisce davanti a Dio". Vano è appoggiarsi ai beni terreni: il vero tesoro è il rapporto con Dio, nell'ascolto fiducioso e obbediente della sua parola.
Cerchiamo dunque in Dio il solido fondamento della nostra esistenza, che non viene mai meno e che ci permette di pensare alla morte con tanta pace, nella certezza che attraverso di essa giungeremo al possesso dell'unico, sommo bene
Coordin.
00martedì 20 ottobre 2015 08:17
La prima lettura di oggi afferma il principio della solidarietà di tutti gli uomini, duplice solidarietà: nel male e nel bene: "Come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato... La grazia di Dio e il dono concesso in grazia di un solo uomo, Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti gli uomini".
E un principio che abbiamo difficoltà ad ammettere, soprattutto nell'aspetto negativo: "Per colpa di uno solo si è riversata su tutti la condanna...". Sembra duro e ingiusto e siamo continuamente tentati di sottrarci a questa solidarietà. Non vogliamo essere confusi con i peccatori: possiamo pregare per loro e lo facciamo, ma come separandoci dalla loro condizione. Eppure, se non accettiamo questa solidarietà nel peccato e nella condanna, non riceveremo "l'abbondanza della grazia". Cristo l'ha accettata e si è presentato al Padre carico dei peccati di tutta l'umanità, lui, "santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori" (Eb 7,26). È un mistero profondo, rivelazione di un amore che la mente umana non può neppure concepire.
La devozione al cuore di Gesù, introducendoci nel mistero della sua offerta solidale con i peccati del mondo affinché dove è abbondato il peccato, sovrabbondasse la grazia "con la giustizia per la vita eterna", ci incoraggia a vivere con lui questa solidarietà e ad offrire con amore le piccole o grandi sofferenze della nostra vita affinché si riversi su tutti gli uomini "la giustificazione che dà vita".
Coordin.
00mercoledì 21 ottobre 2015 08:04
Noi siamo sempre avidi di gioia e di privilegi, ma il Signore ci mette in guardia affinché non sbagliamo strada. Certo, Gesù ci promette la gioia, e ci dà molta gioia anche in questa vita, dimostrandoci il suo amore; ma il suo è un amore vero e perciò esigente. Nel Vangelo la domanda di Pietro rivela la tentazione, possiamo dire normale, di ogni cuore umano che si sente privilegiato dal Signore e che, proprio per questo, ritiene che a lui sia lecito lasciarsi andare un po'. Infatti, dopo aver ascoltato questa parabola sulla necessità di essere pronti, sempre vigilanti, Pietro domanda al Signore: "Questa parabola la dici per noi o per tutti?". Noi siamo privilegiati, possiamo stare tranquilli è questo, in fondo il senso della sua domanda siamo i tuoi discepoli, ci hai detto che abbiamo autorità sugli altri, il nostro posto è migliore di quello di chiunque! E questo è vero, ma nel senso che il posto di Pietro e degli Apostoli è un posto che esige di più, perché la loro è un'autorità di servizio e non un privilegio da cui far derivare vantaggi personali, a soddisfazione del proprio egoismo.
Sempre l'egoismo tenta di infiltrarsi nei nostri pensieri e sempre è necessaria la lotta per respingerlo, sempre dobbiamo, come scrive san Paolo, liberarci dalla schiavitù del peccato per metterci al servizio di Dio, diventare "servi della giustizia". E un servizio libero, ma esigente, dell'esigenza del vero amore.
L'evangelista descrive la festa dell'egoismo. Il padrone tarda a venire e il capo dei servi comincia "a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi": è il festino sognato dall'egoista. La festa della carità è tutto il contrario e riempie il cuore di una pura gioia, perché ognuno non pensa a gioire ma a dare gioia agli altri, a darsi da fare in ogni modo per rendere più facile la gioia di tutti. Così chi è posto in autorità adempie la volontà del Signore.
"A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più". Sono parole che fanno capire il desiderio di Dio: egli ci dà molto per ricevere molto. Questo non vuol certamente dire che Dio cerca il proprio interesse, ma che vuole che portiamo frutto e che il nostro frutto rimanga.
Ringraziamo il Signore e siamogli riconoscenti per i suoi doni e chiediamogli che approfondisca in noi il senso del servizio, nella reciproca carità.
Coordin.
00giovedì 22 ottobre 2015 08:13
I nostri difetti sono bravissimi nel trovare occasioni di crescita: anche le parole della Scrittura sono state usate nel corso dei secoli in modo da favorirli o giustificarli. San Paolo nella lettera ai Romani cerca di togliere qualche illusione nociva. Ha affermato che la salvezza ci è data per grazia e non per le nostre opere; ora però esorta i cristiani: come nella schiavitù della carne si producevano iniquità e impurità, così ora, liberati dal peccato e servi di Dio, bisogna produrre frutti di santità, per la vita eterna. E l'assoluta novità delle opere della fede, che trovano la loro sorgente in Gesù Cristo. Così è evitato, da Paolo, il pericolo che la verità della salvezza per grazia venga deformata per giustificare una condotta cattiva.
Purtroppo questa verità non è sempre stata ricevuta rettamente, così ad esempio Lutero ha affermato che, rivestiti dalla grazia di Cristo come da un manto, possiamo ancora essere in peccato, perché i meriti di Cristo coprono i nostri peccati davanti al Padre. Non è vero. I cristiani non possono essere in peccato e avere la grazia: c'è una scelta da fare.
Nel Vangelo odierno anche Gesù toglie qualche illusione ai suoi discepoli. Egli è venuto a portare la pace, anzi "è lui la nostra pace", come scrive Paolo agli Efesini, ma la pace che egli porta non è come quella del mondo. Il suo messaggio di pace è contro una certa pigra tranquillità che sfugge gli sforzi, che evita da vile ogni conflitto. Ecco perché dice: "Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione". Davanti a lui non si può rimanere neutrali: bisogna prendere posizione e allora si creano conflitti in noi e attorno a noi, ci si trova di fronte a degli avversari: "Si divideranno tre contro due e due contro tre...".
Un cristiano deve saper guardare le cose in faccia, e combattere coraggiosamente per la verità, per il regno dell'amore, contro i vizi che lo ostacolano. Quello del Vangelo oggi è un messaggio di coraggio.
Chiediamo al Signore la chiarezza di vedute che ci faccia distinguere la vera dalla falsa pace, che ci dia il coraggio di servire la verità, a qualunque prezzo. Nella lettera agli Ebrei l'autore invita i cristiani a correre con perseveranza "tenendo fisso lo sguardo su Gesù e li esorta: "Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità da parte dei peccatori, perché non vi stanchiate... Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato!". Gesù ci mette nella verità, perché resistiamo fino al sangue
Coordin.
00venerdì 23 ottobre 2015 07:25
La presenza del male nel cuore dell'uomo è una cosa terribile, che san Paolo ci descrive e che il Signore ci mostra chiamandoci ipocriti. L'uomo da solo è incapace di fare il bene, anche se lo ama e lo desidera: "C'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo". Da solo, l'uomo tende al male. Molto spesso le buone intenzioni conducono soltanto ad azioni malvage. L'uomo ha il desiderio dell'amore, che è la cosa migliore del mondo, ma in nome dell'amore noi vediamo ogni giorno famiglie distrutte, bambini abbandonati... Il desiderio di giustizia è cosa splendida nel cuore dell'uomo, ma in nome della giustizia quante volte si commettono violenze che conducono ad ingiustizie peggiori di quella a cui si voleva riparare! Anche il desiderio di perfezione è una cosa bella nel cuore dell'uomo, ma se egli pretende di realizzarlo da solo, commette il peccato del fariseo: "Io sono buono, io non sono come...". Tutto questo desiderio di bene che riempie il cuore dell'uomo è reso vano dall'orgoglio, dall'ambizione, dall'egoismo; ogni buona azione finisce per nutrire la compiacenza di sé.
L'uomo non può da solo compiere il bene che desidera. Abbiamo bisogno di un salvatore, di qualcuno che ci salvi non una volta, ma che sia sempre con noi, che sia sempre presente in noi, per salvarci in ogni nostra azione. Nessuna azione possiamo compiere da soli, perché sarebbe inevitabilmente viziata dal male. Se invece la facciamo con il nostro salvatore, aiutati da lui, con la sua ispirazione, diventa veramente una buona azione, che non ci rende orgogliosi ma ci stabilisce nell'umiltà, perché sappiamo di non poterla attribuire a noi stessi, ma solamente alla sua grazia.
Domandiamo a Gesù che ci faccia il grande dono di essere contenti della nostra incapacità a compiere il bene, perché questa consapevolezza ci spinge ad unirci sempre più a lui, nostro salvatore e nostra forza
Coordin.
00sabato 24 ottobre 2015 08:41
Il Signore insiste affinché accogliamo il suo invito a convertirci e lo fa anche prospettandoci la sorte che ci aspetta se rimaniamo chiusi alla sua insistenza: "Se non vi convertite, perirete tutti all0 stesso modo!". Ma se siamo in lui ogni condanna cade: "Non c'è piu nessuna condanna scrive Paolo, e sembra un grido di trionfo non c e più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. Poiché la legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte". Lo Spirito di Cristo è una forza più potente dei nostri istinti, della "carne" come scrive san Paolo ' che ci porta verso la Terra invece che verso i valori spirituali. Lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in noi ed è capace di rinnovare tutto.
Chiediamo alla Madonna la grazia di accogliere con docilità perfetta la sua azione, che ci guida con forza e soavità verso il Padre e verso Gesù. "I desideri dello Spirito portano alla vita e alla pace". Sappiamo per esperienza come fluisca in noi la pace quando corrispondiamo ai desideri che lo Spirito esprime nel nostro cuore; Maria ci doni davvero una costante adesione a lui, nella semplicità e nella gioia
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