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VANTAGGI E SVANTAGGI PER CREDENTI E NON CREDENTI

Ultimo Aggiornamento: 07/02/2019 12:12
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19/11/2011 22:41
 
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  • Nel dicembre 2004 un’equipe di ricercatori della Population Research Center and Department of Sociology dell’University of Texas ha pubblicato uno studio in cui si sottolinea come «la comunità scientifica abbia recentemente riservato un serio interesse per la relazione tra coinvolgimento religioso e il rischio di mortalità degli adulti». Hanno così esaminato la lettura scientifica in merito -medicina, epidemiologia e scienze sociali- evidenziando i principali risultati, i limiti e le sfide future. «Nel loro insieme -evidenziano-, la ricerca attuale indica la presenza di un legame tra vita religiosa e il minor tasso di mortalità. L’evidenza diventa più forte se si tratta di una partecipazione alle funzioni religiose di specifiche confessioni religiose e meno evidente se si tratta di un coinvolgimento religioso privato, personale». Questo porta a pensare che i meccanismi attraverso i quali la religione sembra influenzare la mortalità comprendono aspetti di integrazione sociale, norme sociali e risorse psicologiche. Le conclusioni sono apparse sul sito del prestigioso National Institutes of Healthe[20].

 

  • Nel marzo 2005 i Dipartimento di Sociologia dell’Università del Texas ha gli effetti della partecipazione religiosa sul rischio di mortalità dei messicani americani oltre i 65 anni. Lo studio si è svolto tra la popolazione ispanica che vive negli Stati Uniti. Nel complesso, i risultati mostrano che coloro che vanno in chiesa una volta alla settimana presentano il 32% di riduzione del rischio di mortalità rispetto a coloro che non partecipano alle funzioni religiose. I benefici della partecipazione religiosa -secondo i ricercatori- influiscono anche sulla salute cardiovascolare, le attività della vita quotidiana, le funzioni cognitive, la mobilità fisica, il sostegno sociale, la salute mentale e la salute soggettiva[21].

 

  • Nell’agosto 2005 il Centers for Disease Control and Prevention del National Center for Health Statistics ha analizzato un campione di 18.774 americani di 20 anni e oltre, per valutare il legame tra la frequenza di partecipazione alle funzioni religiose e il fumo di sigaretta. Dopo aver messo a confronto i soggetti con la stessa età, sesso, gruppo etnico, istruzione, regione e stato di salute, è emerso che i “frequentatori rari” (< 24 volte/anno) avevano molta più probabilità di essere fumatori rispetto ai frequentatori frequenti (> 1 volta/settimana). I ricercatori hanno così concluso che «una maggiore frequenza alle funzioni religiose è associata ad una minor esigenza di nicotina»[22].

 

  • Sempre nell’agosto 2005, la psicologa Elizabeth A. Rippentrop ha pubblicato un articolo apparso sul sito web dell’American Psychological Association intitolato: “A Review of the Role of Religion and Spirituality in Chronic Pain Populations”. Dopo aver esaminato letteratura scientifica sul rapporto tra religiosità-spiritualità e i risultati sulla salute nella popolazione affetta da dolori cronici, ha concluso che l’aumento delle ricerche in questo settore è giustificato da diverse ragioni. In primo luogo, molte persone affette da dolore cronico si affidano alla loro fede religiosa per affrontare meglio il dolore. In secondo luogo, una relazione tra religione, spiritualità e miglioramento della salute è stata effettivamente documentata. In terzo luogo, vi è una mancanza di ricerca sulla potenzialità mediatrice tra la religione e la salute nella popolazione affetta da dolore cronico[23].

 

  • Il 18 maggio 2006, durante l’Annual Scientific Meeting dell’American Society of Hypertension svoltosi a New Yorrk, sono stati presentati i risultati di uno studio condotto su più di cinquemila afroamericani, il quale ha rilevato che gli individui coinvolti o che partecipano ad attività religiose (cristiane) hanno la pressione sanguigna significativamente più bassa rispetto a quelli che non lo fanno. I ricercatori dello studio, guidati da Sharon Wyatt dell’Università del Mississippi, introducono dicendo «l’ipertensione è il fattore di rischio più importante per la salute degli afro-americani». Continuano poi: «I nostri risultati dimostrano che l’integrazione della religione e della spiritualità -la vita di chiesa e la preghiera- possono diminuire l’esposizione allo stress e ritardare gli effetti deleteri dell’ipertensione». La Jackson Heart Study ha studiato 5.302 volontari per valutare gli effetti della religione e della spiritualità sulla pressione diastolica e sistolica. L’analisi statistica è stata condotta tenendo ovviamente conto della condizione di vita del soggetto, del suo benessere psicofisico e delle sue abitudini (fumatore, vegetariano ecc..). Si è subito valutato che i soggetti che avevano una maggiore attività religiose, avevano anche valori significativamente più bassi di pressione sanguigna diastolica e di pressione arteriosa sistolica. Lo studio comunque conferma la letteratura scientifica precedente, la quale all’unanimità dimostra un effetto protettivo (di «tampone») verso i rischi per la salute[24].

 

  • Il 29 novembre 2006 è apparso uno studio dal titolo: «Andare in chiesa potrebbe aiutare a respirare meglio». E’ stato svolto dalla ricercatrice Joanna Maselko della Temple University e pubblicato sul prestigioso Annals of Behavioral Medicine. La funzione polmonare, spiega la scienziata, «è un importante indicatore della salute respiratoria, ma poco si sa circa i fattori psicosociali che possono predire questa funzione. Al tempo stesso, l’attività religiosa sta emergendo come potenziale fattore per la salute, soprattutto negli anziani. Abbiamo voluto così verificare se ci fosse una connessione tra i due fattori». L’articolo è stato condotto mentre la Maselko era docente di Sanità pubblica presso la Harvard University: utilizzando il picco di flusso espiratorio (PEFR), i ricercatori hanno misurato la funzione polmonare di 1.189 soggetti di età compresa tra 70-79 anni. Hanno così scoperto che coloro, uomini e donne, che frequentavano la chiesa settimanalmente, presentavano un più lento declino della funzione polmonare tra gli uomini e le donne, rispetto a coloro che non erano “praticanti”. I risultati, spiegano i ricercatori, non potevano essere spiegati da differenze tra fumatori o chi praticava attività fisica. La Maselko ed i suoi colleghi credono che questo sia il primo studio che esamini direttamente la relazione tra impegno religioso e la funzionalità polmonare nel tempo. Nel complesso, andare in chiesa fornisce maggiori contatti sociali, un valido sostegno emotivo e un benessere psicologico, riducendo così l’isolamento e la disabilità mentale che affligge molti anziani[25].

 

  • Il 21 maggio 2007 il Dipartimento di Society, Human Development and Health dell’Università di Harvard ha commentato i numerosissimi studi scientifici che rilevano una correlazione tra vita religiosa e salute psico-fisica. «Ci sono prove scientifiche di una correlazione positiva tra la partecipazione religiosa e gli indicatori di salute», hanno dichiarato i ricercatori di Harvard. La più forte evidenza esiste tra la partecipazione alle funzioni religiose e il basso tasso di mortalità. La vita salutare e i maggiori legami sociali sono fattori importanti attraverso i quali la religione può incidere sulla salute, altre possibili strade includono l’apporto di sistemi di significato verso la vita e la sensazione di forza per far fronte a stress e avversità. Queste spiegazioni però non sembrano esaurire la questione[26].

 

  • Nel 2008 in un estratto apparso sul prestigioso sito web dell’American Psychologist Association, si legge che «gli studi empirici hanno individuato legami significativi tra la religione, la spiritualità e la salute». Le ragioni però di questa associazione non sono chiare, spiegano gli autori. In genere, la religione e la spiritualità sono misurate attraverso gli indici globali, come ad esempio, la frequenza in chiesa, l’auto-valutazione del livello di religiosità, che però non specificano come e perché la religione e la spiritualità riesca ad incidere sulla salute psico-fisica. Gli psicologi evidenziano ribadiscono infine che nonostante l’incertezza sulle motivazioni, «appare comunque sempre più evidente il contributo distintivo che la religiosità ha verso la salute e il benessere umano»[27].

 

  • Nel febbraio 2008 la Division of Vital Statistics del National Center for Health Statistics del Maryland ha analizzato il forte legame tra la frequenza di partecipazione alle funzioni religiose e il basso tasso di mortalità. I dati sono stati valutati per un campione di 8.450 americani, uomini e donne dai 40 anni, esaminati per un periodo di circa 8,5 anni (1988-1994). I soggetti deceduti durante questo range di tempo sono stati 2058. Traendo le conclusioni, dopo aver tenuto conto delle condizioni socio-demografiche dei soggetti, i ricercatori hanno dichiarato che: «dall’analisi si dimostra che i soggetti maggiormente religiosi, soprattutto i cristiani, hanno presentato un minor rischio di morte indipendentemente da fattori socio-demografici, rispetto ai soggetti meno religiosi»[28].

 

  • Il 18 settembre 2008 sono apparse sul sito della Baylor University le conclusioni di una delle indagini più vaste mai condotte sugli atteggiamente degli americani verso la religione. La ricerca è stata eseguita dai sociologi Byron Johnson, Christopher Bader, Rodney Stark e Carson Mencken, e pubblicata con il titolo “What Americans Really Believe”. In una conferenza stampa a New York gli autori hanno detto di aver lavorato su un campione di 1.648 adulti, scelti casualmente per tutti gli Stati Uniti e i sondaggi sono stati effettuati dal Baylor Institute for Studies of Religion (ISR) e condotti dal Gallup. Tra i risultati, l’indagine ha rilevato che la religione cristiana diminuisce notevolmente la credulità, misurata in termini di convinzioni in cose come sogni, Bigfoot, UFO, case infestate, comunicazione con i morti e l’astrologia. Eppure -notano i ricercatori-, resta diffusa l’opinione che le persone religiose siano particolarmente credulone. Tuttavia i conservatori religiosi americani sono molto meno propensi a credere nell’occulto e nel paranormale degli altri americani, mentre coloro che si auto-identificano come teologi liberali e coloro che si dicono “irreligiosi” hanno molta più probabilità di essere creduloni. I ricercatori hanno concluso che questo dimostra come non sia la religione in generale a sopprimere tali credenze, ma solo la religione cristiana conservatrice[28,1].

 

  • Nell’ottobre 2008 una nuova ricerca della Temple University ha suggerito che le persone religiose, sia che partecipino attivamente alla vita della comunità della chiesa o che preferiscano pregare o meditare in privato, sono più protette dalla depressione. In uno studio pubblicato on-line sul Psychological Medicine, i ricercatori hanno confrontato i vari livelli di religiosità presenti nel 918 intervistati confrontandoli con il rischio di depressione. Dai risultati è emerso che coloro che partecipavano alle funzioni religiose frequentemente avevano il 30% in meno di probabilità di soffrire di depressione nel corso della loro vita. Il capo-ricercatore Johanna Maselko, ha dichiarato che la chiesa offre la possibilità di interagire con la comunità e questo è un fattore importante nella prevenzione della depressione. Ha aggiunto anche che le persone con alti livelli di benessere esistenziale hanno un forte senso del loro posto nel mondo. «Le persone con alti livelli di benessere esistenziale tendono ad avere una buona base che li rende molto centrati emotivamente», ha detto la psicologa. «Le persone che sono a maggior rischio di depressione potrebbero anche rivolgersi alla religione per far fronte alla depressione», ha concluso[29].

 

  • Il 30 dicembre 2008 sono apparsi i risultati di uno studio dell’Università di Miami su Psychological Bulletin, ricerca guidata dal docente di psicologia Michael McCullough, il quale ha constatato che le persone religiose possiedono più autocontrollo di quanto non facciano le loro controparti meno religiose. Questi risultati implicano anche che le persone religiose possono perseguire e raggiungere meglio obiettivi a lungo termine che sono per loro importanti. Queste conclusioni, a loro volta, potrebbero aiutare a spiegare perché le persone religiose tendono ad avere tassi più bassi circa l’abuso di sostanze, un rendimento scolastico migliore, meno delinquenza, migliori comportamenti di salute, meno depressione, e una vita più lunga. Lo psicologo ha valutato 80 anni di ricerche sulla religione condotte con diversi campioni di persone provenienti da tutto il mondo trovando, attraverso una varietà di fattori all’interno le scienze sociali, comprese le neuroscienze, l’economia, la psicologia e la sociologia, la prova convincente che la fede religiosa e i comportamenti religiosi sono in grado di incoraggiare la gente ad esercitare l’autocontrollo e regolamentare in modo più efficace le loro emozioni e comportamenti, in modo che possano perseguire gli obiettivi prefissati. Dichiara lo psicologo americano: «L’importanza dell’autocontrollo e dell’autoregolamentazione per la comprensione del comportamento umano sono ben noti agli scienziati sociali, ma la possibilità che i legami tra la religiosità e l’autocontrollo potrebbero spiegare i collegamenti tra la religiosità e una maggiore salute non ha ricevuto finora molta attenzione esplicita. Ci auguriamo che la nostra ricerca correggerà questa svista della letteratura scientifica». Tra le conclusioni più interessanti che il team di ricerca ha effettuato sono le seguenti: 1) la preghiera e la meditazione incidono nelle aree del cervello umano che sono le più importanti per l’auto-regolazione e auto-controllo. 2) Quando la gente vede i suoi obiettivi come “sacri”, accade di mettervi più energia e impegno nel perseguimento e, quindi, probabilmente li raggiungeranno più efficacemente. 3) Uno stile di vita religioso può contribuire al self-control fornendo alle persone norme chiare di comportamento, inducendole a controllare il proprio comportamento più da vicino. 4) Il fatto che le persone religiose tendono ad avere un più elevato self-control aiuta a spiegare perché le persone religiose hanno meno probabilità di usare droghe, abusare di alcol e avere a che fare con la criminalità e la delinquenza. Tra le implicazioni più pratiche dello studio vi è il fatto che le persone religiose possono avere a loro disposizione una serie di particolari risorse psicologiche per poter rispettare i loro obiettivi nel tempo[30].

 

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