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CASI PARTICOLARI DI PAPI CONTESTATI

Ultimo Aggiornamento: 29/08/2016 08:15
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29/05/2011 21:02
 
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Non era escluso che, se non fosse più stato necessario, Hitler avrebbe ritirato la sua delegazione e agito di testa sua con la Chiesa Cattolica. In queste drammatiche condizioni, il Vaticano e il suo segretario di Stato si trovarono a dover operare in condizioni senza via di uscita : o si firmava il Concordato, o era la fine per la Chiesa Cattolica tedesca. Così, in tutta fretta, la Santa Sede accettò la depoliticizzazione del clero, come divieto generale di ogni attività di partito (art.32) e si limitò a salvare il possibile tra le associazioni (art.31). Infatti, drammaticamente, la questione, visto che si intuiva chiaramente che in Germania, attraverso le ondate di adeguamenti e le azioni di polizia, il problema delle associazioni e della Chiesa stessa sarebbe stato risolto con la violenza, era addirittura se si dovesse trattare con il Reich. L’ultima spinta la diede esplicitamente l’arcivescovo Grober, in una lettera a Pacelli del 1 luglio, dove drammaticamente sottolineava che o sarebbe andato tutto in frantumi o si sarebbe potuto conservare semplicemente “lo status quo ante” , quindi in forma più riflessiva, il 2 luglio, pose la condizione che il governo ritrattasse la sua recentissima azione di polizia del 1 luglio e offrisse garanzie per il futuro . 

Pacelli seguì questa strada, e riuscì ad ottenere che Hitler revocasse la maggior parte dei provvedimenti del 1 luglio contro le organizzazioni cattoliche e formalmente vietò che si ripetessero. Questo fatto consentì, almeno temporaneamente, alle associazioni cattoliche di sopravvivere. 
L’art.31 del Concordato, nella redazione finale, tutelava soltanto le organizzazioni cattoliche con finalità esclusivamente religiose, di cultura, carità e beneficenza cristiane, mentre le altre ne avrebbero goduto solo a determinate condizioni stabilite dall’episcopato tedesco e dal governo del Reich. Tuttavia, per la fretta, anche se mancante l’esplicita definizione dei criteri e delle competenze per questa regolamentazione, la Santa Sede lo firmò il 20 luglio. Fu l’errore tattico più grave che la Curia avesse potuto commettere: infatti, dopo l’entrata in vigore del trattato, il Reich sfruttò la lacuna e si arrogò la competenza decisiva per decidere le associazioni ammissibili e non. Il Vaticano non accettò la cosa, ma la lotta che condusse non produsse alcun frutto: Hitler decideva come credeva. La Santa Sede aveva ancora l’arma della non ratifica del trattato, ma questa cadde perché la Conferenza Episcopale tedesca, riunita a Fulda tra il 29 e il 31 agosto, premette per una rapida approvazione, secondo la teoria del “tanto presto, tanto meglio”, in quanto viva era la paura che il Furher poteva perdere interesse al concordato, e per fermare le sempre più gravi azioni anticattoliche.
La Santa Sede manifestò alcune riserve ai desideri dell’Episcopato, e solo il 10 settembre perfezionò la ratifica, con pochissimo entusiasmo, nonostante i discorsi ufficiali

Le conseguenze : immediatamente, Hitler guadagnò prestigio, e la sua propaganda interpretò la firma tutt’altro che convinta del Cardinale Segretario di Stato come una legittimazione papale del nazionalsocialismo, e questo, anche se falso era politicamente inevitabile. L’inviato inglese in Vaticano, scrivendo al suo governo, sottolineava come «la conclusione del concordato comporta assai poco una simpatia del Vaticano verso il regime nazista» .
Nei fatti, non fu «spezzata le resistenza dei cattolici tedeschi contro un regime criminale», come sostenne Thomas Dehler al Bundestag l’11 marzo 1956 , ma anche se vi furono imbarazzanti commistioni, consentì perlomeno, a differenza delle confessioni protestanti, di poter conservare il patrimonio religioso, di rivendicare l’autonomia delle organizzazioni cattoliche, e una certa libertà di intervento della Chiesa in Germania, anche se è innegabile che i rapporti furono sempre tesissimi, difficili, e sull’orlo della rottura, per le continue violazioni nazifasciste. Tuttavia, anche per la Chiesa, a breve termine, esso costituì una vittoria, perché fu un aiuto insostenibile nella lotta per l’autoaffermazione per le associazioni cattoliche più minacciate, consentendo alla Chiesa di restare quella che era, lasciando libertà di parola e insegnamento nelle chiese .
 
A lungo termine, il concordato non servì a nulla a Hitler, anzi non riuscì ad allineare i vescovi tedeschi secondo i desideri del Furher, e questi lo sentì come un pesante vincolo. Per questo motivo ne tenne sempre minor conto, violandolo come e quando credeva e rispettandolo quando riteneva opportuno: anzi, cercò di indurre il Vaticano alla denuncia del Concordato, per avere così le mani libere per distruggere la Chiesa Cattolica e sradicare la sua istituzione, ma la prudenza della Santa Sede, che sapeva bene che il capo del Reich non poteva, per motivi interni alla Germania, e per non apparire lui il responsabile della distruzione di questa istituzione, cosa che gli avrebbe alienato i favori dei molti ufficiali cattolici del Reich, violare in una volta tutte le disposizioni contenute nel trattato, consigliò un silenzio assoluto su questo punto, e anzi consentì ad essa di poter denunciare e stigmatizzare le singole violazioni . Il Concordato, quindi, si rivelò una straordin aria arma di difesa nei confronti del regime totalitario, come aveva asserito il Cardinale Pacelli già nell’agosto del 1933 , consentì al cattolicesimo tedesco di superare in modo sostanzialmente integro il Terzo Reich, e favorì la resistenza al totalitarismo.

Il Concordato è un esempio della politica vaticana “del silenzio utile”, che purtroppo la Santa Sede dovette attuare con i regimi totalitari per salvare il salvabile, mentre le denunce pubbliche, plateali, e mondiali avrebbero provocato la distruzione della Chiesa stessa, l’impossibilità di aiutare chicchessia, e avrebbero ottenuto solo il cordoglio e la commiserazione delle potenze occidentali e degli ebrei, ma senza frutti concreti. Invece, pur se all’apparenza poco evangelico, l’atteggiamento di seguire la via politico-diplomatica si rivelò ragionevolmente utile, in quei tempi difficili in cui, nei fatti, la Chiesa non era libera, come invece lo è oggi.



c. La politica vaticana verso gli Ebrei e il razzismo. 

Possiamo così comprendere bene, con un nuovo esempio storico, la portata e l’efficacia della politica vaticana di quegli anni verso gli ebrei e la questione razzistica. 
Con il regime nazista, come già accennato, i rapporti furono difficilissimi fin dal primo momento, perché ogni concessione della Chiesa era cedimento al totalitarismo, e ogni resistenza aveva per effetto seri ostacoli verso di lei. La Santa Sede cercò di agire sempre in accordo con i vescovi tedeschi, non rinunciando ad occuparsi dei problemi fondamentali dello Stato e della Società .

A mantenere i rapporti con il Reich fu il Cardinale Segretario di Stato Pacelli. Il Razzismo fu il primo terreno di scontro diplomatico – politico. «Non esiste alcuna determinazione di concordato che possa obbligare la Chiesa a riconoscere come normative per i propri membri leggi statali che rinunciano alla prima esigenza che devono assolvere le leggi dello stato eticamente obbliganti e cioè alla corrispondenza con la legge divina» , scriveva il futuro Pio XII contestando le leggi razziali, e quindi: «Una legge umana è impensabile senza un ancoraggio nel divino. E questo ancoraggio non può basarsi su un “divino” inteso in senso arbitrario, la razza. Non sull’assolutizzazione dello stato. Un tale “dio” di sangue e di razza non sarebbe nient’altro che l’immagine riflessa autocreata della propria ristrettezza e limitatezza» .

Tutto questo “diplomatico” scambio di note, che esprime comunque un “non silenzio” della Chiesa sull’argomento, fu pubblicato dalla Santa Sede in più riprese, tra il 1934 e il 1936 come libro bianco, e se si considera che tutti questi libri bianchi furono notificati ai vescovi tedeschi, che li ripresero nelle loro omelie e indicarono loro l’opinione e la volontà del Vaticano , senza che il governo del Reich, in ragione dello “stretto” Concordato non potesse impedirlo, si può capire che più che attraverso plateali (e inutili) proteste “giornalistiche” si seguissero strade più interne ma più sicure, e sicuramente sul terreno pratico più efficaci. Senza contare che l’Osservatore Romano nel 1935 pubblicò il contenuto di due note molto chiare, riprese dai bollettini dei Vescovi tedeschi.

Un altro atto deciso contro il razzismo fu l’enciclica Mit brenneder Sorge, del 14 marzo 1937, letta e diffusa contemporaneamente a stampa in tutte le chiese cattoliche della Germania il 21 marzo del 1937. Essa nacque dal fitto rapporto tra l’episcopato tedesco, la Segreteria di Stato e il Papa. Prese le mosse dall’indirizzo tradizionale di omaggio dei Vescovi tedeschi a Pio XI, riuniti a Fulda, del 19 agosto 1936, e dai colloqui riservati di Roma avuti dai 3 cardinali tedeschi più i due vescovi più giovani, oppositori decisi del nazismo, Von Galen di Munster e Von Preysing di Berlino , nel gennaio 1937. Pur se si rimase sostanzialmente d’accordo di attenersi al concordato del Reich nella misura possibile, parve a tutti necessaria una lettera pastorale decisa. Il cardinale Faulhaber preparò in gran segreto per Pacelli un primo abbozzo, che questi, fino al 10 marzo, rivide in collaborazione con mons. Kaas e con il Papa. Uscì una lettera molto dura nella sostanza, anche se non metteva in crisi il concordato. 


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Lu 12,42 Il Signore rispose: «Qual è dunque l'amministratore fedele e saggio, che il Signore porrà A CAPO della sua servitù, per distribuire a tempo debito la razione di cibo?
 
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