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VANTAGGI E SVANTAGGI PER CREDENTI E NON CREDENTI

Ultimo Aggiornamento: 07/02/2019 12:12
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19/11/2011 22:40
 
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  • Il 4 giugno 2000 la American Psychological Association (APA) ha pubblicato una ricerca secondo la quale la regolarità della frequenza alle funzioni religiose è legata alla più lunga vita. La meta-analisi di 42 studi che hanno esaminato 125.826 persone stabilisce che «le probabilità di sopravvivenza per le persone religiose sono state del 29 per cento superiori a quelle delle persone meno religiose», ha detto lo psicologo e l’autore Michael E. McCullough del National Institute for Healthcare Research. Essere coinvolti nella religione sembra spiegare una piccola parte del motivo per cui alcune persone vivono più a lungo rispetto ad altre, hanno detto gli autori. «Inoltre», ha continuato, «i risultati sembrano indicare che le persone con un alto livello di coinvolgimento religioso sono anche meno obese». I benefici per la salute possono anche essere in parte dovuti al sostegno sociale e di amicizia derivati ​​dalla frequenza alle funzioni religiose. Gli autori suggeriscono che le persone che sono attivamente religiose tendono a prendersi più cura di se stessi in ambiti sanitari e anche questo può in parte spiegare il loro stato longevità[9].

 

  • Sempre nel giugno 2000 un rapporto della RAND Corporation, un istituto di ricerca senza scopo di lucro, ha dimostrato che frequentare la chiesa e le attività religiose possono svolgere un ruolo importante nella risposta all’HIV e all’AIDS nell’America centrale. Mentre il ruolo dei gruppi religiosi viene spesso visto come limitato perché solitamente non supportano alcune misure di prevenzione come i profilattici -dicono i ricercatori-, in realtà sulla base del loro ruolo tradizionale essi costituiscono un’importante opportunità per migliorare una serie di servizi a sostegno. «Le organizzazioni basate sulla fede sono importanti per gli sforzi contro l’HIV in America Latina perché hanno un’ampia portata di influenza e giocano un ruolo fondamentale di sostegno e di assistenza alle persone colpite dalla malattia», ha detto Kathryn Pitkin Derose, autore principale dello studio e ricercatore presso la RAND. «Non tutte le comunità in America centrale hanno operatori sanitari, ma la maggior parte di esse sono organizzazioni religiose». I ricercatori spiegano che queste organizzazioni, che storicamente hanno svolto un ruolo chiave nel fornire servizi sanitari e sociali nei paesi in via di sviluppo, potrebbero svolgere un ruolo ancora più importante nel contribuire l’accrescere della consapevolezza sull’HIV e ridurre la diffusione dell’HIV e dell’AIDS. Lo studio è stato finanziato dal National Institute of Child Health and Human Development[10].

 

  • Nel novembre 2001 sono apparsi i risultati di uno studio sociologico effettuato dall’University of Florida Institute. «Frequentare le funzioni religiose o cambiare religione nel momento del bisogno, non aumenta nella persona la sensazione di benessere o la rende meno impaurita della morte, almeno tra le persone in età avanzata», spiega la psicologa Monika Ardelt. «La vera chiave della contentezza e della soddisfazione sta nel trovare uno scopo alla vita». Il suo studio, presentato nel 2001 alla riuonione annuale a Chicago del Gerontological Society, ha dimostrato che le persone che danno un signficato, uno scopo alla vita, non solo sono più propense a sperimentare un senso generale di benessere ma tendono anche a mostrare meno sintomi depressivi e meno paura della morte. Hanno anche meno difficoltà a parlarne. «Questo studio -spiega la ricercatrice- ha mostrato che non si può semplicemente andare in chiesa per poi aspettare di sentirsi meglio. Deve anche portare ad uno scopo nella vita. Andare semplicemente in chiesa o soltanto essere religiosamente affiliato potrebbe essere addirittura pericoloso se ciò non si traduce in una proposta di vita, in uno scopo». I partecipanti che avevano questo questo senso di uno scopo nella vita, sono stati anche coloro che hanno mostrato meno probabilità di sintomi di depressione e un maggiore senso di benessere». Spiega ancora la ricercatrice: «Se la religione porta ad uno scopo nella vita, vi aiuterà a far fronte e ridurre la paura della morte. Ma per le persone a cui basta andare in chiesa una volta a settimana, stare lì per un’ora e poi non pensarci più, allora non sarà d’aiuto». E’ un paradosso, informa ancora la Ardelt, coloro che «trovano un significato e uno scopo nella vita sono più pronti a morire. E quelle persone che hanno la sensazione che il tempo stringe, e che dovrebbero aver compiuto qualcosa e non hanno fatto, non riescono davvero a “lasciarsi andare”». I partecipanti intrinsicamente religiosi, hanno anche mostrato una forte tendenza ad avvicinarsi alla morte in modo positivo. La sociologa Ardelt ha concluso che «i risultati sembrano indicare la necessità per le persone di diventare più intrinsecamente motivate attraverso il nutrimento spirituale e il pensiero auto-riflessivo. Gli eventi attuali sono un momento opportuno per realizzare questo. Penso che un’infusione di spiritualità sia necessaria»[11].

 

  • Nel 2002 l’Human Population Laboratory, del Public Health Institute della California ha analizzato il legame fra la frequente partecipazione alle funzioni religiose di un soggetto e una minore mortalità, legame indipendente da tutte le altre cause socio-demografiche. I ricercatori hanno preso in esame i risultati di uno studio effettuato dal 1965 al 1996 su 6.545 residenti della contea di Alameda, in California. Paragonando fra loro le stesse età e la stessa condizione di salute, è emerso che i non praticanti o coloro che frequentano la chiesa meno di una volta a settimana avevano tassi significativamente più alti tassi di presenza di cancro, malattie all’apparato digerente, respiratorio e tasso di mortalità. Ancora una volta i ricercatori hanno concluso che i risultati sono coerenti con l’ipotesi che il coinvolgimento religioso sia un fattore di protezione generale. Gli autori sottolineano la necessità di ulteriori studi per determinare maggiormente se gli effetti indipendenti della religione sono mediati da stati psicologici o da altri fattori sconosciuti[12].

 

  • Nel marzo 2002 la conclusione di una ricerca apparsa sull’American Journal of Health Promotion sostiene che «L’attività religiosa e i modelli positivi tra coetanei e adulti, proteggono i giovani dall’uso del tabacco». Questo studio è il primo a esaminare la relazione tra le specifiche influenze positive e l’uso del tabacco, nella vita degli adolescenti. «9 su 10 fumatori adulti hanno iniziato ad usare il tabacco prima di raggiungere i loro 18 anni», dice l’autore principale dello studio, Leslie A. Atkins del Department of Health Promotion Sciences at the University of Oklahoma Health Sciences Center. «Pertanto, abbiamo bisogno di trovare nuovi modi per ridurre l’uso del tabacco in età adolescenziale». I ricercatori hanno intervistato i genitori e i loro figli adolescenti, di età tra i 13 e i 19 anni. Complessivamente erano 1.350 famiglie scelte a caso nei quartieri del centro città del Midwest. Trascorrere del tempo seguendo le attività religiose in chiesa e seguendo modelli positivi sembrava avere il massimo effetto protettivo contro l’uso del tabacco. I giovani che usufruivano di uno di questi due beni avevano 2,5 volte minor probabilità di fare uso di tabacco. «Questi risultati suggeriscono che gli adolescenti sono meno propensi ad avere comportamenti dannosi se nella loro vita sono presenti attività positive», osserva Atkins. Lo studio è stato sostenuto attraverso un accordo di cooperazione dal Centers for Disease Control and Prevention e l’Oklahoma Institute for Child Advocacy[13].

 

  • Nel luglio 2002 un rapporto dell’American Journal of Geriatric Psychiatry dedicato alla comprensione delle cause del suicidio tra gli anziani, ha stabilito che la forte fede religiosa e le maggiori relazioni sociali degli anziani afro-americani possono essere i due fattori chiave per spiegare il motivo dei minori suicidi rispetto ai bianchi. La ricerca è guidata dalla psicologa geriatrica Giovanna M. Cook del Department of Veterans Affairs (VA) Medical Center di Philadelphia e dell’Università della Pennsylvania. I risultati a cui è arrivata sono che gli afro-americani con forti legami religiosi e sociali sono meno propensi ad avere pensieri suicidi. Nel 1998, il tasso di suicidi di uomini bianchi over 65 anni era del 33,1 per 100.000, rispetto al 11,7 corrispondente agli uomini neri della stessa fascia di età. Per le donne la differenza era ancora maggiore. L’equipe della psicologa si è basata su interviste a 835 residenti degli alloggi pubblici a Baltimora nel corso degli anni 1990. «Abbiamo rilevato che il 90% degli intervistati ha riferito di aver ottenuto un grande sostegno e conforto dalla religione, e che questo ha protetto dai problemi legati alla salute mentale e ai pensieri di suicidio», ha riferito la dott. Cook[14].

 

  • Nel dicembre 2002, una ricerca pubblicata sul Journal of Happiness Studies, ha eaminato le esperienze di benessere associate alle vacanze natalizie. Maggiori livelli di felicità sono stati osservati quando le esperienze familiari e religiose erano particolarmente salienti. Bassi livelli di benessere si sono invece verificati quando predominava una visione consumistica della festa natalizia. In sintesi, la ricerca dimostra che gli aspetti materialistici con cui sono vissute le festività natalize possono compromettere il benessere della persona, mentre le attività familiari e spirituali possono aiutare le persone a sentirsi più soddisfatte[15].

 

  • Sempre nel dicembre 2002 è apparso uno studio dell’University of North Carolina il quale dimostra che gli alunni religiosi delle scuole superiori americane possiedono una significativamente più alta stima di sé e hanno un atteggiamento più positivo verso la vita di quanto non facciano i loro coetanei meno religiosi. La ricerca, parte del più ampio National Study of Youth and Religion, ha rilevato un’associazione statistica tra la religione e una maggiore autostima dei 17-18enni che frequentano la chiesa almeno una volta a settimana o chi professa un punto di vista spirituale molto radicato. «Questo è in contrasto con l’opinione di alcuni che ritengono la religione associata a nevrosi o disfunzione psicologica», ha detto il dr. Christian Smith, autore principale dello studio . «Questi risultati sembrano suggerire il contrario, cioè che la religione è associata ad una prospettiva costruttiva della vita». La ricerca è basata sui dati raccolti attraverso un campione rappresentativo a livello nazionale raccolto dall’Università del Michigan, il quale comprende 2.478 scuole superiori ed è tra le più complete ricerche sul legame tra la religione e gli atteggiamenti positivi negli adolescenti. «I fattori più comunemente legati a questi atteggiamenti positivi, risultano essere la presenza al servizio religioso e l’importanza dichiarata della religione», ha continuato il sociologo. I ricercatori affermano anche di non poter dire con certezza cosa causi il legame tra religione e atteggiamenti positivi, perché il loro studio non è stato progettato per rispondere a questa domanda. «Ci piace sempre dire che la correlazione non è causalità. Proprio perché le cose sono statisticamente associate non significa necessariamente che uno sia causa dell’altro. Potrebbe essere che le persone che sono più positive verso la vita sono più interessaei ad andare in chiesa. Ma potrebbe anche essere che più si va in chiesa e più si sviluppano atteggiamenti positivi verso la vita». Altre possibilità, ha detto Smith, è che almeno per alcuni adolescenti, «il coinvolgimento religioso dà loro un maggior senso del loro posto nel mondo e del loro destino nella vita e che ci possa essere un Dio che si prende cura di loro. Un’altra possibilità è che l’impegno sociale nelle istituzioni religiose, come gruppi di giovani adolescenti, fornisce con maggiore efficacia risorse che possono aiutarli ad affrontare difficoltà o incertezze». Si è anche notato che tra il 10 e il 20 per cento degli adolescenti che vive una vita religiosa, continui comunque la lotta con i sentimenti di disperazione e di senso. Questo dato, spiegano i ricercatori, dimostra che «la religione non ha il ruolo di panacea». Precedenti studi hanno mostrato che i giovani religiosi erano meno propensi a fumare, bere e usare di droghe e coloro che ne facevano uso, mostravano comunque un consumo più moderato. Inoltre sono più propensi a indossare le cinture di sicurezza, meno propensi al taccheggio, al furto, alla violazione di domicilio e al procurare incendi. Non è finita, perché intervistando i genitori, Smith rivela che «si è scoperto che gli adolescenti più religiosi hanno “marinato” meno la scuola, hanno ricevuto meno sospensioni ed espulsioni»[16].

 

  • Nel gennaio 2003 il Department of Preventive Medicine del St. Luke’s Medical Center di Chicago, ha stabilito che in soggetti sani vi è una forte riduzione del rischio di mortalità se essi partecipano regolarmente alle funzioni religiose in chiesa. Tale riduzione è di circa il 25%, dopo aver escluso ovviamente fattori socio-demografici. La religione e la spiritualità, dicono, «protegge dalle malattie cardiovascolari, sopratutto grazie al salutare stile di vita che queste persone adottano». Gli autori concludono sostenendo che la partecipazione alla vita di chiesa «protegge le persone sane dalla morte». Ulteriori studi rimangono comunque necessari[17].

 

  • Il 31 marzo 2003 i risultati ottenuti dai ricercatori dell’Albert Einstein College of Medicine, apparsi sul Psychology of Addictive Behaviors pubblicato dall’American Psychological Association (APA), rivelano che quando gli adolescenti percepiscono la religione come importante nella loro vita, allora questo abbassa i tassi di fumo di sigaretta, dell’abuso di alcool e marijuana. Hanno anche rilevato l’importanza della religione per i ragazzi che affrontano molti stress della vita. Gli psicologi Thomas Ashby Wills, Alison M. Yaeger e James M. Sandy, autori della ricerca, sono concordi nell’affermare che «la religiosità può influenzare gli atteggiamenti e i valori di una persona, i quali danno il senso e lo scopo della vita. Potrebbe anche aiutare le persone a vedere i problemi in modo diverso. Essere coinvolti in una religione può anche creare sani legami sociali». La ricera è stata finanziata dal National Institute on Drug Abuse[18].

 

  • Nel dicembre 2003 la psicologa Dott. Stephen Joseph dell’Università di Warwick ha affermato in una ricerca condotta dal Mental Health, Religion & Culture: «Le persone religiose sono più felici di quelle senza spiritualità nella propria vita». Inoltre, «coloro che celebrano l’originale significato cristiano del Natale sono, nel complesso, più felici di quelli che celebrano le feste natalizie nel pieno spirito del consumismo». I risultati sono apparsi in una accurata ricerca, titolata: “La religiosità e la sua associazione con la felicità, scopo della vita e auto-realizzazione”. Essa suggerisce anche che la ragione per cui le persone religiose sono più felici è perchè riescono a dare un senso, uno scopo più adeguato alla loro vita rispetto alle persone non religiose: «Le persone religiose sembrano avere uno scopo più grande nella vita, è per questo che sono più felici. Guardando le evidenze emerse dalla ricerca, sembra che coloro che celebrano il significato cristiano del Natale sono quelle più felici. La ricerca mostra che il troppo materialismo nella nostra vita può essere terribile per la felicità»[19].

 

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