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Meditazioni per le festività (di Mons.Riboldi)

Ultimo Aggiornamento: 07/07/2017 21:39
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31/12/2013 11:14
 
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Santa Famiglia (Anno A)

La Sacra Famiglia, subito alla prova

Sembra proprio che la famiglia, oggi, sia nel mirino di chi la vorrebbe o correggere o distruggere.

Si preferisce non parlare più di un vincolo indissolubile, come è l’amore nel sacramento del matrimonio, ma esaltare ‘un amore senza controlli burocratici’, andando ‘dove ti porta il cuore’, ...troppe volte ‘allo sbaraglio’, come molte situazioni, a volte anche tragiche, dimostrano!

Infatti sappiamo tutti che l’amore non è un bene commerciabile, che può indifferentemente passare da un acquirente all’altro, ma ha bisogno di crescere e farsi prendere la mano dall’infinito, che è la sua natura, superando le inevitabili prove. Un vero amore, voluto e scelto, fondato sul sacramento, trova sempre la forza che Gesù, presente, assicura.

Non ho mai visto tanta serenità, tanto affetto, che superano la brevità del tempo in cui si vive insieme, come in matrimoni che celebrano le nozze d’argento, o d’oro e, a volte, di platino!

Oggi, sarà la mancanza di una vera formazione interiore, che ha come ingoiato i grandi valori, indissolubilmente legati alla capacità di amare, come la fedeltà, la gioia di fare della vita un dono, sarà il relativismo, il ‘mondo’, sarà quello che vogliamo, ma l’amore non è più ‘l’alito di Dio’ in noi, ma si dà il nome di ‘amore’ ad una merce ‘usa e getta’.

È quello che piace al nostro mondo consumistico, ma mette a rischio la stessa civiltà.

Tutte le famiglie dovrebbero pensare bene a questo, chiudendo la porta del cuore alla ‘grancassa’ di chi predica un ‘tale amore’.

C’è in atto uno scontro tra fedeltà nell’amore, che assicura felicità e santità, e una ‘falsa libertà’ nel rapporto, che può solo generare confusione e tanto, ma tanto, dolore.

La Chiesa, dopo aver celebrato il Natale di Gesù, celebra oggi la festa della Sacra Famiglia.

L’amore, per sua natura, crea altro amore e, nella famiglia, questa continuità o ‘incarnazione dell’amore’, siamo proprio noi: i figli.

È anche vero che la famiglia, come ogni persona, conosce gioie e sofferenze. Ogni famiglia sa bene che l’attendono numerose prove. Come è accaduto anche alla famiglia di Gesù.

Proprio il Vangelo di oggi ce ne offre un esempio:

“I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: ‘Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo’. Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: ‘Dall’Egitto ho chiamato mio figlio’.

Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: ‘Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino’. Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nazareth, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: ‘Sarà chiamato Nazareno’.” (Mt. 2, 13-23)

Fa davvero impressione come subito la Sacra Famiglia abbia conosciuto la cattiveria umana - generata dal timore che ‘il bambino’ potesse togliere il ‘potere’! – e sia stata costretta ad una fuga durissima, dalla Giudea verso l’Egitto, attraverso il deserto, non avendo dove alloggiare: una sofferenza che ancora oggi tanti vivono, senza aiuti e anche sfruttati!

Ma quel Bambino celeste non era venuto, e non è tra noi, per un confronto con il potere umano, che scatena guerre, provoca stragi e carneficine, o con altri idoli del mondo. È venuto nella povertà ed insicurezza, che è di tanti oggi: vero uomo ‘che conosce il nostro patire’.

Paolo VI, visitando Nazareth, il 5 gennaio 1967, così esortava le famiglie:

“Nazareth è la scuola in cui si è iniziato a comprendere la vita di Gesù, scuola del Vangelo. Vi si impara ad osservare, ad ascoltare, a meditare, a penetrare il significato così profondo e così misterioso di questa tanto umile, semplice manifestazione del Figlio di Dio. Forse si impara quasi insensibilmente ad imitare la lezione di silenzio. … O silenzio di Nazareth, insegnaci il raccoglimento, l’interiorità. Dacci la disposizione ad ascoltare le buone ispirazioni e le parole dei veri maestri. Insegnaci la necessità del lavoro, dello studio, della meditazione, della vita interiore personale, della preghiera, che Dio solo vede nel segreto. Nazareth ci insegni che cosa è veramente la famiglia, la sua comunione di amore, il suo carattere sacro e inviolabile. Impariamo da Nazareth come è dolce e insostituibile la formazione che essa dà. Impariamo come la sua funzione sia all’origine e alla base della vita sociale”.

In questa festa della Sacra Famiglia preghiamo per tutte le famiglie, a cominciare da quelle che soffrono o sono in difficoltà, con le parole di Papa Francesco:

Gesù, Maria e Giuseppe, a voi, Santa Famiglia di Nazareth, oggi volgiamo lo sguardo con ammirazione e confidenza; in voi contempliamo la bellezza della comunione nell’amore vero; a voi raccomandiamo tutte le nostre famiglie, perché si rinnovino in esse le meraviglie della grazia.

Santa Famiglia di Nazareth, scuola attraente del santo Vangelo: insegnaci a imitare le tue virtù con una saggia disciplina spirituale, donaci lo sguardo limpido che sa riconoscere l’opera della Provvidenza nelle realtà quotidiane della vita.

Santa Famiglia di Nazareth, custode fedele del mistero della salvezza: fa’ rinascere in noi la stima del silenzio, rendi le nostre famiglie cenacoli di preghiera e trasformale in piccole Chiese domestiche, rinnova il desiderio della santità, sostieni la nobile fatica del lavoro, dell’educazione, dell’ascolto, della reciproca comprensione e del perdono.

Santa Famiglia di Nazareth, ridesta nella nostra società la consapevolezza del carattere sacro e inviolabile della famiglia, bene inestimabile e insostituibile. Ogni famiglia sia dimora accogliente di bontà e di pace per i bambini e per gli anziani, per chi è malato e solo, per chi è povero e bisognoso.

Gesù, Maria e Giuseppe voi con fiducia preghiamo, a voi con gioia ci affidiamo.



Antonio Riboldi – Vescovo
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03/01/2014 07:37
 
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Buon Anno nel Nome di Maria SS.ma


 


Mi affretto a fare gli auguri di un anno pieno di Grazia, di Pace e serenità, non solo a voi miei carissimi, ma a tutti gli uomini.


E Dio solo sa – e noi con Lui – quanto bisogno c’è che il tempo che ci è donato da vivere su questa terra non sia  un diario in bianco o, peggio ancora, un diario con troppi errori, alcuni madornali, che ci fanno male.


L’anno appena trascorso certamente è stato ricco di azioni belle che, credo, tutti abbiamo compiuto davanti agli occhi del Padre, e Lui le conserva, così come ormai fanno parte della nostra storia tutte le manchevolezze, gli errori, che affidiamo con fiducia alla Sua Misericordia.


La vera sapienza, che è dono dello Spirito, per tutti, ci insegna infatti ad affidare alla Misericordia di Dio ciò che ormai non possiamo cancellare, ossia il passato, nel bene e nel male, per ritornare ad essere capaci di usare ogni istante della vita come programma di bene, riempiendo il diario delle nostre giornate di azioni buone agli occhi di Dio e degli uomini.


Viviamo ogni giorno – anche perché non sappiamo se sarà ‘uno dei tanti’, che Dio ci dona, o uno fra gli ultimi – come la grande occasione per essere ‘uomini di buona volontà’.


Oggi la Chiesa celebra la Solennità di Maria, Madre di Dio, come per darci una sicura compagnia nel nostro cammino quaggiù.


Per chi crede è una meravigliosa occasione per, non solo meditare, ma per metterci nel Suo Cuore di Mamma, donataci da Gesù in croce.


È un ineffabile dono quello di Gesù: darci per Mamma, Sua Mamma!


E la fede ci conferma che la Madonna non ci è Mamma ‘per modo di dire’, ma dal Cielo lo è con un Amore tenero e sollecito.


Conosce ognuno di noi e ci accompagna, non permettendo che restiamo soli. Se anche non la vediamo vicina fisicamente, lo è di fatto. Come le nostre mamme, del resto, ma molto più potente!


E che ci è vicina ce lo ricordano le tante apparizioni tra di noi, in cui con chiarezza, ci consiglia, come le nostre mamme, e ci dà il segno che ci segue.


E come si fa sentire la Sua vicinanza quando recitiamo il S. Rosario!


Il Vangelo ce la presenta, già dal Natale di Gesù, come Mamma che, davanti a ciò che succede, ‘custodisce tutto, meditandolo nel suo cuore’.


“In quel tempo – racconta Luca – i pastori andarono senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto com’era stato detto loro. Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo”. (Lc 2, 16-21)


Piace ripensare alle parole di Papa Francesco, pronunciate il giorno della Festa dell’Immacolata, che unisce il nostro destino a quello di Maria.


“Il mistero di questa ragazza di Nazareth, che è nel cuore di Dio, non ci è estraneo. Non è lei là e noi qui. No, siamo collegati. Infatti Dio posa il suo sguardo d’amore su ogni uomo e ogni donna! Con nome e cognome. Il suo sguardo di amore è su ognuno di noi. L’Apostolo Paolo afferma che Dio «ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati» (Ef  1,4). Anche noi, da sempre, siamo stati scelti da Dio per vivere una vita santa, libera dal peccato. E’ un progetto d’amore che Dio rinnova ogni volta che noi ci accostiamo a Lui, specialmente nei Sacramenti.


Allora, contemplando la nostra Madre Immacolata, bella, riconosciamo anche il nostro destino più vero, la nostra vocazione più profonda: essere amati, essere trasformati dall’amore, essere trasformati dalla bellezza di Dio. Guardiamo lei, nostra Madre, e lasciamoci guardare da lei, perché è la nostra Madre e ci ama tanto; lasciamoci guardare da lei per imparare a essere più umili, e anche più coraggiosi nel seguire la Parola di Dio; per accogliere il tenero abbraccio del suo Figlio Gesù, un abbraccio che ci dà vita, speranza e pace.”


E sentiamo anche come rivolte oggi a ciascuno di noi le domande che pose in un’altra occasione, proprio guardando a Maria come il modello della Chiesa, che siamo noi:


“Maria la fede l’ha vissuta nella semplicità delle mille occupazioni e preoccupazioni quotidiane di ogni mamma, come provvedere il cibo, il vestito, la cura della casa …. Il “sì” di Maria, già perfetto all’inizio, è cresciuto fino all’ora della Croce. E lì la sua maternità si è dilatata abbracciando ognuno di noi, la nostra vita, per guidarci al suo Figlio … E noi, ha aggiunto il Pontefice, “ci lasciamo illuminare dalla fede di Maria, che è Madre nostra? Oppure la pensiamo lontana, troppo diversa da noi? Nei momenti di difficoltà, di prova, di buio, guardiamo a lei come modello di fiducia in Dio, che vuole sempre e soltanto il nostro bene?”.


Guardiamo dunque alla Mamma celeste e chiediamole un cuore simile al Suo, capace di aprirsi alla parola di Dio, che si manifesta negli eventi, ‘custodendo’ le persone e le situazioni, perché il piano di Dio possa realizzarsi nel mondo.


Rinnovo a tutti il mio augurio di BUON ANNO e prego e benedico.


 Antonio Riboldi – Vescovo


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06/01/2014 23:37
 
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Omelia del giorno 6 Gennaio 2014

Epifania del Signore

Oggi, come i Magi, vorremmo ‘seguire la stella’ per provare poi la gioia di avere trovato Gesù.

Così ce li presenta il Vangelo: “Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, alcuni magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: ‘Dov’è colui che è nato, il Re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo’”. (Mt. 2, 1-12)

La risposta è davvero drammatica. Per Erode, il solo pensiero, che nella sua corte si accennasse a qualcuno, che si riteneva fosse venuto a prendere il suo posto, gli fa perdere la ragione, e così prende la sola decisione possibile di chi è ottenebrato nella mente e nel cuore dal proprio egocentrismo distruttivo, da un vero delirio di onnipotenza, ossia cercarlo per ucciderlo.

Erode non poteva permettere che altri, al di fuori di lui, potesse gestire il potere e governare i sudditi. Si considerava l’unico capace di governare, o forse più semplicemente considerava il potere come l’unica via per garantirsi i privilegi di cui godeva.

Un’assurdità, che farebbe sorridere, se non si considerano le conseguenze!

Basterebbe dare uno sguardo alla storia di sempre, dove gli uomini che governano o hanno un posto di prestigio, troppo spesso ne hanno seguito le orme, ieri e oggi, con tutte le sofferenze che ne sono derivate per il popolo.

È l’ambizione del potere che si manifesta come uso e non come servizio degli altri e chiude il cuore e inaridisce l’anima.

Non è il ‘potere regale’ di Gesù, che ha dato tutto se stesso per noi; non è la strada che, sulle sue orme, percorrono i santi o i fratelli cristiani, che concepiscono la vita come un passaggio in cui ‘servirsi vicendevolmente’, per camminare insieme verso l’unica mèta: il Regno del Padre.

Il Vangelo dice che ‘Gesù era appena nato’, aveva appena aperto gli occhi di bambino su questa terra, emesso il suo primo vagito, che già ‘chiamava’ a Sé, tramite i Magi, tutte le genti, per proclamare la Buona Novella che Dio ama talmente il mondo ed esprime il Suo amore, mandando proprio Lui, il suo Figlio prediletto, l’Emmanuele, il Dio-con-noi.

Questo annuncio dona tanta gioia a noi ‘uomini di buona volontà’, che eravamo senza un futuro con Dio. E’ la gioia e l’immensità di amore che Dio continua ad annunciare a ciascuno e a tutta l’umanità con il Santo Natale.

Avevano fatto tanta strada, i Magi, attirati dalla stella, che certamente per loro era un segno di un qualche evento straordinario: non sapevano tutto, non conoscevano tutto, ma si erano affidati al mistero di quel segno.

Erano uomini che amavano la luce, quella che brilla dentro, nell’anima, quella che illumina ogni uomo e gli fa capire il senso e la verità di se stesso e quindi la vera felicità, ma solo se vuole lasciarsi… illuminare!

I Magi non erano uomini disposti a farsi deviare, nella ricerca di questa luce inattesa, dalla stupidità o dal non senso del loro tempo; dalla cecità con cui tante volte gli uomini percorrono le vie della vita. Erano persone, i Magi, - e con loro tanti fratelli e sorelle ieri e oggi - che volevano arrivare fino in fondo alla ricerca. La verità, quella luce apparsa, era per loro più importante della stessa vita e valeva la pena di affrontare ogni fatica. È la storia dei santi di ogni tempo … anche oggi.

Del resto Dio li teneva e ci tiene come sotto il suo sguardo: tracciava e traccia nel cielo o nelle ispirazioni interiori la via da percorrere, ‘ognuno con la sua stella’, fino a fermarli e fermarci solo quando giungono alla capanna di Betlemme o alle ‘nostre Betlemme’.

Ne conosco tanti ‘magi’ tra di noi, anche se sfuggono all’attenzione di troppi. Ne ho conosciuti alcuni per cui è anche ‘venuto il tempo’, non solo di vivere la ricerca, ma anche di darne testimonianza con la vita. Pensiamo anche solo a Madre Teresa di Calcutta, a Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII, santi del nostro tempo. La proclamazione della loro santità è proprio mostrare al mondo, come anche ai nostri tempi, come in ogni tempo, vi sono uomini e donne che dopo aver tanto cercato Gesù, lo hanno incontrato e vissuto per lui, donandosi ai fratelli.

Sono tanti i fratelli e le sorelle che, proprio nel nostro oggi, in tante parti del mondo, rischiano ogni giorno la vita, per la loro fede in Gesù: sono i testimoni viventi del Maestro, l’epifania del Signore, che interpella noi e la nostra fede. Sì perché – rincresce dirlo – troppo ci siamo adattati all’oscurità di questo mondo, che non può offrire una stella che ci indichi un’attuale Betlemme con Gesù e che valga la pena di raggiungere.

La testimonianza di tanti nostri fratelli ci aiuti dunque a ‘cercare la stella’, che Dio fa risplendere nella vita di ciascuno, per giungere all’incontro con Gesù, risorto e vivente, l’unico che può davvero dare senso e pienezza alla nostra esistenza.

Ricordiamolo sempre: nella vita c’è per tutti la buona stella, ossia quella luce interiore, che ci indica la strada da percorrere. Ma siamo capaci di scorgerla e seguirla?

Ricordiamoci che lontani da Gesù c’è solo oscurità e smarrimento, che sono facili da notare, oggi, sul volto di tanti, troppi: è un vivere senza sapere dove si va e qual è la via da percorrere.

Non resta che chiedere la fortezza dei Magi di ieri e di oggi, decisi ad arrivare fino in fondo. Gesù non si stanca di attenderci, con Maria, sua madre, per poterci far partecipare alla loro gioia.

Così, Paolo VI, il 6 gennaio 1964, proclamava la bellezza e necessità che Cristo sia la vera luce del mondo: ‘Il Cristo che noi portiamo all’umanità, è il ‘Figlio dell’uomo’: così si chiamava lui stesso. È il primogenito, il prototipo della nuova umanità, il fratello, l’amico per eccellenza. Solo di lui si può dire in tutta verità che egli ben sapeva cosa ci fosse nell’uomo. Egli è l’inviato di Dio, ma non per condannare il mondo, ma per salvarlo. È il buon pastore dell’umanità … Accogliamolo”.

Antonio Riboldi – Vescovo
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14/01/2014 07:23
 
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 Battesimo del Signore (Anno A)


 Il Battesimo di Gesù


Leggendo il Vangelo che la Chiesa ci offre da meditare, credo che molti si chiederanno come mai il battesimo veniva amministrato da Giovanni Battista, prima di Gesù.


Cosa voleva allora ed oggi essere battezzati? Che senso ha il mio battesimo?


Sappiamo che nel piano di salvezza di Dio, Giovanni il Battista, voluto dal Padre, in modo straordinario fin dalla nascita, doveva essere ‘la voce che grida nel deserto per preparare la via del Signore’. Ed era talmente forte la sua testimonianza che molti correvano a lui. Lo ascoltavano, mettevano in discussione il proprio modo di vivere e chiedevano a Giovanni: ‘Che cosa dobbiamo fare?’. Suggellavano così la loro volontà di cambiamento immergendosi totalmente nelle acque del Giordano, facendosi versare l’acqua sulla testa da Giovanni.


Quel lavarsi era un professare apertamente quanto gli Ebrei avevano fatto per mano di Dio, proprio nel passaggio del Giordano: lasciare la sponda della schiavitù e conquistare la libertà, che era vivere pienamente dentro il Patto di amicizia, l’Alleanza, che Dio aveva fatto con il suo popolo.


Anche Gesù va da Giovanni: “In quel tempo – racconta il Vangelo – Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: ‘Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?’. Ma Gesù gli rispose: “Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia”. Allora egli lo lasciò fare. Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento”. (Mt. 3, 13-17)


Quello di Gesù non è un battesimo di conversione, ma la solenne proclamazione di chi veramente egli era in cielo e sulla terra.


Noi cristiani normalmente iniziamo la nostra vita di figli di Dio, di cui il Padre si compiace, nel nostro Battesimo. È per quell’atto sacramentale che riceviamo il dono della pienezza della figliolanza. Ed è per questo che ogni nascita a Dio, nel battesimo, è davvero una grande festa, perché da creature senza futuro, diventiamo realmente figli di Dio.


Non so cosa sia più dolce, dire ‘papà’ a Dio che ci ha creati o dire ‘papà’ a Dio Padre che ci rende nel battesimo suoi figli, per sempre. Non so se sia più inebriante la tenerezza di una mamma o la tenerezza di Dio che in quel momento diventa il nostro incredibile e meraviglioso ‘Papà’.


Veramente non si dovrebbe fare festa solo quel giorno, ma il nostro battesimo dovrebbe essere festa di tutti i giorni, sapendo che, in quanto figli, siamo davvero nel Cuore e nella Provvidenza del Padre che ha cura di noi, ‘di ogni capello del nostro capo’!


Nella vita molti – purtroppo non tutti – abbiamo fatto esperienza della sicurezza dataci dalla presenza del nostro papà, che ci ha tracciato la via con la sua testimonianza di affetto e di dedizione. Piace ricordare il mio papà. Eravamo sette fratelli, molto vivaci. Mamma non riusciva sempre ad ottenere docilità, ma ogni volta che con noi c’era il papà, si creava un clima di serena serietà. Ci insegnava ad essere uomini, ma ancora di più, cristiani. Ogni domenica ci accompagnava tutti alla Santa Messa e vegliava sulla nostra condotta. Non solo, ma a pranzo chiedeva che cosa il parroco avesse detto nella predica, per misurare la nostra reale attenzione. Quando gli manifestai la mia volontà di farmi prete (ero ancora un bambino anagraficamente!) mi rispose seriamente: ‘Sappi che quello che chiedi è cosa grande e spero ti abbia ispirato Dio. Non è uno scherzo! E mi fece da guida negli anni della mia preparazione. Ricordo che il giorno dell’ordinazione sacerdotale, a Novara, non ebbe la forza, tanta era la commozione, di ‘legarmi’ le mani, durante la cerimonia e dovette intervenire mio fratello maggiore.


Se grande e forte è stato l’amore del nostro papà, possiamo forse immaginare l’immensità incommensurabile dell’Amore del Padre? Quale grande dono essere Suoi figli.


Il cardinal Ballestrero, quando era arcivescovo di Torino, riguardo alla vocazione e missione dei laici nella Chiesa, parlando del battesimo così affermava: “Punto di partenza per tutti i laici è il Battesimo, fonte inesauribile che crea nuovi figli di Dio, nuovi fratelli di Cristo, nuove creature … dal battesimo nasce e si sviluppa la varietà delle vocazioni, dei ministeri e dei carismi al servizio del Regno di Dio. Dal battesimo fluiscono le mirabili ricchezze nella Chiesa”.


Il Concilio, parlando dei battezzati, ha parole ancora più solenni, parole che ci danno la profondità di quanto il Padre disse di Suo Figlio: ‘Questo è il mio figlio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto’. È popolo eletto di Dio, un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Nessuna ineguaglianza quindi in Cristo e nella Chiesa. È veramente tracciata la natura, la bellezza di ogni battezzato, tutti insieme nel popolo di Dio, che è la Chiesa.


C’è dunque da domandarsi seriamente come mai ci sia così poca considerazione di un tale dono da parte di tantissimi che essendo stati battezzati sono di fatto figli di Dio.


A volte si ha l’impressione che ricevere questo sacramento sia diventato un rito più che la consapevolezza del dono. Come mai non si sente la gioia e il desiderio di esprimerla, proclamando: ‘Io sono battezzato!’.


È sempre il cardinal Ballestrero che diede la risposta: ‘Non lo sanno e non sono convinti. In genere si rivolgono alla Chiesa come ad una realtà diversa, ‘altra’, in cui hanno poco spazio i sacramenti, l’annuncio della Parola. 


Antonio Riboldi – Vescovo


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17/01/2014 07:59
 
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II Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

Cercare Gesù

Vi è oggi una ricerca, che si fa sempre più intensa, anche là e in chi meno ce lo aspettiamo, ed è quella di conoscere veramente, più profondamente e intimamente, Gesù.

Può anche sembrare un fatto assurdo che, dopo duemila anni, in cui tutta la civiltà occidentale è stata immersa nel Cristianesimo, tanto che questi ne ha dettato temi e linee sia nell’arte, sia nella cultura in generale, oggi pare si sia nuovamente come all’inizio della conoscenza di Gesù, come se Lui, il Signore e Maestro della storia, fosse nato solo ieri.

Ci si accorge lentamente, ma sempre con maggiore consapevolezza, - e questo è uno degli indici di speranza del nostro tempo – che Gesù non è una figura leggendaria e neppure solo un personaggio storico da tramandare alla memoria o da riporre in una nicchia.

Sentiamo che Lui, Gesù, il Risorto, è parte della nostra stessa vita.

Ci si rende conto che la nostra identità non è più solo ‘nostra’, ma è chiamata a diventare ‘Sua immagine’. Ci si accorge che senza di Lui il nostro volto perde ogni contorno, si deforma, può diventare mostruoso, se non riflette il Suo volto, stupendo e vitale.

Abbiamo ormai la certezza che la nostra gioia non è più vera gioia se non attingiamo a piene mani al senso della vita che solo Lui può donarci; le nostre mani rimangono vuote di fatti veri se non diventano mani di Gesù ed infine che il nostro cuore è un baratro spaventoso, anche quando crede di amare, se il nostro amore non è continuamente rigenerato ed alimentato da Lui che è davvero l’essenza dell’amore, perché solo ‘Dio è carità’.

Ogni nostro discorso di pace diventa un vuoto scorrere di parole, che si ripetono come un ritornello per tutta l’esistenza umana, se a riempirle non c’è Lui, Gesù: ‘Vi dò la mia pace’.

Il nostro stesso desiderio di verità, di bene, la stessa nostra vita diventa un girare a vuoto nella nebbia se non trova fondamento in Lui, Gesù: ‘Io sono la Via, la Verità e la Vita’.

Se per noi è come trovarci sulla sponda del Giordano, accanto a Giovanni Battista, con la volontà di una conversione, di un cambiamento di vita, in attesa di ‘Uno’ che sia la vera salvezza del mondo, è già molto.

Sarebbe così tremendamente tragico se continuassimo a camminare o vivere una vita che è tenebra, scrollando le spalle al desiderio di Luce, che è Gesù: ‘Io sono la luce del mondo’.

Parlavo un giorno ad un’assemblea di giovani. Si dibatteva sul solito tema di come vincere la violenza e la mentalità dell’aggressività, che l’uomo ha e continua a diffondere intorno a sé, fino ad ‘organizzarla’ nella criminalità. ‘Bisognerebbe – affermavo – che gettassimo alle spalle la stupida corsa dietro ai simboli del mondo, di ogni tempo, del nostro tempo, che sono il prestigio, la ricchezza e il potere, in sintesi la voglia di dimostrare di essere ‘qualcuno’, per rivestirci delle bellezze di Cristo, fino a rivelare il Suo volto attraverso il nostro e poi scoprire il Suo volto nel volto di ogni nostro fratello. ‘Ma Padre – rispose un giovane – penso che pochi sarebbero disposti a deporre le maschere del benessere, anche se rende schiavi. Continuiamo a condannare quello che costruiamo, a soffrirne per poi magari chiederci come cambiare. E allora che fare?’.

Ci vuole la professione di fede di Giovanni Battista che oggi leggiamo nel Vangelo:

“In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: ‘Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: ‘Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me’. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele’.

Giovanni testimoniò dicendo: ‘Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: ‘Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo’. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio”. (Gv. 1, 29-34)

Con questa testimonianza certamente Giovanni avrà provato tutta la pace e la gioia di chi, per dono di Dio, ha potuto contemplare il Volto del Padre nel Cristo Suo Figlio.

Come accade con tanti fratelli nella fede che, a volte, quando parlano di Gesù, testimoniano un grande Amore, possibile a viversi sopra la terra.

Non dicono solo parole, ma riflettono negli occhi e nella vita la Sua Luce, tanto da illuminare chi li accosta e l’ambiente stesso in cui vivono.

Noi purtroppo davanti a Cristo siamo spesso in contraddizione: forse lo vorremmo, ma abbiamo anche paura di appartenergli.

O Gesù molte volte ti gridiamo che Tu sei il nostro Tutto. Tutto, perché ogni realtà è nulla se non ci sei Tu. Sappiamo per esperienza quanto vuoto ci sia nel vivere senza di Te.

O Gesù ti abbiamo sempre davanti agli occhi, appeso ad una croce, ma abbiamo anche la sensazione di averti appeso noi, perché Tu non possa muoverti liberamente nella nostra vita.

Scendi, ti preghiamo, da quella croce, entra nella nostra vita, muoviti in essa liberamente, fino a diventare la nostra resurrezione, il nostro Amore senza fine, che vogliamo riversare sui nostri fratelli.

Antonio Riboldi – Vescovo
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31/01/2014 09:39
 
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 Presentazione del Signore


 


La presentazione al tempio


  


La Chiesa quest’anno celebra un gesto di devozione che Giuseppe e Maria vollero compiere per indicare la loro appartenenza al Padre.


Allora, non essendo ancora avvenuta la redenzione di Gesù, che ci fa tutti figli nel battesimo, gli ebrei usavano mostrare la loro appartenenza, o almeno il desiderio di essere considerati figli del Padre, visitando il tempio, che era considerato il luogo della Presenza di Dio.


Presentavano il primogenito come atto di sottomissione e fede in Dio.


Per questo vi era la presentazione al tempio. La famiglia di Gesù, Giuseppe e Maria, sentono profondamente la loro appartenenza al Padre, e sanno, che il Figlio è stato loro affidato, perché lo custodiscano, secondo la volontà del Padre, poiché Egli è venuto per la salvezza di molti.


È davvero commovente il fatto che Dio ci ami tanto. Forse non ci pensiamo e, a volte, viviamo senza lo sguardo rivolto alla vera ragione della nostra nascita, che dovrebbe essere un coraggioso e gioioso cammino verso la vera vita.


La Chiesa vuole ricordarci la premura di Giuseppe nel portare la sua famiglia al tempio, come atto di fede e di amore. Ed è proprio in quel momento che la figura di Simeone, uomo giusto e timorato di Dio si rivolge a Maria, la mamma.


Rileggiamo questo stupendo racconto degli inizi della vita di Gesù tra di noi.


“Quando furono compiuti i giorni della purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: ‘Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore’ – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore. Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: ‘Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele’.” (Lc. 2, 22-32)


In questa scena così semplice ed ordinaria, in cui una coppia di sposi timorati di Dio porta all’altare l’offerta dei poveri, Simeone ha gli occhi del cuore aperti e guarda con una vista molto più acuta di tutti coloro che pure sono lì presenti.


È lo sguardo che proviene dallo Spirito Santo e dall’attesa vigile di vedere realizzata un’antica promessa fatta da Dio. Simeone sa che Dio è sempre fedele alle Sue promesse.


Non stupiscono dunque le sue parole: sono la profezia di quanto avverrà nella vita di Gesù e Maria. Gesù sarà molto amato, ma anche molto odiato e osteggiato.


La sua non sarà ‘la passeggiata di un Dio fatto uomo tra noi’, ma una vita a lungo meditata e preparata a Nazareth, con una missione di dono totale fino alla croce per la nostra salvezza.


Un dono a cui Maria parteciperà con tutta se stessa: ‘Una spada ti trapasserà l’anima’.


La presentazione di Gesù al tempio non è un mistero gaudioso, ma doloroso. Maria, con Giuseppe, presenta a Dio il figlio Gesù, glielo ‘offre’. Ora, ogni offerta è una rinuncia.


Comincia il mistero della sua sofferenza, che raggiungerà il culmine ai piedi della croce.


Gesù, il Primogenito per eccellenza, non sarà ‘risparmiato’, ma con il suo sangue porterà la nuova e definitiva liberazione.


Ma questa liberazione non avrà i toni trionfalistici che il mondo attendeva: la redenzione passa attraverso il silenzio, il nascondimento, il rifiuto e la croce stessa.


È in quel racconto che vediamo, come Simeone, la nostra storia di redenti alla vita celeste.


Scopriamo il vero disegno che Dio ha per noi, nel donarci il frutto della redenzione del Figlio, preparato tanto a lungo.


Dio non ci ha certamente creati per una breve esistenza da vivere qui, ma ha mandato il Figlio, lo ha donato, perché seguendoLo partecipassimo della sua stessa gloria. Ma ci pensiamo?


 


Antonio Riboldi – Vescovo


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06/02/2014 07:36
 
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V Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

Lo sguardo di amore è luce di vita

Credo che tutti abbiamo provato l’esperienza dello smarrimento e dell’incertezza, che a volte sconfina nella paura, quando, di sera, all’improvviso se ne va la luce in casa o per la strada su cui camminiamo.

Tutto prende una dimensione diversa: non sai più dove sei, cosa ti stia succedendo e dove stai mettendo i piedi. È come quando ci si trova immersi nella nebbia di notte.

Ma poi appena torna la luce o il sereno si prova un immenso senso di sollievo, quasi di gioia.

Oggi, se facciamo bene attenzione, l’umanità, per tante ragioni, è come se avesse smarrito la luce.

A volte ci sentiamo avvolti da un profondo buio dentro e fuori di noi. Tentiamo tanti discorsi sulla pace, sull’onestà, sulla tolleranza, ma paiono avvolti dalle tenebre, tanto da dubitare se serva anche solo ascoltarli.

Abbiamo bisogno di luce interiore, ma chi merita di essere oggi considerato ‘luce’. Ancor più a chi possiamo rivolgerci perché ci faccia luce?

Fa davvero compassione scoprire tanti nostri fratelli e sorelle, nelle famiglie, nella società, pervasi da un buio ‘dentro’, dove si dovrebbe essere chiamati a cercare e trovare la vera strada della vita. A chi rivolgersi?

Gesù è la vera luce. Luce che illumina il mondo, ma purtroppo, ci dice l’evangelista Giovanni che, anche chi è stato creato per mezzo di Lui, spesso non sa trovare la via della luce.

Basta guardarci attorno. Non riconoscere che Gesù è la luce corrisponde a scegliere di vivere nelle tenebre, ossia fuori dalla verità, e fare dell’amore per se stessi la vanità della nostra stessa esistenza, insieme a tante altre realtà del mondo, che pretenderebbero di prendere il posto alla Luce vera: una follia. Non ci scandalizziamo, allora, di questo uomo che vive nel buio.

Occorre incontrare Gesù, Lui, Figlio di Dio, è la sola Luce, da cui dobbiamo farci inondare. E l’Incontro non è soltanto motivo di una gioia profonda, come quando splende il sole, ma diventa anche la responsabilità di vivere testimoniando il dono ricevuto, grazie alla Sua Presenza nella nostra vita, così da diventare noi stessi una fonte di luce e di gioia per chi ci sta vicino.

Nella sua scuola di verità e di luce per la vita, Gesù ci dice:

“Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli”. (Mt 5, 13-16)

È davvero un grande compito quello che Gesù suggerisce al credente: ‘essere luce’.

Ci sono fratelli e sorelle – tanti, ma non fanno rumore, proprio come la luce – che si distinguono per la loro fede vissuta e la bontà. Sono di ogni condizione, lingua, nazione… Ne ho conosciuti tanti, donne, uomini, giovani e anziani, che si imponevano all’attenzione per qualcosa di indefinito, che appartiene proprio alla luce: una luminosità interiore che invadeva anche coloro che li avvicinava.

Alcuni poi si distinguono per la missione specifica che il Signore ha loro affidato.

Ho avuto la gioia di stare parecchie volte con Giovanni Paolo II, che aveva per me un affetto particolare. Stando con lui si aveva davvero l’impressione di essere nella luce. Non faceva nulla di particolare, ma sapeva dare a chi gli stava vicino il senso della fede e della gioia. Era davvero la luce che splendeva, come Gesù, sul mondo.

E come non pensare al nostro Papa Francesco, che con parole e gesti semplici, ma profondi e concreti, riesce davvero ad irradiare la pace, che il Signore dona ai suoi discepoli fedeli.

Quello che Gesù chiedeva ai suoi discepoli è ciò che oggi chiede ad ogni fedele, ad ogni cristiano. C’è da fare un serio esame di coscienza. Sappiamo uscire dal frastuono del mondo, per entrare nella serenità della fede e nella donazione della vita?

Abbiamo coscienza che la gioia di ‘essere luce’ nel mondo dà sapore alla vita?

Troppo spesso si ha l’impressione che siamo opachi e, Dio non voglia, addirittura immersi nelle stesse tenebre del mondo. Dobbiamo trovare la forza e la fede di uscire dal chiasso e dagli sviamenti che il mondo propone, sapere rientrare in se stessi dove Dio dimora e suscita serenità e gioia.

Ricordo un fatto che mi colpì in bene, quando ero parroco a Santa Ninfa. Dopo il terremoto si viveva tutti nelle baracche. Venne a farci visita l’Onorevole Aldo Moro, allora Presidente del Consiglio. Quel giorno vi era la supplica di Pompei. Lasciò tutti e con me volle partecipare all’ora di adorazione al Santissimo, cui faceva seguito la supplica.

Mi impressionò il suo vivere la fede senza timori. Rimase in ginocchio tutta l’ora. Quando uscì e si immerse tra la gente, molti contestavano la mancata presenza del Governo per la ricostruzione. Sorbì tutti gli urli senza ribellarsi. Gli chiesi da dove venisse tanta pacatezza e serenità. ‘Da Gesù’ mi rispose ‘ con cui sono stato per un’ora e che è sempre con me’. Una lezione di fede vera, che si tradusse, nelle seguenti settimane, in un’azione efficace e concreta a servizio della ricostruzione per le popolazioni colpite. Di quanto abbiamo bisogno di tali credenti! E quanta responsabilità per ciascuno di noi, che ora sappiamo di essere chiamati a diventare ‘luce’ e ‘sale’ per rendere questo mondo migliore!

Antonio Riboldi – Vescovo
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14/02/2014 07:31
 
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VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)


 Con forza Gesù fa chiarezza sulla verità e la giustizia


  


Non tanto tempo fa – e vale oggi e sempre – i vescovi italiani mettevano il dito nella ‘piaga’ della questione morale. Una chiarezza per fare posto alla verità e giustizia in ogni tempo e con tutti.


La debolezza dell’uomo lo porta sempre, in ogni tempo, e ancora oggi, a tendere ad uno stile di vita basato sul permissivismo come regola di comportamento, cercandone anche le giustificazioni.


Oggi, a volte, anche solo per il voler accennare alla necessità di essere giusti secondo Dio, ossia essere fedeli alla Legge del Signore, si rischia di essere tacciati da ‘guardiani di un passato, che deve essere seppellito’, dei retrogradi.


Tranne poi dover constatare che nulla va bene, troppi sono disonesti, puntare il dito contro una ‘generazione marcia di corrotti e corruttori’, in cui non esiste più il senso di una parola che venga mantenuta, viene meno il senso del dovere personale, fino alla perdita del pudore. Tutto sembra lecito. Non vi è più capacità di discernimento tra il giusto e il falso, l’onesto e il disonesto, il lecito e il proibito.


Si è, troppe volte, oscurato il cielo azzurro e senza nubi della verità.


Ma un uomo senza un ordine morale, senza una legge che sia guida e sostegno a tale ordine, assomiglia ad una casa costruita senza criteri che ne assicurino la stabilità, tanto che presto o tardi rischia di andare in pezzi.


E questo vale non solo per il singolo, ma per una famiglia, una comunità, una nazione, uno Stato.


Dio, che ci ha voluti simili a Sé nella santità, nella bellezza del Suo Amore e della Sua Vita, non poteva che desiderare di ornare il nostro cuore delle Sue stesse virtù: darci, insomma, una Legge che fosse l’espressione del come noi dobbiamo vivere la nostra amicizia con Lui, come indirizzare i nostri pensieri ed azioni.


Questa Legge fondamentale, il comandamento che deve regolare la vita dell’uomo, figlio di Dio, che ci unisce a Lui, è un dono che ci viene dato dall’Alto ed è l’Amore. 


L’apostolo Paolo lo afferma con forza: Fratelli, tra coloro che sono perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla. Parliamo invece della sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria. Nessuno dei dominatori di questo mondo l’ha conosciuta. … A noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio”.(I Cor. 2, 6-10)


I comandamenti, tutti, sono dunque espressione dell’amore di Dio e sorgente dell’amore tra noi.


Sono il pilastro fondamentale della vita, che costruisce il suo cammino verso il Cielo.


Scrive il Siracide: “Se vuoi osservare i suoi comandamenti, essi ti custodiranno; se hai fiducia in lui, anche tu vivrai. Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua: là dove vuoi tendi la tua mano. Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà. Grande infatti è la sapienza del Signore; forte e potente, egli vede ogni cosa I suoi occhi sono su coloro che lo temono, egli conosce ogni opera degli uomini. A nessuno ha comandato di essere empio e a nessuno ha dato il permesso di peccare”.(Sir. 15, 16-21)


Spesso si sente dire: ‘Per molti, anche cristiani, pare ci sia solo un comandamento: fare ciò che piace, indipendentemente se è bene o male’.


Vorrei riflettessimo su un principio basilare: ‘tutto ciò che è generato’ da Dio, tutto, compresi i suoi comandamenti, è solo la natura del vero amore: è il Suo Amore che si rivolge a noi, offrendoci una via sicura per rispondere al Suo invito di amarlo. In questo sta la nostra piena realizzazione personale. Ma l’amore ha l’incredibile merito di essere gratuito, libero, non è mai e non può essere mai un atto dettato dalla paura o dalla sudditanza. Osservare la Parola del Padre è semplicemente dire ‘sì’ all’amore, ma appunto perché è amore, richiede la più grande fedeltà , che è poi la santità.


Chi del resto, quando ama, rifiuta il dialogo o addirittura rifiuta di ascoltare o fa il contrario, sapendo che così volge le spalle all’amato? Quando veramente si ama, sapendo di essere amati sinceramente, non solo si segue la parola dell’amato, ma addirittura si cerca di capirne i desideri e prevenirne quasi la richiesta.


Chi ha avuto il dono di conoscere alcuni santi del nostro tempo, come Madre Teresa di Calcutta, Papa Giovanni Paolo II (mio grande amico) e tanti altri che io stesso ho avuto la fortuna, non solo di conoscere, ma di essere da loro amato, si rende conto che loro sono stati il modello per vivere secondo l’amore vero, libero e fedele del Padre.


Ma il loro Modello è stato uno solo: Gesù. È solo sulle parole di Gesù che hanno misurato la loro verità di fronte agli occhi di Dio, poichè Gesù, la Verità suprema, non poteva sottomettersi alle ambiguità, tante volte nostre. Il Vangelo di oggi è, in questo senso, un autentico servizio alla nostra verità.


Gesù afferma: “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto dagli antichi: ‘Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio’. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio; Avete inteso che fu detto: ‘Non commetterai adulterio’. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore. Avete anche inteso che fu detto agli antichi: ‘Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti’. Ma io vi dico: non giurare affatto. Sia invece il vostro parlare ‘sì, sì’, ‘no,no’; il di più viene dal Maligno”. (forma breve di Mt 5, 17-37)


Un giorno, facendo osservare ad alcuni un certo modo di vivere ben lontano dalla Legge del Padre, mi fu risposto: ‘Ma lei ancora crede in queste cose? Oggi è un tempo di libertà. Ognuno ha la sua’. Chiesi: ‘Ma quale libertà? Quella di Dio o quella del mondo, che è in ultima analisi il solo proprio interesse o comodità?’. Non risposero.


Oggi tira un’aria così nebbiosa di confusione, che a volte tanti si arrogano ‘il diritto’ di farsi arbitri di ciò che è bene o male, a seconda della convenienza personale, travolgendo così gli eterni valori, fino a proporne altri …. riduttivi o personalizzati, miseri, se non scadenti, ma comunque sempre effimeri. È come voler mandare in soffitta la voglia di verità, l’eroismo dell’amore, la bellezza della giustizia.


Quello che così facendo ci rimane è nell’esperienza, a volte anche drammatica, di tutti: il rischio di definire buono ciò che è dannoso, bene ciò che è male, giusto ciò che è falso. È il dramma dell’uomo: usare la propria libertà, ma per ignorare o calpestare la legge di Dio, rifiutando il Suo stesso Amore.


Gesù, nel Vangelo di oggi, più volte ripete: ‘…Ma Io vi dico…’ per sottolineare la distanza del suo modo di agire dal nostro, e ricordarci che, se davvero amiamo la Verità, è al Suo modo di pensare e vivere che dobbiamo conformare il nostro. Tutti sappiamo quanto costi aderire totalmente alla legge del Signore nella carità, nella giustizia, nella povertà. La nostra innata debolezza, purtroppo, a volte va esattamente contro la Parola, ma Gesù la conosce, perché l’ha assunta nella Sua Umanità, e così sa come venire in nostro aiuto.


Non solo. Egli, il Misericordioso, sa ben distinguere tra la debolezza e l’accettazione del male come regola di vita: è quest’ultima che Gesù condanna!


Un giorno, ero un ragazzino, tornai a casa dal gioco abbastanza sporco. Mamma me lo fece notare, rimproverandomi. Io mi meravigliai, perché credevo di essere … pulito!


Forse oggi Dio, con la Sua Parola di Verità, ci sta proprio proponendo di confrontarci con Lui e ci chiede, come mamma: ‘Sei davvero pulito?’


È la logica della giustizia e dell’amore che guida la nostra esistenza? A guidarci nelle nostre decisioni, parole, comportamenti è la ricerca della santità, la volontà amorosa di dire sempre ‘sì’ al Signore, che ci vuole bene ed è l’Unico a conoscere quale sia il nostro vero Bene: diventare ‘simili a Lui’, che è l’Amore? Domande che esigono una nostra risposta, sincera e libera, forte e serena, per cui preghiamo con il Salmo 118:


“Sii benevolo con il tuo servo e avrò vita, osserverò la tua parola.


Aprimi gli occhi perché io consideri le meraviglie della tua legge.


Insegnami, Signore, la via dei tuoi decreti e la seguirò sino alla fine.


Dammi intelligenza, perché io custodisca la tua legge e la osservi con tutto il cuore.”


Antonio Riboldi – Vescovo


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20/02/2014 08:30
 
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VII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)


 La sola grandezza di ciascuno è l’amore


 


La pagina che il Vangelo offre oggi alla nostra riflessione, come un pezzo di pane che deve sostenerci nel cammino della vita, è certamente una delle più difficili da capire e vivere, ma nello stesso tempo è proprio ciò che distingue i cristiani dai non cristiani e non credenti.


Se vogliamo, è una pagina che svela da sola quale sia l’amore del Padre verso di noi: un amore che Gesù, Parola del Padre fatta carne, e quindi esperienza di vita, ha vissuto fino in fondo.


Nel Levitico, ossia nel Vecchio Testamento, prima della Rivelazione e della Incarnazione di Gesù, Dio aveva così ordinato: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo. Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un perccato per lui. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore”.(Lev. 19, 1-2.17-18)


Gesù questa norma, che può sembrare precisa e ‘fredda’, la sublima in questo altro modo:


“… Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinchè siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”. (Mt. 5, 38-48)


Guardiamo dunque all’esempio del Padre nostro che è nei cieli. Se c’è uno che non si è mai sognato di fare il male agli uomini è proprio Dio, che ci ha creati. E se c’è uno che avrebbe tutte le ragioni per punire il male assurdo che riceve, le disobbedienze, le ribellioni, i rifiuti, l’indifferenza, che noi continuamente ripetiamo con i peccati, è proprio il Padre.


Ma Dio ci ha creati per amore, cioè gratuitamente, e la sola ragione per cui ci ha creati e vuole la Vita per noi, è che Lo amiamo, perché sa che in questo sta la nostra piena realizzazione di creature ‘a Sua immagine e somiglianza’. L’amore è la sola e grande ragione della nostra creazione, cioè della nostra breve presenza in questo mondo, per una eternità di pienezza di Vita in Dio e con tutti i fratelli, soprattutto quelli che dal Padre ci sono stati affidati quaggiù.


E la nostra fiducia è che il Padre non rinnega mai chi ha creato, cioè ciascuno di noi. Neppure ci abbandona, anzi ci colma di un’infinita ed incredibile tenerezza, soprattutto verso chi sbaglia e quindi si trova maggiormente in pericolo di perdere la Sua gioia, che ha solo origine nell’amore.


Basterebbe rileggere la parabola della pecorella o della dracma smarrita o la splendida parabola del figliol prodigo. Si era allontanato dall’amore infinito del Padre, credendo di trovare chissà quale gioia più grande ed immediata: ‘il tutto e subito’ che guida molte scelte sbagliate nella vita di tanti.  Alla fine perse tutto, toccando il fondo della disperazione, dovendosi accontentare di ghiande, destinate ai porci … finchè si ravvede e decide di tornare dal Padre. Umiliato e pieno di vergogna, pensa di farsi accogliere non più come figlio, ma come uno dei servi. Quanto poco ha capito del cuore del Padre! E così troppe volte pensiamo anche noi. Ma arrivato a casa trova il Padre che lo attende e gli butta le braccia al collo, senza recriminazioni: un Padre la cui sola gioia è nell’aver ritrovato suo figlio.


Quanto siamo lontani dal comprendere un tale profondo Mistero di Amore. Lo stesso Amore vissuto da Gesù, per noi, fino al sacrificio della croce.


Se davvero lasciassimo operare lo Spirito in noi, comprendendo con la Sua Grazia, la grandezza incommensurabile di un tale Amore, come potremmo mancare di fiducia in Dio?


Non solo Dio ci ama, ma è sempre pronto a perdonarci ed accoglierci. Ricordiamoci che per lui noi siamo figli e i figli non si abbandonano mai … anche se sbagliano … sempre che il figlio, dopo aver sbagliato, si ravveda e, come il figlio prodigo, ritrovi la via del ritorno al Padre.


Tutto questo amore Gesù ce lo ha raccontato meravigliosamente e concretamente attraverso tutto il Suo insegnamento, ma soprattutto con la sua stessa vita.


Solo credendo con tutto il cuore ad un tale amore, che ci interpella, potremo, con la forza della sua Grazia cambiare la nostra stessa vita e davvero ‘diventare simili a Lui’.


Capita tutti i giorni che noi, vivendo gomito a gomito, ci offendiamo, ci facciamo del male, proviamo sentimenti diversi dall’amore, o addirittura giungiamo a sentirci in collera tanto da considerare di fatto ‘nemico’ un fratello. Nel vocabolario, ma soprattutto nella vita di un cristiano, non dovrebbe mai neppure esistere il concetto di ‘nemico’ o avversario o ‘indifferente’, ma solo la volontà amorosa di considerare tutti ‘prossimo’, ‘fratello’.


Spesso la prima reazione che viene dal nostro orgoglio ferito, che esige sempre una riparazione, è quella di rispondere con le ‘armi’, che purtroppo tutti abbiamo in qualche misura, in certi momenti sperimentato: la rabbia esplosiva, il silenzio rancoroso, la voglia di farla pagare, o l’indifferenza ostile. Insomma è sempre di moda per il nostro egocentrismo esasperato la vecchia regola infausta: ‘occhio per occhio, dente per dente’. E diamo anche le nostre giustificazioni: Se uno mi ha fatto del male, se ha rotto i ponti con me, se ha dichiarato guerra nei miei riguardi, se mi ha offeso, è giusto che abbia il contraccambio. Se l’è voluto.


E così viviamo, in famiglia, nei rapporti sociali una continua lacerazione, divisione, inquietudine, irritazione, dove tutti diventano ‘nemici’ da colpire e l’esistenza una guerra perenne, in noi stessi e contro troppi, tanto da non sapere più a chi dare la mano con amore.


Penso che – al di là di tutte le analisi filosofiche, sociologiche, economiche sulle varie ‘crisi’ della nostra società moderna - sia questa situazione la vera e profonda origine di tanti … stress!


Gesù cancella con la Sua Parola di Vita ogni falsa ‘giustizia umana’, che tale non può essere se toglie di mezzo l’amore. Gesù dice – e Lui ne ha pienamente diritto, dopo la grande dimostrazione di amore che ci ha dato, dando la vita in riparazione a tutto il male che gli uomini hanno commesso e noi continuiamo a causare – che l’amore non deve mai essere spezzato.


Per questo il Maestro pronuncia la regola di vita, che può scandalizzare tanti, apparire difficile a tutti, ma che è il segreto del Cuore di Dio, la nostra unica vera salvezza e la perla della nostra fede: “Amate i vostri nemici, pregate per i vostri persecutori”.


Dobbiamo cercare la fedeltà nell’amore, in famiglia e fuori, cercando sempre di riparare i ponti che altri o noi stessi abbiamo rotto.


Affermava Giovanni XXIII: “Il cuore di un fedele e ancora più di un sacerdote deve essere riempito di amore, come la testa deve essere splendente di verità e di dottrina. Amare Gesù ardente, piissimo, vibrante e aperto a tutte quelle effusioni di mistica intimità che rendono così attraente l’esercizio della pietà e della preghiera … Amare la Santa Chiesa e le anime, specie quelle affidate ai sacerdoti nelle sacre responsabilità. Amore a tutti i ceti sociali, ma con particolare interesse ai poveri di ogni specie, dando testimonianza concreta della bellezza della carità … come era in Gesù grande Maestro di amore, che per salvarci non ha esitato a dare la vita”.


Che le persone con cui viviamo o incontriamo possano assaporare quella soavità che era propria delle parole e della vita di Gesù.


Quello che colpisce, nella vita dei santi, grandi e semplici, è proprio la sollecita e tenera carità, capace di far toccare con mano che Dio è tra noi.


Papa Francesco a Rio de Janeiro aveva detto: “Dio dona un messaggio di ricomposizione di ciò che è fratturato, di compattazione di ciò che è diviso. Muri, abissi, distanze presenti anche oggi sono destinati a scomparire. La Chiesa non può trascurare questa lezione: essere strumento di riconciliazione.” Ai Grandi della Terra ha più volte rivolto il monito: "Non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo".


E a ciascuno di noi, continua a ripetere che non bisogna "avere timore della bontà e della tenerezza .. Custodiamoci gli uni gli altri accogliendo con affetto e tenerezza l'intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli". E in un’altra occasione ha ribadito: «Non possiamo seguire Gesù sulla via della carità se non ci vogliamo bene prima di tutto tra noi, se non ci sforziamo di collaborare, di comprenderci a vicenda e di perdonarci, riconoscendo a ciascuno i propri limiti e i propri sbagli».


È questa la strada della Vita per ogni cristiano, per ciascuno di noi. Seguiamola insieme a Gesù.


 Antonio Riboldi – Vescovo


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07/03/2014 07:51
 
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I Domenica di Quaresima (Anno A)


Siamo chiamati a vivere la Quaresima


Confesso che ogni volta, da vescovo, annunciavo l’inizio della Quaresima, provavo quasi un senso di sbigottimento, di timore, quello che ci prende pensando che un Mistero di infinito Amore, come il Mistero della Passione, Morte e Resurrezione di Gesù, nostro Signore, sostanza della nostra vita cristiana, possa disperdersi nel nulla delle notizie di poco conto, quelle che si sentono di sfuggita da un giornale radio e che, dopo pochi minuti, non ricordi neppure più, a meno che non ti abbiano davvero toccato o ferito dentro.


“Il Mistero pasquale – avverte la Chiesa – risplende al vertice dell’anno liturgico. Il tempo di Quaresima ha lo scopo di preparare la Pasqua; la liturgia quaresimale guida alla celebrazione del Mistero pasquale, sia i catecumeni, attraverso i diversi gradi dell’iniziazione cristiana, sia i fedeli per mezzo del ricordo del Battesimo e dalla Penitenza”. (dal messale)


All’inizio di questo tempo di salvezza la Chiesa ci fa contemplare Gesù ‘condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo’.


Leggiamo e meditiamo il Signore e Maestro che cammina davanti a noi, per indicarci la via.


“Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: ‘Se tu sei il Figlio di Dio, dì che queste pietre diventino pane’. Ma egli rispose: ‘Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio’. Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: ‘Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù: sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra’. Gesù gli rispose: ‘Sta scritto anche: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo’. Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: ‘Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai’. Allora Gesù gli rispose: ‘Vattene, Satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto’. Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco gli angeli gli si avvicinarono e lo servivano”. ( Mt. 4, 1-11)


Anche noi, oggi, ci facciamo condurre dallo Spirito nel deserto con Gesù. Lui stette quaranta giorni senza mangiare, in continua e profonda preghiera, per farsi modellare dallo Spirito del Padre, per forgiare la sua volontà di uomo sulla Volontà del Padre, fino in fondo, per mai tradirla, sapendo che l’avrebbe portato sulla croce, unica via alla resurrezione per la salvezza di tutti.


Forse ci può, in un primo momento, creare un senso di impotenza questo stare con Gesù nel deserto in questo tempo santo. Siamo troppo abituati ai rumori, esterni ed interni, della nostra vita quotidiana: inquietudini, agitazioni, competizioni, stress emotivo e spirituale… Troppo spesso, quasi senza accorgercene, subiamo un’intossicazione che non permette neppure di cogliere le possibilità di bellezza interiore a cui siamo chiamati.


Senza il deserto, come vicinanza a Dio, non possiamo più vivere la gioia che Lui ci vuole dare continuamente, fasciandoci della Sua tenerezza, donandoci Se stesso, che è poi il manto della nostra vera natura, di conseguenza rischiamo di interpretare la nostra vita da sbandati, vivendo molte volte di insicurezza, soffocati dall’ansia, da un senso di solitudine che altro non è che un vagare nel silenzio cupo dell’anima per le vie del mondo.


La Quaresima può invece diventare un tempo provvidenziale, in cui riscoprire il vero senso del nostro esistere. Ma perché questo accada occorre riconquistare la consapevolezza che Dio ci è vicino, ci aiuta a pregare, a stare con Lui, a fare penitenza, cioè a toglierci di dosso tante cose inutili, trasformandole in gesti concreti di bontà, di solidarietà, che ci scrostino dall’egoismo, vera patina di morte.


Un tempo in cui, lasciandoci plasmare dallo Spirito di Dio, possiamo ‘lasciarci trasfigurare’, ritornando alla verità della vita, che è quella di essere buoni, cioè ‘essere santi, come il Padre nostro è santo’. Sentiamo molte volte, e magari con fastidio, pronunciare una frase che nulla ha di cristiano: ‘Lo sai chi sono io?’ È un modo di sentire del mondo, molte volte correlato da atteggiamenti superbi, arroganti, inconciliabili con la verità e la bontà, che sono le caratteristiche, il vero volto, di un uomo o una donna santificati dalla Grazia e dal Battesimo.


Al posto di esibire potenza e strafottenza, ricordiamo la vera ragione della nostra creazione.


Il primo uomo e la prima donna Dio li aveva creati buoni e innocenti, ‘a Sua immagine’, infinitamente belli e buoni, infinitamente amati. Null’altro era chiesto loro che accogliere un tale Amore, ricambiandolo nella libertà.


Il Padre, quando ci ha pensati, ha sognato per noi solo la felicità di amare ed essere amati.


Ci può essere felicità più grande? Solo Dio poteva pensarla e crearla, in un dono pieno e fedele di Sé, della Sua stessa vita divina alle sue creature.


Ma, giustamente, l’amore non può essere obbligato, costretto.


L’amore ha la sua vera natura nella libertà, quella di accettare il dono o scegliere altro.


Sappiamo come finì, come troppo spesso l’uomo continua a rispondere, e quali sono le terribili conseguenze di un uomo che vuole sostituirsi al Suo Dio, rinnegandolo o anche solo sfrattandolo dalla propria vita. È un rischio e un dramma la nostra libertà.


Ecco perché è fondamentale il tempo della Quaresima, un tempo dello Spirito, in cui stare con Gesù per ritrovare il nostro vero volto di uomini, per evitare i tranelli quotidiani che la vita ci pone dinanzi, cioè tutto quanto è negazione dell’amore.


Invochiamo lo Spirito, rileggendo come anche Gesù fu tentato da Satana nel deserto e chiediamo la Grazia di saper come Lui rifiutare tutto ciò che nella vita è offuscamento dell’Amore, dono del Padre.


E’ un invito, che ci offre anche Papa Giovanni XXIII, il Papa buono, presto Santo, ascoltiamolo:


 “La Santa Quaresima è tempo singolarmente adatto per quanti intendono vivere secondo i dettami del Vangelo, risollevarsi dalle mancanze, purificare l’anima.


Quante volte recitiamo il confiteor per riconoscere le nostre colpe. ‘Per mia colpa, per mia grandissima colpa’ davanti al Cielo e alla terra, davanti ai Santi apostoli Pietro e Paolo, che saranno i nostri grandi giudici.


Quanto alla Penitenza, essa è agevolmente comprensibile. Anche se si ha lo sguardo levato in alto, sui calzari, sugli abiti, può posarsi più o meno intensa la polvere di questo mondo; possono avvenire cedimenti anche all’attivo lavoro di bene e di perfezione.


Comunque quando c’è colpa, è necessaria la penitenza.


I dieci comandamenti permangono in tutto il loro valore; in più abbiamo il precetto della carità, insegnataci dal nostro Signore Gesù Cristo, e la imitazione delle Sue sofferenze.


Egli, il Giusto, l’Uomo-Dio, ‘senza peccato’, volle addossarsi espiazione e dolori per tutti i peccati del mondo: invita così noi stessi a sopportare ogni avversità e angustia, appunto in riparazione e di quelle di tutti gli altri.”


 Antonio Riboldi – Vescovo


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14/03/2014 07:56
 
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II Domenica di Quaresima

Ascoltiamo il Figlio diletto del Padre

Chi di fatto, come me, ha esperienza di un viaggio in Terrasanta, ricorderà il fascino che prende quando si prega sul Monte Tabor: il monte della Trasfigurazione, che sembra ideato apposta, nella meravigliosa e immensa pianura di Esdralon, come un tabernacolo, posto in alto, vicino a Dio, per manifestare la Sua Gloria, per ricevere il Suo mandato, per accogliere la Sua volontà.

A volte, il silenzio della preghiera, è interrotto dal vento, che solitamente soffia fuori della chiesetta della Trasfigurazione, simile ad un canto interiore, il solo che si può udire.

Si ha la sensazione di trovarsi sul Monte Sion, avvolto da nubi, dove Mosè un tempo ricevette le Parole dell’Alleanza con Dio, un patto di amore del Signore con il Suo popolo.

Altre volte si ha l’impressione di essere in compagnia di Abramo sul colle dove fu chiamato ad immolare il proprio figlio, Isacco, come prova di fede.

Ma soprattutto ci si sente inondati dalla Luce con cui Gesù venne trasfigurato davanti ai suoi amati discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni.

“Il suo volto – racconta il Vangelo – brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui”’ ed in questa atmosfera tutta spirituale, comprendiamo lo stupore espresso dalla sempre grande generosità di Pietro: “Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia”. E mentre Pietro stava ancora parlando “una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: ‘Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo’. (Mt. 17 1-9)

Senti che da quelle colline nascono le grandi vie, indicate dal Padre ai Suoi, che egli, incredibilmente copre di immenso amore.

E queste ‘vie’, che sono l’espressione del pensiero e dell’amore di Dio, noi le conosciamo, grazie alla testimonianza di tanti, anche se a volte le scordiamo, perdendo così tutta la nobiltà e bellezza donataci da Lui.

Ci torna alla mente lo sbigottimento e il senso di debolezza e insufficienza che provò Mosè di fronte al roveto ardente e ancora di più ascoltando la voce di Dio che lo mandava a liberare il Suo popolo: una missione rischiosa, che tutti ora conosciamo leggendo la Bibbia, ma agli occhi di Dio necessaria. E Dio, quasi per proteggerlo, per dargli autorità, lo fascerà di luce, segno della Sua potenza e Presenza.

Così come comprendiamo quel senso di povertà e insicurezza interiore che avrà sentito Abramo, quando Dio gli disse: “Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò”. (Gen. 12, 1-4)

Oggi ne abbiamo la certezza: la loro obbedienza è sta essenziale nella storia della nostra redenzione, della nostra salvezza.

Questa consapevolezza, questo dono della Quaresima, dovrebbe riuscire a farci scoprire nella meditazione, nell’ascolto della Parola di Dio, quanto veramente siamo cari, da sempre, al Padre celeste: un amore profondo e di immense dimensioni, che forse ignoriamo.

Cosa rimarrebbe a noi, senza questo Amore del Padre?

Gesù si sta avviando verso la fine drammatica della sua missione.

Anche il successo presso il popolo sta venendo meno, del resto tutti sappiamo bene come l’opinione pubblica possa innalzarti spropositatamente oggi e domani calpestarti.

Fa parte della nostra povertà interiore!

Gesù deve così preparare i suoi. Gesù conosce la nostra debolezza e sa quando è il momento di portarci sul Tabor, per renderci forti nella fede, per quando le difficoltà e le contraddizioni della vita ci metteranno a nudo: la Sua è una pedagogia preventiva!

Egli conosce bene le Scritture, sa di essere il Servo sofferente.

Deve gradualmente far venire meno le sicurezze dei suoi, demolendo ogni idea di regno fondato sulla forza e potenza solo umane.

Il Regno del Padre è Regno di amore, che si fonda sul sacrificio di sé. Non stupisce dunque quello che il Vangelo racconta subito dopo …

Gesù annuncerà la sua passione, scandalizzando Pietro: ‘Dio te ne scampi, Signore, questo non ti avverrà mai’, e determinando il duro rimprovero di Gesù: ‘Vai lontano da me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini’.

È un poco la storia di chi vorrebbe vedere in Dio uno che spiana la strada della vita … senza alcuna prova. Sappiamo tutti, invece, che nessuno, ma proprio nessuno, nella vita può evitare la sofferenza: fa parte della nostra condizione umana, compresa la morte.

Non è qui in terra che possiamo vivere solo di festa e felicità.

Qui sarà sempre un alternarsi di gioia e tristezza, senso di sicurezza e paura.

È la nostra storia: un cammino, fatto di fatiche e riposo, di serenità e timore, ma un bel cammino, se consideriamo la mèta, il Cielo.

Ed è davvero breve il tempo del cammino in confronto all’eternità.

È un cammino in cui occorre essere illuminati interiormente, per essere forti e capaci di seguire il Signore Gesù, anche nella sua passione, che è la nostra stessa passione.

Paolo dice : ‘Figlio mio, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo”. (2Tm 1, 8b-10)

Ma questo diventa possibile solo se accogliamo l’invito che il Padre oggi ci rivolge: ‘Ascoltatelo!’.

La Quaresima è un tempo privilegiato per questo ascolto, che può aiutarci ad accogliere tutto, nella vita, con fede e serenità.

È questo il vero spirito di penitenza che la Chiesa propone in questo tempo.

Un tempo i nostri padre vivevano la Quaresima come tempo di fioretti e penitenze.

Oggi ci basterebbe vivere tutto con fede, sapendo soprattutto vedere nelle sofferenze – di qualsiasi tipo siano – il nostro purgatorio per entrare in Cielo.

Scriveva il presto santo Giovanni XXIII: “Non basta una misericordia qualunque. Il peso delle iniquità sociali e personali è così grave che non basta un cenno di carità ordinaria e perdonarla. Si invoca una grande misericordia. È detto bene che le nostre miserie sono il trono della Misericordia divina. È detto meglio ancora che il Nome più bello di Dio è Misericordia”.

Non resta allora che vivere la Quaresima come tempo di revisione della vita, correzione del male, fissando gli occhi solo su Gesù, per seguirlo.

Sarebbe davvero da stolti vivere questa Quaresima senza questo lavoro interiore.

Dio ci renda capaci di accogliere il Suo invito, di percepire la Sua Presenza reale nella nostra vita, di aprire il cuore alla Sua voce e ascoltare la Sua Parola, l’unica che ci salva … se glielo permettiamo.



Antonio Riboldi
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23/03/2014 17:50
 
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III Domenica di Quaresima (Anno A)


 


L’incontro con la Samaritana


 


Il racconto dell’incontro di Gesù con la Samaritana al pozzo di Giacobbe, è narrato dall’evangelista Giovanni con particolari quasi da cronista, come a non volersi fare sfuggire neppure una briciola della bellezza che contiene. È davvero una perla del Vangelo, in cui nulla sfugge delle meraviglie, anche nascoste, della vita di Gesù.


È un momento intenso che si addice bene al nostro cammino quaresimale, sempre che lo stiamo facendo. Una divina occasione che dovrebbe arrivare a noi, forse amareggiati per la condotta della nostra vita. L’amarezza della Samaritana è la nostra, di chi sente di non riuscire a raggiungere il segreto della gioia dell’anima.


Sono davvero tanti i fratelli che vivono questa sensazione di scoraggiamento, di inquietudine: lo notiamo bene noi sacerdoti.


Sapere cogliere l’amore del Padre che ci ispira e ci mostra la ragione del nostro malessere interiore è una grande grazia. È come guarire da una grave malattia.


La Samaritana, di cui ci narra il Vangelo oggi, appartiene ad un popolo considerato ‘eretico’ e quindi, ai suoi tempi emarginata per motivi religiosi, ma è anche conosciuta dall’opinione pubblica come una peccatrice.


Quante donne, anche oggi, sono considerate notoriamente da noi come ‘peccatrici’, senza che conosciamo il perché vero della loro scelta, a volte dettata, non necessariamente – come tanti sono portati troppo facilmente a pensare – per una reale volontà di svendersi per denaro, ma per motivi di sfruttamento violento o di vera sopravvivenza.


Davanti alla Samaritana emerge – come è sicuramente in tante donne anche oggi – la voglia di uscire da una triste ‘scelta’. Lei va, casualmente al pozzo per attingere acqua – ma esiste davvero il caso o non è meglio credere nella Provvidenza? –


La possiamo facilmente immaginare, tutta presa dai suoi pensieri.


La donna normalmente ha coscienza della sua dignità e vera bellezza e quando questa viene sfregiata, il tormento interiore si fa ossessivo.


La Samaritana aveva reso la sua vita una merce da vendere. È duro quando si giunge a questa consapevolezza, anche se forse non è stata una scelta libera, ma per sopravvivere o per chissà quali altre ragioni. È comunque una donna con la nausea in bocca e nel cuore, desiderosa sicuramente di un’altra vita, che però si trova tra le mani solo una povera vita che ha il sapore amaro delle ‘cisterne screpolate’.


Gesù, stanco, assetato, si ferma proprio vicino a quel pozzo, Lui, che è la vera ‘sorgente di acqua viva’.


È l’unico che, incontrandolo, ci può davvero dissetare. Gesù non ha pregiudizi, non guarda alle appartenenze etniche o politiche, alle differenze culturali o religiose. Gesù non considera se sei uomo o donna, malato o sano, ricco o povero, giovane o anziano. Gesù guarda alla persona, guarda negli occhi la Samaritana, guarda me, te. Quando egli incontra qualcuno, legge nel suo cuore e lo conosce fin nelle profondità del suo essere. Per Gesù la Samaritana è una donna che è assetata di vita vera. Questo solo conta per Lui.


Non fa prediche, non distinzioni o elucubrazioni su differenze sociali. Semplicemente mostra il suo stesso bisogno: ha sete e chiede un poco di acqua.


La reazione della donna è quasi arrogante. A causa della vita vissuta sembra abbia dimenticato quella naturale dedizione che di fronte ad una necessità dell’altro trasforma ogni donna in madre, facendo mettere da parte ogni tensione o divisione: la tenerezza di una donna può cancellare ogni amarezza e viene sempre al primo posto.


Gesù che comprende perfettamente la sua reazione non si scompone e diviene Messia, cioè mano tesa del Padre, che non si ferma di fronte ai muri che creiamo, ma desidera abbatterli, per liberarci … anche da noi stessi.


Non sono venuto per giudicare – dice – ma per salvareSe tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: ‘Dammi da bene’, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva’.


La donna, quasi schernendosi da quella mano, diffidente, resiste: ‘Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva?’.


E’ facile immaginare come lo sguardo di Gesù sia entrato profondamente nel cuore di quella donna, come un fascio di luce, quella vera, che si fa strada tra le pieghe malate dell’anima, sfogliandone le pagine, sradicando il malessere profondo in esse nascosto, facendo cadere ad una ad una le squame che impediscono di vivere in pienezza e serenità, offrendo una prospettiva di vita, che forse era tanto attesa, ma che nessuno aveva mai indicato e reso possibile.


La Samaritana è una donna che si lascia ‘processare’ da un Amore che non rivela astio, né voglia di condannare, ma solo desiderio di salvarla. Ed è proprio questo Amore che, ispirandola, le consente di lasciarsi prendere per mano con una nuova intensa voglia di uscire da una vita che altro non otteneva che tristezza e vergogna, nuovo desiderio e volontà di resurrezione.


Resurrezione, sì, cioè felicità di poter essere quello che desiderava nel profondo, che tutti desideriamo, una persona vera, senza maschere o avventure che sono come una fossa che ingoia.


Sono quei pensieri e desideri che solo Dio riesce ad ispirare, facendosi strada con il Suo Amore nella nostra esistenza. Il nostro Dio non è mai dolore o disprezzo, ma solo volontà di Bene: per noi desidera solo la pienezza della vita e, quindi, la gioia del vivere.


È Lui che può ravvivare la sorgente di acqua viva che con il Suo stesso Spirito ci è stata donata: sorgente zampillante per la vita eterna.


Davvero immenso il dono della salvezza che ci è donato, in un mondo che non sa cosa voglia dire aiutare a risorgere, che rende spesso la vita amara e sbagliata.


Dio è amore e altro non fa che ‘cercare la pecorella smarrita’. Ricordiamolo sempre: il Suo Amore non punta il dito come facciamo noi contro chi sbaglia – e tutti sbagliamo! – Ma continua sempre, pazientemente, a tenderci la mano e il cuore per riabilitarci, sollevarci, rasserenarci. Davvero meraviglioso Dio!


La Samaritana, vedendo ormai con chiarezza la via della vera vita, indicatale da Gesù, cambia tutto: questa è la conversione, che ha come frutto immediato il forte desiderio di partecipare della grazia ricevuta i fratelli. Va a cercare i suoi compaesani, proprio i suoi giudici. Non c’è più amarezza o rabbia nel suo cuore: è diventata un’altra creatura, una donna vera.


Come vorremmo anche noi, durante questo nostro cammino quaresimale, ritrovare la gioia. È possibile: cerchiamo Colui che ci cerca … rendiamoci disponibili all’incontro con l’unica ‘sorgente di vita’, Gesù.


È certo, se vogliamo, Gesù si fa sempre vicino, offrendo il Suo amore, mettendo dietro le spalle quello che forse siamo e non vorremmo essere.


Saremo capaci di seguire l’esempio della Samaritana? Non farlo sarebbe scegliere di vivere nella tristezza, che troppo spesso sperimentiamo e fa tanto male.


Gesù ci attende per donarci il Suo Amore che rende diversi.


È l’augurio che faccio a me e a voi in questa Quaresima: come la Samaritana lasciamoci incontrare da Gesù.


 


Antonio Riboldi – Vescovo


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31/03/2014 08:28
 
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IV Domenica di Quaresima (Anno A)


Un fascio di luce


 Nel 2011 vi sono state le manifestazioni in onore di Renato Guttuso, per il centenario della nascita: un pittore tra i più significativi rappresentanti dell’arte italiana contemporanea, che sulla tela ha anche trasferito il suo impegno politico. E subito si è tornati a parlare del “caso Guttuso”, ossia della sua conversione, in punto di morte, alla fede cattolica, lui comunista dal 1940 e senatore del Pci per due legislature, episodio che aveva suscitato all’epoca polemiche clamorose.


Anche oggi, molti continuano a ‘scandalizzarsi’, quasi fosse un reato entrare nella verità e nella luce della vita, una scelta che squalifica l’uomo. Altri invece si rallegrano, perché lo considerano un immenso dono di Dio.


Ma i più, per grazia, si interrogano seriamente sulla presenza di Dio nella vita, e nel mondo. E così, in un momento di ‘false religioni’, di cecità definite ‘visioni di vita’, di illusioni credute come ‘vere felicità’ o traguardi da proporsi, spunta ancora una volta prepotentemente e per fortuna di tutti, Dio, Luce del mondo.


Leggendo i tanti commenti sulla fede ritrovata, o forse riemersa, di un artista, come di tanti uomini e donne di spettacolo e non, che parlano con sincerità della presenza di Dio nella loro vita, pare di assistere al processo che i farisei fanno al cieco nato, che ha ricevuto la vista da Gesù.


Non vogliono ammettere il miracolo, anche se è sotto gli occhi di tutti.


Al contrario, il modo di testimoniare semplice, quasi sbalordito, del cieco dalla nascita, assomiglia molto alla sorpresa gioiosa di chi ritrova la fede.


Forse, lo stesso Guttuso, se avesse potuto dipingere un quadro nella pienezza della fede ritrovata, avrebbe rappresentato la scena narrata dal Vangelo di oggi, e chissà con quale luce e colori!


La Quaresima provoca anche noi, tutti noi, a rendere consapevole il momento in cui, nel Battesimo, i nostri occhi sono stati accarezzati dal sacerdote, perché si schiudessero alla Luce, che è Cristo.


Chi è un cieco nato? È una persona che non sa cosa sia la bellezza delle creature incontrate; uno che vive senza potere o sapere dare un volto alle persone che gli sono accanto, al cielo che splende sul suo capo, ai colori che formano l’arcobaleno del creato, con cui Dio ha dipinto la sua opera, al fiore che a volte sembra un’opera d’arte. Ma, soprattutto, è uno che non conosce la gioia di poter fissare negli occhi con amore una persona cara. Deve essere una grande tristezza avere gli occhi e non vedere, affidandosi solo all’immaginazione, costretti a camminare per le vie con un bastone tra le mani, indovinando gli ostacoli senza sapere dove siano.


Ma vi è una cecità molto peggiore, nell’uomo che non ha fede, che non conosce Gesù, che è la sola Verità che illumina il mondo, che dà senso ai fatti, spazio all’intelligenza, profondità all’amore, gusto a tutto ciò che siamo e facciamo, affetti compresi. Costui davvero è cieco: che ne sa della Luce, o meglio con quale luce cammina, giudica cose e fatti?


Li conosciamo questi ‘ciechi’, che non vedono la bellezza del vivere, che non riescono a gustare la gioia di essere amati da Dio. Annaspano tra mute ricchezze o piaceri, si agitano nei loro vari ‘fondamentalismi’, che, aggirandosi come fantasmi nella loro vita, rubano loro la serenità, fino a diventare incubi e paure. Gente che non sa vedere la felicità di essere amata da Dio: sono chiusi nel loro egocentrismo, che è la vera cecità dell’anima. Non comprendono il loro vero dramma: il dire sempre di no a Dio che è il solo a meritare il nostro sì.


Non vedono come la violenza sia una tragica ‘potenza’, che crea solo una montagna di morti, di gente che soffre, fino a distruggere chi la promuove.


Non si rendono neppure conto di come il loro parlare sia un bla bla, destinato solo ad aumentare il rumore che è attorno e, soprattutto, non vedono che quella che loro chiamano civiltà è solo una tragica fiera delle vanità.


Chi può rompere questa cecità è solo Gesù, la Luce, come ci narra il Vangelo di oggi. Non sappiamo cosa il cieco guarito da Gesù abbia pensato della bellezza del creato, che finalmente scopriva. Ma possiamo immaginare la nausea di trovarsi di fronte all’ottusità dei farisei che, anziché glorificare Dio, per quanto aveva operato per lui, lo cacciano dalla sinagoga, come un bestemmiatore …


Ma cosa contano i ‘processi’ degli uomini? Sappiamo tutti che i suoi occhi finalmente erano colmi di luce, quando aveva visto il volto di Gesù. E torna da colui che lo ha guarito. Gesù gli chiede: ‘Credi nel Figlio dell’uomo?’. La sua risposta è immediata e profondamente sincera: ‘E chi è, Signore, perché io creda in lui?’. E Gesù gli dice: ‘Lo hai visto: è colui che parla con te’.


Quanto è bella la professione di fede dell’uomo che ora vede, sono parole e gesti che coinvolgono tutto il suo essere: “‘Credo, Signore!’. E si prostrò dinanzi a lui” (Gv 9, 1-4)


Purtroppo se ci guardiamo intorno scopriamo che sono ancora troppi i ciechi tra noi, anche quelli che, seppur battezzati, non vedono più Dio.


Non è un gioco, non è un optional, non è ‘infantilismo’, ‘vedere’ Dio: è allenamento della fede che ci fa andare oltre le realtà che passano davanti a noi. La differenza è che i veri credenti sanno sempre vedere in tutti e anche nei fatti della vita la Presenza di Dio e, nonostante le tante prove, che la nostra povera condizione umana ci costringe ad affrontare, trovano sempre la forza di essere sereni e gioiosi, perché sanno di non essere soli: Dio ha cura di loro, lo sanno, ci credono profondamente. Sono abituati a tenere fisso lo sguardo oltre questa vita terrena, perché si allenano nello spirito a fissare sempre ed in ogni circostanza Gesù. Lo trovano nelle persone che incontrano, in modo particolare in chi soffre ed è povero, e sempre danno fiato alla carità, sicuri di diventare, in Lui, ‘luce che splende’ nel volto della vita.


Dio solo sa quanta gente attende qualcuno che con la sua bontà, la sua attenzione, la sua carità, sappia riportare la speranza e il sorriso nelle prove e sofferenze dei fratelli. Altro che i processi dei farisei!


Ma è necessario dare alla vita il suo vero senso: un cammino in cui Dio ci è vicino e vuole mostrarsi a noi. Per grazia Sua sono ancora tanti i fratelli e le sorelle che, in ogni luogo, manifestano il Volto di Dio, perché Lo hanno incontrato e visto. Sono i tanti ciechi che Dio guarisce. Basterebbe essere presenti ai pellegrinaggi alla grotta di Lourdes o nei confessionali, per vedere quello che si nasconde nelle profondità delle coscienze e dei cuori, che ritrovano ‘la vista’ dello Spirito ed un nuovo gusto nel vivere in pienezza la Grazia e la Parola ricevuta.


Bisognerebbe essere capaci, in questo tempo di Quaresima, di uscire dall’aria soffocante e malsana del mondo, per ‘vedere’ Gesù risorto che si fa vicino, ma ci vuole preghiera sincera, penitenza purificante e carità solidale.


Che il Signore ci aiuti a riscoprire la verità della vita con Dio, come fu per il cieco nato. Forse proprio chi ci è più vicino potrà non capire e in questo caso la storia dei farisei, che è narrata nel Vangelo, si ripeterebbe, ma possiamo ‘barattare’ la gioia di incontrare e vivere per il Signore, per un quieto vivere, che è solo cecità? Dio ci aiuti.


 


Antonio Riboldi – Vescovo


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06/04/2014 15:30
 
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V Domenica di Quaresima (Anno A)


 La resurrezione di Lazzaro: la vita è una preparazione all’eternità


 La Parola di Dio, dopo averci presentato, in questo cammino quaresimale, Gesù come sorgente di acqua viva, dono di Dio, nel racconto della samaritana al pozzo, e dopo averci rivelato Gesù come Luce che illumina ogni uomo, nel miracolo del cieco dalla nascita, oggi ci fa riflettere su Gesù unica nostra vera Vita, nella resurrezione dell’amico Lazzaro.


Il senso che diamo alla vita è il punto centrale dell’esistenza umana di ciascuno, per ogni aspetto dell’esistenza, quella che viviamo provvisoriamente su questa terra e quella eterna dopo la morte.


Che senso ha questa vita chiusa dentro un corpo che, se va bene, percorre giovinezza, maturità e tramonto, ma soprattutto che senso ha la forza della vita che ci sentiamo dentro, nonostante il declino del nostro corpo?


Sono le domande che rendono maturo un uomo e le risposte che diamo qualificano certamente anche il nostro modo di vivere.


Si può vivere costruendo giorno per giorno nella fede e nell’amore. Si può vivere svuotati da ogni senso, tanto da avere solo la percezione di morire giorno dopo giorno nel breve tempo che ci è concesso.


Nessuno di noi sa quando sarà il giorno in cui Dio metterà fine a questo tempo di prova. Lui sa. Lui pazientemente crea per ciascuno, momenti di riflessione, ma sempre per la sola ragione di aprirci alla fede nella resurrezione che ci attende. Lo crediamo o no. Viene in mente la parabola di Gesù circa le vergini sagge e le stolte, che attendono venga lo sposo, per entrare con lui a nozze. Tutte hanno la lampada accesa per accompagnare lo sposo, ma non tutte si sono preoccupate di avere olio sufficiente per l’attesa. Un grave errore, perché le vergini, che Gesù definisce stolte, sono andate in cerca di olio, senza pensare che lo sposo potesse passare nel frattempo. Solo le sagge, pronte per ogni momento, possono accogliere lo sposo ed entrare a nozze con lui. Le stolte arrivano in ritardo, quando le porte sono ormai chiuse e la risposta alle loro suppliche è dura: ‘Non vi conosco’.


Ora la vita di ciascun uomo non è altro che questa attesa. Nessuno sa quando arriverà lo sposo. Non lo sanno i malati in gravi condizioni, tanto meno lo sanno molti che vivono come se non li attendesse il momento della ‘chiamata’. Eppure non possiamo mai farci trovare impreparati.


Occorre dare alla vita quel senso di prontezza, di vigilanza, in modo da non essere colti di sorpresa. Ne va di mezzo la vita eterna.


Certamente la morte è davvero la grande dolorosa prova per il passaggio all’eternità. Sicuramente c’è chi ci riflette e forgia la sua vita sull’attesa dello Sposo. Ma quanti invece vivono l’esistenza come un’avventura e passano all’eternità impreparati?


A volte sembra che Dio permetta la malattia come a ricordarci quale sia il nostro vero destino, il nostro domani nell’eternità.


Il racconto della morte e resurrezione di Lazzaro è una grande lezione di vita.


Quando gli giunge la notizia sembra quasi che Gesù non vi dia peso, Lo dimostra bene il Vangelo di oggi. Apparentemente non mostra preoccupazione o ansia. Sa che è morto e dice semplicemente: ‘Il nostro amico si è addormentato, ma io vado a svegliarlo’. Gli dissero i discepoli: ‘Signore, se si è addormentato guarirà’. Gesù parlava della morte di lui. Allora disse loro apertamente: ‘Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato lì, perché voi crediate. Andiamo da lui.


Ma arrivato nella casa dell’amico esprime tutta la sua profonda e umana tristezza. Gesù non è mai indifferente di fronte alle prove e difficoltà che ci toccano da vicino.


Racconta il Vangelo: “Marta, quando seppe che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: ‘Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto. Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà’. Gesù le disse: ‘Tuo fratello risusciterà’. Gli rispose Marta: ‘So che resusciterà nell’ultimo giorno’. Gesù le disse: ‘Io sono la resurrezione e la vita: chi crede in me anche se muore vivrà; chiunque vive e crede in me non morirà in eterno. Credi tu questo?’. Gli rispose: ‘Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire in questo mondo’”. (Gv. 11, 1-45)


Quando Gesù vede Maria piangere e i Giudei con lei, ‘si commosse profondamente, si turbò e disse: ‘Dove l’avete posto?’. Gli dissero: ‘Signore, vieni a vedere’. ...E Gesù scoppiò in lacrime, mostrando quanto è davvero profonda e vera la sua umanità, che sa mettersi nei nostri panni, nel dolore, fino a condividerlo totalmente.


“Dissero allora i Giudei: ‘Vedi come l’amava!’. Intanto Gesù, ancora profondamente commosso, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: ‘Togliete la pietra’. Gli rispose Marta, la sorella del morto: ‘Signore, già manda cattivo odore, poiché è più di quattro giorni’. Le disse Gesù: ‘Non ti ho detto che se credi, vedrai la gloria di Dio?’. Tolsero dunque la pietra. Gesù alzò gli occhi e disse. ‘Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che Tu mi hai mandato’. E detto questo gridò a gran voce: ‘Lazzaro, vieni fuori!’. Il morto uscì con le mani e i piedi avvolti in bende e il volto coperto con il sudario. Gesù disse loro: ‘Scioglietelo e lasciatelo andare’. Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di quello che aveva compiuto, credettero in Lui’. (Gv. 11, 1-45)


Tornano alla mente le parole che Lui aveva detto alle sorelle: ‘Io sono la resurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore vivrà e chiunque vive e crede in me non morirà in eterno’:


E così il conforto, che Gesù dà, va oltre la gioia di avere un fratello ritornato dalla morte alla vita – una vita che qui in terra ha sempre necessariamente un termine – è il conforto che ‘vivere di Lui e per Lui è non morire mai’.


Tutte le nostre domande, giustissime, sul nostro futuro dopo la vita su questa terra, trovano una risposta nella storia di Lazzaro, il grande amico di Gesù: un amico con cui aveva trascorso tanta parte dei momenti liberi e di riposo, nella casa dell’amicizia. Un amico che cercava, a cui sicuramente avrà parlato nei momenti di tristezza, forse, di gioia, quasi come ‘un polmone’ alle fatiche missionarie; un amico a cui si sentiva profondamente unito anche nella lontananza, con cui si confidava, pregava, un vero amico fidato, come del resto lo erano le due sorelle, Marta e Maria.


Un amico la cui resurrezione diventa per noi il segno dell’amore, la testimonianza concreta del destino di chi è amico del Signore. Con la resurrezione di Lazzaro Gesù dice a ciascuno di noi che la morte è semplicemente il passaggio alla vita eterna. Tutti sappiamo che questa esistenza ha una sua fine. Non possiamo assolutamente evitarla, che tocca tutti, a qualsiasi età e in tanti modi. Ma questo non ci toglie pace e serenità, poiché ci fidiamo del Signore e crediamo che vivere quaggiù è semplicemente un preludio all’eternità. I giorni che il Signore ci dona sono i molti modi con cui ci offre l’opportunità, nella libertà dell’amore, di rispondere alla Sua chiamata definitiva alla felicità. Ma una domanda mi viene spontanea: sappiamo tutti dare alla vita uno stile di attesa per la resurrezione? O nella quotidianità del nostro vivere non ci lasciamo prendere la mano da un materialismo pratico che non conosce resurrezione?


Possiamo anche pensare che tutto finisca con la morte, ma di fatto non possiamo evitare il dopo, che ci sarà per tutti.


Chiediamoci dunque con franchezza, in questo cammino quaresimale: Il mio modo di vivere è preparazione al domani con Dio? O, non sia mai, vivo quasi fosse un passatempo senza domani? Credo sia una domanda che tutti dovremmo porci. La Quaresima davvero è un tempo di conversione, un cambiare direzione per davvero prepararci fin da ora alla nostra resurrezione. Questo davvero è il senso della Quaresima e della Pasqua. Chiediamo il dono di essere illuminati interiormente dallo Spirito, perché solo Lui può aprire il nostro cuore alla verità e al senso della vita, che ci è stata donata. I nostri vecchi dicevano: ‘Si vive una volta sola … ‘, ma da questa ‘volta sola’ dipende la nostra eternità … non possiamo permetterci superficialità o distrazioni. Il tempo è prezioso e va vissuto con amore e fiducia, certi che il nostro Dio ha cura di noi, ci segue, ci accompagna, ci sostiene, ci cerca, anche quando noi ci dimentichiamo di Lui. Il nostro Dio è il Vivente, che ci attende, per donarci, già quaggiù, un ‘seme incorruttibile’ di eternità, chiamandoci a partecipare della Sua stessa resurrezione. Prepariamoci dunque!


Antonio Riboldi – Vescovo


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13/04/2014 08:34
 
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Domenica delle Palme (Anno A)

Occorre una seria e profonda preparazione


In ogni Domenica delle Palme fa tenerezza l’agitare delle palme benedette, non solo da parte dei bambini, ma anche degli adulti che tengono rami d’olivo con una speranza nel cuore, quella di vivere un po’ di pace, in questo tormentato mondo, in questa nostra travagliata vita.

Una volta benedetti i rami, vengono poi divisi, sino a diventare in alcuni casi poche foglie che si disperdono nelle mani di amici, di parenti, di vicini, per esprimere reciprocamente la volontà di amicizia, di condivisione, tanto che in questa domenica ogni paese pare inondato di foglie di olivo, come del grande desiderio di pace che è in ogni cuore.

Non c’è davvero posto, almeno oggi, per grida di odio o guerra. Almeno oggi.

Pare di rivivere ogni anno la scena evangelica: “La folla numerosissima stese i propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla strada. La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva gridava: ‘Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!’.

Cosa vedevano, allora, in Gesù, in quell’ uomo semplice e povero, venuto da una terra, la Galilea, da cui, secondo i Giudei, ‘non era possibile venisse qualcosa di buono’? Cosa vedevano in quel ‘profeta’, senza alcuna potenza, che predicava la beatitudine della povertà, della misericordia, della sofferenza, della persecuzione e fame di giustizia? Come riporre fiducia in lui?

Aveva di grande e meraviglioso e sicuro solo l’Amore: un Amore così fedele e totale, da renderlo disposto a dare liberamente la vita per noi.

Poteva lui assicurare la pace, che tutta quella folla sperava? Garantire la giustizia, che a Gerusalemme non era certo di casa, allora, come oggi, per le strade del nostro mondo?

Lui lo aveva affermato: ‘Vi do la mia pace, non come quella del mondo’.

Sono domande che continuiamo a porci anche oggi. Merita la nostra fiducia, tutta la nostra fiducia?

Contempliamo la scena. Davanti al corteo c’era Gesù, circondato da un trionfo che la gente gli tributava, ma non è come noi, che ci lasciamo montare la testa anche per meno. Lui guarda oltre, perché nel suo cuore era chiaro il prezzo che era chiamato ‘per volontà del Padre’ e per amore verso di noi, per darci la vera Pace: un prezzo che è la Sua passione e morte in croce!

Questo Amore donato, fino all’ultima goccia di sangue, è la sola via che può sconfiggere il male, fino a diventare trionfo del bene, resurrezione, non per una volta sola, per un periodo della storia, per un solo uomo, ma per tutti gli uomini, noi compresi, e per sempre … solo che lo accettiamo.

Ho sentito troppe volte una frase che rivela i nostri sentimenti e la nostra sensazione di sconfitta, di fronte al male che serpeggia tra noi in mille forme, sempre nuove e sempre più terribili. Spesso mi è stato chiesto: ‘Crede lei nell’amore vero, come quello del maestro Gesù? Crede che la via dell’amore, individuale o di comunità, non abbia davvero paura di soccombere di fronte all’enorme prepotenza della violenza?

Ebbene, l’esperienza mi dice che l’amore è la sola via per fare strada alla pace, ma deve sempre mettere in conto che vi è lo stesso rischio, vissuto dal Maestro, ed è un prezzo da pagare.

Non vi è amore vero senza la disposizione a servire e soffrire.

Ricordo la mia esperienza di parroco a Santa Ninfa, una parte della Sicilia, che conosceva duramente la soffocante presenza della mafia, che rubava letteralmente voglia di progresso e speranza: vera organizzazione del male e di morte, ovunque operi, anche oggi.

Eravamo in tre confratelli sacerdoti, inviati dai nostri Superiori rosminiani. Era difficile il compito affidatoci. Il parroco che ci aveva preceduto aveva gettato sulla comunità una densa ombra di sfiducia. Non fu facile, inizialmente, riconquistare la fiducia perduta. Per due anni durò il nostro essere ‘esaminati’, silenziosamente, da lontano, ma alla fine vinse la nostra pazienza, la nostra presenza, che non voleva invadere, ma offrire semplicemente un servizio, e lentamente la gente ricominciò a frequentare la parrocchia e rinacque la fiducia nella Chiesa.

Ci volle davvero la testimonianza dell’amore dei pastori per il gregge affidato, che è il solo che attira fiducia e cancella ogni memoria di tristezza.

La stessa disponibilità d’amore me la chiese il caro Paolo VI, inviandomi alla Chiesa di Acerra, terra difficile per la presenza della camorra e perché mancava di vescovo residenziale da 12 anni.

In quell’atmosfera difficile, seguendo la volontà di Dio, espressa dal Santo Padre, ci andai e anche lì, dopo un inizio difficile, offrendo la stessa fiducia che il Signore aveva avuto in me, sorse una Comunità di credenti davvero bella, un vero modello, tanto che da essa il Signore scelse due sacerdoti, perché diventassero pastori di altre Comunità.

Dobbiamo però sempre guardare a Lui, a Gesù, seguendo giorno dopo giorno i Suoi passi, facendo con Lui le nostre scelte nel quotidiano, lasciandoci ‘trasfigurare’ per vivere il Suo stile: amare, agire con pazienza e mitezza perché la Verità sempre prevalga; per Lui e per i fratelli essere disposti, se fosse necessario, a dare la vita, sapendo che la nostra esistenza ha la sua mèta in Cielo, con la resurrezione.

Ma è così la nostra preparazione alla Pasqua? Vi è in noi questa dimensione di vita oltre le apparenze effimere e, a volte, fuorvianti, che il mondo ci offre? Davvero profondamente crediamo che Gesù, il Cristo, è venuto per salvarci, non come massa, ma ciascuno di noi? La sua morte e la sua resurrezione sono per me, per te, per ogni uomo a cui è stato fatto dono della vita.

Offro per la nostra riflessione le parole che Paolo VI diceva ai sacerdoti un giovedì santo:

“Le parole mirabili di Gesù, profetiche al tempo stesso della sua passione e della sua gloria: ‘Ed io – afferma Gesù – quando sarò elevato in alto da terra, attirerò tutti a me’, di quale innalzamento, di quale esaltazione parlasse, ce lo indica l’evangelista ‘e ciò diceva per indicare, significare di quale morte stava per morire’. Gesù alludeva alla sua dolorosissima elevazione sulla croce, con la particolare ostensione al mondo, la quale, proprio nella sua efferata estensione al mondo, assumeva per Cristo una speciale, trasformante realtà, quella di essere sacrificio, anzi vero sacrificio redentore del genere umano con la sua morte … e questo avviene oggi nel sacrificio della Santa Messa che è resurrezione”. Ed è proprio così, ma ne abbiamo consapevolezza?

È proprio nella Santa Messa che la Chiesa, non solo annunzia il sacrificio di Gesù, ma il suo perpetuarsi per noi. Che Dio conceda a tutti noi di vivere con gioia i giorni di questa Settimana Santa, che non solo ci raccontano, ma celebrano il Mistero grande della nostra salvezza, frutto dell’Amore incomprensibile nella sua totalità e grandezza, ma proprio per questo meraviglioso per la nostra fede, fino alla gioia immensa del sabato notte, quando canteremo la pienezza della Vita a noi donata con la resurrezione, preludio di quella senza fine, nella Casa del Padre.

Non mi resta che augurare a voi tutti di vivere con fede e gioia la Settimana davvero Santa, che il Signore ancora ci dona, per gustare la bellezza della sua Presenza nella nostra vita.

Antonio Riboldi – Vescovo
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25/04/2014 07:46
 
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II Domenica di Pasqua (Anno A)


 


Tommaso, guarda le mie mani


 


Un tempo questa domenica, seconda di Pasqua, era chiamata ‘in albis’, ossia, coloro che, per i loro gravi peccati, erano stati invitati dal vescovo ad una Quaresima di conversione e di penitenza, durante la Veglia pasquale partecipavano alla gioia della ritrovata innocenza con la riconciliazione e, quindi, come bambini appena nati, si rivestivano di bianche vesti. Il significato profondo era che, dopo una vita lontani o contro Dio, rinascevano, invitati a non perdere più la ‘veste dell’innocenza’, che era il segno che, dalla comunità, non dovevano più essere considerati ‘morti alla grazia, per il peccato’, ma ‘rinati a vita nuova’, che è la Pasqua di quanti si convertono ancora oggi, accostandosi al Sacramento della penitenza, in particolare a Pasqua.


Lo stesso facevano quanti, dopo una preparazione quaresimale, e oltre, nella veglia pasquale ricevevano il Battesimo, ‘rinascita a vita nuova’, dono della resurrezione di Cristo.


Forse oggi è venuta a mancare questa ‘festa di vita nuova’, con il grave rischio di non partecipare alla resurrezione.


E Dio solo sa quanto tutti noi abbiamo bisogno di ritrovare la gioia di quella veste bianca, noi, troppe volte ‘fuori strada’, nel buio di una vita senza o contro Dio-Amore, in compagnia del solo egoismo, che è la morte del cuore.


L’uomo ha bisogno di comprendere e di accogliere la Divina Misericordia.


Il grande Giovanni Paolo II intuì questa urgenza e, nel 2000, diede ufficialità al titolo di ‘Domenica della Divina Misericordia’ per definire questa seconda Domenica di Pasqua. Quanto sono misteriose, ma sempre belle, le vie del Signore! Proprio in questa domenica la Chiesa, insieme con il Papa buono, Giovanni XXIII, proclama Giovanni Paolo II Santo!


La loro vita diventa modello di vita cristiana. Con il loro esempio diventano una testimonianza viva di quanto la Misericordia di Dio può compiere, quando rispondiamo con docilità e dedizione alla chiamata alla santità, che è per tutti, in ogni situazione di vita.


Non ci resta che abbandonarci alla Grazia, perché possiamo avere l’umiltà di affidarci alla Misericordia di Dio, che in Gesù, dalla croce, disse: ‘Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno’. Sì, abbiamo sempre bisogno di essere perdonati, soprattutto quando rischiamo di vivere come se fossimo ‘fermi’, insieme a quanti sotto la croce si prendevano beffe di Gesù, che proprio da quella croce vuole chiamarci alla gioia di una vita nuova. Chiediamo la grazia di non privarci mai


della gioia di liberarci dal male, ridiventando ‘bambini nel cuore e nella vita’: la gioia dei primi nostri fratelli nella fede, descritta dagli Atti degli Apostoli:


“Quelli che erano stati battezzati erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati.”.


(At. 2, 42-47)


Oggi la Chiesa ci ripropone la profonda gioia degli Apostoli nel rivedere il Maestro, che deve essere anche la nostra. È facile immaginare i loro sentimenti. Incredibile per loro, poveri uomini, ma sicuramente innamorati di Gesù, anche solo pensare che sarebbe davvero risorto.


La povertà della nostra natura umana ha difficoltà, ancora oggi, a pensare che ci sia resurrezione anche per noi. Facile – e per qualcuno ‘comodo’ – pensare che tutto finisce con questa breve e fallace esistenza terrena, ma l’Apostolo Paolo afferma con decisione: ‘Se Cristo non fosse risorto vana sarebbe la nostra stessa vita’.


Se non si è accecati dal benessere o dal male, non può non esserci una giusta incertezza nel profondo del nostro cuore, la stessa che sicuramente era negli Apostoli, ed in particolare in Tommaso: ‘Non può finire tutto così, ci deve essere un ‘dopo’, che non riusciamo a intuire, ma deve esserci!’. E Gesù risorto, apparendo, toglie ogni dubbio, ogni incertezza:


“Tommaso uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri apostoli: ‘Abbiamo visto il Signore!’. Ma egli disse loro: ‘Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo’. Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: ‘Pace a voi!’. Poi disse a Tommaso: ‘Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani: tendi la tua mano e mettila nel mio fianco, e non essere incredulo, ma credente!’. Gli rispose Tommaso: ‘Mio Signore e mio Dio!’. Gesù gli disse: ‘Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto! ”.


(Gv. 20, 19-31)


Davvero Tommaso rappresenta tutti noi, quando, trovandoci di fronte a tanti fallimenti o dubbi, o avversità, pensiamo sia impossibile che tutto possa cambiare e che, con la fede e la pazienza, si possa avverare la speranza. Non riesco a pensare a uomini – per natura uguali a me, uguali ai santi, creature di Dio, votate alla visione del Padre – che riescono a vivere senza futuro, quel futuro che è nella nostra vita eterna, che Dio ci dona nella fede. Deve avere pure un senso questa vita! Un senso che non può essere certamente solo il benessere, il denaro, o quello che vogliamo, tutte cose che non sono la grandezza della vita eterna! Sono beni fugaci e, tante volte, soffocano proprio il meraviglioso dell’eternità.


Voglio credere che tutti sentiamo la nostalgia del Padre, solo che ‘vederLo’, richiede – ora – tanta fede, l’abbandono di ogni sicurezza, una fiducia totale in Lui.


“Ma noi, uomini di oggi – affermava Paolo VI, il 20 novembre del 1968 – facciamo opposizione: a che giova cercare Dio? Un Dio così nascosto? Non basta quel poco che se ne sa, o se ne crede di sapere? Non è meglio impegnare il nostro pensiero allo studio di cose più proporzionate alle nostre difficoltà conoscitive? La scienza? La psicologia? Cioè il mondo e l’uomo?


Ci si dimentica che l’uomo in tutto il suo essere spirituale, cioè nelle supreme difficoltà di conoscere e di amare, è correlativo a Dio: è fatto per Lui; ogni conquista dello spirito umano accresce in lui l’inquietudine e accende il desiderio di andare oltre, di arrivare all’oceano dell’essere e della vita, della piena verità che sola dà la beatitudine.


Togliere Dio come termine della ricerca, a cui l’uomo è per natura sua rivolto, significa mortificare l’uomo stesso. La cosiddetta ‘morte di Dio’ si risolve nella morte dell’uomo”.


Ha ragione Pietro, tanto generoso nell’amore a Cristo, di scrivere:


“Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la resurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce … Perciò siate ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco – torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Voi Lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederLo, credete in Lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime”. (I Pietro 1, 3-9)


Oggi siamo chiamati tutti a farci illuminare dalla gioia e dallo stupore di Tommaso, che, dopo aver visto Gesù Risorto, non sa che balbettare: ‘Mio Signore, mio Dio!’.


Come ancora affermava Paolo VI: “Noi siamo in migliori condizioni degli altri, privi della luce evangelica, per guardare il panorama del mondo e della vita con gioioso stupore e per godere di quanto l’esistenza ci riserva anche nelle prove di cui essa abbonda, con riconoscente e sapiente serenità. Il cristiano è fortunato. Il vero cristiano sa di avere e trovare le ragioni della bontà di Dio in ogni avvenimento, in ogni quadro della storia e dell’esperienza; ed egli sa che ‘tutte le cose si risolvono in bene per coloro che vivono della benevolenza di Dio’ (Rom. 8, 28).


Il cristiano deve dare sempre una testimonianza di superiore spiritualità, dalla gioia di Cristo Risorto … Una gioia che nulla ha a che fare con le cosiddette gioie del mondo, che sono illusioni-delusioni che nulla hanno a che vedere con la gioia di Cristo. I cristiani sanno e sono tanti, che la nostra gioia interiore e la propria esteriorità sono di Cristo Risorto”.


E’ il continuo invito che ci fa Papa Francesco: ‘Ricordiamo: ogni incontro con Gesù ci cambia la vita e ogni incontro con Gesù ci riempie di gioia”. Come è stato per Giovanni XXIII e per il caro Giovanni Paolo II, che Gesù lo hanno incontrato quaggiù ed ora vivono alla Sua Presenza, ma sicuramente senza mai dimenticare coloro che erano stati loro affidati dal Maestro. Oggi sono loro che, dopo aver camminato con noi e tra di noi, intercedono perché possiamo un giorno ricongiungerci con loro e vivere nella pienezza della Vita, che Gesù Risorto ci ha donato per l’eternità. Grazie, Signore Gesù, per tutti i tuoi doni. Non basterà l’eternità per ringraziarti.


Antonio Riboldi – Vescovo


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06/05/2014 20:40
 
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III Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

Resta con noi, Signore, si fa sera

La vicenda dei discepoli di Emmaus, che tutti conosciamo, accade nella giornata della domenica di Resurrezione. L’evento della passione e morte di Gesù aveva sconvolto tutti, a cominciare da chi l’aveva seguito, ma la Sua resurrezione era la Notizia stupenda, inattesa del giorno … come dovrebbe essere per il credente, pensando che ci attende un giorno la nostra resurrezione.
Quelli per cui Gesù dalla croce aveva pregato il Padre, perché li perdonasse, poiché ‘non sanno quello che fanno’, forse pensavano di essersi finalmente liberati di un incubo, cioè della presenza tra di loro di una Voce scomoda che parlava, viveva, operava, come ‘fosse’ Dio,… e lo era realmente! A costoro era insopportabile un Dio che si facesse così vicino, mettendo a soqquadro la loro umana tranquillità. Per loro, i Giudei, e forse per tanti di noi, bastava osservare le Leggi di Dio, anche se queste poi, tante volte, erano solo un muovere le labbra, assumere comportamenti apparentemente ‘giusti’, magari ‘andare a Messa’, ma con il cuore lontano.
Per altri, invece, quelli che Lo amavano, i discepoli e tanti altri che lo avevano seguito con fiducia e speranza, avevano creduto in Lui, avevano avvertito la bellezza di sentire in sé palpitare il Cuore di Dio, la Sua crocifissione e morte era stata il giorno del dolore più angosciante, del totale smarrimento e disorientamento, di un’immensa delusione e amarezza.
Ovunque, quel giorno, si parlava di Gesù, a diritto e a rovescio, come del resto si fa oggi.
Non si riesce a comprendere come tanti non credano nella resurrezione di Gesù e nella propria.
Vivono nella convinzione che la vita sia un breve passaggio su questa terra, senza un domani, senza una ragione che giustifichi gioie e tante sofferenze!
Ma domandiamoci: se non ci fosse la certezza che anche noi un giorno risorgeremo, sperando nella Gloria del Cielo, che senso avrebbe nascere e vivere? Che senso avrebbe soffrire o lottare?
È nella nostra natura l’esigenza di avere un traguardo nella vita; anche se non crediamo, parliamo, lavoriamo, soffriamo, gioiamo sempre con l’occhio teso al domani. Ma quale domani?
Solo chi vive con lo sguardo al futuro, che è nella vita eterna con Dio, trova la forza, sempre, di dare una ragione profonda e costante alle sue azioni, alle sue fatiche ed alle sue sofferenze.
Mi ha sempre colpito, visitando gli ammalati, a volte in fin di vita, scoprire come spesso trovassero la ragione di conforto e tante volte di serenità nel credere che la loro vita di sofferenze altro non era che un’attesa di vita felice con Dio. La loro stessa morte non era vista come la fine di tutto, ma il principio del tutto, che non può essere su questa terra.
Ci aiuta in questa riflessione il racconto dei due discepoli di Emmaus, che stavano allontanandosi da Gerusalemme, delusi, dopo la morte del Maestro, che avevano amato, seguito, in cui avevano creduto. L’evangelista Luca fa notare che, quando Gesù in persona si accosta loro, “i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo.”
È quello che capita a tanti di noi, quando siamo in difficoltà, emotivamente turbati, e pare che il Cielo sia sparito dai nostri occhi, sentendoci tremendamente soli: quella solitudine che è il più grande dolore che noi uomini possiamo provare. Non la solitudine, piena di Presenza, che alcuni uomini e donne scelgono per camminare più facilmente con Gesù, capace di infondere un’incredibile serenità, ma una solitudine che è isolamento, senso di abbandono, incomunicabilità. Tutta la prima parte della narrazione evangelica è il racconto di due discepoli smarriti, come spesso siamo noi, ma a cui sono giunte voci di qualcosa da loro ritenuto impossibile: la resurrezione, un evento divino, inconcepibile per il nostro ‘buonsenso’, ma che, se fosse vero – ed è vero! - Darebbe alla loro e nostra vita la gioia piena, di chi sa che la vita va oltre il ‘qui’ ed ‘ora’. La bellezza di ciò che accadde allora e continua ad accadere ogni giorno anche a noi è che, in una ridda di emozioni sospese, Gesù si manifesta, conducendoci per mano nella conoscenza delle Scritture. E la Parola di Gesù, se ci rendiamo disponibili nella fede ad accoglierla, sempre affascina i cuori e chiarisce le menti. È il messaggio che ci permette di essere e ‘sentirci’ – se vogliamo – figli di Dio, abitanti del Paradiso per l’eternità.
Il racconto dei discepoli di Emmaus si chiude con la rivelazione di Chi Lui è … per noi!
“Resta con noi, Signore, perché si fa sera e il giorno già volge al declino”
Una preghiera che tante volte sale spontanea alle nostre labbra, quando ci sentiamo soli o smarriti!
Ed è davvero commovente la delicatezza con cui Gesù ci mostra quanto ci sia vicino!
“Gesù entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese del pane, diede la benedizione, lo spezzò e lo diede loro”.(Lc. 24, 13-35)
Questa è la vera Pasqua di ogni giorno, per noi che tante volte camminiamo nella vita con le delusioni e il volto triste dei due che ritornavano ad Emmaus.
“Perché siete tristi? – Chiedeva Paolo VI – Vedete che il Signore rimprovera anche noi. Un maestro dello spirito conferma dicendo: ‘Nella vita spirituale i nostri peccati soltanto sono la nostra tristezza’. Perciò la vita cristiana deve sempre avere questa lampada accesa sopra di sé: la gioia. Tutto deve svolgersi nel clima di una semplice ma serena pace, che parte dalla grazia di Dio che consola e fa liete le anime. Avete mai incontrato un santo? Qual è la nota caratteristica che avete trovato in quell’anima? Sarà una gioia, una letizia così composta, così semplice, così vera. Ed è questa trasparenza di letizia che ci fa dire: quella è davvero un’anima buona, perché ha la gioia nel cuore. Ebbene io auguro che voi tutti, che siete uniti a Cristo, abbiate sempre la letizia nel cuore”.
Ed è anche il mio augurio … per noi, che tante volte, per la nostra poca fede, tanto somigliamo ai due discepoli di Emmaus, ‘tristi’, quando sentiamo la mancanza del Maestro (anche se Lui è sempre con noi!) ma pronti a ritrovarLo ‘nello spezzare il pane’ dell’Eucarestia.

Antonio Riboldi – Vescovo
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14/05/2014 08:25
 
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IV Domenica di Pasqua (Anno A)


 Io sono venuto perché abbiano la Vita


 


Mi è cara questa domenica – detta del Buon Pastore – perché è sempre stata la festa di noi sacerdoti, pastori di un gregge che la Chiesa affida alle nostre cure. È la festa di ‘chi è di Gesù’, sia pure sotto le nostre povere vesti che, a volte, non riescono neppure a nascondere le tante manchevolezze, tipiche dell’essere poveri uomini, ma con una missione incredibile.


Non per nostra scelta – ripeto – ma per un’incomprensibile ‘scelta di Dio’, siamo chiamati a fare da guida a comunità che, come sempre, per tante ragioni, a volte sembra ci rifiutino o, ancor peggio, facendosi convincere dai ‘falsi maestri’ del mondo (che ci sono sempre stati e sempre ci saranno) li scelgono come ‘pastori’, anche se poi altro non sono che ‘mercenari’, che ‘rubano’ le pecore del gregge. A questi ‘mercenari’ – dice Gesù – ‘non importa nulla del gregge’, ossia che fine fanno le persone che ‘usano’.


Quando ero parroco in Sicilia, era abitudine, come segno, donare un agnello al proprio ‘pastore’. Ricordava a tutti, a me in particolare, il compito di custodire, amare, nutrire il gregge affidatomi, a qualunque costo, e ai fedeli, il vincolo di fiducia nel farsi guidare.


Quando Gesù si definì ‘pastore’, scelse un simbolo che la dice lunga sull’umiltà e sulla dolcezza Sua: un ‘pastore’ che si è fatto immolare sulla croce ‘come agnello’, segno del grande amore capace di dare la vita ‘per le sue pecorelle’.


Il grande potere del pastore è tutto qui: imitare l’amore di Gesù nell’umiltà e nella dedizione, continuando a donarLo nell’Eucarestia, nel sacramento della Penitenza e nella Parola.


Non siamo ‘funzionari pagati’ per un ufficio, ma siamo i grandi amici di tutti, senza distinzioni, intendendo per amicizia il dono rispettoso dell’Amore, il dono di Cristo.


Siamo in tempi in cui i mass-media si divertono nel toglierci la nostra vera dignità, cercando le nostre debolezze e mai facendo apparire il grande bene che offriamo. Ma se qualcuno sbaglia, sono tanti quelli che offrono disinteressatamente la vita a Cristo e ai fratelli!


Basterebbe fare un giro per le tante parrocchie o comunità e ci si imbatterebbe in sacerdoti o vescovi che sono davvero ‘pastori buoni’, nelle cui mani si può mettere la propria vita, come fossero le mani di Dio.


Non è certamente facile essere ‘buoni pastori’: richiede una seria volontà di santità e una totale disponibilità a farsi carico di tanti sacrifici, per mettersi sulle spalle tante pecore smarrite.


È vero che un prete quando parla, quando celebra è Cristo tra noi, e quindi non può, come il Maestro, sfuggire alla sofferenza, ma deve continuare con infinita passione ad amare coloro che Dio gli ha affidato. E quando si incontra la sofferenza o l’incomprensione, il meditare le parole che Pietro scrisse nella sua I lettera, diventa un vero viatico per lui, come per ogni credente a cui sono rivolte oggi.


 “Carissimi, se, facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio. A questo infatti siete stati chiamati, perché anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme: egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca; insultato, non rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia … dalle sue piaghe siete stati guariti. Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime”. (1 Pietro, 2, 20-25)


C’è – ci deve essere – una differenza tra il mondo e noi, che crediamo in Cristo, nel presentarci e stare con gli uomini. Il mondo ricorre sempre a tecniche e strategie, spot pubblicitari ed esibizioni spettacolari, noi dobbiamo abbracciare l’umiltà del servizio che, quando ama, non fa chiasso. Anzi.


Forse qualcuno è ancora tentato dalla cosiddetta ‘necessità di dare visibilità’ alla fede: manifestazioni pubblicizzate, folle oceaniche, presunti miracoli che attirano le masse, turismo religioso, liturgie che facciano notizia.


Ma può la ‘visibilità’ accordarsi con il Dio-impotente, che si è rivelato nel Cristo crocifisso?


Gesù non è tema da ‘intrattenimento’, bensì una persona la cui visibilità è data dalla testimonianza di quanti lo seguono. Ci sono preti, vescovi, cristiani che senza apparire nei mass-media, costruiscono ogni giorno comunione tra loro e speranza nella propria gente.


Anche pensando a loro, ascoltiamo con gioia la parola di Gesù, ‘il Buon Pastore’:


“In verità in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore.


Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce … Io sono la porta delle pecore: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”(Gv. 10, 1-10)


Questo è il meraviglioso ritratto che Gesù fa di sé e che dovrebbe essere il modello da vivere per chi di noi crede in Lui e soprattutto se è stato chiamato ad ‘essere pastore’.


A volte ci accusano di fare del nostro servizio, tutto e solo amore, una ricerca di ‘potere’.


Affermava don Tonino Bello: A noi non si addicono i segni del potere. Ma solo il potere dei segni. Non tocca a noi cioè, con il nostro impegno di carità, risolvere il problema della casa, della disoccupazione, della ingiustizia planetaria. Tocca a noi però, condividendo la sorte degli uomini, porre segni di inversione di marcia ogni volta che il mondo assolutizza se stesso. Rinunciamo pure ai segni del potere. Non convertono alcuno. Ma non rinunciamo al potere dei segni”.


Altre volte notano, criticando, le nostre amarezze e difficoltà.


E Papa Francesco nella Messa del Crisma, del Giovedì Santo, ha ricordato ai sacerdoti che “anche nei momenti di tristezza, in cui tutto sembra oscurarsi e la vertigine dell’isolamento ci seduce, quei momenti apatici e noiosi che a volte ci colgono nella vita sacerdotale (e attraverso i quali anch’io sono passato), persino in questi momenti il popolo di Dio è capace di custodire la gioia, è capace di proteggerti, di abbracciarti, di aiutarti ad aprire il cuore e ritrovare una gioia rinnovata”.


Altri ci considerano illusi, votati al fallimento … ma Paolo VI, in un’omelia del 27 giugno 1975, esortava i sacerdoti: “Levate il vostro sguardo … Il mondo ha bisogno di voi! Il mondo vi attende! Anche nel grido ostile ch’esso lancia talora verso di voi, il mondo denuncia una sua fame di verità, di giustizia, di rinnovamento che il vostro ministero saprà amministrare. Sappiate ascoltare il gemito del povero, la voce candida dei bambini, il grido pensoso della gioventù, il lamento doloroso del lavoratore affaticato, il sospiro del sofferente e la critica del pensatore. Non abbiate mai paura! – Ha ripetuto il Signore. Il Signore è con voi!”.


Che Dio ci faccia davvero, come Gesù, ‘buoni’, interamente ‘buoni’, tanto amici del gregge da dare tutto di noi, anche la vita, come sanno fare alcuni, sempre ricordando le parole profetiche di Papa Francesco: ‘Il sacerdote è una persona molto piccola: l’incommensurabile grandezza del dono che ci è dato per il ministero ci relega tra i più piccoli degli uomini. Il sacerdote è il più povero degli uomini se Gesù non lo arricchisce con la sua povertà, è il più inutile servo se Gesù non lo chiama amico, il più stolto degli uomini se Gesù non lo istruisce pazientemente come Pietro, il più indifeso dei cristiani se il Buon Pastore non lo fortifica in mezzo al gregge. Nessuno è più piccolo di un sacerdote lasciato alle sue sole forze; perciò la nostra preghiera di difesa contro ogni insidia del Maligno è la preghiera di nostra Madre: sono sacerdote perché Lui ha guardato con bontà la mia piccolezza (cfr Lc 1,48).


E concludiamo riflettendo sulle parole di S. Pietro: “Esorto voi presbiteri, io parimenti presbitero e testimone dei patimenti di Cristo e chiamato a far parte di quella gloria che sarà un giorno manifestata, siate pastori del gregge di Dio, che da voi dipende, governandolo non forzatamente, ma con bontà come vuole Dio; non per amore di vile guadagno, ma con animo volenteroso; non come dominatori dell’eredità del Signore, ma diventati sinceramente modelli del gregge”. (1 Pietro 5. 1-4)


Vorrei fare festa con quanti sacerdoti e vescovi, oggi, sono pastori del gregge.


E vorrei esortare, quanti mi sono vicini, a pregare per me e per tutti i pastori, non solo, ma a compatirci nelle debolezze e vivere con noi la passione di Cristo per le anime, a cominciare dai più deboli.


 Antonio Riboldi – Vescovo


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23/05/2014 07:46
 
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Omelia del giorno 25 Maggio 2014

VI Domenica di Pasqua (Anno A)

Non vi lascio orfani

Non è certamente cosa da poco trovarsi – tutti noi, poveri uomini – di fronte ai compiti che la vita inevitabilmente ci pone. Ci sono momenti di grande solitudine, a volte creata da chi ci sta attorno, che non si accorge neppure della nostra sofferenza o difficoltà; ci sono quei momenti di ‘angoscia’, perché il ‘sentirsi soli’ nasce dal non capire neppure noi stessi. Sono quelle che chiamiamo ‘crisi’. Quanta gente soffre per questo!

Viene per tutti, in qualunque situazione, l’impatto con il dolore o con la necessità delle scelte o con la durezza del proprio compito. Guardare in faccia la propria croce è da gente forte, da gente di autentica fede e di amore. Farsi prendere dallo spavento della solitudine, dell’abbandono è come gettare le armi, prima di averle prese in mano: è rinunciare a vivere, senza avere risolto alcun problema, lasciando sospeso ciò che non può essere lasciato in sospeso. È in questi momenti che si cerca, si invoca Chi sappia darci una ragione del nostro smarrimento, in altre parole ci riporti alla gioia della vita, anche se da una croce.

Viene alla mente il momento dell’Ultima Cena, durante la quale Gesù aveva aperto il suo Cuore, aveva chiamato i Suoi ‘amici, e non più servi’, donato in eredità l’Eucarestia – ‘Prendete e mangiate, questo è il mio corpo, fate questo in memoria di me’; offerto la lezione di come porsi davanti ai fratelli, da ‘servi’ non da sovrani, come spesso capita a noi – ‘lavò loro i piedi’. Ma soprattutto quello che colpisce – e riguarda noi, sempre – è come li amava e ci ama: “Nessuno ha un amore più grande di questo, morire per i propri amici. Voi siete miei amici se fate quello che io comando.” (Gv. 15, 12-18)

In quel cenacolo davvero è esploso tutto l’Amore che Dio ha per i Suoi e, quindi, noi, ora, che siamo Suoi per il Battesimo. Chi non avrebbe voluto esserci quella sera?

Ma forse non siamo abbastanza consapevoli che Gesù sapeva quello che Lo attendeva da lì a poco, ossia la notte della Sua Passione, e, soprattutto, che quella sarebbe stata una tragedia che avrebbe provocato tanto smarrimento negli Apostoli, uno smarrimento comune a tutti noi.

Per questo Gesù, quella sera, come gettando lo sguardo avanti, ha detto ai Suoi, e continua a dire a noi:

“Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro Consolatore, perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché Egli rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più: voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi”. (Gv. 14, 15-21)

Nella tristezza è la grande notizia, per tutti: “Non vi lascerò orfani!”

Gesù ha detto queste parole, che saranno sempre una certezza per chi Lo segue, ieri, oggi e sempre; e le ha dette nel momento più difficile della sua esistenza tra noi, fino a giungere al punto, quasi facendosi voce della nostra paura di essere abbandonati da tutti, di proclamare dalla croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?’. (Mt. 26, 46)

Gesù quella sera sembra non tanto preoccupato per sé, ma per i suoi, che sapeva avrebbero conosciuto la profondità della loro debolezza, il grande dolore dell’abbandono, e avrebbero cercato qualcosa che li confortasse. Gesù stesso sarebbe stato consolato dalla presenza di un Angelo, durante la sua agonia nel Getsemani, nel momento in cui sembra potesse nascere anche in Lui la voglia di fuggire dalla crocifissione: ‘Padre se è possibile, allontana da me questo calice, però non la mia, ma la tua volontà si compia in me’. È incredibile come Gesù, che ci ha promesso il Consolatore, abbia voluto essere ‘uomo di tutti i tempi’: l’uomo, ogni uomo, che conosce l’abisso della prova e della solitudine. Ma alla fine trionfa il disegno di realizzare il grande disegno di Amore per noi. È la storia della Chiesa, ieri e oggi; la storia di tutti, a volte tentati di abbandonare ogni proposito buono e di fuggire. Ma dove?

È proprio da questa prova che emerge il grande trionfo di Dio e della Chiesa di ogni tempo, anche oggi!

Impressiona, ripeto, la solitudine in cui tanti vengono a trovarsi nei momenti della prova. Basta guardarci attorno per incontrare volti che sembra chiedano una parola o uno sguardo di conforto: fratelli a cui far sentire che è vero quello che ha detto Gesù e oggi fa dire a noi: ‘Non vi lascerò orfani’.

Non è nemmeno necessario fare chissà che cosa: nella nostra società così dispersiva, abituata a consumare cose e uomini, ciò che si desidera ardentemente è un orecchio disponibile all’ascolto, una mano pronta a sorreggere, soprattutto un cuore che con pazienza, bontà, semplicità faccia risentire, ‘incarnare’, la stupenda promessa di Gesù: ‘Non vi lascerò orfani’.

Lo Spirito di Dio, che soffia su ciascuno di noi, con incommensurabile fantasia, se trova in noi disponibilità, ci aiuterà a ‘incarnare’ il modo giusto, le parole adatte, a consolare.

Tornano di conforto le parole che Pietro scriveva: “Carissimi, adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo. Se questa infatti è la volontà di Dio, è meglio soffrire operando il bene che facendo il male, perché anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, morto nel corpo, ma reso vivo nello spirito”. (1 Pietro 3, 15-18)

Preghiamo anche noi: «Padre mio, a Te mi abbandono, fa’ di me ciò che ti piace: qualsiasi cosa Tu faccia di me, io Ti ringrazio. Sono pronto a tutto, purché la Tua volontà sia fatta in me e in tutte le creature. Non desidero altro, mio Dio. Rimetto la mia anima nelle Tue mani, te la dono, mio Dio, con tutto l’amore del mio cuore, perché Ti amo. Ed è per me una necessità di amore il donarmi e rimettermi nelle Tue mani, senza misura e con infinita fiducia, perché Tu sei mio Padre>>. (Charles de Foucauld)


Antonio Riboldi –
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04/06/2014 09:17
 
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Ascensione del Signore (Anno A)


 Gesù ascende al Cielo


Gesù, il Maestro, aveva definitivamente spazzato via il senso di fallimento e di abbandono dei Suoi, suscitando stupore e gioia grande, perché era RISORTO e, quindi, meravigliosamente VIVO. Abbiamo letto, nella Domenica di Pasqua, come Gesù ‘andava e veniva’, nei modi più strepitosi, sempre sorprendendo i Suoi: Maria Maddalena, chiamata per nome, i due discepoli di Emmaus, a cui aveva fatto ‘ardere il cuore’, gli intimoriti Apostoli, salutati con il ‘Pace a voi!’, Tommaso, invitato a credere con la richiesta: ‘Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani’, ed infine quell’annuncio, che è per noi: ‘Beati coloro che pur non avendo visto crederanno.’


Ed infine la sicura promessa: ‘Non vi lascerò orfani.’


Si rimane commossi di fronte a tanta bontà di Gesù, che li prepara alla grande missione: è una cura ‘materna’ quella di Gesù per i Suoi, per rafforzarli nella fede. Conosce la loro debolezza umana messa alla prova nella Sua passione, crocifissione, morte e sepoltura, e la nostra di fronte alle tante difficoltà della vita. Vuole ravvivare la ragione della Sua presenza tra di noi: il significato vero e profondo di quanto ha compiuto per noi.


Sembra la storia di tanti di noi, magari con tanta fede e gioia nel seguire Gesù, ma forse attendendo inconsciamente da Lui ‘solo’ quello che attendevano gli Apostoli, ossia un benessere ‘qui’.


Tutti, credo, possono in certi periodi di crisi sperimentare questa ‘assenza’ di Dio, che poi ‘riappare’ di nuovo, superata la prova. Gesù ha detto, prima di tornare al Cielo: ‘Non vi lascerò orfani.’


Ed è così, per questo oggi la Chiesa ci invita a fare festa per l’Ascensione di Gesù al Cielo.


Giovanni, testimone di questo divino evento, così racconta negli Atti degli Apostoli quel giorno:


“Gesù si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del Regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre ‘quella che avete udita da me: Giovanni fu battezzato in acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo fra non molti giorni. Così, venutisi a trovare insieme, gli domandarono: ‘Signore è questo il tempo in cui ricostruirai il regno di Israele?’ Ma egli rispose: ‘Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni in Gerusalemme, nella Giudea e in Samaria, fino agli estremi confini della terra’. Detto questo fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube Lo sottrasse al loro sguardo. E poiché essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, ecco due uomini in bianche vesti si presentarono loro e dissero: ‘Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Gesù, che è stato tra voi assunto in cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo’” (At. 1, 1-11)


Ora i suoi discepoli sanno che Gesù è vivo – c’è! – Non più sottomesso alla miseria della nostra natura umana; c’è, non distante da noi, ma accanto a noi, di più, in noi, non in forma provvisoria, ma per sempre, nella pienezza della Sua potenza, pronto a comunicare tale divina potenza a chi crede in Lui. E, ancora di più, ora gli Apostoli sanno che le porte del Cielo sono aperte anche per loro: ‘Vado a prepararvi un posto.’


Quella è la dimora, la vera dimora verso cui dirigere i nostri passi, senza più cedere alle inevitabili prove o incertezze, che sono il bagaglio della nostra debolezza umana.


L’importante sarà – è – tenere fisso lo sguardo verso l’Alto, per vedere tutto alla luce che da lassù viene, per vivere ogni momento della nostra quotidianità come ‘cittadini del cielo’, sentendo nel fondo dell’anima che il Cielo di Dio è già, in qualche modo, in noi, poiché Gesù ‘abita’ in noi!


Dice S. Paolo, scrivendo agli Efesini:


“Possa Dio illuminare gli occhi della vostra anima per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità tra i santi e quale è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti, secondo l’efficacia della sua forza che Egli manifestò in Cristo, quando Lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli, al di sopra di ogni principato e potestà, potenza e dominazione, e di ogni altro nome che si possa nominare non solo nel secolo presente, ma anche in quello futuro”. (Ef. 1, 17-23)


La storia degli Apostoli è la nostra storia. Se non altro perché da quel giorno, su ordine preciso di Gesù, l’hanno tramandata fino a noi come la sola Buona Novella da sperare e vivere. Il difficile – ma è la somma sapienza cristiana – è adesso vivere con gli occhi continuamente fissi in Alto, senza avere la testa tra le nuvole, ma con piedi piantati a terra, luogo del nostro pellegrinaggio.


Nessuno, cioè, vuole nascondersi i rischi, le paure o i doveri, che ci prendono tutti, camminando su questa terra, soprattutto le velenose insidie, che ci vengono dalla nostra superbia, che ci acceca e impedisce di vedere la bellezza del Cielo aperto su di noi. Ma Dio non lascia solo nessuno.


Però è necessario corazzarsi di una robusta fede, soprattutto non distogliere mai gli occhi dal Cielo che dà sempre una risposta alle nostre incertezze e debolezze.


Vivere la speranza cristiana non significa, quindi, disinteressarsi della storia, che è il quotidiano, in cui dobbiamo essere ‘sale e luce della terra’, perché, come diceva Papa Francesco in un’udienza generale:


“L’Ascensione di Cristo al Cielo non significa la sua assenza dalla nostra vita, ma che Egli è tra noi il Vivente, presente in ogni tempo e luogo. Per questo noi non siamo mai soli: Cristo crocifisso e risorto ci guida poiché è il Dio e il Signore della storia, il Salvatore dell’umanità! L’Ascensione di Gesù è il frutto della sua obbedienza e della sua accettazione della Croce. Egli ci insegna ad accettare la volontà di Dio nella nostra vita, anche quando sembra difficile, perché non c’è né risurrezione senza Croce, né Ascensione senza obbedienza.” 


Antonio Riboldi – Vescovo


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06/06/2014 07:15
 
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Pentecoste: ‘Grande ora è questa’!


Il giorno della Pentecoste sembra di assistere al racconto biblico della creazione dell’uomo, quando Dio, dopo aver composto con il fango questo incredibile frutto del suo immenso amore, che siamo noi, ci ha resi partecipi della sua stessa vita divina, infondendoci il Suo Spirito. L’uomo non poteva e non doveva essere solo. Da solo l’uomo non può capire né amare la vita. Ha bisogno dell’Altro per amare e sentirsi amato. Lo dice espressamente Gesù: “Senza di me non potete far nulla. Io sono la vita e voi i tralci”. E per dare un’immagine quasi visibile, che sia comprensibile, ci definisce ‘dimora’, ossia ‘casa’, in cui sceglie di abitare lo Spirito Santo. Così lo Spirito Santo diventa ‘anima della nostra stessa vita’.


Lo straordinario evento divino della discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli, che diventano così Chiesa - e con loro i discepoli di tutti i tempi e noi oggi – è raccontato negli Atti degli Apostoli:


“Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro ed essi furono pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi …” (At. 2, 1-11)


Immediatamente, come nati da ‘nuova creazione’, agli Apostoli, di cui conosciamo la grande debolezza nel momento della prova, si evidenzia il senso profondo di quello che era accaduto a Gesù,  veramente il Figlio di Dio, e questa consapevolezza si accompagna ad una straordinaria potenza, loro sconosciuta, che li porta a proclamarLo con coraggio nelle stesse piazze da cui, pochi giorni prima, erano fuggiti per paura. Davvero erano diventati ‘altra cosa’, di grande potenza, fino al martirio. Ormai erano ‘tempio vivo’ dello Spirito: le loro voci, le loro parole erano voci e parole dello Spirito. Le loro mani, mani dello Spirito, che sapeva compiere prodigi per confermare quanto la voce proclamava. Ed in breve ‘tutta la terra risuonò’ delle opere dello Spirito Santo.


E la Pentecoste non è un evento che si ferma agli Apostoli, ma è opera sempre in chi vive la Chiesa.


Davanti a tutte le inutili chiacchiere degli uomini, che parlano senza contenuti di speranza e di verità, come non fossero ancora toccati dalla forza dello Spirito, la Chiesa, nata dalla Pentecoste, sempre ha saputo e sa raccontare i grandi prodigi che lo Spirito compie: incredibili e meravigliosi prodigi in ogni angolo della terra, che si compiono sotto i nostri occhi e cancellano la miseria dell’uomo, per fare spazio alle grandi opere che lo Spirito nell’uomo può compiere.


È davvero, questo giorno, la solennità della Chiesa, la nostra festa.


Così cantava Paolo VI: ”Grande ora è questa, che non ammette che uno possa dirsi cristiano e conduca una vita moralmente molle e mediocre, isolata ed egoista… Grande ora è questa che bandisce dal popolo cristiano il senso della timidezza e della paura, il demone della discordia e dell’individualismo, la viltà degli interessi temporali soverchianti quelli spirituali. Grande ora è questa, in cui la Pentecoste invade di Spirito Santo il Corpo mistico di Cristo e gli dà un rinato senso profetico, secondo l’annuncio dell’apostolo Pietro, nella prima predica cristiana che l’umanità ascoltava: ‘Profeteranno i vostri figli e le vostre figlie, i giovani vedranno visioni, i vecchi sogneranno sogni. E sui miei servi e le mie ancelle, in quei giorni, effonderò il mio Spirito e profeteranno’. (At. 2, 17-18)”.


Paolo VI sapeva molto bene ‘profetizzare’ l’evento della Pentecoste che - ieri, oggi e sempre – è lo Spirito Santo che opera in noi in modo meraviglioso e potente.


Chi di noi non ha fatto esperienza, se davvero viviamo la fede in modo vero, della Presenza e Forza dello Spirito che ci ha ‘suggerito’ parole che venivano da ‘un Altro’, o ci ha fatto scoprire in noi un coraggio nell’affrontare certe prove, che superavano la nostra naturale debolezza...e noi stessi ci siamo meravigliati? È una Presenza, un Respiro che mai mancherà in noi, nella Chiesa, fino alla fine dei tempi. Lo Spirito Santo ‘dimora’ e chiama nel tempo, e i Suoi discepoli diventano, se docili strumenti nelle sue mani, la divina ‘penna’ che tra le dita di Dio scrive, anche oggi, la salvezza dell’umanità.


Basta per un istante gettare lo sguardo su tanti che sono stati o sono tra noi e hanno stupito per le opere compiute: pensiamo ai recenti Santi, che sono stati proclamati da Papa Francesco, S. Giovanni XXIII, definito ‘un grande uomo docile alla voce di Dio’ o il caro Papa Giovanni Paolo II ‘grande missionario della Chiesa’e tantissimi altri. Davvero la Chiesa è una continua Pentecoste, anche oggi!


A mio parere, mai come oggi, tutto il mondo guarda alla Chiesa che sa parlare - come fosse tornata in possesso di tutte le lingue - a tutti gli uomini, che cercano e sperano di trovare la verità della vita e la forza per viverla. Quante volte, tramite i suoi ministri, ha posato le sue mani sulla nostra testa per invocare la discesa dello Spirito Santo! Basterebbe ricordare la nostra Pentecoste, quando il vescovo ci ha amministrato il sacramento della Confermazione o Cresima. In quel momento lo Spirito Santo è disceso con i Suoi Doni, rendendoci abili ad una vita santa, non solo, ma per essere apostoli del Suo Amore. Che stupore anche solo sapere che ognuno di noi ha un ‘dono particolare’, ossia una capacità che può diventare manifestazione della potenza dello Spirito, e che responsabilità! Dobbiamo, forse, come ha affermato Papa Francesco ‘riprendere confidenza’ con lo Spirito Santo. Come? Ascoltiamo le sue stesse parole:«Abbiamo l’abitudine di domandarci, prima che finisca la giornata: “Cosa ha fatto oggi lo Spirito Santo in me? Quale testimonianza mi ha dato? Come mi ha parlato? Cosa mi ha suggerito?” … Perché è una Presenza divina che ci aiuta ad andare avanti nella nostra vita di cristiani. Chiediamo questa grazia... di abituarci alla Presenza di questo compagno di strada, lo Spirito Santo, di questo testimone di Gesù che ci dice dove è Gesù, come trovare Gesù, cosa ci dice Gesù ... Lo Spirito Santo è Paraclito, cioè quello che ci difende, che sempre è affianco a noi per sostenerci».


Chiediamo dunque insieme di saper essere docili strumenti, perché le meraviglie di Dio possano manifestarsi anche attraverso la semplicità della nostra vita di tutti i giorni, pervasa e vissuta alla Presenza dello Spirito Santo.


Antonio Riboldi – Vescovo


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13/06/2014 08:06
 
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Santissima Trinità (Anno A)


 Solennità della SS. ma Trinità


La Chiesa, lungo tutto l’anno liturgico, ripercorre il continuo cammino della storia dell’amore che Dio ha per ciascuno di noi, facendo memoria dell’amore del Padre, che, dopo averci creati, ci ha donato il Suo Figlio Gesù, nato, morto e risorto per la nostra salvezza, che ci ha inviato, con la Pentecoste, la Presenza vivificante dello Spirito Santo.


La Chiesa sempre inizia la celebrazione del solenne Mistero di amore, che è la S. Messa, con le parole: ‘La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti noi’ ed oggi celebra la solennità della SS. Trinità, che – sono parole di Papa Francesco – “non è il prodotto di ragionamenti umani; è il volto con cui Dio stesso si è rivelato, non dall'alto di una cattedra, ma camminando con l'umanità, nella storia del popolo d'Israele e soprattutto in Gesù di Nazareth. E' proprio Gesù che ci ha salvato. Gesù è il Figlio che ci ha fatto conoscere il Padre misericordioso e ha portato sulla terra il suo «fuoco», lo Spirito Santo, che dentro noi ci guida, ci dà delle buone idee, delle ispirazioni"


È la fede che ognuno di noi esprime con un semplice gesto, che traccia sul corpo, a partire dalla fronte fino al cuore, accompagnato con le essenziali parole, ‘nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo’, con cui non solo facciamo una solenne professione di fede, ma diamo un senso altissimo alla nostra vita, nella sua quotidianità: all’inizio di ogni giornata o di ogni azione, compresa quella di mettersi a tavola, un segno, con cui vogliamo dedicare ciò che facciamo a Colui da cui tutto proviene, a cui tutto dovrebbe essere indirizzato: è come dipingere dei colori del Cielo: la nostra storia, fino all’eternità.


Forse non siamo abituati o educati a considerare la nostra vita come la storia di un grande Amore, che viene proprio dall’opera della Trinità, presente ed operante in noi.


Se potessimo, per un solo istante, contemplare il complesso ricamo di Amore del Padre, l’opera di Gesù, sempre in noi e con noi, e ‘il fuoco’ dello Spirito, che è in ogni aspetto della nostra giornata, moriremmo di gioia, come quando un artista contempla il dettaglio di un’opera d’arte.


Ed è proprio così: io, tu, agli occhi di quanti ci sono vicini o incontriamo, a volte siamo meno di niente. E non ci scandalizziamo per questo, abituati come siamo a valutare tutto fermandoci alle apparenze, ossia a ciò che ‘luccica’ e che non è mai la nostra verità e bellezza.


Bisognerebbe invece essere capaci di contemplare ‘le meraviglie’, che Dio dona ed opera nella nostra storia personale; meraviglie a volte oscurate da orribili debolezze, ma sempre affiancate dalla misericordia di Dio, pronto a cancellarle per mettere al loro posto il colore dell’Amore che perdona.


E’ la certezza espressa da Mosè nella I lettura di oggi: “In quei giorni, Mosè si alzò di buon mattino e salì sul Monte Sinai, come il Signore gli aveva comandato, con le due tavole di pietra in mano. Allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. Il Signore passò davanti a lui, proclamando: ‘Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà’. Mosè si curvò in fretta fino a terra e si prostrò. Disse: ‘Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi. Sì, è un popolo di dura cervice, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa’ di noi la tua eredità” (Es. 34, 4-9)


E come a confermare quanto il Padre aveva detto a Mosè, l’apostolo Giovanni così dichiara:


“Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di Lui. Chi crede in Lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel Nome dell’Unigenito Figlio di Dio”. (Gv. 3, 16-18)


C’è in questa Parola tutto l’amore con cui Dio s’impegna per noi, ma anche il segno della nostra incapacità di scorgerlo, con la conseguenza di sentirci terribilmente vuoti di amore.


Diceva Paolo VI – cui mi riferisco spesso come a un grande maestro della fede – “Una verità fondamentale è da ricordare: Dio è nascosto, come dice Isaia (45, 15). Molti segni, molti stimoli ci parlano e ci conducono alle soglie della Sua ineffabile realtà, ma è pur vero che noi, in questa vita presente, li vediamo di riflesso, nel mistero …. Dio tace, dice la letteratura moderna; tace al nostro orecchio, ma per farsi cercare e ascoltare per altri mezzi. E allora un primo dovere ci coglie, quello di godere della conoscenza che già abbiamo di Dio, e un secondo, quello di cercarLo, di cercarLo appassionatamente, dolcemente, come quando Egli si lascia incontrare. È questo il senso profondo della nostra vita presente: una vigilia che spia e attende la Sua luce. Dio non è un’invenzione, è una felice scoperta’. (Novembre 1968)


È vero che occorre tanta fede per arrivare non solo a Dio, ma, con Dio, alla bellezza nostra. E la fede è un dono che tanti forse desiderano e non riescono a raggiungere. Ma quando si cerca Dio con passione, il Padre non si fa attendere. Ed allora si apre il grande sipario della Presenza in noi della Trinità.


Il male è che tante volte neppure ci pensiamo alla nostra dignità e, di conseguenza, non la vediamo negli altri. Ma Dio non smette di volerci bene e di avere cura di noi.


Abbiamo iniziato la nostra vita con il diventare totalmente suoi figli e ,quindi, partecipi della ‘famiglia di Dio’, nel santo Battesimo. Gesù si è fatto nostro Cibo, Viatico di vita, Pane di vita, nell’Eucarestia; ci ha donato il suo Spirito, Spirito di sapienza, di fortezza, di scienza, nel Sacramento della Confermazione. Davvero siamo ‘figli in pienezza’. Abbiamo tutto quello che potremmo sognare di avere dal Padre e tocca a noi, ora, nella ferialità della vita, costruire quella santità, o dignità di figli, che è poi la bellezza di vivere non una vita qualunque, a volte priva di senso, ma piena di gioia: una vita che va oltre la morte, per essere in cielo figli della ‘grande famiglia di Dio’.


Antonio Riboldi – Vescovo


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20/06/2014 08:29
 
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Corpus Domini (Anno A)

Eucarestia: l’immenso dono di Dio

Se c’è qualcosa che non ha limiti, nel dono e nel tempo, è l’Eucarestia: nel dono totale, fino a diventare ‘Pane della vita’, e nel tempo, perché non conosce limiti.

Oggi la Chiesa nella Solennità del Corpus Domini (Corpo del Signore) ci invita ad entrare in questo ‘mistero della fede’, che il sacerdote, ogni volta celebra la Messa così sintetizza, con le ineffabili parole di Gesù in cui si compie il grande dono di Sé: ‘Prendete e mangiate, questo è il mio corpo. Prendete e bevete questo è il calice del mio sangue. Fate questo in memoria di Me’. (Lc. 22, 16)

Il Santo Giovanni Paolo II così scriveva nella sua enciclica ‘Chiesa ed Eucarestia’: “Quando penso all’Eucarestia, guardando alla mia vita di sacerdote, di vescovo, di successore di Pietro, mi viene spontaneo ricordare i tanti momenti e i tanti luoghi in cui mi è successo di celebrarla … la cattedrale di Wawel, la basilica di San Pietro … in cappelle poste sui sentieri di montagna, sulle sponde di laghi, sulle rive dei mari, l’ho celebrata in altari costruiti negli stadi, nelle piazze delle città. Questo scenario così variegato, me ne fa sperimentare fortemente il carattere universale e, per così dire, cosmico. Sì, cosmico. Perché quando viene celebrata sul piccolo altare di campagna, l’Eucarestia è sempre celebrata, in un certo senso, sull’altare del mondo. Essa unisce il cielo e la terra. Comprende e pervade tutto il creato. Il Figlio di Dio si è fatto uomo, per restituire tutto il creato, in un supremo atto di lode, a Colui che lo ha fatto dal nulla … Davvero è questo, il Misterium Fidei, che si celebra nell’Eucarestia; il mondo, uscito dalle mani di Dio creatore, torna a Lui, redento da Cristo”. (n. 8)

È, quella di S. Giovanni Paolo II, la stessa meraviglia e gioia che ogni credente dovrebbe vivere nella S. Messa, per il dono di Gesù nell’Eucarestia.

Eppure noi uomini, deboli e quasi impotenti ad abbracciare la grandezza dell’Amore, che non ha limiti nel dono e nella felicità, facciamo difficoltà ad entrare in quello che, invece, dovrebbe farci sussultare di gioia....perché più amati di così si muore...e più felici di così, davvero non si può essere!

Il solo pensare che, nella S. Messa, cui partecipiamo, siamo come i Dodici seduti attorno a Gesù e che, a noi, Gesù fa la stessa offerta, lo stesso Dono, reale e vero, tramite il sacerdote, che in quel momento è Cristo, dovrebbe farci dire: ‘Signore, dacci sempre questo pane!’. Ma è così?

Credo che non si possa gustare la solennità dl Corpus Domini, senza, con sincerità, interpellarsi su cosa significhi per noi la Messa. Dovrebbe essere, almeno la domenica, il grande momento dell’incontro con Gesù che, con noi ‘desidera cenare, dandoci il Suo Corpo e Sangue’. Fa davvero impressione come troppi di noi abbiamo perso questo stupendo momento di indicibile gioia.

Una gioia che non traspare, tante volte, neppure in chi partecipa alla Messa.

Il momento della Comunione, quando il celebrante, accostandoci all’altare, ci offre il ‘Corpo di Cristo’, dovrebbe essere un evento di pace, di completezza, unito alla consapevolezza che, con Gesù, divenuto ‘Pane della nostra vita, così fragile, siamo diventati, tutti, ‘un solo corpo’, al punto che l’assemblea dovrebbe gustare la gioia di essere, in Lui, con tutti, una comunità che si ama.

Tra i meravigliosi e incredibili doni che Gesù ci ha fatto, certamente l’Eucarestia è il Dono per eccellenza: ci ha donato Se stesso, che sotto le specie del pane si fa 'Pane di vita'.

Non deve dunque stupire il fatto che tutti i santi abbiano fatto dell’Eucarestia il vero segreto della santità e felicità della vita. Il solo pensiero che nella Comunione incontriamo Gesù vivo e vero, rende inconcepibile pensare alla Celebrazione eucaristica, come un dovere da espletare o un peso da sopportare! E’ una questione di fede. Se la Chiesa, nel corso dei secoli, ha pensato alla domenica come ‘il giorno del Signore’, è chiaro che il punto centrale di questo giorno è l’Eucarestia.

Forse occorre recuperare una forte ed efficace catechesi, anche perché, l’allontanamento dall’Eucarestia o l’accostarla senza le dovute disposizioni, o il sentirla semplicemente come un rito da vivere, dipende proprio dall’ignoranza, dalla non comprensione della sua bellezza, del Dono immenso che ci fa Dio stesso in Suo Figlio. Inoltre la celebrazione eucaristica domenicale crea la Comunità, si ripetono i gesti del Maestro nell’Ultima Cena, e come i primi cristiani si impara a vivere ‘nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere’ soprattutto volendosi bene: questo è diventare Chiesa, popolo in cammino dietro le orme del proprio Signore.

Ecco perché bisogna risvegliare le coscienze cristiane. Non possiamo dirci discepoli di Gesù se non cresciamo nella fede e nella carità, superando tutto ciò che è solo rito o esteriorità e imparando a leggere i ‘segni sacramentali’ nella verità a cui ci rimandano.

Solo la fede ci può aiutare a vivere e celebrare l’Eucarestia, comprendendone il valore, il dono e la forza che da essa può scaturire, perché è partecipazione alla stessa passione, morte e resurrezione di Gesù. La S. Messa è la nostra Pasqua quotidiana, cioè ‘resurrezione a vita nuova’ operata in noi da Gesù stesso.

Oggi, Solennità del Corpus Domini, aiutiamoci ad approfondire o recuperare il valore essenziale dell’Eucarestia con alcuni stralci di una catechesi di Papa Francesco:

“L’Eucaristia ci introduce nella comunione reale con Gesù e il suo mistero. Come viviamo l’Eucaristia? È solo un momento di festa, è una tradizione consolidata, è un’occasione per ritrovarsi o per sentirsi a posto, oppure è qualcosa di più? Ci sono dei segnali che ci dicono se noi viviamo bene l’Eucaristia. Il primo è il nostro modo di guardare e considerare gli altri. Nell’Eucaristia Cristo attua sempre nuovamente il dono di sé che ha fatto sulla Croce. Tutta la sua vita è un atto di totale condivisione di sé per amore … L’Eucaristia che celebro, mi porta a sentire tutti come fratelli e sorelle? Mi aiuta a riconoscere in loro il volto di Gesù? Tutti noi andiamo a Messa perché amiamo Gesù e vogliamo condividere, nell’Eucaristia, la sua passione e la sua risurrezione. Ma amiamo, come vuole Gesù? ... Un secondo indizio, molto importante, è la grazia di sentirsi perdonati e pronti a perdonare. … In quel pane e in quel vino che offriamo e attorno ai quali ci raduniamo si rinnova ogni volta il dono del Corpo e del Sangue di Cristo per la remissione dei nostri peccati. Dobbiamo andare a Messa umilmente, come peccatori e il Signore ci riconcilia. Un ultimo indizio prezioso ci viene offerto dal rapporto tra la celebrazione eucaristica e la vita delle nostre comunità cristiane. L’Eucaristia non è qualcosa che facciamo noi; non è una nostra commemorazione di quello che Gesù ha detto e fatto. No. È proprio un’azione di Cristo! È Cristo che lì agisce, che è sull’altare. E’ un dono di Cristo, il quale si rende presente e ci raccoglie attorno a sé, per nutrirci della sua Parola e della sua vita. Attraverso l’Eucaristia, Cristo vuole entrare nella nostra esistenza e permearla della sua grazia. Viviamo quindi l’Eucaristia con spirito di fede, di preghiera, di perdono, di penitenza, di gioia comunitaria, di preoccupazione per i bisognosi e per i bisogni di tanti fratelli e sorelle, nella certezza che il Signore compirà quello che ci ha promesso: la vita eterna”.

E allora, carissimi, facciamo festa, oggi, ma una festa senza fine, come è quella di accogliere l’Eucarestia, il Corpo di Cristo, ‘vera gioia del cuore’.

Farsi amare da Dio così è dare alla vita quella serenità che diventa poi contagiosa per quanti incontriamo e in quello che facciamo.

Antonio Riboldi – Vescovo
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28/06/2014 06:23
 
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Santi Pietro e Paolo

Tu sei Pietro e su questa pietra...


Gesù, il Figlio che il Padre ha donato all’umanità, perché fosse riscattata dal peccato, ci ha detto: ‘Io sono la Via, la Verità e la Vita’ e ‘senza di me non potete fare nulla’. Solo in Cristo possiamo essere riammessi come figli nella ‘famiglia di Dio’.

Gesù è Via di verità e di amore, che svela a noi ciò che veramente siamo nel disegno di Dio che, come Padre, ci ha donato la Vita; una ‘Via’ che Gesù ha tracciato con le parole, le opere, ma più ancora con il dono della Sua vita sulla croce – immenso amore di Chi si dona per salvare gli amici.

Fin dall’inizio della Sua missione ha scelto i dodici destinati a continuare la Sua opera tra di noi. Gesù, secondo il suo stile, che vuole totale apertura al piano di amore del Padre, ha scelto coloro che noi – malati di grandezza, superbia e protagonismo – non avremmo mai scelto: ‘i poveri in spirito’. Persone umili, senza gloria e quindi pronte ad accogliere l’invito, senza sapere cosa questo invito prevedesse e a che cosa li avrebbe destinati.

Nei tre anni di scuola di Gesù, che predicava la buona Novella per le strade della Galilea, della Samaria, della Giudea, incontrando applausi e contrasti, Lo hanno seguito, forse sperando che avrebbe preparato per loro un domani pieno di successo e della gloria di questo mondo.

Impensabile. Tanto è vero che quando Pietro sente l’annuncio di Gesù della sua prossima crocifissione e resurrezione, ‘lo prese in disparte e gli disse con tono di rimprovero: ‘Sia mai!’. Ma Gesù lo allontanò bruscamente: ‘Vai lontano da me, Satana, tu mi sei di scandalo!’.

Si rimane senza parole, presi dallo stupore, nel vedere come Dio affidi la sorte dell’umanità redenta a poveri uomini che dovranno essere, qui sulla terra, ‘Suo Vangelo’, testimoniandolo con la vita e pronti, come il Maestro, a donarla per Lui e per la bellezza del Suo Regno.

Tutti noi abbiamo vissuto i ‘divini tempi’ della storia recente della Chiesa.

Come dimenticare la dolcezza di quel grande Papa del sorriso, che fu S. Giovanni XXIII? È nel cuore di tutti quel saluto semplice che, dalla finestra del suo studio, inviò, esprimendo la dolcezza stessa del Maestro: ‘Questa sera andando a casa portate il saluto del Papa ai vostri bambini, ai malati e dite: è il saluto del Papa che vi vuole bene’.

È stato per tutti il grande ‘Papa buono’, che non mancava di comunicare il suo ottimismo, tanto necessario anche oggi, e piace riferire ciò che disse aprendo il Concilio - davvero un’immensa opera dello Spirito - l’11 ottobre 1962: “Nell’esercizio del nostro ministero pastorale, ci feriscono talora l’orecchio suggestioni di persone, pur ardenti di zelo, ma non fornite di senso sovrabbondante di discrezione e di misura. Nei tempi moderni esse non vedono che prevaricazioni e rovina; vanno dicendo che la nostra età, in confronto con quelle passate, è andata peggiorando e si comportano come se nulla abbiano imparato dalla storia, che pure è maestra di vita. A noi sembra di dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre eventi infausti quasi fosse la fine del mondo. Nel presente momento storico, la Provvidenza ci sta conducendo ad un nuovo ordine di rapporti umani, che, per opera degli uomini e per di più della loro stessa aspettativa, si volgono verso un compimento di disegni superiori e inattesi, e tutto, anche le umane avversità, dispone per il maggior bene della Chiesa”.

Sembra di leggere in queste parole ‘il grande sorriso’ che si proiettò sul mondo in preda alla paura: lo stesso sorriso che era nel breve saluto, con il ‘bacio ai bambini e ai malati’.

Dopo Giovanni XXIII lo Spirito serbava in cuore un altro ‘Pietro’, su cui continuare a costruire la Sua Chiesa: Paolo VI. Gli dico un grande grazie per avermi scelto a essere vescovo di Acerra. Era tanta l’amicizia e stima che ci univa; io a lottare nel Belice, dopo il terremoto, e lui a farmi coraggio. Andando a fargli visita, nel ‘viaggio della speranza’, con 50 bambini, ambasciatori dei loro diritti, ricordo che cercando di ringraziarlo, in ginocchio, per aver avuto la bontà di accoglierci, letteralmente mi sollevò e mi abbracciò e mi disse: ‘Grazie a nome della Chiesa per la carità che svolgete’. E iniziò con i bambini un dialogo incredibile. È stato il Papa che ha guidato il Concilio con saggezza e vigore, non nascondendo la sua timidezza di ‘uomo’, proprio come Pietro, e di cui ad ottobre, la Chiesa, che tanto ha amato, riconoscerà la grandezza nella santità. Un ‘Pietro’ che, nel discorso all’ONU, il 4 ottobre 1965, ebbe il coraggio di dire ai potenti della terra: “Mai gli uni contro gli altri. ma tutti contro la guerra e per la pace. Ascoltate le chiare parole di un grande scomparso, John Kennedy, che quattro anni fa proclamava: ‘L’umanità deve porre fine alla guerra o la guerra porrà fine all’umanità’. La pace, la pace deve guidare le sorti dei popoli e dell’umanità”. E chiuse il Concilio il 7 dicembre 1965, con un discorso tutto incentrato sulla fiducia nell’uomo e sul dialogo con il mondo.

Ma lo Spirito ci riservava anche un incredibile Papa, che durò il breve tempo di una ‘primavera dello Spirito’, ossia Giovanni Paolo I. E’ passato in mezzo a noi in punta di piedi, ma segnando la forte traccia del sorriso e della bontà: 30 giorni che sono stati davvero una pioggia di grazie.

E ‘venne da lontano’ il grande, oggi, S. Giovanni Paolo II. Chi non ricorda la passione evangelica di questo grande Papa, che davvero fu il ‘Pietro’ necessario per i nostri tempi. Non si stancava di correre per le strade del mondo, come faceva Gesù, come l’apostolo Paolo, che oggi ricordiamo con Pietro. Non lo fermò neppure l’attentato in Piazza S. Pietro. Un attentato che ce lo avrebbe tolto, se la Madonna di Fatima – era il 13 maggio – non avesse in qualche modo deviato la corsa del proiettile, salvandolo. Quel proiettile che ora è nella corona, sul capo di Maria a Fatima. Davvero scuoteva tutti quel suo voler raggiungere ognuno per donare la luce del Vangelo: una grande lezione alla nostra pigrizia missionaria.

Posso testimoniare l’amicizia particolare di cui mi onorava e manifestava in ogni occasione, fino a pochi giorni dalla morte, quando, ad una mia lettera, scritta al segretario don Stanislao, volle, dopo averla letta, che mi rispondesse: ‘Il Santo Padre le è tanto grato per gli auguri. Egli le esprime viva gratitudine, amicizia e riconoscenza per i sentimenti di affettuosa espressione con i quali li ha accompagnati ed è grato per le preghiere. Questa solidarietà spirituale è di grande conforto e di aiuto per superare la nuova prova che il Signore ha permesso’.

La lettera porta la data: 29 marzo 2005, la vigilia del suo transito al Cielo.

Tutto il mondo, e non solo noi cristiani, quel giorno abbiamo davvero sentito che un grande amico, una guida sicura, un pastore amorevole, un illuminato ‘Pietro’ ci aveva lasciati. I giorni del lutto in Piazza S. Pietro divennero però il giorno dell’amore e della speranza, accolte dal ‘Pietro’ che con lui tanto aveva operato, così diversi, eppure in una piena e profonda comunione fraterna: Papa Benedetto XVI. Ha stupito la sua profondità di fede, la sua energica e lucida proclamazione dei valori cristiani, richiamandoci alla fedeltà amorosa al Vangelo. La gente non solo lo ha capito, ma lo ha amato profondamente e continua ad essergli vicina. Nell’anniversario delle sue dimissioni, si è unita a Papa Francesco, accogliendo il suo appello: ‘Oggi vi invito a pregare insieme con me per Sua Santità Benedetto XVI, un uomo di grande coraggio e umiltà’: parole che rivelano quanta grande sia la stima e la fiducia in lui. Non resta a noi che affidarci ai ‘santi Pietro’ di cui il Padre ci fa dono. E nello stesso tempo nutrire ‘l’orgoglio’ che, nel piccolo, tutti siamo, come Gesù ci chiama, ‘pietre vive’ della sua Chiesa. ‘Non importa – scriveva il grande Card. Ballestrero, vescovo di Torino – di quale natura sia la pietra, se preziosa o umile; a me basta sapere di essere una pietra, magari in un angolo, ma della Chiesa’. È così per tutti noi? È tempo di interrogarci.

Risentiamo ciò che scrive, sulla scelta di Dio, il grande S. Paolo, l’apostolo delle genti, che oggi festeggiamo con Pietro: “… quando Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre, mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti, subito senza chiedere consiglio a nessuno, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi a Damasco. In seguito, tre anni dopo, salii a Gerusalemme per andare a conoscere Cèfa (Pietro) e rimasi con lui quindici giorni; degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore”. (Gal. 1, 11-20)

È davvero grande festa oggi per noi: sappiamo che siamo stati ‘scelti fin dal seno’ della nostra mamma. Nulla nella nostra vita è ‘per caso’, ma tutto segue un progetto meraviglioso e provvidenziale, pensato da Dio per ciascuno di noi. Accogliamolo, seguiamolo ‘subito’ e siamo certi di essere ‘in buone mani’: ‘Dio ha sempre cura di noi’ e ‘realizza sempre l’opera che ha cominciato’. Fidiamoci di Lui, anche guardando ai fratelli Santi, che ci hanno preceduto, lasciandoci un esempio.

Antonio Riboldi – Vescovo
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06/07/2014 09:35
 
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XIV Domenica Tempo Ordinario (Anno A)

Ti lodo, perché hai rivelato queste cose ai piccoli


Mai, come ai nostri giorni, vi è la tendenza a seminare errori, dubbi, addirittura, mai come oggi, si insinuano ‘cattiverie’ nel quotidiano della vita di ciascuno, nella famiglia, nella società al punto di soffocare a volte anche la voglia di vivere.

Basta renderci conto di quanto, a volte, avviene in internet, al punto da dover perseguire il reato di calunnia, anche in questo ambito. Non c’è quasi modo di difendersi da tutto ciò che radio, televisione e riviste sfornano ogni giorno, spesso suadenti o sottili insinuazioni che tendono a sgretolare ogni verità e dignità.

È davvero necessario, ovunque, a cominciare dall’ambiente familiare, riportare quel clima di rispetto e serenità, che davvero dilata l’anima e fa gustare la vita.

È vero, non si può fare finta di niente e affermare che non c’è nulla di male: bisognerebbe essere ciechi davvero per non vedere il male che ci circonda!

Ha ragione oggi Gesù, che ci chiede di diventare ‘piccoli’, nel senso di ritrovare dell’amore il bello e il buono, affinchè il Padre stesso possa ‘rivelarsi’ a noi.

Commuove sentire Gesù che afferma:

“Ti rendo lode, Padre, Signore del Cielo e della terra, perché hai nascoste queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo”. (Mt. 11, 25-27)

E’ in queste parole di Gesù, che cogliamo il segreto delle persone ‘sante’: uomini e donne, che hanno l’animo ‘dei piccoli’, ossia tanto umili da lasciare il cuore sgombro da ogni desiderio di grandezza o di potere, di falsa superiorità, di arroganza, che sono solo il frutto della superbia.

La vita non è uno scherzo. È una grande responsabilità donataci da Dio. Verrà il giorno in cui dovremo rispondere a Lui di quale posto ha avuto nella nostra esistenza o di quali cose hanno preso il Suo posto. ‘Essere piccoli’, agli occhi di Dio, è proprio la garanzia per poter dare il giusto posto a Lui nel nostro cuore e nella nostra vita. "Per essere grandi bisogna prima di tutto saper essere piccoli. L'umiltà è la base di ogni vera grandezza", ha twittato un giorno Papa Francesco.

Nello stesso Vangelo di oggi c’è, subito dopo, un ‘gioiello del Cuore di Gesù’, che offre tanta serenità. ‘Venite a me, voi tutti che siete stanchi ed oppressi e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi ed imparate da me, che sono mite ed umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero’. (Mt. 11, 28-30)

Un ‘gioiello’ che nuovamente si stacca dal nostro comune modo di pensare. Siamo infatti abituati, tante volte, ad avere esperienze di ‘spalle curve’ per la croce che ci accompagna nella vita, tutti, senza distinzioni. Per alcuni forse può sembrare una maledizione, che non ci si riesce a levar di dosso, pur cercando le più svariate vie per eliminarla: la via degli stupefacenti, che con il tempo si rivelano l’onda alta della morte, la via larga del divertimento a tutti i costi, che ci lascia solo svuotati nel cuore!

Per altri, al contrario, la croce è il segno inconfondibile del prezzo che si versa per entrare nel clima dell’amore, che in quanto tale non può mai essere ‘egoistico’, ma, per sua natura divina, è dono di sé fino al sacrificio.

Gesù, per tutto il tempo che visse tra noi, traversando così le vie della storia, vedendo l’uomo suo contemporaneo oppresso dalla nostra stessa ‘passione’- anche se questa cambia molte volte i nostri ruoli: carnefici o vittime – aveva sempre l’occhio e il cuore attento alle folle che Lo seguivano.

Esse vedevano in Lui l’ultima sponda della speranza e, quindi, della felicità.

Davanti a questa umanità in ricerca, tante volte ha espresso la Sua compassione profonda: una compassione mai superficiale sentimento, che lascia tutto come prima, ma totale condivisione!

Anzi Gesù fa della passione dell’uomo la Sua stessa passione e morte, perché ognuno di noi, pur portando la necessaria croce, che è componente naturale di ogni vita che si affaccia su questa terra, faccia esperienza che sotto la sua croce, spalla a spalla, c’è Lui a portarla con noi.

Ha scritto Papa Francesco: “Chi segue Cristo, riceve la vera pace, quella che solo Lui, e non il mondo, ci può dare. La pace passata attraverso l’amore più grande, quello della Croce. E’ la pace che Gesù Risorto donò ai discepoli quando apparve in mezzo a loro. Non è un sentimento sdolcinato. La pace di Cristo la trova chi “prende su di sé” il suo “giogo”, cioè il suo comandamento: Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato (cfr Gv 13,34; 15,12). E questo giogo non si può portare con arroganza, con presunzione, con superbia, ma solo si può portare con mitezza e umiltà di cuore.”

Sorge in noi il profondo desiderio di dire. ‘GRAZIE!’, non per la croce in sé, che fa sempre male, ma perché, portata insieme, ci fa conoscere dal vero quanto Dio si prenda cura di noi e ci voglia bene. Così la croce che grava sulle nostre spalle diventa un modo di dire ‘sì’ a Chi ama senza limiti, sempre, Gesù, riscoperto anche nell’amore ai fratelli.

Ricordiamo sempre che si vive qui una sola volta, che, ripeto, è una preparazione per lasciarsi salvare, diventando davvero figli del Padre. È là che dobbiamo indirizzare pensieri, affetti, azioni e fatti. Che Dio doni a tutti di ‘essere piccoli’, così da poter un giorno pronunciare le parole di Madre Teresa: “Quando le cose finite si dissolveranno e tutto sarà chiaro, che io possa essere stato il debole, ma costante riflesso del Tuo amore”.

Antonio Riboldi – Vescovo
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12/07/2014 07:16
 
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XV Domenica del Tempo ordinario

Il seminatore uscì a seminare

Leggendo il Vangelo di oggi si ha come l’impressione viva di Gesù che percorre tutte le contrade della Terrasanta, portando ovunque la buona Novella del Regno di Dio.

Una vera pioggia di luce su un mondo che si è sempre distinto per il buio di cui sa circondarsi.

È come se la verità, che è Dio stesso che si rivela all’uomo, volesse anche ai nostri tempi rompere quella fitta coltre di nebbia che impedisce di camminare sicuri.

Ad ascoltare Gesù, allora, correvano in tanti. Si parla sempre di folle, che non si stancavano di pendere dalle sue labbra. E deve essere stato meraviglioso sentire la Sua voce, ascoltare le parole che giungevano dalla pienezza del Suo Cuore. Chi di noi non avrebbe voluto essere uno di quei discepoli? Ma cosa si attendevano da Gesù? Verità di vita, curiosità da raccontare o attese da soddisfare? Certamente ci saranno stati i rappresentanti di tutte queste motivazioni …

E Gesù, che conosce i cuori, lo sapeva bene. Da qui la parabola del seminatore.

Gesù è il seminatore, che va nel suo campo, desideroso che questi diventi una messe colma di frutti.

Non vuole che il suo campo sia un deserto di morte e neppure un groviglio di spine o un terreno sassoso, dove è impossibile attecchisca la vita. Vuole un campo arato, ‘buono’, disponibile ad accogliere il suo seme, come una rosa che si apre per accogliere tutta la luce, che è la sua stessa bellezza, colore e profumo.

Quanta tristezza per il seminatore, quando trova, invece di un campo, ‘una strada’: un terreno ‘piatto’, calpestato da tutti, ormai insensibile ad ogni cenno di vitalità, non più in grado di comprendere la bellezza della Verità: un’assuefazione, un’insensibilità che dovrebbe farci paura

La constatiamo noi stessi, giorno per giorno, e in modo preoccupante. Quante volte si rimane increduli davanti alla durezza di cuore!

Addirittura ci si può sentire deridere quando si accenna alla gioia di essere nella verità, alla serenità che nasce, quando si vivono i grandi valori, che sono la dignità dell’uomo, anzi, di ogni figlio di Dio, che cerca di vivere secondo la vocazione ricevuta con Lui e per Lui.

‘Ci crede ancora a queste cose?’ a volte si sente chiedere da qualcuno, ma pensare da tanti!

È la domanda, aspra a volte, che viene posta a chi afferma la necessità per l’uomo della Parola di Dio. Siamo talmente sommersi dalle tante parole, che ovunque hanno il senso del ‘frastuono’, del ‘non senso’, o che, peggio ancora, incidono nella vita additando strade fuorvianti e sbagliate, da essere diventati duri e scettici, anche verso l’unica Parola di vita, che può salvarci.

Ma se Gesù ha sentito la necessità di essere con noi, predicando la Verità divina, che ritroviamo nel Vangelo, come un vero tesoro nascosto, lo ha fatto per indicarci la via della vita.

La Sacra Scrittura ed in modo particolare il Vangelo sono davvero il libro della Verità, che ci dovrebbe guidare verso la santità, che è la sola ragione per cui il Padre ci ha creati. Troppi, che pure si dicono cristiani, ignorano la Parola di Dio, che è invece necessaria alla nostra vera vita, più dell’aria che respiriamo.

Ricordiamo le parole di quel grande amico, ora santo, che era Giovanni Paolo II: “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà … Non abbiate paura! Cristo sa cosa è dentro l'uomo. Solo lui lo sa!”.

Oggi spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro nel profondo dell’anima e del cuore.

È un ‘terreno sassoso’, in cui vi sono spazi di bontà che sono apertura a Dio. Tanto è vero che la Parola prende subito vita, ma basta una difficoltà e il piccolo seme, che si era affacciato al sole dell’anima, si affloscia e, della gioia che si era conosciuta nell’accogliere Dio che ci parla, rimane nulla. Si torna alle recriminazioni, al deserto di prima.

E’ un ‘terreno, invaso dalle spine’, in cui il seme riesce a passare, ma poi il groviglio non perdona. E queste ‘spine’ Gesù le chiama ‘le preoccupazioni del mondo e delle ricchezze’. Oggi, in un tempo di ricerca di benessere, come è facile imbattersi in ‘terreni spinosi’, poco adatti per la crescita della Parola. E alla fine si giunge ad essere incerti anche sul senso della vita su questa terra, il cuore finisce per essere devastato dal dubbio, che può tramutarsi in disperazione.

Gesù non vuole questo, vuole la nostra piena realizzazione, per questo ci invita a diventare ‘terreno buono’, e non ci lascia soli in questo cammino.

Lo ha ricordato bene Papa Francesco in una catechesi sui doni dello Spirito Santo.

“Il seme si scontra spesso con l’aridità del nostro cuore e, anche quando viene accolto, rischia di rimanere sterile. Con il dono della fortezza, invece, lo Spirito Santo libera il terreno del nostro cuore, lo libera dal torpore, dalle incertezze e da tutti i timori che possono frenarlo, in modo che la Parola del Signore venga messa in pratica, in modo autentico e gioioso. E’ un vero aiuto questo dono della fortezza, ci dà forza, ci libera anche da tanti impedimenti”.

E in un’altra occasione affermò: "E’ il cuore di ognuno di voi il vero campo della fede. Ed è nella vostra vita che Gesù chiede di entrare con la sua Parola, con la sua presenza. Lui è ‘la via, la verità e la vita’. Fidiamoci di Lui. Lasciamoci guidare da Lui".

Preghiamo dunque con il caro S. Giovanni Paolo II, colei che seppe accogliere e vivere la Parola, che per opera dello Spirito si incarnò nel suo seno: Maria SS.ma

“Maria, Regina dei martiri, che ai piedi della croce hai condiviso fino in fondo il sacrificio del tuo Figlio sostienici nel trasmettere il coraggio della nostra fede. Aiutaci a vivere la nostra missione al servizio del Vangelo, nella fedeltà e nella gioia, in attesa del giorno glorioso del Signore Gesù Cristo, lo stesso, ieri, oggi e sempre”.



Antonio Riboldi – Vescovo
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20/07/2014 12:18
 
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XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

Il Regno dei Cieli e la Parola



Gesù continua la sua educazione al Regno dei Cieli con varie parabole, che erano un modo per far comprendere meglio la verità.

Oggi ci propone la parabola del seminatore, del buon seme e della zizzania.

“In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: ‘Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: ‘Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?’ Ed egli rispose loro: ‘Un nemico ha fatto questo!’. E i servi gli dissero: ‘Vuoi che andiamo a raccoglierla?’. ‘No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio’”. (Mt. 13, 24-30)

Questa volta ci soffermiamo sul dono della Parola, all’interno di una Comunità che la accoglie in terreno buono, e il pericolo da cui è continuamente attaccata.

È una parabola che fotografa bene una delle grandi missioni che, soprattutto noi sacerdoti e vescovi, siamo chiamati ad assolvere: l’annuncio della Parola di verità e di vita.

Ma impressiona come in tante parti del mondo, mentre scrivo, ci siano missionari, non solo sacerdoti, ma anche laici, che spendono la loro vita per fare conoscere il Vangelo.

E come tanti, in numerosi luoghi, trovino, per questo motivo, ostilità e anche martirio.

Sono tanti gli anni in cui, in Italia, come parroco e poi vescovo, ho fatto dell’annuncio del Vangelo una priorità nella mia vita, e sempre ne ho sentito la responsabilità: comunicare la Parola è davvero un’arte che, se non è dettata dallo Spirito Santo, porta a nulla.

Ricordo di avere avuto il dono di annunciare la Parola insieme a Madre Teresa di Calcutta. Arrivava sempre all’ultimo minuto, discreta e silenziosa. Si aveva la netta sensazione che alle persone che l’attendevano bastasse la sola sua presenza. Diceva poche e semplici parole, ma colpiva al cuore, con il suo stesso atteggiamento e stile di vita, che tutti comprendevamo essere quello delle persone che Dio predilige. Incantava letteralmente i tanti giovani che erano venuti ad ascoltarla. Per loro Madre Teresa era davvero un ‘riflesso’ purissimo di Gesù. Era una donna credibile, plasmata essa stessa dalla Parola, e quindi una vera e ‘buona seminatrice’.

Questa stessa esperienza l’abbiamo fatta in tanti di fronte ad un grande della nostra storia di Chiesa, che ha saputo unire vita e Parola: Giovanni Paolo II, ora elevato alla santità.

L’ho incontrato spesso e voleva sempre che sedessi al suo fianco ed era di una semplicità sconcertante, ma nello stesso tempo sapeva farsi sentire vicino per incoraggiare a superare le difficoltà. Quante volte mi ha detto con fermezza, in privato: ‘Non abbiate paura!’. Lo stesso invito che fin dall’inizio del suo pontificato aveva rivolto a tutti noi. E tutti sappiamo che pagò caro il suo coraggio, con l’attentato che segnò la sua vita, diventando l’inizio di un vero calvario di sofferenze, che mai ostacolarono la sua missione di apostolo della Parola tra le genti di tutto il mondo.

Quando lo incontrai per l’ultima volta ad un convegno ad Ischia ricordo che ormai le forze fisiche lo stavano abbandonando, ma mi fu evidente come il suo zelo e il suo ottimismo fossero inalterati.

Un grande zelo pastorale ed una semplicità disarmante che ritroviamo nel nostro Papa Francesco. Così come colpisce il suo stile di bontà, che accompagna la sua vita di pastore. Ovunque attira stima ed affetto, anche dove meno ce lo aspetteremmo, come è accaduto nella sua visita in Medio Oriente, che letta alla Luce di Dio, ‘non è stata inutile’, come qualcuno può pensare, di fronte al dramma di questi giorni, poiché la preghiera porta sempre frutto: i modi e i tempi però li conosce solo il Signore e Papa Francesco lo sa: la sua fede è ‘basata sulla roccia’ di Cristo, che davvero sta donando al mondo e a ciascuno di noi.

Ringraziamo dunque il Signore per il dono che ci fa di tali ‘seminatori’, e sentiamo l’urgente invito di diventare noi stessi ‘buon seminatore della Parola’ nell’ambiente in cui viviamo, sapendo che, come sottolinea Gesù nella parabola, occorre per prima essere un ‘terreno buono’, cioè credenti che si aprono totalmente alla Parola, che diventa vita. Questo il vero coraggio a cui siamo invitati.

È facile infatti una certa superficialità, l’ascolto senza ‘mettersi in discussione’.

Proviamo a fare un esame di coscienza, sincero, e chiediamoci: Quali radici mette durante la settimana la bellezza e verità della Parola ascoltata nella S. Messa della domenica? Non c’è forse il rischio che non la ricordiamo più nell’arco della stessa giornata? Invece occorre conservarla con cura nel cuore, perché diventi il suggerimento di uno stile di vita nella ferialità.

Per essere ‘buoni seminatori’ occorre non dimenticare mai il richiamo di Gesù: ‘State attenti a come ascoltate!’, poiché come racconta nella parabola: ‘Mentre tutti dormono viene il nemico dell’uomo e semina zizzania’.

Oggi davvero sono tanti i nemici che seminano cattiva semente o zizzania. Siamo davvero assediati da ‘criminali maestri’, come li definì Paolo VI, che, con l’inganno, tanto simile a quello di satana verso Eva, ci suggestionano, offrendoci ‘la possibilità di una felicità’ in uno stile di vita, che nulla ha a che fare con il Vangelo. Così, lentamente, lasciandoci affascinare dalle varie mode, che il consumismo propone, senza accorgercene, restiamo assediati dalla zizzania e, inesorabilmente, non siamo più quello che avremmo voluto essere, accogliendo la Parola.

Ma poi è altrettanto necessario ascoltare un altro serio invito del Maestro: ‘Vigilate, per non cadere in tentazione’, la tentazione dello zelo inopportuno, che è la voglia, che prende tanti, di allontanare, di estirpare dalla comunità quanti si trovano avvinti dalla zizzania; penso ai divorziati, a chi vive nel peccato, anche se non vorrebbe, a tanti insomma che ancora conservano la voglia di Dio e di verità, ma senza riuscire ad ‘incarnarla’ nella vita. Dio rigetta questo zelo ed invita ad attendere il tempo della mietitura, sforzandoci solo di restare ‘grano buono’, fino al compimento dell’attesa stessa di Dio: la grande attesa della misericordia del Padre, sempre pronto a darci una mano, Lui ,così misericordioso, per ‘liberarci dal male’.

È la divina raccomandazione a non disperarci, ma ad avere fiducia nella Sua Misericordia. È la pazienza del Padre che capisce la nostra grande debolezza, quel nostro farci ingannare dal maligno, pronto, sempre, se lo vogliamo, a scuoterci e farci uscire dal sonno dell’anima.

La comunità cristiana, ognuno di noi, dovrebbe essere il ‘riflesso’ di questo amore misericordioso e paziente del Padre, di cui fa continuamente esperienza nella propria vita, dando una mano, mostrando dolcezza, comprensione, invitando alla speranza, aiutando i deboli a tornare forti, senza pregiudizi, senza chiusure, senza condanne. Dio ama ciascuno e vuole che tutti, ma proprio tutti, siamo salvi e ha tante vie per tagliare le radici della zizzania... se noi lo aiutiamo e Glielo permettiamo.

In questa parabola, se da una parte emerge la difficoltà che tutti proviamo di sottrarci alle tentazioni del mondo e del maligno, dall’altra domina la grande Misericordia del Padre, da seguire.

C’è sempre tempo – forse è ora – di dare uno sguardo su che fine ha fatto la Parola seminata da Dio nella nostra vita e non deve mai venir meno la fiducia, quando anche credessimo, forse, di aver perso il contatto con il Cielo.

Il Padre è sempre pronto ad aiutarci, ma ripetiamo spesso la preghiera insegnataci da Gesù:

‘Non permettere che soccombiamo alla tentazione, ma liberaci dal male!’, perché davvero la Parola trasformi la nostra vita e possiamo così diventarne annunciatori gioiosi e credibili, nell’attesa della Tua venuta.


Antonio Riboldi – Vescovo
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25/07/2014 06:58
 
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XVII Domenica del tempo ordinario


 Perché e per chi viviamo?


 Così Gesù oggi ci parla e invita a meditare:


“Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete compreso tutte queste cose?’. Gli risposero: ‘Sì’. Ed egli disse loro: ‘Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche”. (Mt. 13, 44-52


Certamente Gesù ci invita a pensare sullo stile della nostra vita.


È una continua ricerca della santità o è un dissipare il tempo senza frutto? Abbiamo tutti davanti agli occhi – nonostante la crisi - quella voglia di consumismo, che fa della vita una ricerca del solo benessere materiale. Quanto riguarda il fine ultimo della vita, ossia come saremo giudicati, si ha l’impressione interessi pochi. È il grande male di troppi.


Sappiamo tutti che quando Dio ci ha creati, uno ad uno, ci ha messi in questo mondo e su questa terra, per ricercare la santità della vita, nostra unica vera ed eterna realizzazione, in quanto suoi figli. Purtroppo c’è una massa incredibile di uomini e donne, che sceglie lo stordimento, per coprire il vuoto che sentono in se stessi. Ma è anche vero che impressiona la quantità di Beati e Santi, anche del nostro tempo, - pensiamo ai nostri Papi, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II e, presto, giustamente, il caro Paolo VI - che la Chiesa riconosce e porge alla venerazione e all’esempio di noi cristiani. Sono i grandi testimoni del Regno dei cieli, che costruiscono, se ne seguiamo le orme, ‘i grandi cristiani di oggi’. Sempre che si scelga nella vita ‘questa grandezza’.


E basta avere ‘occhi’ capaci di guardare oltre le ombre e il fumo del mondo, per scorgere tanti di ogni età e condizione che davvero fanno di Gesù il tesoro che, giorno dopo giorno, custodiscono. Forse non fanno notizia, ma suscitano tanta ammirazione quando li incontri. È un grande dono incontrarli, ancor di più conoscerli, ancor di più scoprire con loro come si trova il ‘tesoro nascosto nel campo’, che è Gesù. Basterebbe andare come ospite in qualche Casa di preghiera, per gustare la gioia di vedere uomini e donne, giovani e famiglie, che fanno della vita una ricerca di Cielo. I ‘santi’, e tali dovremmo essere tutti, sanno come costruire la santità nel silenzio, nella donazione di sé, nel distacco da un mondo, che sembra una gara di chiasso che stordisce, tutto proteso al solo divertimento: un incredibile mercato del nulla o, peggio, della sopraffazione e dello sfruttamento dei più deboli. Ma chi vi partecipa, prima o poi, sente e tocca con mano il vuoto in sé, perché si rende conto che, finito il chiasso, resta solo l’amarezza di una vita sprecata.


Vale allora davvero la pena, oggi, di fronte a questo problema vocazionale alla santità, che è di tutti, porsi la domanda sul senso della nostra vita e comprendere che la santità è la verità della nostra vita, di figli ‘fatti a immagine del Padre’. È la testimonianza che oggi ci viene presentata in Salomone, che dà una grande lezione di vita per tutti. Risentiamo e facciamo nostra la domanda che il giovane Salomone fece a Dio e ascoltiamo, come rivolte a noi, le parole del Signore:


“Il Signore apparve a Salomone in sogno, durante la notte. Dio disse: ‘Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda’. Salomone disse: ‘… Io sono solo un ragazzo; non so come regolarmi … Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male; infatti chi può governare questo tuo popolo così numeroso?’


Piacque agli occhi del Signore che Salomone avesse domandato questa cosa.


Dio gli disse: ‘Poiché hai domandato questa cosa e non hai domandato per te molti giorni, né hai domandato per te ricchezza, né hai domandato la vita dei tuoi nemici, ma hai domandato per te il discernimento nel giudicare, ecco, faccio secondo le tue parole. Ti concedo un cuore saggio e intelligente: uno come te non ci fu prima di te né sorgerà dopo di te’”. (1 Re 3, 5-7-12)


Le parole di Salomone interpretano bene il pensiero di Gesù, ossia considerare la vita un servizio e non un trionfalismo, che sa di superbia. Gesù, nel Vangelo, come a ricalcare le parole di Salomone, torna sulla necessità di dare il primo posto alla ricerca quotidiana del Regno, che è poi il solo grande Bene, immenso Bene, che dà il vero senso alla vita, davanti a cui, tante volte, ciò che cerchiamo si rivela per quello che è: dannose sciocchezze.


Gesù torna ad invitarci a guardare al vero tesoro della vita: la santità, che è vivere con Lui e in Lui, nella semplicità, nel servizio, con gioia. Sulla gioia insiste moltissimo papa Francesco. Scrive nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e


rinasce la gioia” (n. 1). E aggiunge: “Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti corrono questo rischio, certo e permanente. Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita. Questa non è la scelta di una vita degna e piena, questo non è il desiderio di Dio per noi, questa non è la vita nello Spirito che sgorga dal cuore di Cristo risorto (n. 2).


Questa non è la vita di chi ha ‘trovato il tesoro nascosto’: Gesù. 


Antonio Riboldi – Vescovo 


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02/08/2014 18:05
 
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 XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)


 


Sete di speranza oggi


 


Fa davvero impressione la troppa gente che si abbandona alla disperazione, per i più vari motivi: dalle vere tragedie, che sembrano togliere ogni ragione di vita, o guardando a come è difficile che si faccia strada la giustizia nel nostro mondo o per le più diverse delusioni umane, che sembrano voler spegnere il gusto della vita.


Sono tantissime, insomma, le ragioni che portano a disperarsi.


Tante volte il motivo dipende dall’impostazione della vita, che ci si è data, affidandosi a ‘sogni’ umani, che possono illudere o fare contenti per un istante, ma non garantiscono la vera speranza, che dà un senso ‘oltre’, anche quando le cose vanno male.


Nella domenica, Giorno del Signore, Gesù ci parla, per aiutarci a cogliere il vero senso della vita:


“In quel tempo – racconta Matteo – avendo udito della morte di Giovanni Battista, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte.


Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati. Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: ‘Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare’. Ma Gesù disse loro: ‘Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare’. Gli risposero: ‘Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!’. Ed egli disse: ‘Portatemeli qui’. E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste pene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini”. (Mt. 14, 13-21)


Certamente una semplice lettura del Vangelo ci può lasciare sconcertati. Anzitutto colpisce certamente il grande dolore di Gesù nell’apprendere della morte di Giovanni Battista, il cugino che ‘aveva sobbalzato nel seno’ della mamma, all’arrivo di Maria, che portava nel suo grembo verginale Gesù, il Figlio di Dio, ma anche il suo precursore, primo testimone della Sua divinità. Alla notizia, come a voler cercare ‘un senso’ a quanto stava accadendo, Gesù sceglie la via della solitudine. Forse noi ci saremmo disperati o avremmo implorato vendetta o, quantomeno, giustizia. Ma non è nello stile di Dio, e quindi di Gesù, questo atteggiamento di ritorsione.


C’è un perché in tutto e di tutto, anche per noi: un perché scritto nel cuore di Dio e che può essere colto solo se si è capaci di ritirarsi, come fece Gesù, in disparte, nel silenzio, – quasi a prendere le distanze da reazioni ‘troppo umane’ – per trovare la forza di affidarsi ai disegni del Padre e, così, prepararsi ad incontrare di nuovo i fratelli sulla scia dell’amore, per poter far nascere la speranza.


Ed infatti Gesù – racconta il Vangelo – viene raggiunto dalla folla, quella silenziosa folla che sempre cerca Uno che sia la sua voce, il compimento dei suoi inespressi desideri.


In pratica Gesù era diventato punto di riferimento, come diremmo noi oggi: uno da cui, forse, ci si aspettava tanto, non sapendo neppure che cosa sarebbe stato questo ‘tanto’.


Gesù era allora – e dovrebbe essere anche oggi – la grande e sola speranza della vita.


Era la speranza per chi chiedeva di tornare alla saluteper chi sognava la libertà e non ne aveva mai sperimentato il significato, per chi forse voleva ritrovare se stesso, il senso della propria vita, frustrato dalle tante contraddizioni che sono, sembra, ciò che offre il mondo. Ognuno in quella folla avvertiva il Suo incredibile amore: un amore che fa sentire al sicuro.


E Gesù ricambia, dimenticando il suo stesso dolore per la morte di Giovanni.


Scende dalla barca, si fa vicino, si fa partecipe della ‘passione’ che agita la folla e interpreta la loro speranza con due segni, guarendo gli ammalati e moltiplicando i pani.


Si ha l’impressione che gli uomini di oggi assomiglino tanto a quella folla, assetata di speranza.


“Avvertiamo – diceva Paolo VI – nell’umanità, un bisogno doloroso e, in un certo senso, profetico di speranza, come del respiro per la vita. Senza speranza non si vive … L’uomo ha bisogno di una finalità, di incoraggiamento, di pregustamento della gioia futura. L’entusiasmo, che è la molla dell’azione e del rischio, non può sorgere che da una speranza forte e serena. L’uomo ha bisogno di ottimismo sincero non illusorio .... La vera speranza, che deve sorreggere il cammino dell’uomo, si fonda sulla fede, la quale è, nel linguaggio biblico, ‘fondamento delle cose sperate’ e, nella realtà storica, è Gesù risorto” (11 aprile 1971)


E Papa Francesco lo ribadisce spesso: ‘Per un cristiano, speranza non è quella di chi di solito guarda al ‘bicchiere mezzo pieno’: quello è semplicemente ottimismo, un atteggiamento umano che dipende da tante cose. La speranza è un’altra cosa, è un dono, è un regalo dello Spirito Santo e per questo Paolo dirà: ‘Mai delude’. Ma Paolo ci dice anche che la speranza ha un nome: è Gesù. Se tu non  dici: ‘Ho speranza in Gesù, in Gesù Cristo, Persona viva, che adesso viene nell’Eucarestia, che è presente nella sua Parola’, la tua non è speranza. È buon umore, ottimismo, ma la speranza vera è Gesù in persona, è la sua forza di liberare e rifare nuova ogni vita”.


Chiediamo dunque a Dio l’umiltà e la fiducia di ‘inseguire Gesù’, nostra vera e sola speranza, anche oggi.


 Antonio Riboldi – Vescovo –


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10/08/2014 08:03
 
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XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)


 “Coraggio, sono Io, non abbiate paura”


  


Tante volte, ed è naturale, vorremmo ‘sentire’ Dio vicino, quasi vederlo. Quando, soprattutto nelle difficoltà, Lo vorremmo vicino e ci pare di non sentirLo, è facile abbandonarsi al senso pericoloso dell’abbandono o della solitudine.


Ci viene incontro, ad aiutare la nostra fede e, quindi, incoraggiarci, quanto oggi racconta la Bibbia, nel I Libro dei Re 19, 11-13: il profeta Elìa, che fuggiva, per non soccombere all’ira di Gezabele, moglie del re Acab, - ‘sono rimasto solo, cercano di togliermi la vita’ –ma incontra Dio nel ‘mormorìo di un vento leggero’ e così riprende la sua missione, forte della Presenza del Signore.


È il segreto di tanti santi e di tanti cristiani, ancora oggi, che, trovandosi in difficoltà, travolti dalle sofferenze o dalle incomprensioni, con la voglia di abbandonare tutto, si affidano al silenzio, sicuri che lì incontreranno Chi li solleva.


In questi giorni di vacanza, per molti, - purtroppo non tutti - è giusto che si metta in disparte ciò che ogni giorno ci assorbe completamente e nel riposo si trovi modo di ritrovare ciò che davvero conta nella vita. È necessario creare un’atmosfera di silenzio dentro e fuori di noi, in modo che nella serenità, si possa discernere ciò che va coltivato e ciò che, forse, va corretto.


Davvero le persone intelligenti e di buona volontà sanno riscoprire in questo tempo prezioso, il modo di mettere ordine nella vita, soprattutto guardando a Gesù.


Il chiasso che il mondo crea attorno a noi, il più delle volte è solo una distrazione, per allontanare le paure e le inconsistenze che ci portiamo dentro, ma rischia solo di farci tornare a casa con altro ‘amaro in bocca’.


La mia abitudine, per tanti anni, nel periodo di riposo, era di andare, ospite di una cara famiglia, in un paese del Trentino. La montagna era un’occasione di fare tante camminate e, nel silenzio, ritrovare la verità della vita: far magari emergere l’inutile o il dannoso per una vita secondo Cristo, vero ed unico modello per il qui e il dopo. Se la vacanza era riposo del corpo e della mente, il silenzio era la preziosa occasione per ritrovare me stesso e gustare la Presenza del Signore nel cuore e nella mia vita. Tante le persone che incontravo sul cammino. Con loro sorgeva l’occasione di dialogare, confrontarsi e sempre si ripartiva diversi, più sereni. Si tornava a casa rinnovati, con il coraggio di ricominciare o di continuare, che è anche l’esempio che ci offre oggi Gesù, nel Vangelo. Racconta Matteo: “Congedata la folla, Gesù salì sul monte, solo, a pregare”.


Colpisce questo intenso desiderio di Gesù di ‘stare solo e pregare’. Un invito a imitarLo.


Ed insiste il Vangelo: “Venuta la sera, egli se ne stava ancora lassù, solo”. La barca, intanto, distava già qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario. Verso la fine della notte, egli venne verso di loro, camminando sul mare. I discepoli, vedendolo camminare sul mare, furono turbati e dissero: ‘E’ un fantasma’ e si misero a gridare dalla paura, ma subito Gesù parlò loro: ‘Coraggio, sono Io, non abbiate paura’”.


È bello pensare la nostra fede, il nostro rapporto con Gesù, così.


Tutti sentiamo l’asprezza della vita che, a volte, è come una traversata burrascosa sul mare dell’esistenza. La famiglia, il lavoro, le malattie, le difficoltà, le incomprensioni e tante altre situazioni si fanno sentire a volte ‘le ossa rotte’.


Ma ciò che più ci svuota è sentirsi ‘come persi’, simili agli apostoli sulla barca, in mare agitato, con la sensazione che nessuno possa darci una mano...se non Dio....o un vero amico.


Ed è proprio in quei momenti che deve tornare alla mente Gesù che, se da un lato ci invita a salire sulla barca, dall’altro se ne sta in disparte, ma veglia su di noi, pronto a venirci incontro.


Ma per poter sentire la Sua Presenza, che è sempre discreta, ‘un vento leggero’, occorre saper disporre il nostro cuore all’ascolto. E questo, delle vacanze, come ho detto può essere un tempo prezioso. Ascoltiamo l’invito al riguardo del Papa ‘docile allo Spirito Santo’, S. Giovanni XXIII:


L’aria, il sole, il mare, le terme inducono a pensare agli ammalati e ai sofferenti; e di conseguenza riflettere sull’importanza della salute fisica, che, pur così fragile, è indispensabile al compimento dei doveri quotidiani: ‘Non si deve sciupare la salute’ è il corollario imperioso del quinto comandamento; e sembrerebbe perlomeno improprio il doverlo ricordare a chi cerca il sollievo delle vacanze per ritemprare la salute fisica, se l’esperienza non insegnasse a quanti strapazzi, irrequietezze e anche veri e propri pericoli del corpo e dello spirito vadano spesso incontro gli ospiti dei luoghi di villeggiatura … Dovete ricordare agli uomini delle città, che vanno ai mari, ai laghi, ai monti, alle verdi e sconfinate pianure: queste mete non siano occasione di spirituale dispersione, o pretesto per evasioni a incontrollate libertà, favorite dal sentirsi al di fuori delle consuetudini di vita. Fate comprendere che nei periodi di vacanze, di onesto e legittimo svago, gli uomini debbono e possono inserirsi nella natura, per ritrovarvi la serenità, la calma, l’armonia interiore; e avviene altresì una ripresa di colloquio spirituale, che apre gli orizzonti della vita soprannaturale della grazia. Questa è la finalità ultima del vedere, del peregrinare, del godere le bellezze, che la mano del Padre Celeste ha seminato nella creazione, come un’orma della sua sapienza e bellezza eterna: ‘Tu apri la tua mano e riempi di benedizione ogni vivente’ (Salmo 144, 16).


Nelle ‘tempeste’ della vita dobbiamo ritrovare momenti di silenzio, di preghiera, di calma, per riscoprire la Presenza di Dio nella nostra vita. Le vacanze possono essere davvero una grande opportunità per fare un esame della vita e cercare un domani più vero secondo Dio.


Questa è la bellezza del momento di ‘riposo’. E allora risentiremo nel cuore la voce del Maestro:


‘Coraggio, non temete, sono Io!’.


Antonio Riboldi – Vescovo


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