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VANTAGGI E SVANTAGGI PER CREDENTI E NON CREDENTI

Ultimo Aggiornamento: 07/02/2019 12:12
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19/11/2011 22:42
 
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  • Il 2 febbraio 2009 uno studio del dipartimento di Psichiatria dell’Università del Manitoba afferma che chi non crede in Dio ha il doppio delle probabilità di diventare un suicida. Daniel Rasic, il principale autore della ricerca, ha esaminato il collegamento fra la regolare frequenza religiosa e il tentato suicidio usando i dati di uno studio sulla situazione sanitaria nazionale canadese su trentasettemila persone compiuto da Statistics Canada. Lo studio è stato pubblicato sul Journal of Affective Disorders. Rasic afferma che le persone che frequentano servizi religiosi hanno meno probabilità di voler tentare il suicidio, di nutrire pensieri di suicidio di quelli che non lo fanno. «Quelli che sono andati in chiesa almeno una volta all’anno hanno abbassato la quota di tentati suicidi» ha detto Rasic, docente all’Università di Dalhouise a Halifax. «E quelli che non lo hanno fatto hanno il doppio di possibilità di aver tentato il suicidio». Secondo Rasic le persone interpellate che si sono definite semplicemente “spirituali” e non facevano parte di un’organizzazione religiosa hanno la stessa quota di tentati suicidi dei non credenti. Tim Wall, direttore esecutivo dell’Associazione canadese per la prevenzione dei suicidi sostiene che il suicidio spesso nasce da un sentimento di sentirsi isolati dalla famiglia o dagli amici. Le persone religiose tendono a trovare sia un senso di appartenenza che un significato alla loro vita nella fede[31].

 

  • Il 24 febbraio 2010 il Journal of Clinical Psychology. ha reso noti i risultati di una ricerca, la quale suggerisce che la fede religiosa aiuta a proteggere contro i sintomi della depressione. Il test si è rivolto a 136 pazienti con diagnosi di depressione clinica, è durato 8 settimane e lo strumento utilizzato è stato il Beck Hopelessness Inventory. Si è trovato che i soggetti con forti convinzioni in un Dio personale hanno il 75% di probabilità in più di sperimentare un miglioramento dopo il trattamento medico per la depressione clinica. La dottoressa Patricia Murphy ha però precisato: «Nel nostro studio, la risposta positiva ai farmaci aveva poco a che fare con il sentimento di speranza che accompagna di solito le convinzioni spirituali. E’ invece legata specificamente alla fede in un Dio amorevole. I medici devono essere consapevoli del ruolo della religione nella vita dei loro pazienti. E’ una risorsa importante nella pianificazione delle loro cure»[32].

 

  • Il 4 agosto 2010 la rivista americana “Liver Transplantation” ha pubblicato un interessante studio fatto da ricercatori del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) di Pisa e del Centro trapianti di fegato dell’università di Pisa, diretti dallo psicologo Franco Bonaguidi. Essi riguardano il rapporto tra la religiosità del paziente e la sua eventuale guarigione dopo un trapianto di fegato. Lo studio mostra che il livello di sopravvivenza è maggiore in quelli in cui il fenomeno “religiosità” è presente in maniera attiva, cioè coloro che si affidano a Dio, hanno fede in Lui e cercano di percepire la Sua volontà anche nella malattia[33].

 

  • Il 5 agosto 2010 su “Psychological Science” sono apparsi i risultati di alcuni esperimenti di due psicologi dell’Università di Toronto, Michael Inzlicht e Alexa Tullett, i quali hanno registrato l’attività cerebrale di un gruppo di persone analizzando le onde cerebrali associate a un particolare tipo di stress, che insorge quando si commettono degli errori. Gli scienziati hanno così verificato che, quando i partecipanti al test pensavano a Dio o in generale alla religione, sia consciamente che inconsciamente, reagivano meglio all’errore. Al contrario, negli atei, indotti a pensare a Dio, aumentava l’attività cerebrale ‘spia’ di stress da errore. Lo psicologo Inzlicht ha spiegato: «Pensare alla religione regala calma quando si è sotto pressione. Rende meno stressati quando si fanno degli errori. Nel mondo l’85% delle persone ha un sentimento religioso. Questo studio può aiutarci a capire qualcosa di realmente interessante su chi ha fede e sugli effetti ‘terapeutici’ della preghiera. Esistono alcune evidenze scientifiche secondo cui le persone religiose vivono più a lungo e tendono a essere più sane e più felici». Ma improvvisarsi devoti senza crederci davvero non paga: l”effetto infatti non vale per gli atei[34].

 

  • Il 31 agosto 2010 uno studio condotto dai ricercatori dall’University of the Negev (BGU) ha rivelato che le donne negli Stati Uniti sono generalmente più felici di partecipare ad una funzione religiosa di domenica piuttosto che andare a fare shopping. La pubblicazione dello studio è apparsa su rinomate riviste scientifiche e canali di divulgazione scientifica. La ricerca ha dimostra che le donne che scelgono attività secolari, come lo shopping, non sono più felici e che l’abrogazione delle “leggi blu”, che permettono ai negozi di restare aperti la domenica e incidono così sul livello di partecipazione alla Messa, ha diminuito la probabilità relativa di essere almeno “abbastanza felice” rispetto al “non felice” del 17% circa. Secondo il Dr. Danny Cohen-Zada del Dipartimento di Economia, «abbiamo scoperto che esistono prove dirette dell’effetto positivo che la partecipazione religiosa causa sulla felicità di una persona. Inoltre, una parte importante del declino della felicità delle donne nel corso degli ultimi tre decenni può essere spiegato dal declino della partecipazione religiosa». Continua l’esperto: «La gente sceglie lo shopping o guarda la televisione perché ciò fornisce una soddisfazione immediata. La soddisfazione dura per il momento in cui è consumata e non molto più tempo. La soddisfazione nel partecipare alla vita di chiesa, d’altro canto, non è immediata. Richiede invece la persistenza per un periodo di tempo». I ricercatori hanno analizzato i dati del General Social Survey (GSS) e hanno scelto gli intervistati che abitano negli stati in cui c’è stato un netto cambiamento, chiaro e significativo del divieto di attività di commercio al dettaglio la domenica (almeno 10 stati) o dove invece non vi è stato alcun cambiamento (sei stati). Sono stati intervistati cattolici e protestanti, poiché sono i più propensi ad andare in chiesa la domenica[35].

 

  • Il 15 settembre 2010 uno studio dell’Università di Berna, pubblicato dal periodico specializzato “International Journal of Epidemiology”, ha rivelato che l’identikit dello svizzero che ha meno tendenza a togliersi la vita è cattolico, sposato e residente in Ticino. Lo studio ha incrociato i dati del censimento 2000, relativi a oltre tre milioni di persone di età compresa fra i 35 e i 94 anni, con le statistiche della mortalità fino al 2005. La scoperta principale è che la religione ha un ruolo importante: su 100mila abitanti il tasso di suicidio è del 39% per chi non ha una confessione, 29% per i protestanti e 20% per i cattolici. Secondo il gruppo di ricerca condotto da Matthias Egger la religione è un’importante forza sociale: si lasciano accompagnare alla morte cinque volte più uomini atei che cattolici (per le donne addirittura sette volte in più). Lo studio dell’istituto bernese mostra anche come il tasso di suicidi degli sposati sia la metà di quello di single, vedovi e divorziati. Non sono invece state scoperte differenze significative riguardo al livello formativo. Lo studio dunque conferma le ricerche effettuate nel 1897 dal sociologo francese Emile Durkheim, che aveva notato tassi di suicidio più elevati nei cantoni svizzeri protestanti rispetto a quelli cattolici. Egli aveva avanzato l’ipotesi che nelle comunità cattoliche la coesione sociale fosse migliore[36].

 

  • Il 23 settembre 2010 uno studio sociologico dimostra come le persone che lasciano la religione hanno più probabilità di peggiorare loro salute psico-fisica rispetto a coloro che vi rimangono. A guidare la ricerca statistica è stato Christopher Scheitle, il quale commenta: «Abbiamo dimostrato un’associazione tra appartenenti ad un gruppo religioso e risultati positivi per la salute. Ci siamo interessati a cosa accadrebbe alla salute in caso di abbandono religioso». Circa il 40% dei membri utilizzati per lo studio statistico, prima di lasciare la religione, godevano di ottima salute. Tuttavia, solo il 20% è rimasto in buona salute dopo aver abbandonato la fede. I ricercatori hanno segnalato i loro risultati sull’ultimo numero del “Journal of Health Behavior and Social”[37].

 

  • Il 28 ottobre 2010 un’analisi sociologica ha mostrato che gli americani molto religiosi hanno livelli più elevati di benessere rispetto a chi è meno religioso e a chi non lo è affatto. L’analisi si è basata su oltre 550.000 interviste, condotte nel corso dell’ultimo anno dagli esperti del Gallup, noto centro di indagini statistiche americane. Sono stati valutati diversi fattori, che vanno dalla salute fisica ed emotiva all’auto-valutazione della vita, fino alle percezioni dell’ambiente di lavoro. «Questo studio non consente una determinazione precisa del perché di questi dati. E’ possibile che gli americani che hanno un maggiore benessere possono essere più inclini a scegliere di essere religiosi rispetto a quelli con minore benessere. E’ anche possibile che la relgiosità, intesa come vita attiva di fee e partecipazione ai servizi religiosi, a sua volta porti ad un maggiore livello di benessere personale», dice un esperto del Gallup, Frank Newport. Ha poi suggerito ironicamente: «Ora abbiamo la soluzione alla crisi sanitaria. Se siamo interessati a ridurre i costi di assistenza sanitaria in America, dobbiamo aumentare la prevalenza di religione»[38].

 

  • Il 13 dicembre 2010 sulla “American Sociological Review” è apparso uno studio secondo il quale la religione è proprio “l’ingrediente segreto” che rende le persone più felici. «Che ci sia uno stretto legame tra una vita soddisfacente e la vita religiosa è noto da tempo», hanno detto i ricercatori. Lim Chaeyoon, docente di sociologia presso l’Università del Wisconsin-Madison, ha continuato: «Il nostro studio offre una prova convincente che sono gli aspetti sociali della religione che conducono ad una vita soddisfacente. In particolare, siamo convinti che siano le amicizie costruite all’interno delle comunità religiose ad essere l’ingrediente segreto che rende la gente più felice»[39].

 

  • Il 22 febbraio 2011 sull’“American Psychologist”, prestigiosa rivista dell’American Psychological Association (APA) è apparso uno studio di Roger Walsh, psicologo della University of California e dell’Irvine’s College of Medicine, il quale ha studiato gli effetti di quella che è chiamato il “Therapeutic Lifestyle Changes” o TLC (cioè il “cambiamento di vita terapeutico”). I disturbi mentali, compresa la depressione e l’ansia, possono essere curati e trattati anche con cambiamenti dello stile di vita, determinati anche per la guarigione di malattie come il diabete e l’obesità. Gli stili di vita presi in considerazione, associati a una maggior sanità psicofisica e alleati alla guerra verso la depressione e l’ansia, sono: l’esercizio fisico, una dieta ricche di verdure, frutta e pesce, il contatto con la natura, buone relazioni interpersonali e il coinvolgimento religioso e spirituale. Rispetto a quest’ultimo, lo psicologo afferma che «aiuta a ridurre l’ansia, la depressione e l’abuso di sostanze stupefacenti, promuovendo uno stato di benessere». Sopratutto se ci si concentra sull’amore, sul perdono e sull’altruismo, cioè un’estrema sintesi del messaggio cristiano. La raccomandazione che l’American Psychologist fa ai terapeuti, in seguito a questo studio, è di «imparare sempre più i benefici del TLC e dedicare più tempo a promuoverlo tra i pazienti»[40].

 

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