CASI PARTICOLARI DI PAPI CONTESTATI

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Coordin.
00mercoledì 18 maggio 2011 12:57
IL CASO DI PAPA LIBERIO

per la prima volta un papa era davanti ad un tribunale.
..vediamo perchè:
 
abbiamo visto come il IV sec. si delineava fra lotte di libertà e di indipendenza della Chiesa, sarà proprio il Concilio di Nicea a far accorgere i Vescovi di essere oramai in balia di una tutela imperiale.
Basti pensare all'editto di Teodosio del 380.
La Chiesa, all'epoca non aveva un esercito personale, e i vescovi, grazie al cielo, erano veramente persone timorate di Dio.
Se da una parte faceva gioco che un imperatore difendesse la fede cristiana, dall'altra parte ci si cominciava a rendere conto che i valori supremi della fede in Cristo...venivano offuscati, confusi minacciati, insomma, una fede-stato o uno Stato -Fede...ma privandolo del valore spirituale....Un problema non da poco!
 
Ritroviamo il vescovo Atanasio che con tenacia combatterà per difendere l'ortodossia e la libertà della Chiesa di fronte alle mire dell'Imperatore Costanzo, che altro non era che l'impersonificazione della dominazione STATALE della Chiesa.
Quanto fosse battagliero Atanasio, ne abbiamo prova dalla discussione sorta fra papa Liberio e l'Imperatore Costanzo (figlio dell'imperatore Costantino) avvenuta a Milano nell'anno 355
(questo imperatore era favorevole alla questione ariana e voleva chiudere la bocca al vescovo Atanasio che a Nicea rappresentava il vescovo di Roma).Per ordine imperiale il papa Liberio viene condotto a Milano, ed è la prima volta nella storia che un papa viene condotto in un tribunale....Ma, grazie al cielo, nel momento più grande della sua vita il papa non si tira indietro, sa di essere nel giusto, sa di non aver tradito il Cristo e con serenità sarà avvocato di se stesso della libertà a favore non di se stesso soltanto, ma di tutta la terra poichè viene accusato non come uomo, ma come papa!
 
(Quanto segue è tratto da: "Chiesa e struttura politica nel cristianesimo primitivo, Jaca Book, Mi. 1970, pag.105 ss.")
 
L'imperatore Costanzo disse: < Sia perchè sei cristiano, sia perchè sei vescovo della nostra città, noi abbiamo ritenuto giusto convocarti e ti chiediamo di rifiutare la comunione con l'indicibile follia dell'empio Atanasio. La terra intera, infatti, ha riconosciuto che questo è giusto e per decisione di un concilio ha stabilito che egli è estraneo alla comunione della Chiesa.> 
Il vescovo di Roma Liberio, disse: .
L'imperatore Costanzo disse:< Tutta la terra ha condannato la sua empietà, ed egli, come ha fatto fin dall'inizio, si prende gioco di ciò che gli capita.>
Il vescovo di Roma Liberio, disse: < Quanti hanno firmato, non erano testimoni oculari di ciò che è accaduto, ma sono stati influenzati dalla paura di te, e dal fatto che tu potevi stimarli o disprezzarli...>
 
(Da premettere che nei sinodi di Arles, 353 e di Milano 355, molti vescovi intimiditi dalle minacce dell'imperatore, firmarono contro Atanasio per destituirlo, quanti non lo fecero furono mandati in esilio. Lo stesso toccò ad Atanasio e al vescovo Ilario Poitiers, che furono entrambi esiliati....poi, però, sappiamo come andò a finire...che Atanasio completò, ritornando, le sue giuste discussioni, vincendo contro gli ariani e Ilario, lo stesso, istituendo un nuovo sinodo....)
 
Proseguiamo nel testo scritto del processo:
L'imperatore disse: < In che senso parli di paura, di stima e disprezzo?>
e Liberio: < Quanti non amano la stima di Dio, preferendo i doni che ricevono da parte tua, condannarono senza averlo giudicato uno che non avevano visto di persona; questo non è cristiano!>
L'imperatore disse: < Eppure è stato giudicato in tua presenza durante il sinodo di Tiro, e in questo sinodo i vescovi di tutto il mondo l'hanno condannato...> (è importante sapere che quel sinodo di Tiro fu istituito da un funzionario imperiale il quale aveva deposto Atanasio senza informare il papa, dalla sua sede episcopale nel 335)...
e Liberio: < No! Tu sai bene che egli non è mai stato giudicato in sua presenza (sinodo dei vescovi); quanti allora si riunirono per condannarlo lo fecero dopo che Anastasio fu uscito dalla sala del giudizio...> (...)
e l'imperatore: < Quale parte della terra sei tu per prendere le difese di un uomo empio e rischiare di distruggere la pace del mondo e dell'intero universo?...>
e il vescovo Liberio: < La verità della fede non è in inferiorità per il fatto che io sono solo...; anche nell'A.T. infatti, troviamo tre persone, che si opposero da sole ad un decreto...> (rif. a Dan.3,8-97).
Qui intervenne l'eunuco Eusebio adirato: < Tu paragoni il nostro imperatore a Nabucodonosor!!>
e Liberio: < Niente affatto! Tu, piuttosto, condanni in un modo così arbitrario un uomo che non abbiamo giudicato. Io chiedo che prima si rediga una dichiarazione generale che confermi la fede esposta a Nicea; così una volta richiamati i nostri fratelli dall'esilio e collocatili di nuovo nelle loro sedi, se si vede che quanti ora fan sorgere disordini nelle chiese son nella linea della fede apostolica, allora tutti noi, riuniti presso la Chiesa di Alessandria, dove si trovano l'accusato, gli accusatori e i loro difensori, esamineremo ciò che li riguarda e prenderemo una decisione...>
 
...
 
Parla il vescovo Epitteto che chiede al papa:< Ma...il servizio di trasporti pubblici non soddisferà alla necessità dello spostamento dei vescovi...!>
e il papa: < La Chiesa non ha bisogno di trasporti pubblici: le singole chiese sono infatti in grado di accompagnare i loro vescovi fino al mare...>
 
 
L'imperatore accusa Atanasio ed altri vescovi per dei problemi avuti inerenti alla morte del fratello
il papa risponde: < O imperatore, non servirti dei vescovi per vendicarti di chi ti ha colpito e di chi hai in odio! Le mani degli uomini di Chiesa devono essere per servire e pure, per celebrare i sacri riti. Quindi, se ti sembra giusto, ordina di richiamare i vescovi nelle loro sedi. Se apparirà che sono concordi con colui che è oggi difensore della fede ortodossa stabilita a Nicea, allora, riuniti in un solo luogo, si preoccupino della pace nel mondo, affinchè non sia condannato al marchio del colpevole un innocente!>
 
e l'imperatore: < Una sola cosa è da ricercare. Dato che aspiri alla comunione con le chiese, voglio rimandarti a Roma. Per questo lasciati persuadere dalla necessità della pace: firma e torna a Roma!>
e Liberio: < Ho già detto addio ai miei fratelli a Roma. Le leggi della Chiesa sono più importanti della mia residenza a Roma!>
 e l'imperatore: < Dunque, hai tre giorni per riflettere; se vuoi firma e vattene a Roma, oppure decidi in quale luogo vuoi fare il tuo esilio!>
e Liberio: < Tre giorni non possono mutare la mia decisione; perciò mandami dove vuoi!>
 
Trascorsi i due giorni l'Imperatore interroga Liberio e lo manda in esilio a Berea, in Tracia. L'imperatore gli diede anche 500 monete d'oro, ma Liberio rispose all'ambasciatore: < Vattene, e rendile al tuo imperatore; anzi digli che ne avrà bisogno per darli ai suoi soldati...>
E ad Eusebio che gli portò altre monete avendo rifiutato quelle dell'imperatore, il papa disse: < Dopo aver spogliato le chiese della terra, mi fai proprio tu l'elemosina come ad un condannato? Vattene, e diventa prima un vero cristiano!> Se ne andò senza portare nulla con sè! 
 
Da premettere, tanto per consolidare che il primato del vescovo di Roma era, invece, molto sentito, che la storia di Atanasio era giunta per chiedere consiglio, al predecessore di papa Liberio, il papa Giulio (sucessore di Silvestro I- in mezzo c'è il papa Marco eletto e morto nell'anno 336, perciò non si hanno molte notizie...) il quale, insieme alla maggioranza dei vescovi in Occidente non accettava la destituzione di Atanasio nel sinodo "farsa" di Tiro...
 
Tornando al processo...Liberio andò in esilio...Tuttavia Dio vede e provvede: il 3 nov del 361 Liberio fu libero di assumere il suo ruolo perchè Costanzo morì. Per prima cosa decretò pubblicamente che annullava le decisioni prese a rimini e tutte inerenti alle teorie di Ario alle quali, i vescovi "traditori" avevano continuato a lavorare con l'imperatore. nel 362 invitò i vescovi di tornare in comunione con coloro che si erano compromessi a rimini, purchè profesassero il "credo" stabilito a Nicea, nel 366, fu perdono pieno! Perciò Liberio fu un papa responsabile e un vescovo per la pace e per l'unità.
Soltanto nel VI sec.riaccendendosi qualche lapillo ariano, fu messa in giro la voce del suo tradimento e dell'onta che portò alla Chiesa per aver subito un processo...Ma la storia e gli atti conservati, hanno col tempo riportato onore e allla Chiesa e alla serietà della storia stessa
.
 
Coordin.
00mercoledì 18 maggio 2011 12:58
Clemente Romano, vescovo di Roma (circa anno 100 d.C)

Spesso si contesta il fatto che i primi vescovi di Roma non fossero affatto investiti di alcuna autorità su altre chiese, e che quindi tali vescovi succedutisi nella sede romana, non fossero nemmeno consapevoli di avere un ruolo di guida su altre comunità cristiane.


Ma si possiede un importantissimo documento: la lettera di Papa Clemente I ai Corinti, scritta sul finire del primo secolo, pervenutaci sia attraverso il Codice Biblico Alessandrino (V sec.), sia attraverso il Codice Greco 54 (XI sec.), custodito a Gerusalemme.

Ecco i fatti specifici in esso narrati e che possono dissipare i dubbi addotti sul ruolo dei vescovi di Roma.

 Nella comunità di Corinto alcuni fedeli avevano sollevato una sedizione contro i capi della Chiesa locale e l'eco di tali disordini, sfociati nella ingiusta rimozione di alcuni presbiteri, era arrivata sino alla Chiesa di Roma, che stava subendo la persecuzione di Domiziano. La lettera di Clemente I si riferisce proprio a questa persecuzione, da poco terminata quando il Papa mette mano allo scritto, per giustificare il fatto di "aver troppo tardato a dirimere alcune questioni che sono in discussione tra voi". Come potrebbe dirimere alcunché - ci domandiamo chi non ha la necessaria autorità? E perché mai dovrebbe farlo il vescovo di Roma, se ha già i suoi bravi problemi dovuti alle continue persecuzioni? La Chiesa di Corinto, oltretutto, si trovava molto lontana da Roma, ma evidentemente il Papa avverte il suo intervento come un dovere. Dovere che, a nostro avviso, nasce dalla consapevolezza di sedere sulla cattedra di Pietro e di possedere, per ciò stesso, una indiscussa autorità sulla Chiesa universale.

Sta di fatto che Clemente, vescovo di Roma, sicuro di essere ascoltato, sente il diritto - dovere di intervenire e  richiama all'ordine i ribelli ammonendoli, ricordando loro la responsabilità che hanno di fronte a Cristo in questi termini: "Ma se qualcuno non obbedisce a ciò che per nostro tramite Egli [Cristo] dice, sappiamo che si vedrà implicato in una colpa e in un pericolo non indifferente. Noi però saremo innocenti di questo peccato".

Il richiamo all'obbedienza da parte del Papa è significativo al pari delle minacce spirituali riservate a chi disobbedisce. Siamo di fronte, indubbiamente, ad un gesto di correzione fraterna da parte di chi deve confermare i suoi fratelli nella fede, ma anche alla consapevolezza della propria responsabilità sulla Chiesa intera.
E' significativo il fatto che Corinto si trovava molto più vicino ad altre note Chiese, ma nessuna di esse è intervenuta per mettere fine alla diatriba. Mentre è intervenuto proprio solo Clemente da Roma, il quale tra l'altro si scusa per essere intervenuto con qualche ritardo a causa delle persecuzioni in corso a Roma in quel periodo.
Da Eusebio di Cesarea (Historia Ecclesiastica, IV, 23, 11) sappiamo che tale avvertimento pontificio venne accolto, ascoltato e messo in pratica, con ciò confermando l'autorità normativa e disciplinare di chi aveva pronunciato tale monito.

Che importanza ha per noi questo documento? Enorme.
     Se da un lato ci dimostra che sin dalle origini e persino in comunità fondate direttamente dagli apostoli (Corinto) esistevano dissidenti, d'altro lato questa epistola riveste il valore di prova che alla Chiesa di Roma e al suo Vescovo veniva riconosciuto il Primato sia giuridico che di governo rispetto alle altre chiese.” (cfr, Il Timone di Settembre ’99, Gianfranco Nicotra)


Coordin.
00mercoledì 18 maggio 2011 13:03
IL CASO DI PAPA ONORIO

Nel 634 Sergio I, patriarca di Costantinopoli  NON lasciava alternative: si chiedeva di proibire (con l'aiutorità che aveva su tutta la Chiesa) che si parlasse di una o due energie del Cristo, ma di indurre ad una sola concezione di un unica formula, cioè una sola volontà e operazione....e questo perchè si favorisse l'unione dei "MONOFISITI" dubbiosi e più reticenti. Sofronio vescovo di Gerusalemme  si oppose....accusando questa tattica di "monofismo travestito"....... (il MONOFISISMO era una eresia che negava l'esistenza del Cristo nelle due nature: Umana e Divina.....e venne formulata dal monaco Eutiche)
 
Lo sbaglio di Onorio fu quello di non consultarsi con altri e rispose immediatamente alla lettera appoggiando il Patriarca di Costantinopoli per paura di entrare in disaccordo con lui. L'imperatore Eraclio chiamato dal Patriarca di Costantinopoli, si ritenne soddisfatto, ma quando i vescovi lo vennero sapere, cominciarono a riunirsi per vedere come fare per riparare all'errore. Nel 638 l'Imperatore pubblicò, a nome della Chiesa, il descreto che Onorio non fece in tempo a leggere perchè morì.
Al suo Successore Severino, dunque, l'Imperatore inviò il decreto con l'ordine di firmarlo. SEVERINO SI RIFIUTO'.Nel frattempo a Roma era giunta la delegazione di  Gerusalemme che si oppeneva al decreto...ma ciò non valse ad un irrigidimento dell'Imperatore che fece assediare Roma e il palazzo del Vaticano in Laterano residenza del Papa.
NON ci sono giunte notizie come  Severino abbia affrontato il problema, ma morì prima ancora di pronunciarsi.
 
Giunse al soglio di Pietro Giovanni IV prese tempo con molta astuzia sul decreto dell'Imperatore che ancora aspettava una firma al decreto fece giungere le delgazioni delle varie Chiese sparse e nel 641 a sorpresa indisse un sinodo nel quale CONDANNO' IL MONOTELISMO in modo definitivo.
L'Imperatore Eraclio che confessà di aver agito per evitare una divisione con Costantinopoli...in punto di morte dichiarò di avere in cuor suo sempre negato il Monotelismo, ma attribuì ad Onorio e a Sergio I la responsabilità di quel decreto che però, e questo è importante,  i due papi non firmarono mai.
Quando il nuovo Patriarca di Costantinopoli Pirro I tornò alla carica con il decreto, appoggiandosi sul documento iniziale di Onorio. Papa Giovanni IV scrisse all'Imperatore Costantino III,che ciò era una assurdità e che tutta la Chiesa aveva decretato una eresia il Monofismo tentando di spiegare che Onorio comunque non aveva avuto il tempo di spiegare le sue ragioni e che da quel che essi avevano compreso dai documenti in loro possesso, egli alludeva ad una libertà umana del Cristo libera dal condizionamento del peccato(cfr Rm.7,14-23) e che quindi per la Chiesa intera la questione era definitivamente chiusa perchè, sosteneva papa Giovanni IV, che i vescovi dovevano obbedire allo Spirito di Dio e non allo spirito del mondo, anche se questo avesse significato una divisione.

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da http://www.corrispondenzaromana.it/onorio-i-il-caso-controverso-di-un-papa-eretico/

Onorio I: il caso controverso di un Papa eretico

Onorio-I

(Roberto de Mattei) Il caso di papa Onorio è uno dei più controversi della storia della Chiesa. Come giustamente osserva lo storico della Chiesa Emile Amann, nella ampia voce che dedica allaQuestion d’Onoriusnel Dictionnaire de Théologie Catholique (vol. VII, coll. 96-132), il problema deve essere trattato in maniera spassionata e con la serena imparzialità che la storia deve agli atti del passato (col. 96).

Al centro del pontificato di papa Onorio, che regnò dal 625 al 638, vi fu la questione del monotelismo, l’ultima delle grandi eresie cristologiche. Per compiacere l’imperatore bizantino Eraclio, desideroso di garantire la pace religiosa interna del suo regno, il patriarca di Costantinopoli Sergio cercò di trovare un compromesso tra l’ortodossia cattolica, secondo cui in Gesù Cristo vi sono due nature in una sola persona, e l’eresia monofisita, che attribuiva a Cristo una sola persona e una sola natura. Il risultato del compromesso fu una nuova eresia, il monotelismo, secondo cui la duplice natura del Cristo era mossa nella sua azione da una sola operazione e da una sola volontà. Si trattava di un semi-monofisismo, ma la verità o è integra o non è, e un’eresia moderata, rimane sempre un’eresia. Il patriarca di Gerusalemme Sofronio fu tra coloro che intervennero con maggior forza per denunciare la nuova dottrina, che vanificava l’umanità di Cristo e conduceva al monofisismo, condannato dal Concilio di Calcedonia (451).

Sergio scrisse a papa Onorio per chiedere che «in futuro a nessuno sia permesso di affermare due operazioni in Cristo nostro Dio» e ottenere il suo appoggio contro Sofronio. Onorio aderì malauguratamente alla richiesta. In una lettera a Sergio affermò che «la volontà del Signore nostro Gesù Cristo era soltanto una (unam voluntatem fatemur), per il fatto che la nostra natura umana è stata assunta dalla divinità» e invitò Sofronio al silenzio. La corrispondenza tra Sergio e Onorio è conservata negli atti del VI Concilio ecumenico (Mansi, Sacrorum conciliorum nova et amplissima Collectio, vol. XI, coll. 529-554) ed è stata ripubblicata in lingua latina, greca e francese da Arthur Loth (La cause d’Honorius. Documents originaux avec traduction, notes et conclusion, Victor Palmé, Paris 1870 e, in lingua greca e tedesca, da Georg Kreuzer, Die Honoriusfrage im Mittelalter und in der Neuzeit, Anton Hiersemann, Stuttgart 1975). 

Forte dell’appoggio del Papa, Eraclio pubblicò nel 638 un formulario dottrinale chiamato Echtesis (“Esposizione”) in cui imponeva la nuova teoria dell’unica volontà divina come religione ufficiale. Il monotelismo, durante quarant’anni, trionfò nell’Impero bizantino. In quest’epoca il più vigoroso difensore della fede fu il monaco Massimo, detto il Confessore, che partecipò ad un Sinodo, convocato in Laterano (649) da papa Martino I (649-655) per condannare il monotelismo. Sia il Papa che Massimo furono costretti all’esilio. A Massimo, per essersi rifiutato di sottoscrivere alle dottrine monotelite, furono tagliate la lingua e la mano destra. Sofronio, Massimo e Martino sono oggi venerati dalla Chiesa come santi per la loro indomita resistenza all’eresia monotelita.

La fede cattolica fu finalmente restaurata dal III Concilio di Costantinopoli, VI Concilio ecumenico della Chiesa, che si riunì il 7 novembre 680 alla presenza dell’Imperatore Costantino IV, e dei rappresentanti del nuovo Papa, Agatone (678-681). Il Concilio condannò il monotelismo e lanciò l’anatema contro tutti coloro che avevano promosso o favorito l’eresia, comprendendo il papa Onorio nella condanna.

Nella XIII sessione, tenutasi il 28 marzo 681, i Padri conciliari dopo aver proclamato di voler scomunicare Sergio, Ciro di Alessandria, Pirro, Paolo e Pietro, tutti patriarchi di Costantinopoli, e il vescovo Teodoro di Faran, affermano:

«Con essi riteniamo di bandire dalla santa Chiesa di Dio e di anatemizzare anche Onorio, già Papa dell’antica Roma, perché abbiamo trovato nella sua lettera a Sergio che egli ha seguito in tutto la sua opinione e che ha ratificato i suoi empi insegnamenti» (Mansi, XI, col. 556). 

Il 9 agosto 681, alla fine della XVI sessione, vennero rinnovati gli anatemi contro tutti gli eretici e i fautori dell’eresia, compreso Onorio: «Sergio haeretico anathemaCyro haeretico anathema, Honorio haeretico anathema, Pyrro, haeretico anathema» (Mansi, XI, col. 622). Nel decreto dogmatico della XVIII sessione, il 16 settembre, si dice che

«poiché non restò inattivo colui che fin dall’inizio fu l’inventore della malizia e che, servendosi del serpente, introdusse la velenosa morte nella natura umana, così anche ora, trovati gli strumenti adatti alla propria volontà: alludiamo a Teodoro, che fu vescovo di Faran; a Sergio, Pirro, Paolo, Pietro, che furono presuli di questa imperiale città; ed anche a Onorio, che fu papa dell’antica Roma; (…); trovati, dunque, gli strumenti adatti, non cessò, attraverso questi, di suscitare nel corpo della chiesa gli scandali dell’errore; e con espressioni mai udite disseminò in mezzo al popolo fedele la eresia di una sola volontà e di una sola operazione in due nature di una (persona) della santa Trinità, del Cristo, nostro vero Dio, in armonia con la folle dottrina falsa degli empi Apollinare, Severo e Temistio» (Mansi, XI, coll. 636-637).

Le copie autentiche degli atti del Concilio, sottoscritte da 174 Padri e dall’Imperatore, furono inviate alle cinque sedi patriarcali, con particolare riguardo per quella di Roma. Ma poiché sant’Agatone morì il 10 gennaio 681, gli atti del Concilio, dopo più di 19 mesi di sede vacante, furono ratificati dal suo successore San Leone II (682-683). Nella lettera inviata il 7 maggio 683 all’imperatore Costantino IV, il Papa scriveva:

«anatemizziamo gli inventori del nuovo errore, vale a dire Teodoro di Faran, Ciro d’Alessandria, Sergio, Pirro, Paolo e Pietro della Chiesa di Costantinopoli, e anche Onorio, che non si sforzò di mantenere pura questa Chiesa apostolica nella dottrina della tradizione apostolica, ma ha permesso con un esecrabile tradimento, che questa Chiesa intemerata fosse macchiata» (Mansi, XI, col. 733).

Nello stesso anno papa Leone ordinò che gli atti tradotti in latino, venissero sottoscritti da tutti i vescovi d’Occidente e le firme fossero conservate presso la tomba di san Pietro. Come sottolinea l’eminente storico gesuita Hartmann Grisar, «si voleva così l’universale accettazione del sesto concilio nell’Occidente, e questa, per quanto si conosce, ebbe luogo senza difficoltà» (Analecta romana, Desclée, Roma 1899, pp. 406-407).

La condanna di Onorio fu confermata dai successori di Leone II, come attesta ilLiber diurnus romanorum pontificum e dal settimo (787) e ottavo (869-870) Concilio ecumenico della Chiesa (C. J. Hefele, Histoire des Conciles, Letouzey et Ané, Paris 1909, vol. III, pp. 520-521).

L’abbé Amann giudica storicamente indifendibile la posizione di chi, come il cardinale Baronio, ritiene che gli atti del VI Concilio sarebbero stati alterati. I legati romani, erano presenti al concilio: sarebbe difficile immaginare che essi possano essere stati raggirati o abbiano mal riferito su un punto così importante e delicato quale la condanna di eresia di un Pontefice romano. Riferendosi poi a quei teologi, come san Roberto Bellarmino, che, per salvare la memoria di Onorio, hanno negato la presenza di errori espliciti nella sue lettere, Amann sottolinea che essi sollevano un problema più grande di quello che pretendono risolvere, cioè quello dell’infallibilità degli atti di un Concilio presieduto da un Papa. Se infatti Onorio non cadde in errore, sbagliarono i Papi e il Concilio che lo condannarono. Gli atti del VI Concilio ecumenico, approvati dal Papa e   ricevuti dalla Chiesa universale, hanno una portata definitoria molto più forte delle lettere di Onorio a Sergio. Per salvare l’infallibilità è meglio ammettere la possibilità storica di un Papa eretico, piuttosto che infrangersi contro le definizioni dogmatiche e gli anatemi di un Concilio ratificato dal Romano Pontefice. E’ dottrina comune che la condanna degli scritti di un autore è infallibile, quando l’errore viene anatemizzato con la nota dell’eresia, mentre non è sempre e necessariamente infallibile il Magistero ordinario della Chiesa.

Durante il Concilio Vaticano I, la Deputazione della Fede affrontò il problema, esponendo una serie di regole di carattere generale, che si applicano non solo al caso di Onorio, ma a tutti i problemi, passati o futuri che possano presentarsi. Non basta che il Papa si pronunci in una questione di fede o di costumi riguardante la Chiesa universale, è necessario che il decreto del Romano Pontefice sia concepito in maniera tale da apparire un giudizio solenne e definitivo, con l’intenzione di obbligare tutti i fedeli a credere (Mansi, LII, coll. 1204-1232). Esistono dunque, atti del Magistero ordinario pontificio non infallibili, perché privi del necessario carattere definitorio: quod ad formam seu modum attinet.

Le lettere di Papa Onorio sono prive di queste caratteristiche. Esse sono indubbiamente atti di Magistero, ma nel Magistero ordinario non infallibile vi possono essere errori e perfino, in casi eccezionali, formulazioni eretiche. Il Papa può cadere in eresia, però non potrà mai pronunciare un’eresia ex cathedra. Nel caso di Onorio, come osservava il patrologo benedettino Dom John Chapman OSB, non si può affermare che egli intendesse formulare una sentenza ex cathedra, definitiva e obbligante:

«Onorio era fallibile, era nell’errore, era un eretico, proprio perché non proclamò con autorità, come avrebbe dovuto fare, la tradizione petrina della Chiesa romana»

 (The Condemnation of Pope Honorius (1907), Reprint Forgotten Books, London 2013, p. 110). Le sue lettere a Sergio, anche se trattano di fede, non promulgano nessun anatema e non corrispondono alle condizioni richieste dal dogma dell’infallibilità. Promulgato dal Concilio Vaticano I, il principio dell’infallibilità è salvo, al contrario di quanto pensavano protestanti e gallicani. E se Onorio fu anatemizzato, spiegò papa Adriano II, nel Sinodo romano dell’869,

«la ragione è che Onorio era stato accusato di eresia, la sola causa per la quale è lecito agli inferiori di resistere ai loro superiori e di respingere i loro perversi sentimenti» (Mansi, XVI, col. 126).

Proprio basandosi su queste parole, dopo aver esaminato il caso di papa Onorio, il grande teologo domenicano Melchior Cano, riassume la dottrina più sicura in questi termini: «Non si deve negare che il Sommo pontefice possa essere eretico, cosa di cui si possono offrire uno o due esempi. Però che (un Papa) nel giudicare sulla fede abbia definito qualcosa contro la fede non lo si può dimostrare neanche in uno» (De Locis Theologicis, l. VI, tr. spagnola, BAC, Madrid 2006, p. 409). (Roberto de Mattei)


Credente
00domenica 22 maggio 2011 21:24

Di tanto in tanto torna alla ribalda la storia leggendaria della cosiddetta "papessa Giovanna" che ad alcuni sembra addirittura un fatto storico acclarato.

Ma è vero, come racconta anche un film, che nella Chiesa c’è stata una donna diventata papa e che la cosa sarebbe stata nascosta per lo scandalo che ne deriverebbe?

 

Una scena del film "La Papessa", del regista Sönke Wortmann.
Una scena del film "La Papessa", del regista Sönke Wortmann.

Lo studioso può rispondere con chiarezza e senza tanti accorgimenti verbali: la papessa Giovanna non è mai esistita. Sulla cattedra di Pietro non è mai salita una donna, come lascerebbe intendere il film ispirato a questa che è solo una leggenda.

    Lo storico, tuttavia, può aiutare a comprendere come è nata questa favola dai tratti popolari e carnevaleschi. Verso la metà del Duecento si svilupparono a Metz, in Francia, delle accese dispute tra i sostenitori del potere imperiale e i fautori della supremazia del papa, una versione transalpina dei nostri guelfi e ghibellini. Tra questi ultimi, peraltro, non mancavano i religiosi e fu proprio il domenicano Jean de Mailly a redigere la prima versione scritta di una storiella che tra la gente circolava già da alcuni decenni.

    Di origine inglese, Giovanna era una giovane vissuta circa 400 anni prima in epoca carolingia. Innamorata di una coetaneo dedito agli studi, si travestì da uomo per seguire il suo amore. Entrata in un mondo esclusivamente maschile, Giovanna si trovò a suo agio e divenne una studiosa di successo. Sempre in compagnia del suo amante fu ad Atene e di lì i due si trasferirono a Roma dove Giovanna venne accolta nella curia romana.

    Ancora qualche anno e la donna venne eletta papa con il nome di Giovanni l’inglese. Il suo pontificato sarebbe durato solo due anni, dall’853 all’855. Anche da papa, difatti, la donna non riusciva a rinunciare al suo amore. Restò incinta e durante una processione da san Pietro al Laterano, fece deviare il corteo verso san Clemente per poter partorire. I fedeli, tuttavia, si accorsero della manovra e inferociti uccisero la donna.

    La leggenda, nella quale confluiscono elementi tipici di una società rigidamente maschilista, venne fatta circolare con evidente intento polemico verso il papato. Un altro domenicano, Martino di Polonia, la riprese verso il 1280 e le diede una forma più articolata. Nel secolo successivo furono, invece, i Francescani spirituali a diffondere la storia della papessa Giovanna in segno di protesta verso Giovanni XXII (1316-1334), il papa che li condannò ripetutamente.

    La vicenda, tuttavia, sembrava talmente incredibile che a lungo Roma non si preoccupò di confutarla. Nei secoli successivi, però, la storia di Giovanna venne ripresa da Boccaccio, poi se ne impadronirono i luterani che la raccontavano come la prova più evidente della corruzione del papato, immagine di Roma prostituta al pari dell’antica Babilonia.

    Solo a questo punto gli studiosi cattolici si accorsero della forza eversiva del racconto e si preoccuparono di contestarlo. Paradossalmente furono degli studiosi calvinisti a dimostrare in modo inequivocabile, già verso la fine del Seicento, la mancanza di fondamento della vicenda di Giovanna. Espulsa dalla storia, la papessa ha continuato a vivere nelle polemiche anticattoliche e nella letteratura anticlericale dei secoli successivi. Ora approda al cinema sulla scia di un pregiudizio anticattolico negli ultimi tempi facile e redditizio.

 

Credente
00domenica 22 maggio 2011 21:25

Ebrei scoprono che gli alleati chiesero a Pio XII di tacere sui nazisti

La leggenda sui presunti “silenzi” di Pio XII verso l’antisemitismo nazista resiste ancora oggi, nonostante si sia ampiamente dimostrato il contrario, come si può vedere accennato anche nel nostro “archivio di notizie“.

La cosa che sorprende maggiormente è che i più grandi difensori di Pio XII siano gli ebrei stessi. Un esempio è la Fondazione Pave the Way (www.ptwf.org) , fondata dall’ebreo statunitense Gary Krupp, la quale ha raccolto tantissimo materiale inedito che ha contribuito a portare luce sulla verità dell’operato di Papa Eugenio Pacelli. Al ritrovamento degli ultimi documenti, presentati sinteticamente dallagenzia Zenit, ha partecipato anche Ronald Rychlak, docente di Diritto presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università del Mississippi e autore di alcuni libri su Pio XII. Visitando il sito della Fondazione si può avere accesso a circa 46.000 pagine di articoli informativi, documenti originali, materiale di ricerca e testimonianze oculari che confermano l’opera di aiuto di Pio XII agli ebrei.

 

1) Un primo documento è la corrispondenza tra sir D’Arcy Osborne, rappresentante britannico presso la Santa Sede, e Myron Taylor, rappresentante del Presidente statunitense Roosevelt presso il Vaticano. Nel testo, firmato dall’assistente di Taylor il 7 novembre 1944 alle 12.45, si spiega che D’Arcy Osborne «chiamò e disse che aveva paura che il Santo Padre lanciasse un appello via radio a favore degli ebrei d’Ungheria e che nel suo appello criticasse ciò che i russi stavano facendo nei territori occupati». Aggiunge il diplomatico statunitense: «Sir D’Arcy disse che bisognava fare qualcosa per imporsi al Papa e far sì che non si esprimesse, perché ciò avrebbe avuto ripercussioni politiche molto gravi».

2) L’ebreo Krupp ha poi trovato un altro documento: si tratta di una lettera di D’Arcy Osborne del 20 aprile 1944, inviata all’assistente di Myron Taylor, dove si chiede di distruggere i documenti inviati per aiutare organizzazioni statunitensi ebraiche, perché ciò avrebbe potuto mettere in pericolo la vita di quanti li avevano consegnati, e in concreto menziona il pericolo che corre un sacerdote di nome “Benedetto”. Krupp osserva che «questo gesto fu compiuto comunemente durante la guerra, e ci sono ancora dei critici che sembrano non comprendere che è il motivo per il quale tanti ordini scritti vennero distrutti».

3) Altri documenti sono stati trovati negli archivi dell’agenzia internazionale JTA (Jewish Telegraph Agency). Un dispaccio d’agenzia del 28 giugno 1943 informava delle denunce di “Radio Vaticana” relative al trattamento che stavano ricevendo gli ebrei in Francia. Nel numero pubblicato il 19 maggio 1940 dalla rivista “Jewish Chronicle” di B’nai B’rith (un’associazione ebraica di azione sociale), Pio XII appare in copertina e l’articolo rivela come il Papa stesse contrattando professori ebrei già espulsi dalle istituzioni italiane a causa delle leggi razziali di Mussolini. Il 15 gennaio 1943, la JTA informava che le autorità naziste avevano proposto di lasciare in pace la Chiesa cattolica se fosse rimasta in silenzio di fronte al trattamento riservato agli ebrei. L’arcivescovo di Lione, Pierre-Marie Gerlier, rispose così: «Lei non sa che il Santo Padre (Papa Pio XII) ha condannato le leggi antisemite e tutte le misure antiebraiche».

4) Un ennesimo documento è ritrovato nel numero del 5/2/43 della rivista ebraica “Advocate”, in cui un articolo titola: “Cardinale ungherese attacca le teorie razziali”, in riferimento al duro discorso pronunciato dal Cardinale Jusztinián Györg Serédi, Arcivescovo di Esztergom-Budapest. Il pronunciamento ricevette eco su Radio Vaticana, e condannava con forza le teorie razziali naziste e chiedeva che l’Ungheria proteggesse «tutti coloro che sono minacciati a causa delle loro convinzioni o della loro razza». Sulla stessa pagina si può leggere un breve articolo in cui si spiegava come l’ateo Mussolini stesse rendendo le leggi razziali meno dure per poter riprendere le relazioni con il Vaticano.

5) L’ultimo documento è stato trovato sul “Jewish Chronicle” di Londra del 9 settembre 1942, dove si informa che Joseph Goebbels, ministro della Propaganda della Germania nazista, aveva stampato dieci milioni di opuscoli in varie lingue, che vennero distribuiti in Europa e in America Latina, condannando Pio XII per la sua posizione a favore degli ebrei.

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00domenica 29 maggio 2011 20:59
.        Verso la verità storica                                              
.        Le fonti cattoliche dell’Archivio Segreto Vaticano
a.  I principi della politica estera vaticana
b.  Il Concordato di  Pacelli  con il Reich
c.  La politica vaticana verso il razzismo
         L'enciclica Mit brenneder Sorge
d. Il Silenzio di Pio XII                                
.        Conclusione     
 
tratto da  
                              Le fonti cattoliche dell’Archivio Segreto Vaticano.

a. I principi della politica estera vaticana.

...., è grazie all’opera di P.Blet, R.Graham, A. Martini e B.Schneider che tutti i documenti pontifici inerenti l’Olocausto e la seconda guerra mondiale sono stati portati alla luce, consentendo di avere un panorama storico-critico fondato.
Innanzitutto, bisogna considerare l’atteggiamento verso gli stati totalitari della diplomazia vaticana : il totalitarismo non significava una rinuncia ad una politica estera vaticana presso tale stato, ma finché da questo non venivano contestate o abolite norme cattoliche, la questione se cominciare, continuare o interrompere l’attività di politica estera con quello stato o regime era una questione di opportunità, in quanto il fine principale era rappresentato dalla possibilità di svolgere un’azione pastorale di cura d’anime. Inoltre, non va sottovaluto relativamente all’epoca, che la mancanza di mezzi adeguatamente efficaci e la frequente difficoltà di calcolare le conseguenze, principali e collaterali, per l’intera chiesa mondiale rappresentavano il caratteristico dilemma della politica estera vaticana nei confronti di questi stati, ostili da un punto di vista della normatività e della prassi . D’altronde, il poter mantenere relazioni diplomatiche, significava per il Vatic ano una certa possibilità di intervenire e continuare a mantenere contatto con le Chiese locali. 

Viceversa, non essendoci relazioni diplomatiche con l’Unione Sovietica, lì la Chiesa non potè far nulla, non avere notizia di nulla, salvare nessuno.
La massima della politica estera vaticana del periodo che va dal 1922 al 1945 può essere condensata nella storica frase di Pio XI del 24 maggio 1929: “Quando si trattasse di salvare qualche anima, di impedire un maggior danno delle anime, ci sentiremmo il coraggio di trattare con il diavolo in persona”. Una frase molto forte, che fa emergere l’atteggiamento complessivo della Chiesa, soprattutto nei confronti del problema ebraico, visto come problema eminentemente umanitario.

b. Il Concordato con il Reich: un esempio della politica difensiva della Chiesa minacciata.

Il primo problema concreto da affrontare, e che Kung e Rossi sottolineano, è il concordato del Reich, tanto avversato. La Santa Sede, secondo le conferme venute dagli studi storici del 1969 e del 1972, e confermanti le notizie fornite da Rober Leiber nel 1963, non aveva avuto alcun ruolo nell’ascesa al potere di Hitler nella primavera del 1933. In merito alla nomina di Hitler a cancelliere del Reich, avvenuta il 30 gennaio 1933, l’ordinanza di emergenza del 28 febbraio e le elezioni al Reicstag del 5 marzo, non vi sono compromissioni né dell’episcopato tedesco, né del cardinale Pacelli, già nunzio a Berlino dopo la guerra, né della Santa Sede . Per quello che riguarda il sì del Partito del Centro alla legge sui pieni poteri e al comunicato, di poco successivo della conferenza episcopale di Fulda, in cui molti studiosi, secondo l’interpretazione comunemente data, avevano visto il contemporaneo cedimento dei centristi e dei vescovi al nazionalsocialismo perché con lo sguardo a l Concordato del Reich che si andava delineando, per cui la dittatura veniva barattata con concessioni politico-culturali, non vi è affatto conferma dalle fonti : il sì del centro del 23 marzo non era vincolato al concordato del Reich, mentre la presunta ritrattazione degli annosi divieti da parte della conferenza episcopale del 28 marzo nei confronti del nazionalsocialismo era al condizionale : non fu fatta alcuna pressione da parte della Nunziatura di Berlino, né tantomeno da parte del Vaticano.

  L’errore cardinale fu commesso da mons. Kaas, che giudicò molto ottimisticamente la dichiarazione fatta da Hitler il 23 marzo, favorevole al cristianesimo e alla chiesa. Il susseguente sì del centro ai pieni poteri costrinse la conferenza episcopale a revocare “sub condizione” i precedenti divieti dei vescovi verso il nazionalsocialismo. Così, questi eventi, posero il Vaticano in posizione obbligata quando il vicecancelliere cattolico Franz Von Papen si presentò il 10 aprile a Pacelli, cardinale segretario di stato, con l’offerta di chiudere un concordato . Nei fatti, le offerte, fin da principio, contenevano molte proposte allettanti, in maniera economica e di istruzione. 
Negli ambienti vaticani c’era la convinzione che il potere di Hitler, totalitario, sarebbe durato a lungo, con possibili effetti disastrosi per la Chiesa tedesca, e per tale motivo non si volle rifiutare questa offerta di trattativa. Pacelli era pessimista, e si preparava ad una lunga durata del Terzo Reich, ma non si illudeva più di tanto . Solo Pio XI, per un breve periodo, pensò di poter trovare in Hitler un baluardo verso il comunismo , ma dopo il ricevimento del vescovo di Osnabruck, oscillava nel giudizio sulla situazione interna della Germania tra il moderato ottimismo e il pessimismo più radicale, anche se sembrava inclinare più al pessimismo.
 
Verso la fine di agosto, in missive riservate, il Papa censurò la persecuzione degli ebrei in Germania con parole molto aspre, come un’offesa «non solo alla morale, ma anche alla cultura ». Per cui la dimensione che si prospettava dei pericoli in Germania per la Chiesa spinse il Vaticano ad essere disponibile alla trattativa, anche perché, con l’ordinanza di emergenza del 28 febbraio e la legge sui pieni poteri, Hitler aveva creato le basi per lo stato nazionalsocialista. In qualunque momento il governo avrebbe potuto derogare dalla costituzione, e la chiesa era indifesa anche dal punto di vista del diritto. Essa, quindi, era necessita al Concordato, all’accordo con il “demonio”, che sostanzialmente avrebbe rispetto questo accordo in quanto tale. Per cui, agli occhi della Santa Sede, il concordato con il nazifascismo era un’arma difensiva, a differenza dei patti lateranensi. Chiaramente, in Italia la Santa Sede era più ascoltata, poteva intervenire maggiormente, e lo stato f ascista costretto ad accontentare il Papa, anche a malavoglia: cosa non possibile in Germania, dove era necessario garantirsi “il minimo” per la sussistenza.

La genesi fu tormentatissima, con la collaborazione di Pacelli e Kaas, nel frattempo trasferitosi a Roma, dopo essersi dovuto dimettere il 6 maggio da presidente del Partito del Centro, dopo una prima fase di trattativa da parte di von Papen. Partecipò alla fase di emendamento anche l’episcopato tedesco . 
L’ultima discussione avvenne in Vaticano, alla presenza di von Papen, dell’arcivescovo di Friburgo Grober, e di Pacelli, tra il 30 giugno e il 2 luglio, quando il testo del Concordato preparato non fu approvato da Hitler, che voleva prendere tempo. Così fu inviato a Roma il ministero degli interni del Reich, e il dirigente Buttmann. Nel frattempo, alla fine di giugno, il quadro politico tedesco era decisamente peggiorato : i sindacati erano stati sciolti, sia quelli socialisti che cristiani, il Partito Socialista fu soppresso il 22 giugno, mentre il 25 giugno furono arrestati 2000 rappresentanti della BVP, tra cui 200 sacerdoti, per accellerarne lo scioglimento, che avvenne il 4 luglio, insieme alla DVP, liberale, mentre la DNVP si scioglieva il 27 giugno e il partito di Stato (DDP) il 28 giugno. Il partito del Centro, ormai, era alla fine, e Bruning il 29 giugno ne aveva dovuto preannunziare lo scioglimento: cessava così in Germania, sotto la spinta del governo hitleriano , anche la parvenza di un regime parlamentare. Forte di questo fatto, Hitler spinse per un concordato a lui più favorevole, ed esautorò il Von Papen che ormai non gli serviva più. 


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00domenica 29 maggio 2011 21:02
Non era escluso che, se non fosse più stato necessario, Hitler avrebbe ritirato la sua delegazione e agito di testa sua con la Chiesa Cattolica. In queste drammatiche condizioni, il Vaticano e il suo segretario di Stato si trovarono a dover operare in condizioni senza via di uscita : o si firmava il Concordato, o era la fine per la Chiesa Cattolica tedesca. Così, in tutta fretta, la Santa Sede accettò la depoliticizzazione del clero, come divieto generale di ogni attività di partito (art.32) e si limitò a salvare il possibile tra le associazioni (art.31). Infatti, drammaticamente, la questione, visto che si intuiva chiaramente che in Germania, attraverso le ondate di adeguamenti e le azioni di polizia, il problema delle associazioni e della Chiesa stessa sarebbe stato risolto con la violenza, era addirittura se si dovesse trattare con il Reich. L’ultima spinta la diede esplicitamente l’arcivescovo Grober, in una lettera a Pacelli del 1 luglio, dove drammaticamente sottolineava che o sarebbe andato tutto in frantumi o si sarebbe potuto conservare semplicemente “lo status quo ante” , quindi in forma più riflessiva, il 2 luglio, pose la condizione che il governo ritrattasse la sua recentissima azione di polizia del 1 luglio e offrisse garanzie per il futuro . 

Pacelli seguì questa strada, e riuscì ad ottenere che Hitler revocasse la maggior parte dei provvedimenti del 1 luglio contro le organizzazioni cattoliche e formalmente vietò che si ripetessero. Questo fatto consentì, almeno temporaneamente, alle associazioni cattoliche di sopravvivere. 
L’art.31 del Concordato, nella redazione finale, tutelava soltanto le organizzazioni cattoliche con finalità esclusivamente religiose, di cultura, carità e beneficenza cristiane, mentre le altre ne avrebbero goduto solo a determinate condizioni stabilite dall’episcopato tedesco e dal governo del Reich. Tuttavia, per la fretta, anche se mancante l’esplicita definizione dei criteri e delle competenze per questa regolamentazione, la Santa Sede lo firmò il 20 luglio. Fu l’errore tattico più grave che la Curia avesse potuto commettere: infatti, dopo l’entrata in vigore del trattato, il Reich sfruttò la lacuna e si arrogò la competenza decisiva per decidere le associazioni ammissibili e non. Il Vaticano non accettò la cosa, ma la lotta che condusse non produsse alcun frutto: Hitler decideva come credeva. La Santa Sede aveva ancora l’arma della non ratifica del trattato, ma questa cadde perché la Conferenza Episcopale tedesca, riunita a Fulda tra il 29 e il 31 agosto, premette per una rapida approvazione, secondo la teoria del “tanto presto, tanto meglio”, in quanto viva era la paura che il Furher poteva perdere interesse al concordato, e per fermare le sempre più gravi azioni anticattoliche.
La Santa Sede manifestò alcune riserve ai desideri dell’Episcopato, e solo il 10 settembre perfezionò la ratifica, con pochissimo entusiasmo, nonostante i discorsi ufficiali

Le conseguenze : immediatamente, Hitler guadagnò prestigio, e la sua propaganda interpretò la firma tutt’altro che convinta del Cardinale Segretario di Stato come una legittimazione papale del nazionalsocialismo, e questo, anche se falso era politicamente inevitabile. L’inviato inglese in Vaticano, scrivendo al suo governo, sottolineava come «la conclusione del concordato comporta assai poco una simpatia del Vaticano verso il regime nazista» .
Nei fatti, non fu «spezzata le resistenza dei cattolici tedeschi contro un regime criminale», come sostenne Thomas Dehler al Bundestag l’11 marzo 1956 , ma anche se vi furono imbarazzanti commistioni, consentì perlomeno, a differenza delle confessioni protestanti, di poter conservare il patrimonio religioso, di rivendicare l’autonomia delle organizzazioni cattoliche, e una certa libertà di intervento della Chiesa in Germania, anche se è innegabile che i rapporti furono sempre tesissimi, difficili, e sull’orlo della rottura, per le continue violazioni nazifasciste. Tuttavia, anche per la Chiesa, a breve termine, esso costituì una vittoria, perché fu un aiuto insostenibile nella lotta per l’autoaffermazione per le associazioni cattoliche più minacciate, consentendo alla Chiesa di restare quella che era, lasciando libertà di parola e insegnamento nelle chiese .
 
A lungo termine, il concordato non servì a nulla a Hitler, anzi non riuscì ad allineare i vescovi tedeschi secondo i desideri del Furher, e questi lo sentì come un pesante vincolo. Per questo motivo ne tenne sempre minor conto, violandolo come e quando credeva e rispettandolo quando riteneva opportuno: anzi, cercò di indurre il Vaticano alla denuncia del Concordato, per avere così le mani libere per distruggere la Chiesa Cattolica e sradicare la sua istituzione, ma la prudenza della Santa Sede, che sapeva bene che il capo del Reich non poteva, per motivi interni alla Germania, e per non apparire lui il responsabile della distruzione di questa istituzione, cosa che gli avrebbe alienato i favori dei molti ufficiali cattolici del Reich, violare in una volta tutte le disposizioni contenute nel trattato, consigliò un silenzio assoluto su questo punto, e anzi consentì ad essa di poter denunciare e stigmatizzare le singole violazioni . Il Concordato, quindi, si rivelò una straordin aria arma di difesa nei confronti del regime totalitario, come aveva asserito il Cardinale Pacelli già nell’agosto del 1933 , consentì al cattolicesimo tedesco di superare in modo sostanzialmente integro il Terzo Reich, e favorì la resistenza al totalitarismo.

Il Concordato è un esempio della politica vaticana “del silenzio utile”, che purtroppo la Santa Sede dovette attuare con i regimi totalitari per salvare il salvabile, mentre le denunce pubbliche, plateali, e mondiali avrebbero provocato la distruzione della Chiesa stessa, l’impossibilità di aiutare chicchessia, e avrebbero ottenuto solo il cordoglio e la commiserazione delle potenze occidentali e degli ebrei, ma senza frutti concreti. Invece, pur se all’apparenza poco evangelico, l’atteggiamento di seguire la via politico-diplomatica si rivelò ragionevolmente utile, in quei tempi difficili in cui, nei fatti, la Chiesa non era libera, come invece lo è oggi.



c. La politica vaticana verso gli Ebrei e il razzismo. 

Possiamo così comprendere bene, con un nuovo esempio storico, la portata e l’efficacia della politica vaticana di quegli anni verso gli ebrei e la questione razzistica. 
Con il regime nazista, come già accennato, i rapporti furono difficilissimi fin dal primo momento, perché ogni concessione della Chiesa era cedimento al totalitarismo, e ogni resistenza aveva per effetto seri ostacoli verso di lei. La Santa Sede cercò di agire sempre in accordo con i vescovi tedeschi, non rinunciando ad occuparsi dei problemi fondamentali dello Stato e della Società .

A mantenere i rapporti con il Reich fu il Cardinale Segretario di Stato Pacelli. Il Razzismo fu il primo terreno di scontro diplomatico – politico. «Non esiste alcuna determinazione di concordato che possa obbligare la Chiesa a riconoscere come normative per i propri membri leggi statali che rinunciano alla prima esigenza che devono assolvere le leggi dello stato eticamente obbliganti e cioè alla corrispondenza con la legge divina» , scriveva il futuro Pio XII contestando le leggi razziali, e quindi: «Una legge umana è impensabile senza un ancoraggio nel divino. E questo ancoraggio non può basarsi su un “divino” inteso in senso arbitrario, la razza. Non sull’assolutizzazione dello stato. Un tale “dio” di sangue e di razza non sarebbe nient’altro che l’immagine riflessa autocreata della propria ristrettezza e limitatezza» .

Tutto questo “diplomatico” scambio di note, che esprime comunque un “non silenzio” della Chiesa sull’argomento, fu pubblicato dalla Santa Sede in più riprese, tra il 1934 e il 1936 come libro bianco, e se si considera che tutti questi libri bianchi furono notificati ai vescovi tedeschi, che li ripresero nelle loro omelie e indicarono loro l’opinione e la volontà del Vaticano , senza che il governo del Reich, in ragione dello “stretto” Concordato non potesse impedirlo, si può capire che più che attraverso plateali (e inutili) proteste “giornalistiche” si seguissero strade più interne ma più sicure, e sicuramente sul terreno pratico più efficaci. Senza contare che l’Osservatore Romano nel 1935 pubblicò il contenuto di due note molto chiare, riprese dai bollettini dei Vescovi tedeschi.

Un altro atto deciso contro il razzismo fu l’enciclica Mit brenneder Sorge, del 14 marzo 1937, letta e diffusa contemporaneamente a stampa in tutte le chiese cattoliche della Germania il 21 marzo del 1937. Essa nacque dal fitto rapporto tra l’episcopato tedesco, la Segreteria di Stato e il Papa. Prese le mosse dall’indirizzo tradizionale di omaggio dei Vescovi tedeschi a Pio XI, riuniti a Fulda, del 19 agosto 1936, e dai colloqui riservati di Roma avuti dai 3 cardinali tedeschi più i due vescovi più giovani, oppositori decisi del nazismo, Von Galen di Munster e Von Preysing di Berlino , nel gennaio 1937. Pur se si rimase sostanzialmente d’accordo di attenersi al concordato del Reich nella misura possibile, parve a tutti necessaria una lettera pastorale decisa. Il cardinale Faulhaber preparò in gran segreto per Pacelli un primo abbozzo, che questi, fino al 10 marzo, rivide in collaborazione con mons. Kaas e con il Papa. Uscì una lettera molto dura nella sostanza, anche se non metteva in crisi il concordato. 


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00domenica 29 maggio 2011 21:03
La reazione dei nazisti, che solo all’ultimo minuto seppero dell’Enciclica e non potettero bloccarne la lettura nelle 11.500 chiese parrocchiali, fu di impedirne la diffusione successiva con rappresaglia di violenza inusitata, con una violenta propaganda contro Papa e Vescovi, con la ripresa di processi sommari per immoralità verso religiosi e preti cattolici, preparando la denuncia del Concordato, ed esigendo, il 29 maggio “ripari” dalla Santa Sede, mentre si mandava in ferie l’ambasciatore presso il Vaticano. 
Pacelli non si impressionò, e nella nota di risposta del 24 giugno 1937 non si scusò, respinse ancora la politica tedesca e ritorceva l’accusa. Tuttavia, la reazione violenta, che aveva reso criticissime le condizioni della Chiesa tedesca, consigliò alla Santa Sede maggior prudenza e un’azione più silenziosa, sospendendo nell’estate del 1938 la guerra delle note . 
La denuncia del Concordato da parte del Reich non avvenne, per motivi non chiariti : sicuramente perché negli ambienti della Cancelleria, data la forte presenza cattolica, e il programma di espansione progettato, non si giudicò ancora giunto il momento. Si procedette ad altri atti di rottura: divieto delle associazioni giovanili, soppressione delle scuole confessionali, non estensione del concordato ad Austria e Sudeti e ricusazione di nuovi accordi.

Quando avvenne la “notte dei cristalli” contro gli ebrei nel novembre 1938, Pacelli non giudicò, allo stesso modo di molte altre potenze, opportuno procedere ad un’inutile protesta ufficiale, che avrebbe violato il Concordato e impedito qualsiasi libertà alla Chiesa, come avveniva in Austria e nei Sudeti, dove le violenze naziste erano all’ordine del giorno, ma fece arrivare ai vescovi tedeschi l’esortazione a fare quanto possibile per salvare il salvabile, con la solidarietà concreta verso gli ebrei .

Il peggioramento dei rapporti con Hitler portò ad una divergenza nella Conferenza Episcopale Tedesca : mentre Preysing e Galen volevano contro il regime una mobilitazione costante dell’opinione pubblica in seguito alle violazioni del diritto, piuttosto che una “politica del ricorso” proposta da Bertram e seguita fino a quel momento, la maggioranza dei vescovi non era d’accordo, date le dure ritorsioni. La Santa Sede non intervenne nella questione, anche se Pacelli avrebbe voluto che si prestasse più ascolto a Galen e Preysing. Innegabile, comunque, agli occhi del mondo apparve la persecuzione della Chiesa cattolica e il dissidio papa-Hitler, e la non accettazione da parte della Chiesa del regime totalitario. Chiaro è che, una vittoria di Hitler, avrebbe costretto la Chiesa in una strada senza uscita, e come in Russia, avrebbe corso il rischio della distruzione .

Diversa, anche se parimenti asfissiante, era la situazione in Italia : qui il cardinale Pacelli e papa Ratti, che avevano molta più influenza e libertà d’azione, cercarono di limitare la portata delle leggi razziali, con azioni più decise e con proteste molto più chiare ed esplicite. 
Sostanzialmente, le ricostruzioni di Ernesto Rossi sono abbastanza fedeli dal punto di vista storico, ma vanno completate ed inquadrate nella stessa problematica della politica estera vaticana. In Italia le proteste furono più vibranti, ma l’ottica della Santa Sede, cioè quella di ottenere risultati concreti più che giornalistici nei confronti degli ebrei, fu predominante. Si intervenne pubblicamente dove si poteva intervenire, come nel caso di argomenti sui matrimoni misti, sugli ebrei battezzati, ma in sostanza si intervenne con migliaia di azioni private, premendo su tutti gli “amici” della Santa Sede nelle forze armate, nel regime, nella burocrazia, nella Corona, sui Vescovi, su esponenti del clero.

  Così, anche la formulazione contorta e controversa delle leggi razziali del 1938/39, le loro numerose eccezioni, l’idea stramba del “discriminare” più che perseguitare, favorì in molti casi un’azione positiva della Santa Sede verso gli ebrei, grazie al clima di ambiguità vige nte. Verso il governo italiano, nei confronti delle proteste del Duce, di Ciano e degli altri, si seguì la politica della “non contraddizione” ufficiale, e del lanciare falsi segnali con il silenzio ufficiale, del “non parlare” per “non far capire”. Così come verso il Von Weizsacher e il governo tedesco. 
In questa situazione difficile, in cui le comunicazioni della Santa Sede, formalmente libere, erano di fatto controllate, i canali non ufficiali fecero comunque arrivare le direttive alla periferia.


Eletto Pontefice, Pio XII fu presentato dalla propaganda come il Papa Tedesco e Fascista, ma in realtà, come anche l’azione di Segretario di Stato lo dimostra, non lo fu. Anzi, dopo aver nominato Mons. Maglione Segretario di Stato, personalmente diresse ed organizzò la rete di assistenza agli ebrei della Santa Sede, in cui era coinvolta tutta la Segreteria di Stato, i Nunzi Apostolici, i singoli Vescovi del luogo, i religiosi ed anche personalità laiche, organizzando un gigantesco gioco di squadra silenzioso e discreto che portò, secondo le stime attuali, alla salvezza di circa un milione di israeliti .
Uomo di pace, non a prezzo di loschi compromessi , si professò imparziale durante il conflitto per non perdere possibili margini di manovra, nei paesi dominati dal totalitarismo, per soccorrere i perseguitati in questi territori, e per garantire l’opera della Santa Sede e la salvezza della Chiesa .

  Anche se “evangelicamente”non condivisibile, questa prospettiva, in quei difficili anni, era l’unica razionalmente e storicamente possibile per fare qualcosa di positivo. La prudenza diplomatica era giustificata dal fatto di non volere arrecare ai cattolici viventi in territori a rischio sofferenze inimmaginabili con prese di posizione chiare e limpide, ma poco pratiche, ma anche per non ingigantire le persecuzioni contro gli ebrei . Con estrema sofferenza interiore, per attenersi a questo principio, non prese ufficialmente posizione contro o a favore di nessuno, fece sparire dal vocabolario le parole “comunismo” ed “occidente”. Anche per preservare quell’indipendenza alla Santa Se de che le consentì di agire in modo sostanzialmente inalterato durante la guerra e mantenere contatti con i suoi Nunzi e l’Episcopato, ad eccezione della Russia e dei territori occupati dalla Germania. Nei momenti più difficili dell’occupazione tedesca (ottobre 1943 – 5 giugno 1944), pur se furono violati gli edifici di via della Conciliazione e del Laterano nel dicembre 1943 per ricercane ebrei e perseguitati politici, lo Stato del Vaticano rimase indenne da interventi diretti di Hitler, dando ragione al papa .

Se l’enciclica già pronta contro il razzismo e l’antisemitismo, che da cardinale Pacelli aveva preparato, non fu pubblicata nel 1939, è essenzialmente perché il Papa giudicò pericolosa la sua uscita, perché in Italia e Germania, e negli stati loro soggetti, si sarebbe scatenata una persecuzione molto più violenta e decisa contro gli stessi ebrei, oltre a compromettere l’azione della Chiesa in loro favore .
La contrarietà di Pio XII al nazismo, lungo la guerra, nonostante le presunte immagini ufficiali, si fonda sull’azione da lui intrapresa per far giungere agli alleati, già nell’inverno 1939/1940, i progetti di Hitler tramite l’opposizione militare tedesca, e i contatti che ebbe con gli esponenti di tale opposizione fino al 1944, e in numerose note riservate, ritrovate negli archivi segreti.
Verso gli ebrei, si puntò esclusivamente tutto sull’azione umanitaria, a prescindere da ogni appartenenza etnica e nazionale dei colpiti , ma un’angosciosa differenza tra la volontà di aiuto e la possibilità reale segnò quest’epoca, in cui tutti gli esponenti della Chiesa, dalla Segreteria di Stato, alle Nunziature, agli Episcopati, sperimentarono la loro limitatezza.

La Curia si scontrò con la non collaborazione di Germania e Russia, mentre nel novembre 1941, sotto la responsabilità di Giovan Battista Montini, il futuro Paolo VI, fu istituita una speciale commissione per i soccorsi, coordinata dal prelato Mario Brini, subbissata da un lavoro enorme. La mole di documenti rinvenuti sull’opera di questa commissione è la testimonianza che tutto il Vaticano fu coinvolto quasi esclusivamente nell’opera umanitaria e caritatevole verso i perseguitati razziali, politici e i colpiti da catastrofe, e di tutto questo il papa faceva trasparire intenzionalmente il meno possibile, appunto per non compromettere le possibilità di successo, soprattutto riguardo gli ebrei .

  Ufficialmente si tacque, in concreto si agì. Tanto più procedeva lo sterminio degli Ebrei da parte di Hitler, tanto più erano laconiche le risposte della Segreteria di Stato: «la Santa Sede ha fatto, fa e farà tutto ciò che è nelle sue forze», era la sempre uguale e laconica risposta.
Oggi, grazie all’ora di P.Blet, si conosce che gli interventi furono migliaia, in tutti i paesi europei, in Croazia, in Slovacchia, dove si cercò di sfruttare il fatto che Tiso era prete cattolico, anche se con rapporti molto tesi sulla questione, in Turchia, in Romania, in Italia, dove gli sforzi furono coronati da successi maggiori, ed anche in Germania ed Ungheria, mentre nulle erano le possibilità di intervento nel Benelux, in Austria, Polonia .
In Italia e Germania, si arrivò una volta a mille casi singoli, si facilitò l’emigrazione ebraica tramite il tedesco “St.Raphaelverein”, fino allo scioglimento coatto imposto dai nazisti il 26 giugno 1941, si cercò di impedire la legislazione razziale o la sua applicazione negli stati sotto l’influsso tedesco, con maggiori successi in Italia, dove fino al 1943 Mussolini impedì la deportazione di qualunque ebreo e mantenne inalterato questo principio, finché potette, nella RSI. In Romania, il concordato fu un utile strumento per ottenere molto, mentre in Ungheria, nonostante la legislazione razziale, la Santa Sede riuscì ad impedire un trattamento inumano in molti casi. Energie non comuni furono poi spese per salvare gli ebrei battezzati e quelli sposati con coniuge cattolico.

Sulla bocca del Papa, dopo il 1941, in cima alla sua preoccupazione era la deportazione degli Ebrei: evitarla o almeno limitarne e circoscriverne l’ampiezza fu uno dei punti principali del programma pontificio di aiuto, anche quando ancora non si avevano notizie di campi di sterminio. Purtroppo, furono solo un milione ad essere salvati da parte cattolica : un numero relativamente basso, ma dietro cui c’era l’impegno della Chiesa Cattolica e del Papa con tutte le loro forze per ogni singola vita umana. Più alto era l’influsso rimasto alla Santa Sede sui singoli governi, tanto più si ottennero risultati soddisfacenti .

L’atteggiamento del papa sulla “soluzione finale”, scatenata da Hitler all’inizio del 1942, era ben chiaro : cercare di impedirla con oggi mezzo. Nel radiomessaggio del Natale 1942, il Papa parlò della persecuzione contro «quei centinaia di milioni di individui che, senza qualsiasi colpa loro, qualche volta solamente per ragioni della loro nazionalità o razza, sono designati per la morte o per l’estinzione progressiva». Anche se in forma diplomatica, al rabbino capo Herzog, che chiedeva un intervento pubblico al papa contro lo sterminio degli Ebrei, il Vaticano rispondeva il 12 febbraio 1943 in modo che lo stesso rabbino giudicava altamente soddisfacente e significativo, e faceva pubblicare la risposta sul California Jewish Voice: «Questa settimana il Vaticano ha inviato una lettera al rabbino capo Herzog, assicurando che sta facendo tutto il possibile per portare soccorso alle vittime della persecuzione nazista, incluso gli ebrei»

Credente
00domenica 29 maggio 2011 21:06
In merito alla deportazione degli Ebrei romani del 16 ottobre 1943, che Rossi e Kung sottolineano, bisogna ricordare che essa durò un giorno solo. Avuta notizia della deportazione, Papa Pacelli intervenne direttamente e di persona, tramite suo nipote, Carlo Pacelli, presso il generale Hudal, un vecchio cattolico, ed ottenne una lettera di questi al generale Stahel al mezzogiorno dello stesso giorno, cosa che determinò la sospensione della razzia delle SS, in forma temporanea, mentre – se è vero che sull’Osservatore Romano apparve un corsivo, relativo alla Carità del Papa, in cui si affermava che il Santo Padre «estenderebbe la sua cura paterna a tutti gli uomini senza distinzione di nazionalità, di religione e di razza» - in gran segreto, diversi esponenti della Chiesa, per i canali non ufficiali e senza pubblicità, si preoccupavano di avvertire gli ebrei, salvandoli in Vaticano. Ciò grazie al non intervento dell’esercito tedesco, a quanto asserisce la testimonianza dell’uf ficiale tedesco Nikolaus Kunkel, apparsa recentemente. 

L’ufficiale tedesco, oggi ottantenne, racconta dell’atmosfera pesante di quei giorni, quando era nell’aria persino una occupazione del Vaticano, e dei frequenti contatti tra il comandante della Piazza di Roma Stahel e la Santa Sede. Narra come le SS avessero ricevuto l’ordine di deportare gli ebrei, ma il comandante della piazza si disse contrario e invitò Berlino a desistere, senza esito. Tuttavia, l’esercito tedesco non impedì, dopo la sospensione della razzia, che gli Ebrei trovassero rifugio tra le Mura Leonine : «In effetti i perseguitati vi poterono trovare rifugio in modo relativamente semplice… probabilmente, entrando soprattutto da Piazza San Pietro… Per noi era un successo che tra circa 8.000 oppure 9.000 ebrei solo 1.000 fossero stati arrestati dalle SS» . Secondo l’ufficiale tedesco, il successo era stato coronato dal “silenzio” ufficiale del Papa, in quanto una sua presa di posizione ufficiale avrebbe cost retto l’esercito a dover far rispettare gli ordini di Hitler : «E’ facile parlare dopo. Noi, al servizio del Comandante tedesco a Roma, eravamo in ogni caso dell’opinione che una presa di posizione forte avrebbe avuto conseguenze negative» . Fu proprio la mancanza di reazioni ufficiali che favorì il resoconto “tranquillizzante” a Kappler, a Ritter e a Berlino di von Weizsacher, e che favorì anche il non precipitare degli eventi.
 
La Segreteria di Stato non esitò ad essere ambigua nel rispondere alle “interessate” domande del Maresciallo Petain, sull’opportunità della legislazione antirazziale, nei rapporti ufficiali con il governo italiano e tedesco, con i regimi fantoccio insediati dai nazifascisti: e questo non per collusione, ma perché era perfettamente inutile discutere con loro, se non a rischio di svelare i piani della Santa Sede, rendendo impossibile l’azione umanitaria.
Se dall’opera di John F.Morley emerge invece un severo giudizio sulla diplomazia pontificia, secondo il quale essa è fallita perché non ha fatto tutto quello che le sarebbe stato possibile e perché, trascurando gli ebrei e perseguendo un obiettivo di riserbo «invece di un impegno umanitario, ha tradito gli ideali che essa stessa si era dati» , dallo studio della documentazione emerge esattamente che la diplomazia vaticana fece tutto quanto era in suo potere di fare per gli ebrei. Il Morley, vivente in un regime libero, non ha considerato tutte le situazioni contingenti e limitanti imposte dall’operare in un contesto di totalitarismo e negatore dei diritti umani. Storicamente, non si è potuti arrivare dove si voleva, ma idealmente la Chiesa ci ha provato.

d. Il Silenzio di Pio XII

Al termine di questo viaggio, occorre da affrontare un’ultima questione, quella del “silenzio di Pio XII”, che nella ricerca storica fin qui condotta, già fa trasparire la sua soluzione.
Tutti i commentatori si sono scagliati contro questo “silenzio”, ma come abbiamo visto, con il senno del poi è facile fare della grossolana critica storica, senza aver presenti tutti i termini del problema, almeno per “capire” l’atteggiamento di Papa Pacelli. In realtà, il Papa fu totalmente partecipe del dramma ebraico, ma non lo divulgò ai quattro venti. 
La questione posta dagli storici è vedere in che modo un papa in forza del suo ufficio è tenuto a dare testimonianza contro la violazione degli elementari diritti dell’uomo, come il genocidio della seconda guerra mondiale . Papa Pacelli fu il primo a porsi questa domanda, e gli fu posta per le vie diplomatiche sia attraverso una lettera di Radonski a Maglione, via Londra, nel 1942, sia attraverso l’Arcivescovo Preysing di Berlino il 6 marzo 1943, che lo sollecitava a prendere posizione . Rispondendo all’arcivescovo Frings, il 3 marzo 1944, il Papa riconosceva che decidere era «dolorosamente difficile» . Tuttavia, le decisioni papali furono responsabilmente ponderate.

Il suo dilemma era quanto chiara dovesse essere la parola che è richiesta dall’ufficio e quanto concreta essa può essere in base alle conseguenze. Il Papa, poi, preferiva parlare più dei “peccati” che non dei “peccatori”: a lui competeva illuminare sui principi fondamentali, mentre spettava ai vescovi concretizzare sul luogo, e considerando tutte le conseguenze, i principi. 
Si pose comunque spesso in maniera drammatica il problema se, di fronte al terrore scatenato, con questo atteggiamento assolveva a tutti gli obblighi del suo ufficio, e meditò molte volte di andare oltre le condanne generali. L’intento di evitare il peggio è «uno dei motivi fondamentali per i quali ci poniamo limiti alle nostre dichiarazioni», scriveva a Preysing, Arcivescovo di Berlino, il 30 aprile 1943 . Il papa e i suoi collaboratori, sulla base di quanto sapevano ed avevano sperimentato del nazionalsocialismo, erano fermamente convinti che un’infiammata protesta non avrebbe interrotto la carneficina, bensì l’avrebbe aggravata a seconda del momento e delle circostanze, e al tempo stesso avrebbe distrutto le possibilità che erano rimaste di agire per via diplomatica in favore degli Ebrei ungheresi o rumeni.

In questo modo, prima degli altri, il Vaticano potette essere informato dell’Olocausto, e agire di conseguenza. Già nella primavera del 1942 in Vaticano erano note fonti ebraiche di Bratislavia e di Budapest che la deportazione era per molti colpiti sicura condanna a morte, e dell’esistenza dei Lager. Poiché il silenzio era vincente in simili circostanze, a Roosevelt, che tramite il delegato a Washington, mosso da tre rabbini, aveva chiesto al papa un “pubblico appello” per richiedere la sospensione dello sterminio degli ebrei, era stato risposto il 3 aprile 1943, non senza motivo il laconico «Santa Sede continua occuparsi favore Ebrei» . La Segreteria di Stato, infatti, riteneva in un documento interno che un appello pubblico non sarebbe stato conveniente, perché bisognava evitare che la Germania lo prendesse come pretesto per rendere ancora più gravi le misure antiebraiche nei territori occupati ed esercitasse nuove e più forti insistenze sulla politica ebraica degli stati!
satelliti .

Sotto questo sfondo andava inteso il radiomessaggio del Natale 1942, poiché lo stesso Pio XII, in privato, parlando del discorso tenuto, aveva confidato ai collaboratori più stretti che quella sua parola: «era breve, ma fu ben capita», cosa che ripetette nella missiva a Preysing del 30 aprile .
Conclude Repgen : «Il papa, dunque, ha anche parlato, ma la parola non fu il suo mezzo principale o esclusivo nella lotta contro la politica ebraica di Hitler… Dominante fu per lui l’aspetto, di responsabilità morale, di dover evitare di scegliere una forma di provocazione che non avrebbe fermato, bensì aumentato le disgrazie: con un pubblico appello non si sarebbe ottenuta la cessazione dello sterminio degli Ebrei, ma la drastica rappresaglia verso ebrei, cattolici e chiese, connaturata nella logica del sistema di dominio nazionalsocialista. Al contrario la politica del Papa conservò alla Santa Sede la possibilità di salvare ancora degli Ebrei. Poiché questa chance venne sfruttata efficacemente, al Papa già allora dalle centrali ebraiche fu espresso il più vivo riconoscimento per la sua opera di salvezza» .

6. Conclusione.

Tutto questo percorso storico ci fa comprendere come, per la Chiesa Cattolica, molta acqua sia passata sotto i ponti : nella comunità cattolica c’è stata una radicale conversione dall’antisemitismo “discriminatorio” professato dal Concilio di Elvira del 306, e fino alla seconda metà dell’800, anche attraverso la purificazione dell’Olocausto della Seconda Guerra Mondiale, all’accettazione piena e convinta dei nostri fratelli maggiori. 
Questo cammino della Chiesa, già evidente, anche se mancante il coraggio finale di riconoscimento dello Stato Ebraico, avvenuto oggi con Giovanni Paolo II, era presente già in Pio XII e in gran parte dei cattolici testimoni della Seconda Guerra Mondiale, ma è maturato in pienezza solo nel dopoguerra, prima con Giovanni XXIII, quindi con la dichiarazione Nostra Aetate del Concilio Vaticano II, ed in modo speciale nell’occasione di questo Giubileo.
Già nella Terzo Millennio Adveniente, il Santo Padre aveva chiesto ai cattolici e quindi ai cristiani la “Purificazione della Memoria”, chiedendo perdono per tutte le colpe della Chiesa Cattolica contro l’umanità, ed anche per l’Olocausto, scatenato da cattolici o pseudo cattolici, come anche per tutte quelle violenze verbali degli uomini di Chiesa contro gli Ebrei.
 
Si era posto nella linea di Don Gaetano Tantalo, che un giorno del 1947, dopo aver letto lo scritto di D’Azelio, aveva ammesso «La Chiesa doveva fare pubblica ammenda, per denunciare al mondo i gravi errori, che ha commesso contro gli Ebrei» . Proprio a queste parole del Servo Dio sembra ben corrispondere l’immagine della primavera 2000 di Giovanni Paolo II in preghiera davanti al Muro del Pianto in Gerusalemme, che infila con un gesto significato in questo luogo sacro per l’Ebraismo, un documento in cui afferma che mai più ci sarà persecuzione degli ebrei da parte dei cristiani e che la Chiesa chiede perdono di questi suoi errori, concludendo dopo duemila anni un cammino molto duro, con aspetti riprovevoli.
Se Kung era critico sulla volontà della Chiesa di fare ammenda dei propri errori, quel gesto luminoso ed immenso, di portata eccezionalmente storica, lo ha accontentato. Ma un gesto che deve ricordare a noi tutti la necessità di voltare pagina, e favorire l’impegno di non perseguitare mai più un uomo per le sue convinzioni di razza, lingua e religione. 
Per concludere, si riporta il discorso del 23 marzo 2000 ai Rabbini di Terra Santa di Giovanni Paolo II: 
«Molto reverendi Rabbini Capi, è con grande rispetto che vi faccio visita qui oggi e vi ringrazio per avermi ricevuto a Hechal Shlomo. Questo incontro ha un significato veramente unico, che - spero e prego - condurrà a maggiori contatti fra Cristiani ed Ebrei, volti a raggiungere una comprensione sempre più profonda del rapporto storico e teologico fra le nostre rispettive eredità religiose. Personalmente, ho sempre desiderato essere annoverato fra coloro che, da entrambe le parti, operano per superare i pregiudizi e per garantire un riconoscimento sempre più ampio e pieno del patrimonio spirituale condiviso dagli Ebrei e dai Cristiani. Ripeto ciò che ho detto in occasione della mia visita alla comunità ebraica di Roma, ossia che noi Cristiani riconosciamo che l'eredità religiosa ebraica è intrinseca alla nostra fede: "siete i nostri fratelli maggiori" (cfr. Incontro con la Comunità ebraica della città di Roma, 13 aprile 1986, n. 4). Speriamo che il popolo ebraico riconosca che la Chiesa condanna totalmente l'antisemitismo e ogni forma di razzismo perché in radicale contrasto con i principi del cristianesimo. Dobbiamo cooperare per edificare un futuro nel quale non vi sia più antigiudaismo fra i Cristiani e anticristianesimo fra gli Ebrei.Abbiamo molto in comune. Insieme possiamo fare molto per la pace, per la giustizia e per un mondo più fraterno e umano.

Credente
00domenica 29 maggio 2011 21:09

Pio XII eroe durante l’Olocausto, lo dimostrano storici ed ebrei

Capita spesso di sentire detrattori e “intellettuali” giustificare l’ormai palesemerito della Chiesa e delle sue istituzioni religiose nel salvare dall’Olocausto migliaia di ebrei, parlando di sole iniziative personali dei religiosi che sarebbero stati addirittura abbandonati a loro stessi dalle alte gerarchie ecclesiastiche. Studi recenti provano invece il contrario: uno sforzo coordinato e segreto ad ogni livello gerarchico, come sostengono  i numerosi esperti in occasione delle attribuzioni del titolo di Giusto Fra le Nazioni da parte proprio degli ebrei salvati o dei loro discendenti. Da questi documenti emerge innanzitutto la struttura gestita capillarmente dell’opera di salvataggio, non ottenibile senza un riferimento “in alto”. A sostegno di questa tesi si riportano i seguenti dati:

L’Associazione Culturale Coordinamento Storici Religiosi (www.storicireligiosi.it) dal 2002 ha appurato che più di 220 case religiose sulle 750 totali presenti nella sola capitale italiana avrebbero ospitato e custodito buona parte dei 10.000-12.000 ebrei  in cerca di rifugio e sicurezza. Dalla ricerca sono state inoltre escluse per scelta metodologica le parrocchie, le famiglie private e gli arcivescovadi. La Congregazione di Don Orione, a cui è andato il titolo di Giusto fra le Nazioni attribuito a Don Gaetano Piccinini il 23 Giugno 2011 a Roma, avrebbe agitonascondendo personalità ebraiche note e ricercate dal regime tramite l’accompagnamento sui mezzi pubblici, la disponibilità di nascondigli e rifugi e ogni genere di assistenza durante il trasferimento segreto. Il Corriere della Seranella sua edizione del 26 Gennaio 2012 pubblica inoltre un articolo su Padre Giovanni da San Giovanni in Persiceto, il quale avrebbe compilato un accurato rapporto per i suoi superiori dove tratterebbe di 201 persone nascoste nei conventi femminili di Roma, variamente distribuite e classificate con precisione se militari dissidenti, civili o ebrei. Questo documento è tracciabile in ogni passo del suo viaggio attraverso l’ambasciata italiana presso la Santa Sede (di cui Padre Giovanni era Cappellano e Consigliere Ecclesiastico Onorario) fino al Ministero degli Esteri. In esso si possono trovare numerose ammissioni e prove della collaborazione delle alte sfere ecclesiastiche nell’opera di salvataggio.

Grazia Loparco, giornalista dell’Osservatore Romano nel suo articolo del 25 Gennaio 2012, ha spiegato che fuori Roma, specie per i monasteri, occorse almeno la conferma esplicita dei vescovi, muniti di speciali facoltà, a quanto stava avvenendo. I processi decisionali dei religiosi, a volte il loro cambiamento in seguito a direttive che apparivano chiare, possono illustrare meglio la relazione tra congregazioni, Chiesa locale e Santa Sede. L’arrivo, la permanenza, le strategie di occultamento degli ebrei, le relazioni interpersonali e religiose sono abbastanza note, tuttavia dietro ogni nome c’è una storia, personale e familiare. Gli elenchi di singoli o di nuclei familiari, uniti o separati per sesso ed età e parentela, sono ben più che una catena di nomi. Più di 300 sono identificati fuori Roma e più di 600 nella capitale, alcuni solo per cognome per indicare l’intera famiglia, e dunque con un numero impreciso, ma sicuramente più elevato. Certamente si tratta di una percentuale, rispetto agli almeno 4.500 ebrei di cui resta memoria spesso non identificata, che furono nascosti in vario modo nelle comunità religiose di Roma. Uno di questi è il frate di cui parla il quotidiano “La Stampa” del 27 gennaio 2012, che salvò gli ebrei con le foto degli ex-voto.

Il ricercatore statunitense William Doino jr, esperto di rapporti tra Chiesa cattolica, fascismo e nazismo, elenca su “Vatican Insider” del 27 gennaio 2012 alcuni testi storici di approfondimento, da cui emerge la figura di Pio XII in relazione alle ideologie totalitarie come «profondamente preoccupato per la sorte di ebrei e cristiani». Ha quindi citato due documenti: il primo è un messaggio del presidente americano Franklin D. Roosevelt inviato il 3/8/44 a Pio XII:  «Vorrei cogliere l’occasione per esprimere a Sua Santità il mio apprezzamento profondamente sentito per la continua azione che la Santa Sede ha compiuto, impegno generoso e misericordioso nel prestare assistenza alle vittime delle persecuzioni razziali e religiose». Il secondo è il rapporto della Conferenza sulle relazioni ebraiche del 1946, intitolato “Saggi sulla l’antisemitismo”. Il professor Koppel Pinson, che ha curato l’opera, ha commentato: «Possiamo essere d’accordo o in disaccordo con le linee generali delle politiche del Vaticano. Ma un fatto è indiscusso: il papato non ha mai parlato in questi termini inequivocabili contro il razzismo e l’antisemitismo, come nelle parole e nelle azioni del presente papa, Pio XII, e il suo predecessore Pio XI». Ha poi descritto alcuni interventi “salva-vita” diretti di Pio XII, emersi dalle testimonianze dirette degli ebrei salvati.

Il 17 gennaio 2012 Gary Krupp, l’ebreo fondatore della ”Pave the Way Foundation” (PTWF), in occasione della Giornata del dialogo ebreo-cattolico, ha rilasciato a “Zenit un’intervista in esclusiva in cui parla della «leggenda nera contro papa Pio XII», ormai «confutata dalla verità dei fatti. È una responsabilità degli Ebrei dal momento in cui abbiamo accumulato un grande mucchio di prove sul fatto che Eugenio Pacelli fu davvero uno dei grandi eroi per gli Ebrei durante l’Olocausto. L’ingratitudine è uno dei peggiori difetti nell’Ebraismo. L’accettazione della verità sull’eroismo personale di Pacelli, credo sia essenziale per portare i miei fratelli e sorelle ebrei alla redenzione. La reputazione di Eugenio Pacelli deve essere riscattata, laddove intenzionalmente il KGB iniziò la più grande campagna diffamatoriadel XX secolo. Questa operazione fu portata a termine con successo per isolare gli Ebrei dai Cattolici, al momento della riconciliazione avvenuta con il documento conciliare Nostra Aetate». Sempre in quella data, “Zenit” ha pubblicato un secondo articolo informando di un nuovo dossier, intitolato “I vescovi contro i rastrellamenti” e pubblicato sulla rivista francese “Histoire du Christianisme Magazine” (HCM). Si tratta di uno studio della storica  Sylvie Bernay sul ruolo di salvataggio degli ebrei da parte dei Vescovi francesi, i quali erano «sostenuti da Pio XII». Viene citato anche un rapporto del colonnello Knochen, capo delle SS in Francia, preoccupato del continuo interesse di Pio XII per la condizione degli ebrei francesi.

Questo il ruolo “segreto” di Pio XII. Riguardo alla sua posizione pubblica e al Concordato con partito nazista, ne ha parlato Sergio Romano sul “Il Corriere della Sera” del 2 febbraio 2012, dicendo che «Pacelli sperò sempre che il Concordato, benché spesso violato, avrebbe fornito alla Santa Sede il diritto e gli argomenti per contrastare le continue aggressioni di Hitler. La prudenza del diplomatico prevalse in lui sull’indignazione del pastore».

Marzio Morganti, Luca Pavani


Sull'ondata di fango sui "silenzi" di Papa Pacelli e le "colpe" della Chiesa di Roma,
si contrappongono queste chiare testimonianze:
 
L'ebreo Lèon Poliakiv, pur critico verso i "silenzi" di Papa Pacelli, ha ammesso: "Di fronte al terrore hitleriano le chiese spiegarono un'attività infaticabile e indimenticabile sul piano dell'azione umanitaria immediata, con approvazione e PER IMPULSO DEL VATICANO
 
L'ebreo Pinchas Lapide, che fu console israeliano a Milano, ha scritto: "La Chiesa Cattolica, sotto il papato di Pio XII fu LO STRUMENTO DI SALVEZZA DI ALMENO 700.000, ma forse anche 860.000, Ebrei che dovevano morire per mano nazista... Questa cifra, per quanto piccola di fronte ai nostri 6 milioni di martiri, è tuttavia di gran lunga superiore al numero delle persone salvate da tutte le altre Chiese, istituzioni religiose e organizzazioni di soccorso. Inoltre, tale cifra è in notevole contrasto con l'ipocrita assistenza a parole e l'imperdonabile mancanza di buona volontà di coloro che erano fuori portata di Hitler e che disponevano di mezzi certo ben più efficaci per salvare gli Ebrei, quando ciò poteva ancora essere possibile: la Croce Rossa Internazionale e le democrazie occidentali".
 
L'ebreo Joseph L. Lichten, membro dell'Anti Defamation League of B'nai B'rith, ha scritto: "E' risaputo che nel 1940 PioXII inviò un'istruzione segreta ai vescovi cattolici d'Europa dal titolo "Opere et Caritate". La lettera iniziava con una citazione tratta dall'enciclica di Pio XII Mit brennender Sorge, la quale criticava duramente le dottrine naziste, e ordinava di prestare aiuti adeguati a tutti coloro che subivano discriminazioni razziali ad opera dei nazisti ..."
 
Elio Toaff, autorevole rabbino capo della capitale, ha affermato: "La comunità israelitica di Roma, dove è sempre VIVISSIMO IL SENSO DI GRATITUDINE PER QUELLO CHE LA SANTA SEDE HA FATTO IN FAVORE DEGLI EBREI ROMANI, ci ha autorizzato a riferire in maniera più esplicita la convinzione che quanto è stato fatto dal clero, dagli istituti religiosi e dalle associazioni cattoliche per proteggere i perseguitati, non può essere avvenuto che con l'espressa approvazione di Pio XII.
 
Il rabbino Andrè Ungar, critico verso l'atteggiamento della Chiesa, in un articolo apparso nel 1964 sulla rivista "Conservatrice Judaism" ha sostenuto: " "Lo stesso Vaticano autorizzò, e forse anche incoraggiò, le operazioni di salvataggio degli Ebrei. IL VATICANO FORNI' GRANDI SOMME DI DENARO e, quand'era possibile, le facxilitazioni offerte dai suoi privilegi diplomatici per salvare gli Ebrei dalle mani naziste":
 
Il rabbino della città di Providence (USA), NathanN Rose, ha dichiarato: "Fu il Papa ad ordinare alle Chiese di Roma e al Vaticano di ospitare ogni israelita perseguitato, a ordinare ai Nunzi di rilasciare "passaporti protettivi" vaticani agli Ebrei minacciati dai nazisti; a far aprire loro tutti i monasteri e conventi di Francia, Belgio, Italia e altri paesi d'Europa; a far organizzare dal clero un movimento clandestino per sottrarre migliaia di Ebrei al pericolo della deportazione":
 
Lo storico Renzo De Felice ha scritto: "L'aiuto della chiesa nei confronti degli Ebrei fu notevolissimo e, in misura sempre crescente, esso fu prestato non solo dai singoli cattolici, ma da quasi tutti gli istituti cattolici e da moltissimi sacerdoti. Aiuto che, del resto, era già in atto da anni nei paesi occupati dai nazisti.
 
L'ebreo romano Mario Erracina, nascosto nel 1944 per quattro mesi nell catacombe di San Callisto, ha scritto: "Frequento ancora molti amici che in quel tempo furono nascosti in case religiose. Alcuni a San Giovanni, altri dentro il Vaticano, tra le guardie che prestavano servizio per il Papa .. LA CHIESA CATTOLICA FU PER TUTTI NOI UN SICURO LUOGO DI RIFUGIO. Se un ebreo incontrava un prete per strada, sapeva di poter tranquillamente chiedergli rifugio e assistenza.
 
"Solo con la non conoscenza della struttura della Chiesa", scrive Joseph Lichten, "si può spiegare il ripetersi della tendenza a trascurare, perfino a disprezzare, il ruolo di Pio XII e i suoi sforzi. Molti autori sono pronti a riconoscere dei meriti ad alcuni nunzi, a vescovi, al basso clero, ma non al Papa, come se egli fosse una istituzione a parte, senza influsso sulla politica e l'attività del Vaticano".

tratto da "Pio XII" di Andrea Tornielli

 

Credente
00martedì 5 febbraio 2013 15:31

La foto del giovane Ratzinger con Hitler? Nuova bufala anticlericale

Bufala contro papa2Il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, monsignor Gerhard Ludwig Müller, dalle colonne del quotidiano tedesco Die Welt, si è lamentatodi «campagne per screditare la Chiesa cattolica in America del Nord e anche qui da noi in Europa», tanto che «già adesso in alcuni settori i religiosi vengano insultati pubblicamente in modo volgare. Monta una rabbia provocata artificialmente, che di tanto in tanto ricorda già oggi un clima da pogrom».

L’ultimo attacco ricevuto dalla Chiesa da parte della cultura anticlericale (che usa gli stessi metodi mediatici di denigrazione dell’atea Unione Sovietica) è stato realizzato dalle prodigiose menti anticlericali italiane, facendo circolare una foto (in alto a sinistra) su Facebook in cui durante una manifestazione nazista, davanti al Führer c’è un giovane in divisa che si vorrebbe far passare per un giovane Joseph Ratzinger. Non è mancata la frase tattica di demoralizzazione verso il cattolico: «guardate chi abbiamo come papa gia quando aveva 14 anni vergognati a pregare condividetelo prima che lo levino» (ricopiata con errori compresi, l’ignoranza è una delle caratteristiche distintive dell’anticlericalismo militante).

L’immagine ha avuto discreta diffusione e dunque occorre occuparsene. E’ ovviamente una falsa attribuzione, basta semplicemente risalire alla data della foto, 3 settembre 1932 (Adolf Hitler saluting at the sports palace in Berlin. To the left is Prince August Wilhelm. Credit: Keystone Pictures, Usa, 1932) e conoscere la data di nascita di Ratzinger:1927. Quando è stata scattata il futuro Pontefice aveva dunque cinque anni e il ragazzotto nella foto non pare proprio un bimbo di questa età. Inoltre è sufficiente osservare la ben poca somiglianza tra il soggetto nella foto e il giovane Ratzinger, molto più magro.

Il tentativo ha voluto ritentare il successo avuto da un’altra foto, quella di un giovane Ratzinger mentre celebra una messa che, tagliata a dovere, è stata fatta passare per unsaluto nazistaAbbiamo smontato anche questa, come quelle che compaiono sul nostro sito web nell’archivio di notizie sulle cosiddette “bufale anticlericali”, ovvero le menzogne che la cultura laicista produce sistematicamente per tentare di screditare il cattolicesimo, non avendo alcun argomento razionale da proporre.

Ringraziamo la pagina FB della Polizia Postale web site fan che ha contribuito a screditare la nuova bufala anticlericale. Ci stupiamo invece che Il Fatto Quotidiano e il vaticanista Marco Politi non abbiamo divulgato tale fotografia, dato che il livello di argomenti anticlericali è più o meno simile.

Ricordiamo che Benedetto XVI, come ha spiegato il portavoce della Santa Sede padre Federico Lombardi, non ha mai fatto parte della “Hitlerjugend” (la Gioventù hitleriana) e tuttavia tale informazione falsa si può ancora  leggerla su Wikipedia. Padre Lombardi ha invece sottolineato che il Papa quando «era un seminarista che studiava teologia, all’età di 16 anni, è stato coscritto nei corpi ausiliari della contraerea, come tutte le persone della sua età. Nulla a che vedere con la Hitlerjugend e l’ideologia nazista». Lo ha confermato lo storico del nazismo tedesco Joachim Fest«il giovane Joseph Ratzinger fu arruolato a forza dai nazisti, e solo come ausiliario nella contraerea». In quell’occasione a tirare fuori la bufala pubblicamente era stata un’altra anticlericale doc italiana, Franca Rame.

Come diceva Mark Twain, «una bugia fa in tempo a viaggiare per mezzo mondo mentre la verità si sta ancora mettendo le scarpe». Noi speriamo che, attraverso articoli come questo e confidando nella divulgazione immediata fornita dai social network, oggi la verità possa perlomeno cominciare la sua corsa.

 
Coordin.
00venerdì 15 marzo 2013 06:55
Papa Francesco, le accuse al suo passato non reggono


La Chiesa cattolica ha di nuovo un Papa, il suo nome è Jorge Mario Bergoglio.

Lasciamo ad altri siti web e testate giornalistiche, certamente molto più capaci di noi, il compito di approfondire la sua figura e l’importanza di questa scelta, noi siamo più portati a rivolgerci agli avversari della Chiesa e a tutti coloro che trovano significativo avere del materiale utile per rispondere alle eterne accuse rivolte al mondo cattolico.


LE ACCUSE
L’aspetto che ci interessa affrontare (e su cui dovremo tornarci più volte) sono le accuse che sono state già rivolte a papa Francesco. Arrivano da parte di un ex guerrigliere marxista, il giornalista Horacio Verbitsky, che nel libro L’Isola del silenzio (2006) e in alcuni articoli ha parlato di un comportamento controverso di Bergoglio a partire dal 24 marzo 1976, ovvero durante il periodo di dittatura in Argentina. Durante quegli anni, effettivamente, parte della chiesa argentina non è riuscita ad esprimere dure condanne verso il regime: alcuni parlano di complicità, altri -come vedremo- di semplice paura e cautela.

Il nome di Bergoglio emerge principalmente riguardo ad un fatto specifico: nel febbraio del 1976, un mese prima del golpe, Bergoglio a capo dei Gesuiti argentini -ed intenzionato a mantenere la non politicizzazione della Compagnia di Gesù- chiese a due gesuiti Orlando Yorio e Francisco Jalics, di lasciare la loro missione nelle favelas a causa dell’adesione esplicita alla ambigua Teologia della Liberazione, di chiaro stampo marxista. Al loro rifiuto, Bergoglio li espulse dall’ordine poi, sempre stando alla ricostruzione del giornalista, fece pressioni all’allora arcivescovo di Buenos Aires per toglier loro l’autorizzazione a officiare messa. Poco dopo il colpo di Stato, i due religiosi furono sequestrati, detenuti e torturati nella Scuola meccanica della Marina (Esma), simbolo delle violenze e delle torture contro i desaparecidos. Una volta liberati, dietro esplicite pressioni del Vaticano, uno di loro, Yorio, raccontò che quella espulsione dai gesuiti rappresentò una sorta di via libera per i golpisti (è poi morto per cause naturali). L’altro sacerdote, Jalics, ha invece buoni rapporti con Bergoglio. Il futuro Papa, dal canto suo, rispose alle accuse spiegando che il suo ordine di lasciare le baraccopoli, in realtà, era un espediente per metterli al sicuro.



NESSUNA PROVA O INDIZIO VALIDO.
In ogni caso, come giustamente ha riportato anche il Fatto Quotidiano, non ci sono testimonianze o indizi che provino il suo coinvolgimento. Il Foglio spiega: «Contestò l’apertura dei gesuiti alla Teologia della Liberazione, negli anni ’70 e questa posizione forse gli è valsa l’accusa ingiusta di connivenza con il regime dei generali, anche se peraltro non ci sono mai state prove nè indizi della sua vicinanza alla dittatura». Lo spiega anche Aldo Cazzullo, sul Corriere della Sera: «Un’infamia alimentata dai nemici di Bergoglio indicò in lui l’ ispiratore del sequestro; era vero il contrario: il Provinciale andò di persona da Videla per chiedere la liberazione dei due religiosi, e agli atti della giunta militare risulta la richiesta di un passaporto per loro». Non si piegò mai, spiega ancora l’editorialista de il Corriere, ai caudillos, ai militari e ai politici, che si sono alternati alla guida dell’Argentina. L’assenza di prove è stata riconosciuta in queste ore dallo stesso accusatore principale, Horacio Verbitsky, intervistato da Repubblica, che spiega di non aver mai trovato prove e, nonostante abbia cercato per anni qualcosa, «non ci sono prove schiaccianti». Soltanto delle testimonianze, che però arrivano tutte da parte marxista, come lo è lo stesso Verbitsky. Anche Leonardo Boff, uno dei fondatori della Teologia della liberazione, ha affermato: «Sono incoraggiato da questa scelta, considerandola come pegno per una chiesa di semplicità e di ideali ecologici». Evidentemente anche lui non ha sostenuto le accuse rivolte al nuovo Papa, arrivate invece da suoi colleghi di ideologia. A chiudere, si spera, la questione è intervenuto oggi anche Adolfo Perez Esquivel, pacifista argentino, vincitore del premio Nobel per la Pace nel 1980 per le denunce contro gli abusi della dittatura militare argentina negli anni Settanta. Ha spiegato alla BBC: «Ci sono stati vescovi che erano complici della dittatura in Argentina, ma non Bergoglio», negando ogni validità alle acccuse.



SALVO’ PRETI E LAICI DALLA DITTATURA
Tanti altri non soltanto negano le accuse, ma indicano anche il suo ruolo estremamente positivo nel salvare numerose persone dalle mani della dittatura. Cazzullo, ad esempio spiega ancora che Bergoglio «si mosse per salvare preti e laici dai torturatori, ma non ebbe parole di condanna pubblica che del resto non sarebbero state possibili se non a prezzo della vita, e tenne a freno i confratelli che reclamavano il passaggio all’opposizione attiva». Una delle persone salvate dal futuro Papa è l’attivista per i diritti umani, Alicia de Oliveira, diventata poi sua grande amica, che lo definisce un «uomo di una normalità estrema». Dalla sua parte anche le madri di Plaza de Mayo, durissime (non del tutto a torto) nei confronti della gerarchia cattolica argentina. In ogni caso, da presidente dei vescovi argentini, Bergoglio ha spinto la Chiesa argentina a pubblicare una sorta di mea culpa in occasione del 30esimo anniversario del colpo di Stato, nel 2006: “Ricordare il passato per costruire saggiamente il presente” era il titolo della missiva apostolica.

L’ex arcivescovo di Buonos Aires è riuscito a riparare la reputazione di una chiesa che ha perso molti seguaci non avendo saputo sfidare apertamente la dittatura argentina. «Bergoglio è stato molto critico nei confronti delle violazioni dei diritti umani durante la dittatura, ma ha sempre criticato anche i guerriglieri di sinistra. Egli non dimentica quella parte» ha scritto il suo biografo Sergio Rubin. Il premio Nobel Perez Esquivel ha anche ricordato gli sforzi di molti religiosi per «liberare silenziosamente molti prigionieri [...]. Ci sono stati molti sacerdoti e religiosi che sono stati perseguitati, imprigionati e torturati. Persecuzioni si sono verificate in tutti i settori della società. Non solo religiosi, ma anche laici coinvolto nelle comunità di base, nelle parrocchie, che sono stati rapiti e dispersi fino ad oggi».

Credente
00venerdì 15 marzo 2013 23:56

LE BUGIE SUL PAPA L'ARTICOLO DI OGGI PER LIBERO

di Maria Giovanna Maglie
Per rispondere alle balle cosmiche comuniste e pacifiste, sostenute e diffuse soprattutto sul web, ma anche dall’ immancabile Saviano, il prezzemolino ora avvocato dei desaparecidos,o dallo scettico New York Times che sogna un papa abortista, favorevole al sacerdozio femminile, ai matrimoni omosessuali, insomma forse un papa non cattolico, per la bisogna rivolgersi a don Gallo; per rispondere a il Manifesto, le comunità di base, i cattolici adulti e masochisti, quel pallista di Michael Moore, e tutti coloro che si sono precipitati ad accusare di collusione con la dittatura argentina il neo papa Francesco, che poi sono gli stessi che diedero del nazista a Ratzinger; per ridere un po’ degli inglesi che da BBc a Daily Mail si risentono perché dice che le Malvine sono argentine, ovvero perché fa l’argentino; per cercare di dire anche due parole su quel Paese che sarà alla fine del mondo ma che è al centro del mondo contemporaneo, solo noi vecchi decadenti europei non ne riconosciamo la cultura, intendo utilizzare la testimonianza dell’avvocato Alicia Oliveira, che conosce Jorge Bergoglio dal 1973, che è stata perseguitata durante quella dittatura. 
In sostegno e difesa del papa dalle calunnie ci sono testimonianze inequivocabili come quella del Nobel per la Pace Perez de Esquivel, imprigionato e torturato dai militari, che ha raccontato ieri del ruolo importante e positivo che il giovane Bergoglio svolse in difesa di due gesuiti militanti comunisti, e non solo; c’è la truffa evidente di una foto famosa con il generale Videla che nel 1980 prende la comunione da un sacerdote ripreso di spalle, vistosamente più anziano dei 54 anni che allora avrebbe avuto Bergoglio, e che si chiama come in Argentina è noto, Octavio Derisi, anzi si chiamava, è morto nel 2002 a 95 anni. Non che ci sia niente di male a comunicare un grande peccatore che si sia confessato, ricordo a Santiago del Cile un Giovanni Paolo II, marzo 1987, che non solo diede l’ostia benedetta ad Augusto Pinochet, ma che si affacciò con lui dal Palazzo de La Moneda. Ci indignammo, lo feci anche io, giovane inviato intriso di ideologia, quel gesto segnò l’inizio della transizione alla robusta democrazia che è oggi il Cile. Quante sciocchezze abbiamo scritto e continuiamo a sentire sull’America Latina di quegli anni! 
Non è questo il punto oggi che si tratta da difendere, anche da agnostico quale io sono, papa Bergoglio da lapidazione preventiva e infame. Ho conosciuto nel 1984, credo, Alicia Oliveira, dittatura finita da meno di un anno, Raul Alfonsin presidente eletto, tentativo faticoso in atto di trovare una conciliazione nella giustizia possibile sulla tragedia dei desaparecidos. L’ho ritrovata ieri sulle pagine del Clarin, il principale quotidiano argentino. Racconta la verità. 
Nel 1973 Alicia è nominata, prima volta per una donna, giudice del foro penale. Bergoglio l’aveva consultata come avvocato, diventano amici, lo sono ancora. Tre anni dopo i militari prendono il potere, la cacciano, cominciano a perseguitarla. Ricorda ancora il mazzolino di rose che l’amico prete le portò il giorno del licenziamento per consolarla. Da allora si incontrano due volte alla settimana, insieme visitano i parroci della periferia e lui diventa attivo organizzatore di esili che salvano vite. E ogni volta che uno deve fuggire perché il pericolo è imminente, lo salutano con una cena tutti insieme, e Bergoglio partecipa sempre. Il quartiere è San Ignacio, non è un posto qualunque, vicino com’è a Campo de Mayo. Alicia Oliveira conosce bene anche la storia del sequestro dei due gesuiti, Francisco Jalics y Orlando Yorio, cioè la storia che è usata in queste ore per accusare il papa di una passata collaborazione con la dittatura. Vivevano nel quartiere Rivadavia, avevano un gruppo di militanti. “ Gli disse di andarsene, li pregò, restare era troppo rischioso. Rifiutarono. Di tutto il loro gruppo sono gli unici sopravvissuti alla detenzione nella Escuela dell’Armada, e liberati dopo sei mesi”. Non per caso, precisa la Oliveira. Bergoglio non contava niente, non era vescovo, non era cardinale, ma usò il ruolo di gesuita per andare a parlare con chiunque, riuscì a farsi ricevere anche dall’ammiraglio Massera e da Videla. Il Papa ne ha parlato ufficialmente solo una volta, nel libro “Il gesuita, conversazione con il cardinal Bregoglio”, ha detto “ ho fatto quel che potevo, ero giovane e avevo poche relazioni importanti, ma feci tutto quel che potevo per aiutare le persone sequestrate”.
La pensano così tutti i personaggi autorevoli e stimabili che hanno gestito la dolorosa transizione argentina alla fine nell’ignominia di quella dittatura. Non sono d’accordo le madri di Plaza de Mayo, ed è giustificabile. La loro battaglia, “vivi ce li hanno presi, vivi li vogliamo”, cominciò coraggiosamente tanti anni fa, continua contro ogni ragionevolezza oggi. A loro non si può dire quel che pure sanno, che la dittatura del 1976 fu resa possibile dalla connivenza e perfino dal sollievo di una parte preponderante della società argentina, che scelse i militari sul terrorismo; che la scomparsa di ventimila militanti fu consentita dal silenzio di quasi tutti gli altri, da quel “ por algo serà”, qualcosa di male hanno fatto, che dominò quegli anni orrendi e che coinvolse anche le gerarchie ecclesiastiche. Accusare solo la Chiesa di complicità è come fingere che il problema della pedofilia riguardi solo la Chiesa. E’ stupido e infame.
Credente
00domenica 7 aprile 2013 15:13

I vescovi non salutano Benedetto XVI?

No, è una bufala

Ratzinger germaniaSul web ritorna il video che dovrebbe palesare “uno dei momenti più imbarazzanti e umilianti per Papa Benedetto XVI“. È il 22 settembre 2011 e il Pontefice è in visita nella sua Germania, ma -secondo i sostenitori della bufala- dieci vescovi (non cardinali, come viene scritto) si rifiuterebbero di stringergli la mano.

In realtà si tratta ancora una volta dell’ennesima bufala: se osserviamo il video integrale (qui sotto) notiamo che nella prima parte l’allora presidente tedesco, Christian Wulff, presenta la sua delegazione a Papa Benedetto XVI (e nessuno, ovviamente, stringe la mano a Wulff!), mentre nella seconda parte tocca al Papa presentare la sua delegazione, che è scesa assieme a lui dall’aereo, a parte il mons. Robert Zollitsch, vescovo di Friburgo (il commentatore del Centro Televisivo Vaticano parla infatti del “seguito papale”).

Il Papa presenta i suoi cardinali, alcuni ne approfittano per salutare anche lui, oltre che il presidente tedesco, altri non lo fanno, come il card. Tarcisio Bertone (il primo), due stretti collaboratori di Ratzinger, il card. Walter Kasper, il card. Kurt Koch, il suo vecchio segretario Clemens, mons Guido Marini (il suo cerimoniere in Vaticano) e almeno altri due cerimonieri. Questi, secondo i complottisti, sarebbero i vescovi tedeschi che vorrebbero umiliare il Papa…in realtà Ratzinger tende la mano per presentare al presidente tedesco la sua delegazione, non certo per salutare i prelati scesi con lui dall’aereo!

La bufala è stata tirata nuovamente fuori da Il Giornale in questi giorni, dove si è cercato di spiegare i fatti, anche se è evidente che l’autore dell’articolo ha semplicemente dedotto, seppur correttamente, la verità, ma senza verificarla dal video originale. In ogni caso della bufala se n’è occupato ottimamente Paolo Attivissimo, il blog Il Vaticanista, il quotidianoL’Unità e Il Blog di Raffaella (nuova versione, a cui vanno i nostri migliori auguri!)

 

Credente
00lunedì 28 luglio 2014 11:49
 Papa Giovanni Paolo II baciò il Corano ?

Da molti anni continua a circolare la notizia che Giovanni Paolo avrebbe baciato il corano, e in tal modo avrebbe riconosciuto implicitamente la sacralità di un libro che è in forte antitesi rispetto alla Sacra Scrittura.
Ma analizziamo se questa notizia è attendibile.

La prima presunta prova del bacio: la foto.

In tanti avranno visto la foto in cui San Giovanni Paolo II bacerebbe il Corano. La foto, che sarebbe una delle tre prove del presunto bacio, risale al 14 maggio 1999.
È stata scattata in Vaticano, in occasione della visita del presidente del consiglio di amministrazione della Iraqi Islamic Bank, il signore alla sinistra del papa.
Ecco la foto in questione:

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La seconda presunta prova del bacio: la testimonianza diretta.

L’uomo che si vede a destra del papa è il Patriarca cattolico di Bagdad, Raphael I Bidawid, morto nel 2003. A lui viene attribuita la citazione che segue, comparsa per la prima volta in rete il primo giugno 1999:

Il 14 maggio sono stato ricevuto dal Papa, con una delegazione composta dall’iman sciita della moschea sunnita Khadum e dal presidente del consiglio di amministrazione della Banca islamica irachena. C’era anche un rappresentante del Ministero iracheno della religione [...]. Alla fine dell’udienza, il Papa si è inchinato davanti al libro sacro musulmano, il Corano, presentato dalla delegazione, e lo ha baciato in segno di rispetto. La foto di questo gesto è stata mandata in onda a più riprese dalla televisione irachena per dimostrare che il Papa non solo ha consapevolezza della sofferenza del popolo iracheno, ma che ha anche molto rispetto per l’islam”.

La terza presunta prova del bacio: la non smentita.

Secondo alcuni il Vaticano non avrebbe mai smentito ufficialmente che il Papa avesse baciato il Corano e, dalla non smentita, deducono la fondatezza della notizia.

Elencheremo di seguito una serie di motivi che sbufalano le tre prove.

La logica.

È lecito supporre che San Giovanni Paolo II conoscesse il contenuto del Corano che non è in linea con la fede cattolica. Il libro sacro dell’Islam nega la Santissima Trinità, la divinità di Gesù Cristo, contiene numerose esortazioni all’omicidio, all’odio, alla violenza e invita i musulmani ad uccidere gli infedeli, tra cui ci sarebbero gli stessi cattolici. Potrebbe mai, un Papa, baciare il Corano?

La foto.

Ci sono diversi elementi da analizzare.

1. La prospettiva. A prima vista sembrerebbe che effettivamente il Papa baci il Corano. Ma in realtà il bacio non si vede. Ciò che si vede è che il papa alza il “Corano” e lo porta vicino al viso. In una foto scattata poco prima o poco dopo il “bacio”, si vede San Giovanni Paolo II tenere in mano lo stesso libro.

Nella foto a destra il libro sembra più voluminoso rispetto alla foto a sinistra. Si tratta di un effetto dovuto alla prospettiva che nelle immagini tende a diminuire la profondità. Quindi potrebbe esserci della distanza tra il libro e le labbra del Papa. Un signore (che ringraziamo), per far meglio comprendere il fenomeno, si è scattato delle foto nella stessa posizione.

 

Entrambe le foto sono scattate mentre il signore rimane fermo: nella prima foto sembra che stia baciando il “Corano” ma in realtà sta leggendo un foglietto attaccato su un lato del libro. Questo semplice esperimento dimostra che dalla foto incriminata del Papa non si può essere certi del bacio.

2. Il “Corano”. È stato detto che il libro in questione sia il Corano. Ma in realtà “Corano” non è scritto da nessuna parte. Dalla foto possiamo solo evincere che si tratti di un libro verde, donato dal signore musulmano al Papa. Ora: se apparentemente possa sembrare normale che un musulmano regali il Corano, riflettendoci tanto normale non è. Se il Papa andasse a visitare un esponente di spicco dell’Islam, del Buddismo o di un’altra religione, regalere la Bibbia potrebbe significare mancare di rispetto. Possibile che il signore musulmano sia stato tanto sfacciato da regalare il Corano al Papa?

Se da una parte è vero che il colore dell’Islam è il verde, è anche vero che non tutti i libri verdi sono il Corano.

 

In queste tre foto abbiamo altrettanti esempi di libri verdi e cattolici.

La prima è un’edizione de La Sacra Bibbia CEI in italiano.

La seconda è il Vangelo di San Luca in arabo (in vendita su Amazon).

La terza è la Bibbia in arabo (in vendita su Ebay).

3. Il libro strano e il foglietto. Il libro che tiene in mano San Giovanni Paolo II è abbastanza particolare. Osservando la foto in alto, la prima pubblicata che potete ingrandire (purtroppo non ne ho trovate di qualità migliore ma se ci verranno segnalate le inseriremo nell’articolo), si nota che almeno quattro lati del libro, sui cinque visibili, sono rivestiti dalla copertina. Più che un libro, l’involucro verde sembra essere un contenitore. Inoltre, zoommando la foto, sembra che sul lato del contenitore rivolto verso il viso del Papa ci sia un foglietto.

[Cliccate sull'immagine per ingrandirla]

papa bacia coranoA questo punto è più probabile che il Papa stia “baciando il Corano” o che si sia avvicinato il contenitore al viso per leggere qualcosa che era scritto sulla copertina? Lasciamo la domanda aperta e passiamo ad analizzare le altre due prove.

La fonte della presunta testimonianza.

La prova numero due del bacio è la presunta testimonianza del Patriarca cattolico di Bagdad, Raphael I Bidawid. Occorre prestare attenzione perché risalire alla fonte originale della testimonianza è impresa ardua.

La foto del Papa appare per la prima volta il 21 giugno 2004 sul sito traditioninaction.org. Insieme alla foto viene riportata la testimonianza. Questo sito dice che la sua fonte è FIDES però alla fine dell’articolo non viene riportato il link a FIDES ma a un altro sito: catholicculture.org. Quest’altro sito, che riporta la testimonianza senza la foto, con la data dell’1 giugno 1999, cita come fonte FIDES ma senza nessun link. Andando sul sito di FIDES, della testimonianza non c’è più traccia. Si può solo trovare un articolo che è stato rimosso con la copia cache. Ma l’assurdità nell’assurdità è che l’articolo di FIDES (che è stato rimosso) è comunque datato 4 giugno 1999 e quindi non può essere la fonte di catholicculture.org!

Insomma, la fonte ufficiale della notizia sarebbe stata scritta posteriormente alla notizia. Il tutto la rende quantomeno dubbia…

La smentita ufficiale.

Nel sito dell’arcidiocesi di Cracovia si può trovare un’intervista al Cardinale Stanislaw Dziwisz, che fu segretario di San Giovanni Paolo II:

“Personalmente, non ho visto che ha baciato il Corano. Ma anche se la baciò, non è mai stato identificato con il Corano.”

Inoltre, il primo luglio 2009, in occasione del via libera alla santificazione di San Giovanni Paolo II, Il Giornale pubblica un articolo in cui è scritto:

“Nessuno di loro [teologi] ha dubbi sulla santità personale di Wojtyla, le critiche sono state rivolte alla «Positio» e hanno riguardato, per lo più, la carenza di alcuni documenti e le contraddizioni di alcune testimonianze (ad esempio riguardo al famoso bacio che Giovanni Paolo II diede al Corano, attestato da una fotografia ripetutamente pubblicata, circostanza che invece il segretario del Papa, oggi cardinale, Stanislaw Dziwisz, ha smentito).”

E quindi anche la smentita ufficiale è arrivata. Nessuna delle tre prove è abbastanza schiacciante per poter credere che il Papa abbia realmente compiuto quel gesto assurdo.

_____________________

 

tratto dal blog Eresie Pentecostali,



Credente
00mercoledì 21 gennaio 2015 18:36

Il Vaticano e l’aiuto agli ebrei:
trovato l’ordine scritto?

Pio XII scrive Come ribadito da numerosi storici, cattolici e non, che hanno studiato in profondità la vicenda dei cosiddetti “silenzi di Pio XII” sullo sterminio degli ebrei – mettendo in luce come questi silenzi fossero funzionali all’attività di salvataggio degli ebrei stessi – non c’è alcun bisogno di trovare la prova scritta di un ordine diretto del Papa per comprendere che il Vaticano avviò un’enorme macchina di salvataggio sotterraneo per nascondere gli ebreinei monasteri, conventi, chiese salvandoli dalla deportazione e dalla morte. Il celebre storico ebreo Martin Gilbert ha affermato«Grazie a queste iniziative, meno di un quarto di tutti gli ebrei romani furono imprigionati o deportati. La Chiesa cattolica è stata al centro di questa grande operazione di salvataggio. Io la definisco un’opera sacra».

La tesi dello spontaneismo dal basso -che sostiene che superiori, priori e badesse aprirono le loro a totale insaputa del Papa- non regge alle prove della storia e della logica. E’ stato infatti spiegato che basterebbe citare, tra le centinaia di fatti, l’opera continua di sostegno agli ebrei nascosti nei conventi dimonsignor Montini, sostituto alla Segreteria di Stato e diretto collaboratore di Pio XII. Non avrebbe potuto, in coscienza e negli atti concreti, celare il suo impegno al Papa, per non parlare di tutti gli ebrei che lasciarono in eredità alla Chiesa cattolica, e direttamente a Pio XII, i propri beni e le proprie abitazioni in segno di riconoscenza per l’aiuto ricevuto.

Chi chiede questa “prova scritta” dell’ordine di Pio XII non si rende conto mettere queste indicazioni nero su bianco, con i tedeschi a Roma, avrebbe esposto la Chiesa e i cattolici a conseguenze enormi. Anche inegazionisti della Shoah si sono spesso attaccati al pretesto della mancanza di un ordine diretto di Hitler per portare a termine lo sterminio degli ebrei, e tuttavia questo non ha fatto venire il minimo dubbiosul fatto che il Führer fosse ispiratore e partecipe del progetto di distruzione degli ebrei europei. Tuttavia, forse una prova di questo tanto richiesto ordine scritto di Pio XII la si è trovata

Lo studioso Antonello Carvigiani ha infatti pubblicato sulla rivista “Nuova Storia Contemporanea”(numero 5 del 2014) una tesi solida: si tratta delle tracce evidenti di «un ordine scritto o orale, consistente in una formula standard, fatto arrivare a tutte le case dei religiosi e delle religiose, alle parrocchie e ad ogni struttura ecclesiale presente a Roma affinché aprano le porte per dare rifugio ai ricercati». Comparando i documenti dei monasteri di clausura romani del 1943-1944, Carvigiani ha rilevato una straordinaria somiglianza da un punto contenutistico e perfino lessicale nelle pagine dedicate all’ospitalità di ebrei, questo rivela «molte consonanze, tanto da far pensare che quei brani derivino dauna fonte comuneautorevolissima, che chiede di aprire la clausura e di nascondere tutti i ricercati dai nazisti, soprattutto gli ebrei. Analizzando i testi, si può supporre che questa disposizione venga impartita dal Papa. Si può ipotizzare, dunque, che un biglietto scritto, preparato in centinaia di copie, venga distribuito in tutte le istituzioni religiose di Roma». E’ lo stesso concetto delle fonti presinotticheper quanto riguarda le comunanze tra i Vangeli.

Carvigiani cita anche una nota pubblicata dall’Osservatore Romano del 25-26 ottobre 1943: «con l’accrescersi di tanti mali è divenuta, si direbbe, quasi più operosa la carità universalmente paterna delSommo Pontefice, la quale non si arresta davanti ad alcun confine né di nazionalità, né di religione, né di stirpe. Questa multiforme ed incessante azione di Pio XII in questi ultimi tempi si è anche maggiormente intensificata per le aumentate sofferenze di tanti infelici». A parte quella significativa sottolineatura – «né di religione, né di stirpe» –, che è un segnale inequivocabile della volontà papale, il corsivo dell’Osservatore, secondo la tesi di Carvigiani, è anch’esso molto simile per contenuto e formaai diari dei monasteri romani. Potrebbero dunque essere modellati su una sorta di bozza originaria – una disposizione orale o anche una “velina” scritta – partita dal Vaticano.

Per ora esiste questa tesi, ma anche numerose testimonianze: il canonico di Assisi, monsignor Aldo Brunacci, riconosciuto come “Giusto tra le Nazioni” dallo Yad Vashem, ha sostenuto di aver visto la lettera inviata dalla Segreteria di Stato vaticana nel settembre 1943 in cui si chiedeva di prestare aiuto ai perseguitati e soprattutto agli ebrei. Suor Ferdinanda dell’Istituto delle Suore di San Giuseppe di Chambéry, a Roma, anch’essa nominata “Giusto tra le Nazioni”ha a sua volta spiegato che «fu il Pontefice Pio XII che ci ordinò di aprire le porte a tutti i perseguitati. Se non ci fosse stato l’ordine del Papa sarebbe stato impossibile mettere in salvo tanta gente». A conferma delle sue parole, nel marzo 1988 mostrò una lettera del Cardinale Segretario di Stato, Luigi Maglione, inviata alla reverenda Madre Superiora il 17 gennaio 1944, in piena occupazione nazista, in cui si riferiva agli ebrei nascosti nell’Istituto, implorando «su cotesti così diletti figli le ineffabili ricompense della divina Misericordia, affinché, abbreviati i giorni di tanto dolore, conceda ad essi il Signore un sereno, tranquillo e prospero avvenire».


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00martedì 10 marzo 2015 12:32

Papa Leone XII contro il vaccino?
Una vecchia bufala anticlericale

Leone XIITra le leggende anticlericali ogni tanto rispunta fuori quella contro Papa Leone XII, pontefice della Chiesa cattolica dal 1823 al 1829. Se Pio XII viene etichettato dal mondo laicista come il “Papa nazista”, Leone XII è definito il “Papa anti-vaccino”, sostenendo che si sarebbe opposto al vaccino antivaioloso divenendo responsabile della morte di migliaia di persone.

Si correda solitamente il tutto con questa citazione«Chi si lascia vaccinare cessa di essere un figlio di Dio. Il vaiolo è un castigo voluto da Dio, la vaccinazione è una sfida contro il Cielo». E’ una frase chiaramente assurda, non a caso tale citazione risulta priva di fonte bibliografia e nessun testo di Leone XII la riporta. In questo articolo è stata ricostruita la storia della falsa citazione.

Oggi sappiamo invece da fonti ufficiali dell’epoca che Papa Leone si limitò a togliere l’obbligatorietà della vaccinazione pur mantenendone il carattere gratuito. Ad esempio nella “Raccolta completa delle opere mediche” del prof. Giacomo Tommasini, direttore della Commissione dell’innesto del vaccino (vol. VII, Tipografia dell’Olmo e Tiocchi, Bologna, 1836, Appendice p. 19), documento contemporaneo ai fatti, leggiamo della circolare legatizia del 15 settembre 1824 di Papa Leone, commentata in questo modo dal prof. Tommasini a riguardo della vaccinazione antivaiolosa: «Pio VII allora regnante, il quale per tempo l’aveva adottata ne’suoi stati, convinto dall’esperienza, de’ mirabili vantaggi che da lei sicuramente si ottengono, ne rinnovò i regolamenti (…) Succedutogli Leone XII, una circolare Legislativa del dì 15 settembre 1824 (…) revocava (…) ogni disposizione in proposito, lasciando libera la vaccinazione a coloro che volevano prevalersene, non togliendo peraltro l’obbligo ai Medici e Chirurghi condotti di eseguirla gratuitamente su tutti quelli che la richiedevano; essendo questa, secondo la frase di quella lettera circolare, la cura e il preservativo di una malattia alla quale come a tutte le altre essi avevano obbligo di riparare».

Secondo l’opinione pubblica di allora, infatti, la vaccinazione risultava pericolosa in quanto si utilizzava materiale umano e non bovino, e non erano rari decessi in seguito a “vaccino” contaminato. Per gran parte del XIX secolo, infatti, molti esponenti famosi delle scienze e della cultura si opponevano a queste (allora nuove) pratiche, ritenute inutili o dannose. Tra gli altri, erano ostili alla vaccinazione contro il vaiolo personaggi come il filosofo tedesco Immanuel Kant e il suo collega inglese Herbert Spencer e Charles Darwin, i quali ne negavano l’efficacia.

Come ha spiegato recentemente il prof. Ulrich L. Lehner, docente di Religious history and Theology presso la Marquette University (Wisconsin, Usa), «furono proprio i missionari cattolici, per lo più Gesuiti, ad introdurre presso gli Indiani amazzonici il vaccino contro il vaiolo nel 1720. In Europa furono gli ordini sanitari cattolici ad introdurre la vaccinazioni pubbliche nel 1780». Uno studio storico del 2010 ha preso sul serio le accuse a Leone XII e, dopo aver approfondito, è stato scritto«Si è concluso che il divieto al vaccino non fu reale ma è una voce malevola, diffusa soprattutto su siti Internet».


Credente
00sabato 21 marzo 2015 11:13
Il Papa "buono".

Papa Giovanni XXIII passa per essere stato un Pontefice "progressista". Pochi sanno che il cardinale Oddi, che lo conosceva bene, lo definì, al contrario, "il conservatore più incallito che Dio abbia mai creato". In effetti, di Papa Roncalli non si ricordano mai quelle decisioni che risultano scomode per un certo cattolicesimo da intellettuali modernisti. A parte il severo giudizio che diede sulle Esperienze pastorali di don Milani, Giovanni XXIII non mancò di condannare severamente i regimi comunisti, di dettare norme "ferree" sull'abbigliamento dei sacerdoti, di approvare il monito del Sant'Uffizio contro Teilhard de Chardin e di deprecare l'iniziativa dei preti operai (quand'era Nunzio a Parigi), la cui esperienza egli considerava "la deformazione del sacerdozio". Ha ragione Roberto Beretta quando scrive su Avvenire (26.5.2000) che Giovanni XXII è "un personaggio che non sta nelle caselle...".

...e quello "non buono".

È difficile trovare un Pontefice più demonizzato di Bonifacio VIII (circa 1235-1303), fautore della teocrazia medievale. Eppure, non solo egli fu il Papa che indisse meritoriamente il primo Giubileo (1300), ma, stando a quanto scrive Rino Cammilleri (Storia dell'Inquisizione, Tascabili economici Newton, p. 18), appena eletto si prodigò per accogliere i ricorsi degli imputati dell'Inquisizione, che avevano diritto (quanti lo sanno?) di appellarsi al papa. Non solo: nel 1297 annullò la condanna inflitta dall'Inquisizione a Rainero Gatti da Viterbo e ai suoi due figli per l'inaffidabilità dei testimoni a carico. Nel 1298 fece restituire al figlio di un eretico i beni confiscati al padre e impose all'inquisitore di Orvieto (città in mano ai catari, responsabili di omicidi e intimidazioni ai danni dei cattolici) di smettere di molestare un cittadino già assolto dal precedente inquisitore".
Credente
00venerdì 27 marzo 2015 12:03

Ratzinger:
un’altra approvazione a Papa Francesco

Nell’intervista il segretario personale dal 2003 del Papa emerito ha esaltato l’annuncio di Papa Francesco delGiubileo 2016«Con l’annuncio dell’Anno santo straordinario, Papa Francesco ha dato un’altra prova della sua capacità di sorprendere. Papa Francesco è una persona autentica: è come appare a chi lo guarda da lontano o in tv. C’è chi magari non ha la sua stessa visione, ma non si può dire che Papa Francesco sia ostacolato o contrastato».

Ha anche risposto ad una domanda sul linguaggio per immagini di Francesco, così come a espressioni discusse come il famoso “pugno”«Nel mondo anglosassone e tedesco si è creata una discussione accesa, anche un po’ esagerata. Bisognacontestualizzare le sue parole e inquadrarle nel suo stile comunicativo diretto, specialmente quando parla a braccio. Lui ama parlare in modo chiaro e aperto. Magari, dopo certe reazioni, che possono dipendere anche dalle diverse sensibilità di popoli e Paesi, potrebbe cambiare marcia. Magari metterà la terza, al posto della quarta». Ancora una volta ha tenuto ha ribadito l’ottimo rapportotra Benedetto XVI e Francesco: «l’atteggiamento accogliente di Papa Francesco verso Benedetto XVI è stato, ed è, esemplare. Tra i due c’è davvero un rapporto molto cordiale e rispettoso». Secondo Gainswein, al Sinodo, non vi sarà «un cambiamento sostanziale rispetto alla tradizione ecclesiale» e, a tal proposito, la Chiesa sta compiendo un percorso per «tenere insieme la sana dottrina e stare accanto a chi ha un cuore ferito».

 

Occorre riflettere su queste numerose interviste concesse da mons. Georg, il quale non si è mai esposto così tante volte ai giornalisti come nell’ultimo anno. Riteniamo che in questo vi sia la volontà del Papa emerito di mostrare il suo appoggio al pontificato di Papa Francesco, prendendo le distanze dai sedicenti ratzingeriani che criticano il Papa attuale nel nome del pontificato precedente.

Le date sono significative, prestiamo attenzione: il 24 gennaio 2014 Benedetto XVI ha scritto al teologo Hans Küng: «Io sono grato di poter essere legato da una grande identità di vedute e da un’amicizia di cuore a Papa Francesco. Io oggi vedo come mio unico e ultimo compito sostenere il suo Pontificato nella preghiera». La lettera è stata in seguito confermata come autentica dallo stesso Papa emerito.

Pochi giorni dopo, il 12 febbraio 2014, Antonio Socci, a capo degli antibergogliani italiani (seppur negli ultimi giorni ha abbassato decisamente i toni), ha iniziato a teorizzare l’invalidità delle dimissioni di Ratzinger: «Il problema della validità canonica delle sue dimissioni è enorme». Il 18 febbraio 2014 è arrivato l’intervento di Benedetto XVI che, rispondendo ad alcune domande del vaticanista Andrea Tornielli, ha scritto«Non c’è il minimo dubbio circa la validità della mia rinuncia al ministero petrino» e le«speculazioni circa la invalidità della mia rinuncia sono semplicemente assurde».

Il 25 febbraio 2014 in un’intervista al“Washington Post”, mons. Georg Gaenswein ha affermato: «La stima di Benedetto [per Papa Francesco] è molto alta, ed è aumentata per il coraggio del nuovo papa, settimana dopo settimana. All’inizio, non si conoscevano molto bene. Ma poi Papa Francesco gli ha telefonato, gli ha scritto, si reca a trovarlo e lo ha invitato [a riunioni private], in modo che il loro contatto è diventato molto personale e riservato».  Nel dicembre 2014, sempre a mons. Georg Gaenswein, è stata posta questa domanda: “Che cosa pensa di quanti oggi affermano che in realtà il Papa legittimo sia ancora Benedetto, che non avrebbe rinunciato al papato, ma solo all’esercizio attivo di esso?”. Il prefetto della Casa Pontificia ha replicato«Ritengo che sia unasciocchezza teologica e anche logica. Il testo della rinuncia di Benedetto XVI, pronunciato l’11 febbraio 2013 nella Sala del Concistoro, è inequivocabilmente chiaro. Non c’è niente da “interpretare”. Alla rinuncia seguiva la Sede vacante, poi il Conclave e alla fine l’elezione del nuovo Papa. Il Papa legittimo si chiama Francesco».

Un anno fa ha raccontato ancora «Non è un segreto che fra i due Papi c’è una buona relazione. Si parlano, si scrivono, si telefonano… Quello che si dicono faccia a faccia non posso saperlo. Ci sono state diverse visite di papa Francesco da noi, al monastero Mater Ecclesiae, e anche papa Benedetto è stato invitato a Santa Marta, da papa Francesco».

Nel gennaio 2015 mons. Georg si è lasciato ancora una volta intervistare, affermando: «Non conosco dichiarazioni dottrinali di Francesco che siano contrarie a quelle del suo predecessore». Nel febbraio 2015 nuova intervista, nella quale ha nuovamente ha smentito il complottismo di chi ritiene che dietro le dimissioni di Ratzinger vi siano poteri occulti e pressioni di qualunque tipo. Aggiungendo: «Benedetto e Francesco sono diversi, talvolta molto diversi, i modi di espressione. Ma li accomuna la sostanza, il contenuto, il depositum fidei da annunciare, da promuovere e da difendere. Chi dubita di Papa Francesco ha poco senso della Chiesa».

E’ evidente che chi intende giudicare il pontificato di Francesco, contrapponendolo al precedente, non può più eludere il sostegno che continuamente arriva da “casa Ratzinger” al Papa attuale.


Credente
00lunedì 29 agosto 2016 08:15

La filiale resistenza di san Bruno di Segni a Papa Pasquale II



san Bruno(di Roberto de Mattei) Tra i più illustri protagonisti della riforma della Chiesa dell’XI e del XII secolo, spicca la figura di san Bruno, vescovo di Segni e abate di Montecassino. Bruno nacque attorno al 1045 a Solero, presso Asti, in Piemonte. Dopo aver studiato a Bologna, fu ordinato prete nel clero romano e aderì entusiasticamente alla riforma gregoriana. Papa Gregorio VII (1073-1085) lo nominò vescovo di Segni e lo ebbe tra i suoi più fedeli collaboratori. Anche i suoi successori, Vittore III (1086-1087) e Urbano II (1088-1089), si valsero dell’aiuto del vescovo di Segni, che univa l’opera di studioso ad un intrepido apostolato in difesa del Primato romano.


Bruno partecipò ai concili di Piacenza e di Clermont, nei quali Urbano II bandì la prima crociata e negli anni successivi fu legato della Santa Sede in Francia e in Sicilia. Nel 1107, sotto il nuovo Pontefice Pasquale II (1099-1118), divenne abate di Montecassino, una carica che lo rendeva una delle personalità ecclesiastiche più autorevoli del suo tempo. Grande teologo, ed esegeta, risplendente per dottrina, come scrive nei suoi Annali il card. Baronio (tomo XI, anno 1079), è considerato come uno dei migliori commentatori della Sacra Scrittura del Medioevo (Réginald Grégoire, Bruno de Segni, exégète médiéval et théologien monastique, Centro italiano di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto 1965).


Siamo in un’epoca di scontri politici e di profonda crisi spirituale e morale. Nella sua opera De Simoniacis, Bruno ci offre un’immagine drammatica della Chiesa deturpata del suo tempo. Già dall’epoca di Papa san Leone IX (1049-1054) «Mundus totus in maligno positus eratnon v’era più santità; la giustizia era venuta meno e la verità sepolta. Regnava l’iniquità, dominava l’avarizia; Simon Mago possedeva la Chiesa, i Vescovi e i sacerdoti erano dediti alla voluttà e alla fornicazione. I sacerdoti non si vergognavano di prender moglie, di celebrare apertamente le nozze e di contrarre matrimoni nefandi. (…) Tale era la Chiesa, tali erano i vescovi e i sacerdoti, tali furono alcuni tra i Romani Pontefici» (S. Leonis papae Vita in Patrologia Latina (= PL), vol. 165, col. 110).


Al centro della crisi, oltre al problema della simonia e del concubinato dei preti, c’era la questione delle investiture dei vescovi. Il Dictatus Papae con cui, nel 1075, san Gregorio VII aveva riaffermato i diritti della Chiesa contro le pretese imperiali, costituì la magna charta a cui si richiamarono Vittore III e Urbano II, ma Pasquale II abbandonò la posizione intransigente dei suoi predecessori e cercò in tutti i modi un accordo con il futuro imperatore Enrico V. Agli inizi di febbraio del 1111, a Sutri, chiese al sovrano tedesco di rinunciare al diritto all’investitura, offrendogli in cambio la rinuncia della Chiesa ad ogni diritto e bene temporale.


Le trattative andarono in fumo e, cedendo alle intimidazioni del re, Pasquale II accettò un umiliante compromesso, firmato a Ponte Mammolo il 12 aprile del 1111. Il Papa concedeva ad Enrico V il privilegio dell’investitura dei vescovi, prima della consacrazione pontificia, con l’anello e con il pastorale che simboleggiavano sia il potere sia temporale che spirituale, promettendo al sovrano di non scomunicarlo mai. Pasquale incoronò quindi Enrico V imperatore in San Pietro.


Questa concessione suscitò una moltitudine di proteste nella cristianità perché ribaltava la posizione di Gregorio VII. L’abate di Montecassino, secondo il Chronicon Cassinense (PL, vol. 173, col. 868 C-D), protestò con forza contro quello che definì non un privilegium, ma un pravilegium, e promosse un movimento di resistenza al cedimento papale. In una lettera indirizzata a Pietro, vescovo di Porto, definisce il trattato di Ponte Mammolo un’ «eresia», richiamando le determinazioni di molti concili: «Chi difende l’eresia ‒ scrive ‒ è eretico. Nessuno può dire che questa non sia un’eresia» (Lettera Audivimus quod , in PL, vol. 165, col.1139 B).


Rivolgendosi poi direttamente al Papa, Bruno afferma: «I miei nemici ti dicono che io non ti amo e che sparlo di te, ma mentono. Io infatti ti amo, come devo amare un Padre e un signore. Te vivente, non voglio avere altro pontefice, come assieme a molti altri ti ho promesso. Ascolto però il Salvatore nostro che mi dice: “Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me”. “(…) Devo dunque amare te, ma più ancora devo amare Colui che ha fatto te e me» (Mt. 10-37). Con lo stesso tono di filiale franchezza, Bruno invitava il Papa a condannare l’eresia, perché «chiunque difende l’eresia è eretico» (Lettera Inimici mei, in PL, vol. 163, col. 463 A-D).


Pasquale II non tollerò questa voce di dissenso e lo destituì da abate di Montecassino. L’esempio di san Bruno spinse però molti altri prelati a chiedere con insistenza al Papa di revocare il pravilegium. Qualche anno dopo, in un Concilio che si riunì in Laterano nel marzo del 1116, Pasquale II ritrattò l’accordo di Ponte Mammolo. Lo stesso Sinodo lateranense condannò la concezione pauperistica della Chiesa dell’accordo di Sutri. Il concordato di Worms del 1122, stipulato tra Enrico V e papa Callisto II (1119-1124), concluse – almeno momentaneamente – la lotta per le investiture. Bruno morì il 18 luglio 1123. Il suo corpo fu sepolto nella cattedrale di Segni e, per sua intercessione, si ebbero subito molti miracoli. Nel 1181, o, più probabilmente, nel 1183, papa Lucio III lo accolse fra i santi.


Qualcuno obietterà che Pasquale II (come più tardi, Giovanni XXII sul tema della visione beatifica) non cadde mai in eresia formale. Non è questo però il cuore del problema. Nel Medioevo il termine eresia era usato in senso ampio, mentre soprattutto dopo il Concilio di Trento, il linguaggio teologico si è affinato, e si sono introdotte precise distinzioni teologiche tra proposizioni eretiche, prossime all’eresia, erronee, scandalose, etc. Non ci interessa definire la natura delle censure teologiche da applicare agli errori di Pasquale II e Giovanni XXII, ma di stabilire se a questi errori fosse lecito resistere.


Tali errori certamente non furono pronunciati ex cathedra, ma la teologia e la storia ci insegnano che se una dichiarazione del Sommo Pontefice contiene elementi censurabili sul piano dottrinale, è lecito e può essere doveroso criticarla, anche se non si tratta di un’eresia formale, solennemente espressa. È quanto fecero san Bruno di Segni contro Pasquale II e i domenicani del XIV secolo contro Giovanni XXII. Non furono essi a sbagliare, ma i Papi di quel tempo, che infatti ritrattarono le loro posizioni prima di morire.


Va inoltre sottolineato il fatto che coloro che con più fermezza resistettero al Papa che deviava dalla fede furono proprio i più ardenti difensori della supremazia del Papato. I prelati opportunisti e servili dell’epoca, si adeguarono al fluttuare degli uomini e degli eventi, anteponendo la persona del Papa al Magistero della Chiesa. Bruno di Segni, invece, come altri campioni dell’ortodossia cattolica, antepose la fede di Pietro alla persona di Pietro e redarguì Pasquale II con la stessa rispettosa fermezza con cui Paolo si era rivolto a Pietro (Galati 2, 11-14). Nel suo commento esegetico a Matteo 16, 18, Bruno spiega che il fondamento della Chiesa non è Pietro, ma la fede cristiana confessata da Pietro.


Cristo infatti afferma che edificherà la sua Chiesa non sulla persona di Pietro, ma sulla fede che Pietro ha manifestato dicendo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». A questa professione di fede Gesù risponde: «è sopra questa pietra e sopra questa fede che edificherò la mia Chiesa» (Comment. in Matth., Pars III, cap. XVI, in PL, vol. 165, col. 213). La Chiesa elevando Bruno di Segni agli onori degli altari suggellò la sua dottrina e il suo comportamento. (Roberto de Mattei)

da http://www.corrispondenzaromana.it/la-filiale-resistenza-di-san-bruno-di-segni-a-papa-pasquale-ii/


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