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VANTAGGI E SVANTAGGI PER CREDENTI E NON CREDENTI

Ultimo Aggiornamento: 07/02/2019 12:12
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19/11/2011 22:43
 
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Il 14 marzo 2011 i risultati di una ricerca, apparsi sull’“Interdisciplinary Journal of Research on Religion”, dimostrano l’impatto che la riduzione della frequenza di partecipazione alla chiesa provoca sulla felicità nel mondo femmine degli Stati Uniti. E’ stata realizzata da G. Alexander Ross, docente dell’Institute for the Psychological Sciences in Virginia. Analizzando i dati raccolti dal General Social Survey durante gli anni 1972-2008, si è scoperto che buona parte della diminuzione di felicità tra le donne (maggiore rispetto agli uomini) in questo periodo è attribuibile al calo della frequenza alla chiesa. La ricerca ha anche dimostrato che le donne americane sono più propense degli uomini a partecipare regolarmente alle funzioni religiose. Diversi studi precendenti hanno osservato che frequentare la chiesa offre anche una protezione contro le tendenze anomiche ed egoistiche offerte dalla società moderna e permette un maggior contesto di benessere psico-fisico. E’ evidente che il cammino cristiano permetta all’uomo di acquisire un adeguato significato e scopo da dare alla vita, e questo non può che giovare alla persona nella sua interezza, aiutandola a valorizzare la vita e perfino a valutare positivamente anche gli stess che si incontrano (Stark and Smith, 2010). La vita della chiesa, l’amicizia tra i cristiani, permette anche di costruire forti e sopratutto sane relazioni sociali, inibendo l’isolamento sociale (Baumeister and Leary, 1995). Sicuramente -continua lo psicologo- ciò è amplificato proprio nel cristianesimo, dove il rapporto tra Dio e l’uomo è basato sull’amore e sul perdono. La direzione causale -ci tiene a suggerire- può però essere invertita. Per esempio, l’infelicità di un individuo o la depressione possono inibire il suo desiderio di impegnarsi socialmente o scoraggiare la presenza in chiesa. Sicuramente è un influenza bidirezionale. Il declino della felicità femminile negli ultimi tre decenni e mezzo, continua lo psicologo, è anche dovuto alla conseguenza del calo di una frequenza regolare in chiesa, indebolendo la concezione di un signfiicato e di un fine della propria vita, venendo così a mancare una prospettiva positiva e piena di speranza. Inoltre, i cambiamenti che la nostra società ha vissuto negli ultimi decenni, hanno avuto un impatto negativo sulla felicità delle donne e l’analisi conferma che chi frequenta la chiesa risulta essere meno sensibile a tale impatto. In particolare, le donne che andavano in chiesa meno di una volta all’anno hanno visualizzato un significativo calo di felicità nel corso degli ultimi tre decenni e mezzo[41].

 

  • Il 25 aprile 2011 uno studio scientifico, intitolato “Health benefits of Christian faith”, ha indicato che coloro che credono in Dio vivono generalmente una vita più sana, ma possono anche più frequentemente vivere 14 anni in più. Lo hanno rilevato ricercatori inglesi del Christian Medical Fellowship (un ente che riunisce 4350 medici e ricercatori e 980 studenti di medicina) attraverso una metanalisi. L’81% degli studi pubblicati dimostra infatti che i cristiani affrontano meglio la malattia, recuperano più velocemente e sono maggiormente protetti da malattie future. I Drs. Bunn Alex e David Randall hanno dichiarato: «La ricerca pubblicata suggerisce che la fede è associata ad una maggiore durata della vita e a una vasta gamma di benefici per la salute. In particolare, la fede è associata ad una migliore salute mentale». L’analisi si è basata su più di 1.200 studi e 400 recensioni. Questi benefici sono riassumibili in: benessere psicofisico, felicità e soddisfazione di vita, speranza e ottimismo, scopo e significato nella vita, maggiore autostima, migliore adattamento al lutto, maggiore sostegno sociale e meno solitudine, tassi inferiori di depressione e più veloce recupero, tassi più bassi di suicidio, meno ansia, meno psicosi e meno tendenze psicotiche, tassi più bassi di alcol e droga, meno delinquenza e criminalità, maggiore e soddisfatta stabilità coniugale[42].

 

  • Il 24 maggio 2011 uno studio realizzato da Ali Ahmed della Linnaeus University e Osvaldo Salas della University of Gothenburg ha dimostrato che le persone tendono a comportarsi in modo migliore se sperimentano, o sono stati educate a pensieri religiosi. Hanno testato 224 studenti della Pontificia Universidad Católica de Valparaíso in Cile attraverso due classici esami per analizzare la “generosità” e “l’egoismo”, e cioè il Dictator Game e il Prisoner’s Dilemma. Il primo test misura il grado di “altruismo”, mentre il secondo valuta la capacità di cooperazione. Coloro che avevano ricevuto un’educazione religiosa tendevano ad essere più generosi e cooperativi, indipendentemente dal fatto che essi concepivano loro stessi come persone religiose.I ricercatori hanno proposto due possibili interpretazioni dei risultati: 1) Sentire la presenza di Dio stimola le persone a comportarsi bene. Se questo è vero, i non religiosi devono avere un qualche tipo di istinto sull’esistenza di Dio (magari dovuta dalla loro educazione o dalla loro biologia), indipendentemente dalle loro convinzioni coscienti. 2) L’educazione religiosa promuove comportamenti pro-sociali, e ciò rimane valido anche per chi non è più credente[43].

 

  • Il 16 giugno 2011 durante le Giornate Pisane di Psichiatria e Psicofarmacologia Clinica è stato presentato uno studio sulle condizioni post-traumatiche degli abitanti de L’Aquila, a seguito del sisma del 6 aprile 2009. I ricercatori si sono basati sulle diverse reazioni umane a eventi traumatici di gravità estrema, esattamente come può essere un terremoto. «Dai risultati che abbiamo avuto dai test sulla spiritualità emerge che la fede riveste un grande ruolo protettivo nei confronti della psicopatologia», spiega la prof.ssa Dell’Osso, guida della prestigiosa Clinica Psichiatrica dell’Università di Pisa[44].

 

  • Il 28 giugno 2011 su Rehabilitation Psychology sono stati pubblicati i risultati di uno studio, condotto dagli psicologi Brigid Waldron-Perrine e Lisa J. Rapport, che ha affrontato gli effetti della religione sulla riabilitazione dopo un trauma cranico. I ricercatori sono partiti dai risultati di precedenti ricerche, per le quali è evidente come «tra gli adulti in buona salute, la religione e la spiritualità hanno dimostrato una forte associazione con la soddisfazione della vita e migliori risultati di salute fisica e mentale», ha detto Waldron-Perrine. Hanno così sottoposto a test neuropsicologici 88 individui vittime di trauma cranico (quasi tutti cristiani), scoprendo che la maggior parte dei partecipanti che hanno riportato livelli più elevati di benessere religioso, aveva risultati migliori di riabilitazione emotiva e fisica. Hanno così concluso: «la religione può assumere anche un grande potere come risorsa psico-sociale»[45].

 

  • Sempre nel giugno 2011 uno studio ha dimostrato che l’andare in chiesa è associato a differenze sostanziali nel modo in cui giovani uomini si comportano. L’autore, Byron R. Johnson, criminologo, docente di Scienze Sociali presso la Baylor University e membro del Consiglio di coordinamento per la Giustizia Minorile e Prevenzione della delinquenza ha pubblicato il libro “More God, less crime”, e dimostra come l’aumento della religiosità non solo riduce la criminalità e la delinquenza, ma promuove anche un sano comportamento sociale. Arriva così alla conclusione che la religione cristiana può essere un potente antidoto contro la criminalità. I dati mostrano che il “fattore fede” può diventare un potente catalizzatore per mobilitare gli sforzi per affrontare efficacemente i problemi cronici del sistema di giustizia penale americana. Nel libro sono raccolti tutti gli studi tra il 1944 e il 2010 che hanno misurato i possibili effetti della religione sulla criminalità, cioè circa 273. Il 90% di questi hanno mostrato che avere “più religiosità” porta a meno criminalità e solo il 2% ha trovato che la religione produce più criminalità (il restante 8% non ha trovato alcuna relazione)[46].

 

  • Nell’agosto 2011 i ricercatori del McLean Hospital, affiliato all’Università di Harvard, hanno concluso in seguito ad una ricerca che coloro che credono in un Dio benevolo, come cristiani ed ebrei, tendono a preoccuparsi meno ed essere più tolleranti verso le incertezze della vita. Lo studio, pubblicato sul Journal of Clinical Psychology, è stato realizzato dal Dr. David H. Rosmarin del Dipartimento di Psichiatria dell’Harvard Medical School, ed è stato presentato durante la riunione annuale della prestigiosa American Psychological Association[47].

 

  • Nel novembre 2011 sulla rivista “Journal of Religion, Disability & Health”, i ricercatori dell’Università del Missouri hanno pubblicato uno studio i cui risultati confermano l’idea che «la religione possa aiutare ad attenuare le conseguenze negative derivanti da un male cronico». Lo studio ha evidenziato come la frequenza ad attività religiose e spirituali è associata ad una migliore salute mentale per le donne e mentale e fisica per gli uomini affetti da una malattia cronica o disabilità.[48].

 

  • Sempre nel novembre 2011, i ricercatori della Yeshiva University, guidati da Eliezer Schnall, professore associato di psicologia clinica, si sono concentrati sulle donne, verificando uno stretto legame tra ottimismo/felicità e la frequenza alle funzioni religiose. Coloro che partecipano ai servizi religiosi, infatti, risultano avere il ​​56% in più di probabilità di possedere una visione positiva e ottimistica della vita rispetto a quelli che non lo fanno. Inoltre, hanno il ​27% di probabilità in meno di essere depresse, dicono gli studiosi. La ricerca è pubblicata sull’ultimo numero di “Journal of Religion and Health” e il campione utilizzato è stato di 92.539 donne, in postmenopausa, provenienti da ambienti diversi e di età superiore ai 50 anni. Schnall ha però avvertito, correttamente, che non c’è un determinato principio di causalità tra l’andare in Chiesa e la felicità, potrebbe anche essere l’inverso, ovvero che le persone più positive scelgano di andare in Chiesa.[49].

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