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TEOLOGIA DELLA STORIA (R. Th. Calmel O.P.)

Ultimo Aggiornamento: 09/09/2011 18:19
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09/09/2011 18:15
 
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Dato che in seno alla civiltà, qualunque essa sia (anche nei paesi della cristianità). Satana è all'opera e riesce ogni tanto a stabilire più o meno saldamente il suo regno (giungendo in tal modo a pervertirla), è impossibile per il cristiano vivere nel mondo come testimone o apostolo di Gesù Cristo senza dovere, un giorno o l'altro, separarsi dal mondo, rinnegandolo su determinati punti. Ma quando deve separarsene? Su quale punto deve rinnegarlo?
Dobbiamo separarci dal mondo quando non possiamo fare come vuole il mondo senza offendere Cristo; separarcene il giorno in cui Satana ci tenderà una trappola servendosi di persone o di cose del mondo. In ciò è racchiusa l'intera storia dei martiri e dei confessori. E la nostra Chiesa continua ad essere la Chiesa dei confessori e dei martiri: martiri della fede che hanno difeso di fronte al mondo la verità rivelata che il mondo rifiutava; che hanno preferito essere esclusi dal mondo, essere messi a morte, piuttosto che rinunciare a lottare contro le false dottrine e le correnti di pensiero eretiche o aberranti; martiri della castità, che si sono separati da un mondo impudico per affermare che le realtà della carne e del corpo provengono da Dio; martiri della fedeltà alla sede di Pietro, come Tommaso Moro, che hanno rifiutato una società che stava passando in blocco allo scisma. Per non parlare dei confessori, dei martiri, delle vergini, delle donne pie. Ci basti sapere che la Chiesa, in mezzo al mondo, è sempre la Chiesa dei confessori, dei martiri e delle vergini, come resta la Chiesa dei sacerdoti e della gerarchia apostolica. Indivisibilmente l'una e l'altra; indivisibilmente la Chiesa dei sacerdoti e dei santi. Infatti, trasmettendo al mondo la luce e le grazie di Gesù Cristo attraverso il ministero dei sacerdoti, la Chiesa non cessa mai di suscitare dei santi.
Per quanto riguarda i rapporti tra la Chiesa e il mondo, una delle peggiori illusioni dei cristiani del nostro tempo (e qualche volta anche di cristiani molto generosi) consiste nel chiedere alla Chiesa e alla fede cristiana un vastissimo interesse al punto di vista terreno. A prima vista, la cosa può sembrare giusta. Ma dobbiamo invece cominciare col renderci conto e ammettere che il grande interesse della Chiesa e della fede, il loro primo specifico interesse, verte su di un punto di vista non terreno, ma soprannaturale, eterno, celeste. La Chiesa e la fede prestano indubbiamente un effettivo interesse alla visuale terrena, come è testimoniato dall'esistenza delle famiglie cristiane e dai tentativi e successi di un'arte e di una filosofia cristiane, di una civiltà cristiana. Ma queste sono soltanto delle conseguenze, benché siano semplicemente normali e debbano essere perseguite da chi è impegnato in determinate condizioni di vita. Ne deriva che il vero effetto della fede è di darci un'altra visuale, oltre a quella terrena, di farci percepire i misteri che non sono di questo mondo, di darci una speranza che superi all'infinito ogni ordinamento umano. (Comprendo perfettamente che la speranza derivante dalla fede rinsalderà la naturale speranza nella edificazione, sempre molto imperfetta, di una città giusta. Ma, in ultima analisi, la speranza teologale è di un altro ordine).
Potrete dirmi, essendo stati iniziati a una certa forma di spiritualità: " Ma infine, io vivo nel profano, mi dibatto fra problemi terreni, devo allevare una famiglia e far quadrare un bilancio. Può la fede presentare realmente un grande interesse per queste realtà terrene? E poi, per passare a un piano molto più vasto, mi permetterà di collaborare all'avvento di un'umanità finalmente libera e affratellata, in cui saranno vinte la fame e l'ignoranza, e sarà messo un termine definitivo allo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo, agli abusi dei ricchi e dei potenti? ". Vi ricorderò (poiché certo già lo sapete), che la fede ci insegna in primo luogo che vi sono altre realtà al di là di quelle contingenti, e che sono infinitamente superiori: le tre Persone divine che ci chiamano a partecipare alla loro beatitudine per mezzo del sangue sparso sulla croce dal Figlio di Dio fatto uomo, il nostro Redentore. Ci insegna poi a essere fedeli a Dio anche nelle cose terrene; ma perché ciò avvenga, non dobbiamo limitarci ad esse, porvi le nostre ultime speranze, lasciarci trasportare dai sogni di un messianismo terreno. La distanza fra la Chiesa e il mondo è infinita, anche con un mondo che, vivificato dalla Chiesa, tenda a realizzare un giusto ordine. La Chiesa è irriducibile al mondo come la grazia lo è nei confronti della natura.
Quando santa Giovanna d'Arco si dedicava alla missione temporale della consacrazione del re di Francia, non credeva certo che la restaurazione del legittimo monarca avrebbe trasformato la Francia in una specie di paradiso. Nei suoi confronti sarebbe ridicolo parlare di millenarismo. Essa pensava semplicemente che Dio volesse sulla terra un ordine politico giusto e vi si dedicava con tutta l'anima per amore di Dio. Ma sapeva anche che un abisso separa l'ordine politico, anche se giusto, dal regno soprannaturale. I legami, le intercomunicazioni vive e incessanti fra i due regni, non ne annullano là distanza infinita.
La fede si interessa alle realtà terrene facendocele assumere in conformità alla legge di Dio, se questo è il nostro compito. (E l'assumerle in questo modo implica il rispettare la loro natura e il rinunciare a noi stessi per amore di Dio). La fede ci preserva poi dall'attendere l'età dell'oro, un millenium, come se il mondo, il temporale, il profano si potessero confondere poco alla volta con la Gerusalemme celeste.
L'illusione millenarista si presenta spesso ai nostri giorni sotto un aspetto particolarmente strano. Ci si immagina che le istituzioni terrene, poveramente, pesantemente terrene, saranno soppresse a poco a poco dalla carità e dalla generosità cristiane. Si sogna, ad esempio, una carità che sopprimerebbe a poco a poco le ineguaglianze sociali, la necessità di difendere il proprio paese e di possedere delle forze armate. Si considerano le cose temporali nell'utopica prospettiva di un'innocenza sentimentale, in prospettive avveniristiche e angelistiche. Non si tiene presente che la carità e la generosità cristiane incominciano con l'accettazione dei mezzi ineluttabili dell'esistenza temporale e politica, cercando di vivificarli e di renderli più puri, ben lungi dal farli sparire e annullarli.
E questi mezzi, malgrado ogni sorta di rinnovamento, rimangono immutabili nella loro essenza, immutabili come la nostra natura nella sua condizione di caduta e di redenzione; essi si chiamano proprietà privata, famiglia, strutture intermediarie con le loro libertà e franchigie, gerarchie sociali con le loro distinzioni e privilegi, difesa della patria che, agli estremi, può includere la guerra.
Pertanto è necessario rifiutare ogni millenarismo, ma con preoccupazione delle cose terrene per amore di Dio (e nell'oblio di se stessi): il cristiano impegnato nelle contingenze della vita deve tenere presenti le due mete.
Si potrà forse obiettare che con simili premesse sarà piuttosto difficile trovare il coraggio per dedicarsi seriamente ad opere terrene. Avremo questo coraggio se Dio ce lo chiede e se il cuore è saldo in lui, per seguirne la volontà, non desiderando altro che essergli graditi, non cercando altrove la propria pace, il proprio riposo, il proprio supremo aiuto. È impossibile essere orientati in tal modo verso Dio, tendervi con tutte le forze se non sappiamo chi è Dio e cos'è il suo regno e se incominciamo a confonderlo con le cose terrene, anche le migliori e, a maggior ragione, con i sogni e le utopie: come quella, ad esempio, di un'evoluzione, di una trasformazione progressiva dell'umanità che dovrebbe venire liberata da ogni conflitto e da ogni ingiustizia, evoluzione che metterebbe fine alla nostra miserabile condizione di figli di Adamo.
Se la fede non ci fa prima discernere, e quindi ammettere praticamente, l'infinita distanza che separa il regno di Dio dalla città terrena, il mondo della santa Chiesa (intendo dire santa Chiesa e non gli ambienti ecclesiastici in cui il mondo ha talora una parte preminente), se non possediamo fermamente questa idea rivelata, soprannaturale, della distanza infinita fra le cose del cielo e quelle della terra, allora la nostra fede è debole, e noi rischiamo di non vedere più le cose della terra alla luce di quelle del cielo e di non trattarle dal punto di vista della vita eterna e dell'amore di Dio. Così, quando le cose della terra verranno a mancarci, a deluderci, a tradirci, rischieremo di essere preda dello scoraggiamento, a meno che, in mancanza della luce e della speranza celesti, una specie di frenesia umana ci faccia trascurare le delusioni e i tradimenti, le lacrime e il sangue degli uomini e giunga persino a decuplicare e a galvanizzare le nostre forze, ossessionati dalla visione di non so quale umanità del futuro, trasfigurata, ultra-umana. Ma questa specie di furia generata dall'utopia è da un lato sconosciuta alle debolezze, agli abbattimenti dell'uomo " carnale " e dall'altro è opposta all'eroismo dei santi.
Ciò che suscita maggiore avversione nella spiritualità teilhardiana, è la confusione dei piani: il Dio In-Avanti coincide col Dio In-Alto, secondo una particolarissima terminologia. Ne deriva questa inammissibile conclusione: porre mano alle cose della terra (di una terra supposta in evoluzione e in cosmogenesi), in altre parole, servire " il Dio dell’In-Avanti ", è identico di per sé all'unione soprannaturale con il vero Dio. Ora, l'ultimo dei cristiani, che conosca bene il catechismo, sa che l'occuparsi delle cose di questa terra non rappresenta, di per sé, l'esercizio delle virtù teologali. Quindi, l'oggetto di tale occupazione, e le virtù relative, sono terrene e non soprannaturali. Se, come dev'essere, questa occupazione è espressione di una anima ispirata, innalzata dalle virtù teologali, unita a Dio, che ha scelto Dio come bene supremo, che si affida a lui con una scelta d'amore, allora è certo che tale occupazione contribuisce al regno di Dio. Ma non di per se stessa. Sono cose elementari: basta distinguere, come ci insegna la fede, la Chiesa dal mondo, la città di Dio da quella terrena.
Sarebbe troppo lungo descrivere gli errori che derivano da una simile confusione iniziale tra il mondo e la Chiesa. Ne indico qualcuno molto rapidamente. Si osa pretendere che la Parusia verrà a coronare dall'alto una "spinta storica" e uno sforzo civilizzatore a cui non mancava che questo.
In realtà, l'avvento glorioso del Signore è di un ordine del tutto differente da quello delle civiltà e del loro progresso, reale o presunto. Come l'entrata di ciascuno degli eletti nel paradiso viene a coronare non lo sviluppo di talenti umani, ma una vita vissuta al livello delle beatitudini (realizzata d'altronde molto spesso attraverso l'impiego di doni naturali), così l'avvento di Gesù Cristo nella sua gloria verrà a coronare le lotte supreme e le supreme fedeltà della sua Chiesa militante: fedeltà che si compirà del resto in mezzo a una " ascesa storica " (se si può parlare di ascesa per una degenerescenza), in mezzo a una anticiviltà inimmaginabilmente perversa e apostata.
Il motivo, il solo motivo che ci sia rivelato sulla Parusia è quello della difesa degli eletti in mezzo ad un pericolo senza confronto, affinché essi siano salvati, malgrado lo scatenamento dell'iniquità (Mt. 24,22-24). Dove avete letto, in quale versetto della Scrittura, o in quale decreto conciliare, che la Parusia s'iscriva nel prolungamento del progresso (supposto) della civiltà e della " ascesa storica "? Con simili teorie togliete alla Parusia la sua irriducibile realtà, ne fate la meta ineluttabile di una salita che deriva da questo mondo, mentre si tratta di un intervento gratuito e onnipotente del Figlio dell'Uomo senza alcun rapporto conseguenziale con le energie, le risorse e i progressi di questo mondo. (Essa si iscrive nella vita della Chiesa di cui è la consumazione. Non si iscrive sulla linea della vita, o della ascesa, della città terrena come tale). E se svuotate in tal modo la realtà della Parusia e il suo mistero, è perché prima avete svuotato un altro mistero, quello del regno di Dio, che avete assorbito nel divenire storico e cosmico.
Assieme alla Parusia viene misconosciuto il governo divino e la sua ragione definitiva, definitivamente splendente. Alcuni pretendono che Dio governi il mondo e lo faccia durare per permettere i progressi tecnici, la idilliaca fraternità fra i popoli, l'avvento di un'umanità trasfigurata. Quindi il Dio che ci ha creati ed elevati all'ordine soprannaturale, che ha permesso il peccato, che ha sacrificato il suo divin Figlio, nato dalla Vergine, per il riscatto delle nostre colpe, quel Dio, che è l'unico Dio, non avrebbe altra mira nel suo governo provvidenziale che permettere la messa a punto di tecniche e di macchine, la costruzione di non so quale organizzazione sociale! Per sostenere simili teorie bisogna possedere una ben povera concezione di Dio. Per proporle in merito al governo divino della storia, bisogna non aver meditato i maggiori avvenimenti che domineranno per sempre la storia dell'uomo: la creazione, la caduta e il peccato originale, l'incarnazione redentrice; bisogna ignorare di aver respinto le basilari nozioni del catechismo più elementare. In realtà, Dio governa il mondo per la gloria di suo Figlio Gesù Cristo, per l'accrescimento del corpo mistico che è la santa Chiesa, per la santificazione degli eletti.
Noi ammettiamo senza difficoltà che la storia degli uomini sulla terra abbia anche una ragion d'essere terrena; riconosciamo che il Signore Dio, con la propagazione e la durata della nostra specie, voglia permettere agli uomini di usare le loro ricchezze naturali, stabilire una civiltà meno discordante dalla loro propria dignità, migliorare in una certa misura la loro dimora passeggera sulla terra. Però non è questo lo scopo primo, essenziale, fondamentale della storia umana. Questa finalità terrena è essenzialmente subordinata alla finalità celeste e soprannaturale; non può pretendere di sostituirvisi. D'altronde, la finalità terrena non può essere considerata esattamente se non tenendo conto della nostra condizione di peccatori, senza lasciarci fuorviare dalla chimerica speranza di abolire questa condizione.
E se Dio fa durare il mondo "propter electos" (in grazia degli eletti), è forse perché essi potranno un giorno essere tali senza ricorrere alle prove della loro adesione a Cristo, invece di riceverle semplicemente, come grazie da far fruttificare in santità? Questo mutamento in senso millenaristico avrà come conseguenza per i cristiani l'abolizione della condizione dolorosa e militante, conseguente alla prima colpa? La fede ci risponde che se la storia si prolunga "propter electos", gli eletti verranno sempre al mondo feriti in Adamo e non potranno guarire che per la loro conformità a Cristo, nell'amore e attraverso la croce. Tutte le iniquità e le manovre della città del demonio (la quale, con la città di Dio, influisce necessariamente sulle civiltà), tutti i suoi successi apparenti sono permessi - non voluti - per l'edificazione della Gerusalemme celeste. Come lo canta magnificamente l'inno della Dedicazione:
Tunsionibus, pressuris
expoliti lapides
suis coaptantur locis
per manus Artificis;
Disponuntur permansuri
sacris aedificiis.

Da molti anni insegno ai cristiani laici che da quando la città di Dio eterna vive in mezzo alla città carnale peritura e combatte giorno e notte per strappare gli uomini alla città del demonio, sentieri della santità passano veramente attraverso le loro attività profane. Ma ciò non significa dichiarare che le attività profane siano di per se stesse teologali. Le attività che hanno per oggetto le cose terrene divengono una via di unione a Dio soltanto nella misura in cui sono occasione di amore e di rinuncia, invito alla carità e al sacrificio, appello alla lotta contro noi stessi, il demonio e il mondo. Che facciate il pittore o l'agricoltore, il giornalista o il poeta, per poco che siate cristiani, saprete che la vostra attività deve certamente portarvi ad avvicinarvi a Dio, ad approfondire la vostra vita spirituale.
Ma saprete anche che ciò sarà possibile soltanto a determinate condizioni: la prima delle quali è di concedervi il tempo di raccogliervi nel Signore, di frequentare i sacramenti, di pregare la Madonna; bisogna che abbiate il senso profondo della totalità divina, in unione con Gesù Cristo; bisogna poi che abbiate il senso delle norme proprie della vostra attività e che tentiate onestamente di metterle in atto, malgrado le illusioni, i sofismi, le pressioni della città del demonio che in mille modi cerca di farvele dimenticare e di falsarle. È infine importante che usiate soltanto dei mezzi puri.
Le attività terrene divengono (come dev'essere) un cammino verso Dio soltanto se vi sforzerete di applicare alla lettera l'insegnamento rivelato più formale sulla distinzione fra il regno di Dio e i beni della terra, la vita terrena e la vita eterna. " II tempo della vita è breve, sicché d'ora in poi quelli che hanno moglie, vivano come se non l'avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che sono contenti, come se non lo fossero; quelli che comprano come se non possedessero; e quelli che usano di questo mondo, come se non ne godessero, perché gli apparenti beni di questo mondo passano " (1 Cor. 7,29-31). " Non abbiamo quaggiù una dimora definitiva, ma siamo in cerca di quella futura " (Ebr. 13,14). " Chi ama la sua vita, la perde; e chi odia la sua vita in questo mondo la salverà per la vita eterna " (Gv. 12,25). " Se uno vuoi venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua " (Lc. 9,23). " Che gioverebbe a un uomo guadagnare tutto il mondo, se perdesse l'anima sua? O che cosa potrà dare in cambio della propria anima? " (Mt. 16,26). Si tratta di indicazioni spirituali, comandamenti, che implicano dati dogmatici sulla separazione fra la santa Chiesa e il mondo, fra la città celeste e le città di quaggiù.
Riassumerò il concetto di questa meditazione, trascrivendo le parole di un amico:
Se per molti uomini la fede non sembra avere alcun rapporto con la vita terrena, o perlomeno alcun interesse per questa vita, è perché essa esige di vivere concretamente questa vita non da uomo carnale ma lasciandoci guidare dallo spirito di Gesù Cristo (e quindi dimenticando noi stessi); essa esige che anziché "godere di questo mondo", "ne usiamo come se non ne usassimo...".
Non bisogna neppure cedere all'illusione di un'edificazione del regno dei cieli sulla terra, secondo la quale Dio e Cristo, già fin da adesso, vi sarebbero presenti come " tutto in tutti ", la fede ci obbliga invece a ricordare che, fino all'ultima sera inclusa, la zizzania e il buon grano cresceranno insieme, e che non bisogna lasciarsi tentare dall'illusione di una crescita progressiva di una società pienamente umana, perfettamente al riparo dalle influenze della città del demonio...
Cristo non è venuto tra noi per correggere il divenire storico delle società umane; senza dubbio, per il fatto di esser venuto a riscattarci, la sua azione soprannaturale e salvifica è subordinata a una certa restaurazione delle società umane in rapporto alla loro finalità naturale. Tuttavia, Cristo non è stato inviato dal Padre a restaurare il divenire storico della società politica.

A tutto questo, un cappellano mi faceva la seguente obiezione: " Ma se le cose stanno così, l'avventura del cristiano è decisamente sbiadita, tutt'altro che esaltante ". Esaltante per le tre concupiscenze no di certo, gli risposi; ciò che conta è che venga vivificata dall'amore vero e quindi conforme all'ordine divino (che evita la confusione dei piani, che non confonde mai le attività temporali con la vita teologale). Solo allora gli sforzi, i tentativi saggi ed onesti sul piano terrestre non conosceranno sosta, malgrado le sconfitte, grazie alla fedeltà a Dio e nel suo amore; la croce quotidiana verrà portata con dolcezza e coraggio; e la pienezza dell'unione a Dio si riverserà in definitiva in doni meravigliosi sulle cose temporali. In tutti i tempi l'esempio dei santi ce ne ha dato la prova. Questa fedeltà nell'ordine vale infinitamente di più, sullo stesso piano temporale, di tutte le " avventure esaltanti " basate sulla illusione e sulla confusione dei piani.

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Questa è la vita: che conoscano Te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo. Gv.17,3
 
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