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FIGLIO D'UOMO E FIGLIO DI DIO

Ultimo Aggiornamento: 14/01/2022 10:58
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28/06/2018 20:57
 
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L'IDENTITA' DI GESU' FU ESAMINATA ATTENTAMENTE DAL SINEDRIO

Premessa:

 

Secondo il monoteismo male inteso degli ebrei, appariva inconciliabile con la loro fede, inaccettabile e meritevole di morte il solo affermare di essere vero Figlio di Dio.

 

Infatti Gv.19,7 riferisce che i Giudei dissero: “noi abbiamo una Legge e secondo questa legge egli deve morire perché si è fatto figlio di Dio.”

 

Quindi il punto che occorre rimarcare è che i giudei attribuivano a Gesù la pretesa di essere figlio di Dio in senso reale, vero e non simbolico, proprio come riferisce Gv. 5,18 e 10,33: " I giudei cercavano di ucciderlo perchè chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio".

 

 I Giudei dichiarano che la legge  li obbligava a "lapidare chiunque avrebbe bestemmiato il nome del Signore" Levitico 24:16, e che Gesù aveva trasgredito una tal legge, dicendosi "Figlio di Dio". I Romani lasciavano ai popoli vinti le loro leggi e le loro istituzioni nazionali, in quanto almeno non eran contrarie alla loro autorità. I Giudei si fondano ora su questo, e tengono Pilato obbligato, qual governatore, ad assicurare l'osservanza delle loro leggi, mettendo a morte il trasgressore che si faceva uguale a Dio. I Giudei consideravano evidentemente come blasfemo, per qualunque uomo, il dirsi uguale a Dio. 



Consideriamo ora il passaggio decisivo nella disamina sulla reale identità di Gesù, e cioè quando Gesù venne portato davanti al Sinedrio per essere giudicato inequivocabilmente sulla sua persona e in particolare su CHI Egli affermava di essere.

Matteo 26,63 riferisce che "il sommo sacerdote gli domandò in maniera perentoria ed inequivocabile:
«Ti scongiuro, per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio».

Caifa conosceva perfettamente il salmo 82,6 che dice: “io ho detto, voi siete dei, siete tutti figli dell’Altissimo” per cui non poteva condannare Gesù sulla base di una generica figliolanza divina che la Scrittura stessa attribuiva a tutti indistintamente.

Se Caifa avesse ritenuto che il termine Figlio di Dio, che l’accusato non rifiutava di farsi dare, avesse per l'Imputato un valore generico e che non pretendesse di essere della stessa natura del Padre, non avrebbe fatto crocifiggere Gesù.

Neanche avrebbe potuto condannarlo soltanto sulla pretesa da parte di Gesù di essere il Cristo, cioè il Messia che pure rivendicava di essere, perchè molti altri avevano avuto questa stessa pretesa e nessuno di essi fu mai condannato a morte.

Per questo Mt 26,63 riferisce due distinte domande da parte dei sinedristi:

la prima voleva accertare se Gesù ritenesse di essere davvero il Cristo, ed egli lo confermò dicendo: “d’ora in avanti il Figlio dell’uomo sarà seduto alla destra della potenza di Dio”, attribuendo a se stesso il testo messianico di Daniele 7,13 che i rabbini attribuivano all’atteso liberatore e sgominatore di tutti i nemici d’Israele per incarico di Dio. Questa risposta poteva lasciare al massimo indignati gli accusatori i quali potevano ritenere che Gesù fosse un millantatore, ma non un bestemmiatore reo di morte.

Inoltre la figura dell’atteso Messia non era associata all’idea che egli fosse vero Figlio di Dio. Questa era la voce popolare che circolava su Gesù e i sinedristi la sfruttarono vantaggiosamente per trovare il capo d’accusa.

Fu infatti allora che, come risulta da Lc 22,70, il sinedrio rivolse a Gesù la più specifica domanda: “sei tu dunque il Figlio di Dio?”

Ed egli confermò rispondendo: “IO SONO” (Mc.14,62).

Tale risposta non lasciava dubbi sulla identità che Gesù affermava di avere. 
Egli confermava di essere  realmente il vero Figlio di Dio, la cui natura era insita nella stessa risposta IO SONO, senza aggiungere alcun altra precisazione .
In tal modo Gesù appariva come usurpatore della natura divina, ed Egli non fece nulla per rettificare questa idea dei suoi giudici, a conferma che era proprio quella la idea giusta che essi dovevano avere nei suoi confronti, che voleva rendere TESTIMONIANZA ALLA VERITA' DI SE STESSO, fino alla estrema conseguenza.
Se egli fosse stato solo una creatura di qualsiasi rango e posizione, avrebbe dovuto senz'altro, in questa decisiva occasione, precisare che quel titolo era da considerare in maniera diversa da come appariva ai giudici, in modo che
1) non usurpasse la natura divina con tutte le sue prerogative, 
2) che venisse attestata la verità su se stesso.
3) che evitasse la propria passione e morte. 
4) che evitasse un tragico equivoco che avrebbe implicato la responsabilità morale dei sinidristi. 

Ma Gesù non rettificò quella opinione dei sinedristi per il semplice fatto che evidentemente Gesù la riteneva corretta anche se portava come conseguenza la sua condanna.

Ecco allora perché a quel punto, Caifa si stracciò le vesti e lo accusò di essere reo di bestemmia: perché riteneva appunto che Gesù osasse usurpare l’assoluta unicità di Dio, dichiarandosi suo Figlio e quindi della sua stessa natura divina, mettendo quindi in discussione il comandamento ricevuto da Mosè: “ NON AVRAI ALTRI DEI DI FRONTE A ME” e “IL SIGNORE E’ UNO.”

Non fu immediatamente dopo che nostro Signore ebbe pronunziato le parole dei vers. 62, implicando ch'egli era il Messia che Caiafa procedette a stracciarsi le vesti. Riferendoci di bel nuovo a Luca 22:70, è evidente che il Sinedrio aveva inteso, per la risposta di nostro Signore, ch'egli asseriva competergli qualche cosa di più alto ancora di ciò ch'essi intendevano per la dignità di Messia, e quindi la seconda domanda che il presidente gli fece, sotto l'obbligazione solenne d'un giuramento, ed alla quale sì associò, come ad una voce, tutta quanta l'assemblea. "E tutti dissero: Sei tu adunque il Figliuol di Dio?" Fu in seguito della risposta di Gesù a questa seconda domanda che Caiafa stracciò le sue vesti. È della più alta importanza l'aver presente che da quegli scritti giudaici che ci rimangono dei più prossimamente contemporanei al soggiorno di nostro Signore sulla terra (come sarebbero gli Apocrifi, Filone, Onkelos, gli altri Targumisti e Tritone, contemporaneo di Giustino Martire), non può rimanere alcun dubbio che i dotti Giudei, se non la massa del popolo, riguardavano il Logos,la Parola del Signore come una persona divina; e che facevano una evidentissima distinzione tra la Parola e l'aspettato Messia,considerando quest'ultimo come un semplice uomo e non una persona divina. In prova di questo basteranno le seguenti citazioni, dopo aver premesso che i Targumisti solitamente distinguono tra i diversi sensi in cui s'ha da intendere la parola Logos, usando per essa Memraquando significa la Parola Divina, e Pitgama quando vuol dire un discorso o una parola nel senso in cui gli uomini l'usano comunemente. E come prova che i Giudei riconoscevano "la parola del Signore" per una persona Divina, leggiamo negli Apocrifi, intorno alla strage dei primogeniti d'Egitto; "La tua onnipotente parola s'avventò dal cielo, da' troni reali, a guisa di rigido guerriero, in mezzo del paese dello sterminio, portando il suo non finto comandamento a guisa di spada acuta e, stando in piè, riempiè ogni casa di morte" Sapienza 18:16,16. C'è qui spiccata la distinzione tra il Logos e il comandamento del Signore, in conferma di che, sappiamo dai Targum che laparola personale ora considerata dai Giudei come l'agente della liberazione dall'Egitto e della distruzione dei primogeniti. Onkelos fa la stessa distinzione nella sua traduzione del Deuteronomio 5:5: "Stavo io in quel tempo fra la PAROLA (Memra) del Signore e voi, e riportava a voi la parola (pitgama) del Signore". Riguardo poi alla distinzione che i Giudei facevano tra il LOGOS e il Messia Onkelos traduce Deuteronomio 18:15 (che i Giudei ammettono doversi riferire al Messia, e che Pietro applica direttamente a Gesù Atti 3:22): "Se alcuno non ascolterà le mie parole pitgama, che quel profeta dirà a mio nome, la mia PAROLA (Memra), gliene ridomanderà conto". E il Targum di Gerusalemme, descrivendo la consumazione finale delle parole dell'Esodo 12:42, dice: "Mosè uscirà fuori del deserto e il re Messia fuori di Roma, l'uno andrà avanti in una nuvola, e la PAROLA del Signore sarà luce tra essi due". Finalmente in prova che i Giudei credevano il Messia essere un mero uomo e non un ente divino, Tritone, in risposta all'argomento di Giustino Martire diretto a provare che Gesù era non solo il Messia ma ancora il vero Figliuolo di Dio, replica: "Che questo Cristo esistesse al pari di Dio prima del mondo, e che poi si sottomettesse a divenire e nascere uomo, e che egli non fosse semplicemente un uomo generato dall'uomo, mi sembra non solo incredibile ma assurdo. A me pare molto più credibile la dottrina di coloro che dicono che egli (Gesù) nascesse uomo e per elezione fosse unto e fatto Cristo, che non ciò che voi affermate. Imperocché noi tutti ancora crediamo che il Cristo deve essere un uomo nato da umani genitori". Questo soggetto è trattato assai completamente da Treffry nella sua, dottissima opera: "Ricerche intorno alla dottrinadell'eterna figliazione di nostro Signore Gesù Cristo", dove si trovano prove ancora più ampie. Nelle narrazioni degli Evangelisti vi è molto a conferma dell'opinione che al tempo di nostro Signore sia il popolo giudaico che i suoi rettori si aspettavano che il loro Messia sarebbe semplicemente un uomo e non una persona divina. Quando Gesù richiese i Farisei intorno al Cristo, dicendo: "Di chi è egli figliuolo?"Matteo 22:42-45, essi risposero senza esitare: "Di Davide"; ma quando procedette a domandarli intorno alla sua più alta natura aggiungendo: "Come adunque Davide lo chiama egli in ispirito Signore?" essi non sapevano capacitarsi come i caratteri apparentemente contraddittori di figlio e di Signore di Davide, dovessero riscontrarsi nel medesimo individuo. Inoltre, sebbene i rettori rifiutassero di riconoscere Gesù per Messia a ragione della sua povertà ed umile condizione, il popolo era generalmente disposto ad ammettere il suo diritto a tale dignità, e nessuna accusa di bestemmia fu mossa giammai sia contro di lui che contro qualsiasi altro a tale riguardo. Il popolo avrebbe, voluto impadronirsene e farlo suo re dopo il miracolo operato presso Betsaida, dacché essi dicevano (in riferenza aDeuteronomio 18:18): "Certo costui è il profeta che deve venire al mondo" Giovanni 6:14-15. Bartimeo la donna sirofenice, il popolo radunato in Gerusalemme all'ultima, pasqua celebrata da Gesù, tutti insomma lo salutarono col nome di "Figliuolo di Davide", pel quale notoriamente si designava il Messia. Gli stessi suoi nemici riconobbero l'influenza che egli avea sopra il popolo, ed eran atterriti all'idea che il riconoscimento del preteso suo diritto avrebbe menato ad una lotta coi Romani, la quale avrebbe distrutta la nazione Giovanni 11:47-48; 12:19; ma essi non pretendevano di trattare quella pretesa come una bestemmia. Il più che essi potessero fare onde comprimere la ognor crescente ammirazione del popolo per lui, era di scomunicare temporaneamente coloro che lo riconoscevano per Messia Giovanni 9:22. Ma notisi la differenza rimarchevole nel trattamento che Gesù ebbe dal popolo stesso che credeva in lui come Messia o lo ammirava, come profeta, ogni qual volta l'intese pretendere di essere "Il Figliuol di Dio" e quindi una divina persona, uguale a Dio. Essi presero tosto delle pietre per lapidarlo, supplizio dovuto al bestemmiatore, secondo la loro legge. Giovanni ricorda quattro differenti occasioni in cui questo, accadde (Vedi Note Giovanni 5:9Giovanni 5:17-18; Giovanni 8:30-31; Giovanni 8:56-59;Giovanni 10:24-31; Giovanni 10:33Giovanni 10:39). Citeremo solo il primo a mo' d'esempio. Avendo Gesù, all'accusa di violare il sabato, affermato la sua suprema autorità col dire: "Il mio padre opera infino ad ora ed io ancora opero", il suo uditorio intese perfettamente il significato delle sue parole e ne rimase offeso. "Perciò adunque i Giudei cercavano vieppiù d'ucciderlo perciocché non solo violava il sabato ma anco diceva Iddio esser suo padre, suo proprio padre, FACENDOSI UGUALE A Dio". Le suddette considerazioni riguardanti la distinzione fatta dal Giudei fra Messia e la "Parola di Dio" spiegano la ragione della seconda interrogazione fatta a nostro Signore dal sommo sacerdote sotto il vincolo del giuramento. Solo Luca ci dà la sua risposta: "Ed egli disse loro: Voi lo dite (cioè la vostra supposizione è vera); perciocché io lo sono". Vi è un forte contrasto fra la maniera in cui Gesù rispose alla prima interrogazione e la risposta apertissima e senza ombra di reticenza che diede a quest'altra, contrasto che non si spiega semplicemente col dire che ora Gesù era vincolato dal giuramento e prima non l'era. La prima interrogazione era affatto superflua, imperocché il Sinedrio aveva mezzi amplissimi di conoscere che egli pretendeva essere il Messia; ma siccome credevano che il Messia fosse per essere semplicemente un uomo, gli fecero questa seconda domanda alla quale Gesù soltanto poteva rispondere, e sebbene egli sapesse che così facendo poneva li suggello alla propria condanna, ei non esitò a dire pienamente la verità. L'ora era giunta quando, per la gloria di suo Padre, e per la fede e consolazione della sua Chiesa infino alla fine del tempo, era richiesto che egli dovesse pubblicamente dichiarare se stesso tanto Figliuolodi Dio, come figliuol dell'uomo. Questa, non il semplice riconoscimento fatto davanti al governatore che egli fosse un Re, era "la buona confessione testimoniata davanti a Ponzio Pilato" (sotto, durante il governo di), della quale Paolo parla in 1Timoteo 6:13.


Questo dunque è quanto i giudei pensavano esprimendo la condanna, ma quello che maggiormente ci interessa è la posizione e la reazione di Gesù di fronte alla loro opinione:

Gesù non negò l’interpretazione dei giudici sulla sua reale figliolanza divina.

Se il termine Figlio di Dio stava ad indicare una natura creata, cioè come quella di tutte le altre creature, diversa dalla natura divina del Padre, avrebbe dovuto rettificare il loro pensiero e precisare chi egli fosse veramente, per non mettere in discussione la divinità del Padre, per non usurpare la sua Assoluta Unicità e soprattutto per non privarlo della Sua Gloria assoluta così come era stata rivendicata ad esempio in Isaia 42,8, il che gli stava a cuore più di ogni altra cosa e di cui in pratica veniva accusato.

Ma Gesù non modificò il loro concetto a suo riguardo, come opportunamente fece davanti a Pilato quando gli mosse l’accusa di essersi fatto Re dei giudei: Gesù precisò in quel caso che “il suo regno non era di questo mondo” (Gv.18,36) e questo significava che non pretendeva di usurpare il regno di Cesare. Per questo Pilato, ritenendolo al massimo un vaneggiatore, un esaltato, voleva scagionarlo.

Sarebbe ben strano se Gesù si fosse preoccupato di salvaguardare la gloria di Cesare e non quella di Dio, mentre egli invece intendeva rendere testimonianza assoluta alla Verità. Davanti al Sinedrio, il supremo tribunale religioso ebraico, veniva perciò ufficialmente resa nota l’identità che Egli era il vero Figlio di Dio.
La wt equivocando e non comprendendo nulla di questo cruciale processo il cui scopo era proprio quello di stabilire CHI FOSSE GESU', continuano a pensare che Egli fosse "figlio" ma solo in senso metaforico, non nel significato reale del termine, per cui subì la condanna alla morte di croce.

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Gesù in mt 26,64 rispose a Caifa: «Tu l'hai detto; anzi vi dico che da ora in poi vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra della Potenza, e venire sulle nuvole del cielo». ..: Questa risposta di Gesù evoca due specifici brani del Vecchio Testamento e precisamente :
Salmo 109
1 Di Davide. Salmo.
Oracolo del Signore al mio Signore:
«Siedi alla mia destra,
finché io ponga i tuoi nemici
a sgabello dei tuoi piedi».
2 Lo scettro del tuo potere
stende il Signore da Sion:
«Domina in mezzo ai tuoi nemici.
3 A te il principato
nel giorno della tua potenza
tra santi splendori;
dal seno dell'aurora,
come rugiada, IO TI HO GENERATO». 

e poi Daniele 7,13-14:
13 Guardando ancora nelle visioni notturne,
ecco apparire, sulle nubi del cielo,
uno, simile ad un figlio di uomo;
giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui,
14 che gli diede potere, gloria e regno;
tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano;
il suo potere è un potere eterno,
che non tramonta mai, e il suo regno è tale
che non sarà mai distrutto." -------------------------------------------

Tali brani avrebbero dovuto ricordare ai sinedristi che Dio ha un vero Figlio che si sarebbe seduto alla Sua destra e che sarebbe venuto dal cielo per regnare con Lui. Su tali brani a cui Gesù fece opportuno riferimento, avrebbero dovuto riflettere i sinedristi per non commettere il fatale errore e il grave peccato della morte di quell'Imputato.
Ma anzichè riflettere su Chi avevano davanti, scatenarono la sdegnata condanna per bestemmia contro Dio, non riconoscendo a Gesù tanto umiliato e inerme, una tale divina grandezza.

Per una ricostruzione più completa del processo a Gesù vedasi al seguente link:
https://credenti.freeforumzone.com/d/11642690/RICOSTRUZIONE-DEL-PROCESSO-CONTRO-GESU-/discussione.aspx

[Modificato da Credente 19/07/2019 23:52]
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Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una TORRE, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un NOME...Gen 11,4
 
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