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LE PROVE ONTOLOGICHE DELL'ESISTENZA DI DIO

Ultimo Aggiornamento: 22/01/2019 11:33
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10/05/2010 12:16
 
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4. La negazione di Dio: le cause dell’ateismo
Le diverse argomentazioni filosofiche impiegate per “provare” l’esistenza Dio non causano necessariamente la fede in
Dio, ma solo la ragionevolezza di tale fede. E ciò per vari motivi: a) conducono l’uomo a riconoscere alcuni caratteri
filosofici dell’immagine di Dio (bontà, intelligenza, ecc.), fra i quali la sua stessa esistenza, ma non dicono nulla su Chi
sia l’essere personale verso il quale si dirige l’atto di fede; b) la fede è la risposta libera dell’uomo a Dio che si rivela, non
una deduzione filosofica necessaria; c) causa della fede è Dio stesso, che si rivela gratuitamente e muove con la sua
grazia il cuore dell’uomo perché aderisca a Lui; d) l’oscurità e l’incertezza con cui il peccato ferisce la ragione dell’uomo
ostacolano tanto il riconoscimento dell’esistenza di Dio quanto la risposta di fede alla sua Parola[14]. Per questi motivi,
l’ultimo in modo particolare, è sempre possibile da parte dell’uomo una negazione di Dio[15].
L’ateismo possiede una manifestazione teorica (pretesa di negare positivamente Dio, per via razionale) ed una pratica
(negare Dio con il proprio comportamento, vivendo come se non esistesse). Una professione di ateismo positivo come
conseguenza di una analisi razionale di tipo scientifico, empirico, è contraddittoria, perché Dio non è oggetto del sapere
scientifico-sperimentale. Una negazione positiva di Dio a partire dalla razionalità filosofica è possibile da parte di
specifiche visioni apriori della realtà, di natura quasi sempre ideologica, prima fra tutte il materialismo. L’incongruenza di
queste visioni può essere messa in luce con l’aiuto della metafisica e di una gnoseologia realista.
Una causa diffusa di ateismo positivo è ritenere che l’affermazione di Dio obblighi ad una penalizzazione dell’uomo: se
Dio esiste allora l’uomo non sarebbe libero, né godrebbe di una piena autonomia nella sua esistenza terrena. Questa
visione ignora che la dipendenza della creatura da Dio fonda la libertà e l’autonomia della creatura[16]. È vero piuttosto il
contrario: come insegna la storia dei popoli, quando si nega Dio si finisce col negare anche l’uomo e la sua dignità
trascendente.
Altri giungono alla negazione di Dio ritenendo che la religione, il cristianesimo in specifico, rappresenti un ostacolo al
progresso umano perché frutto di ignoranza o di superstizione. A questa obiezione si può rispondere su basi storiche: è
infatti possibile mostrare l’influenza positiva della Rivelazione cristiana sia sulla concezione della persona umana e dei
suoi diritti, sia sulla nascita e sul progresso delle scienze. Dalla Chiesa cattolica l’ignoranza è sempre stata considerata,
a ragione, un ostacolo verso la vera fede. In genere, coloro che negano Dio per affermare il progresso dell’uomo lo fanno
per difendere una visione immanente del progresso storico, avente come fine una utopia politica o un benessere
semplicemente materiale, incapaci di soddisfare pienamente le aspettative del cuore umano.
Fra le cause dell’ateismo, specialmente dell’ateismo pratico, va incluso anche il cattivo esempio dei credenti, «in quanto
per aver trascurato di educare la propria fede, o per una presentazione fallace della dottrina, o anche per i difetti della
propria vita religiosa, morale e sociale, si deve dire piuttosto che nascondono e non che manifestano il genuino volto di
Dio e della religione»[17]. In positivo, a partire dal Concilio Vaticano II la Chiesa ha sempre segnalato nella
testimonianza dei cristiani il principale fattore per realizzare una necessaria, “nuova evangelizzazione”[18].
5. L’agnosticismo e l’indifferenza religiosa
L’agnosticismo, diffuso specie negli ambienti intellettuali, sostiene che la ragione umana non può concludere nulla su Dio
e sulla sua esistenza. Spesso i loro fautori si propongono un impegno di vita personale e sociale, ma senza alcun
riferimento verso un fine ultimo, cercando così di vivere un umanesimo senza Dio. La posizione agnostica termina
spesso identificandosi con un ateismo pratico. Inoltre, chi pretendesse di orientare i fini parziali del proprio vivere
quotidiano senza prendere alcun impegno circa il fine ultimo dei propri atti, in realtà ha quasi sempre scelto un preciso
fine ultimo, di carattere immanente, per la propria vita. La posizione agnostica merita comunque rispetto, sebbene i loro
assertori vadano aiutati a dimostrare la sincerità della loro non-negazione di Dio mantenendo una apertura alla
possibilità di riconoscerne l’esistenza e la sua rivelazione nella storia.
L’indifferenza religiosa rappresenta oggi la principale manifestazione di non credenza e, come tale, ha ricevuto una
crescente attenzione da parte del Magistero della Chiesa[19]. Il tema di Dio non viene preso in considerazione perché
quasi soffocato da una vita orientata ai beni materiali. L’indifferenza religiosa coesiste con certa simpatia per il sacro e
talvolta per lo pseudo-religioso, fruiti in modo moralmente disimpegnato, come fossero beni di consumo. Per mantenere
a lungo una posizione di indifferenza religiosa, l’essere umano ha bisogno di continue distrazioni in modo da non
soffermarsi mai sui problemi esistenziali più importanti, rimuovendoli sia dalla propria vita quotidiana che dalla propria
coscienza: senso della vita e della morte, valore morale delle proprie azioni, ecc. Poiché nella vita di una persona
esistono sempre eventi “che fanno la differenza” (innamoramento, paternità, morti premature, dolori e gioie, ecc.), la
posizione di “indifferenza religiosa” non è sostenibile lungo l’intero arco di una vita umana, perché su Dio non si può fare
a meno, almeno qualche volta, di interrogarsi. Prendendo spunto dagli eventi esistenzialmente significativi della vita,
occorre aiutare chi è indifferente ad aprirsi alla affermazione di Dio.
6. Il pluralismo religioso: vi è un unico e vero Dio, rivelatosi in Gesù Cristo
La religiosità umana, — che quando è autentica, è via verso il riconoscimento dell’unico Dio — si è espressa e si
esprime nella storia e nella cultura dei popoli in forme diverse e talvolta anche nel culto di una diversa immagine della
divinità. Le religioni della terra che esprimono la ricerca sincera di Dio e rispettano la dignità trascendente dell’uomo
vanno rispettate: la Chiesa Cattolica ritiene che in esse sia presente non di rado una scintilla, quasi una partecipazione
della Verità divina[20]. Nell’accostarsi alle varie religioni della terra, la ragione umana suggerisce un opportuno
discernimento: riconoscere la presenza di superstizione e di ignoranza, di forme di irrazionalità, di pratiche che non sono
in accordo con la dignità e la libertà della persona umana.
Il dialogo inter-religioso non si oppone alla missione e all’evangelizzazione. Anzi, nel rispetto della libertà di ciascuno,
fine del dialogo è proprio l’annuncio di Cristo. I semi di verità che le religioni non cristiane possono contenere sono infatti
semi dell’unica Verità che è Cristo e, pertanto, hanno il diritto di essere rivelati e condotti a maturazione mediante
l’annuncio di Cristo, via, verità e vita. Tuttavia, Dio non nega la salvezza a coloro i quali, ignorando incolpevolmente
l’annuncio del Vangelo, vivono secondo la legge morale naturale, riconoscendone il fondamento nell’unico vero Dio[21].
Nel dialogo inter-religioso il cristianesimo può procedere mostrando che le religioni della terra, quando espressione
autentiche del legame con il vero e unico Dio, hanno nel cristianesimo il loro compimento. Solo in Cristo Dio rivela l’uomo
all’uomo, offre la soluzione ai suoi enigmi e gli svela il senso profondo delle sue aspirazioni. Lui è l’unico mediatore fra
Dio e gli uomini[22].
Il cristiano può affrontare il dialogo inter-religioso con ottimismo e speranza in quanto sa che ogni essere umano è creato
a immagine dell’unico e vero Dio e che ognuno, se sa fare silenzio in sé stesso, può ascoltare la testimonianza della
propria coscienza, che conduce anch’essa all’unico Dio rivelatosi in Gesù Cristo. «Per questo io sono nato e per questo
sono venuto nel mondo — afferma Gesù di fronte a Pilato —; per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla
verità, ascolta la mia voce» (Gv 18,37). In tal senso, il cristiano può parlare di Dio senza rischio di intolleranza, perché il
Dio che egli esorta a riconoscere nella natura e in sé stessi, il Dio che creato il cielo e la terra, è lo stesso Dio della storia
della salvezza, rivelatosi al popolo di Israele e fattosi uomo in Cristo. Questo fu l’itinerario seguito dai primi cristiani: essi
rifiutarono di far adorare Cristo come uno fra i tanti dèi del Pantheon romano, perché convinti dell’esistenza di un unico e
vero Dio; e si impegnarono allo stesso tempo per mostrare che il Dio intravisto dai filosofi come causa, ragione e
fondamento del mondo, era ed è lo stesso Dio di Gesù Cristo[23].
Giuseppe Tanzella-Nitti
Bibliografia di base
Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 27-49
Concilio Vaticano II, cost. Gaudium et spes, nn. 4-22
Giovanni Paolo II, enc. Fides et ratio, 14-IX-1988, nn. 16-35
Benedetto XVI, enc Spe salvi, 30-XI-2007, nn. 4-12
----------------------------------------
[1] Cfr. Catechismo, n. 28; Giovanni Paolo II, Enc. Fides et ratio, 14-IX-1998, n. 1.
[2] «Al di là di tutte le differenze che contraddistinguono gli individui e i popoli, c'è una fondamentale comunanza, dato
che le varie culture non sono in realtà che modi diversi di affrontare la questione del significato dell'esistenza personale.
E proprio qui possiamo identificare una fonte del rispetto che è dovuto ad ogni cultura e ad ogni nazione: qualsiasi
cultura è uno sforzo di riflessione sul mistero del mondo e in particolare dell'uomo: è un modo di dare espressione alla
dimensione trascendente della vita umana. Il cuore di ogni cultura è costituito dal suo approccio al più grande dei misteri:
il mistero di Dio», Giovanni Paolo II, Allocuzione all'O.N.U., New York, 5-X-1995, «Insegnamenti», XVIII,2 (1995) 730-
744, n. 9.
[3] Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae, n. 2.
[4] Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. Gaudium et spes, n. 10.
[5] Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Tertio millennio adveniente, 10-XI-1994, n. 6; Enc. Fides et ratio, n. 2.
[6] Cfr. Catechismo, n. 31.
[7] Catechismo, n. 32.
[8] Cfr. s. Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, I, q. 2, a. 3; Contra gentiles, I, c. 13. Per una loro esposizione
particolareggiata si rimanda il lettore ai due luoghi tomasiani indicati e ad un manuale di Metafisica o di Teologia
naturale.
[9] Cfr. Concilio Vaticano I, Cost. Dei Filius, 24-IV-1870, DH 3004; Sacrorum Antistitum, 1-IX-1910, DH 3538;
Congregazione per la Dottrina della Fede, Donum veritatis, 24-V-1990, n. 10; Enc. Fides et ratio, n. 67. Sinteticamente in
Catechismo, nn. 36-38.
[10] «Con gratitudine, perché intuiamo la felicità alla quale siamo chiamati, abbiamo imparato che tutte le creature sono
state tratte dal nulla da Dio e per Iddio: tanto le creature razionali, ciò è noi uomini, anche se così spesso perdiamo la
ragione, quanto le creature irrazionali, quelle che vagano sulla superficie della terra, o abitano nelle viscere del mondo, o
spaziano nell'azzurro del cielo, capaci perfino di guardare fisso il sole. Ma, in mezzo a questa meravigliosa varietà,
soltanto noi uomini — sugli angeli va fatto un discorso a parte — ci uniamo al Creatore attraverso l'esercizio della nostra
libertà: possiamo rendere o negare a Dio la gloria che gli compete in quanto Autore di tutto ciò che esiste», san
Josemaría Escrivá, Amici di Dio, n. 24.
[11] Cfr. Gaudium et spes, n. 18.
[12] Catechismo, n. 33.
[13] Cfr. Gaudium et spes, nn. 17 e 18. In particolare, la dottrina sulla coscienza morale e la responsabilità legata alla
libertà umana, nel quadro della spiegazione della persona umana come immagine di Dio, è stata estesamente sviluppata
da Giovanni Paolo II, Enc. Veritatis splendor, 6-VIII-1993, nn. 54-64.
[14] Cfr. Catechismo, n. 37.
[15] Cfr. Gaudium et spes, nn. 19-21.
[16] Cfr. Gaudium et spes, n. 36.
[17] Cfr. Gaudium et spes, n. 19
[18] Cfr. Gaudium et spes, n. 21; Paolo VI, Enc. Evangelii nuntiandi, 8-XII-1975, n. 21; Giovanni Paolo II, Veritatis
splendor, n. 93; Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Novo millennio ineunte, 6-I-2001, capp. III e IV.
[19] Cfr. Giovanni Paolo II, Es. Ap. Christifideles laici, 30-XII-1988, n. 34; Enc. Fides et ratio, n. 5.
[20] Cfr. Concilio Vaticano II, Dich. Nostra Aetate, n. 2.
[21] Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. Dogm. Lumen gentium, n. 16.
[22] Cfr. Giovanni Paolo II, Enc. Redemptoris missio, 7-XII-1990, n. 5; Congregazione per la Dottrina della fede, Dich.
Dominus Iesus, 6-VIII-2000, nn. 5, 13-15.
[23] Cfr. Enc. Fides et ratio, n. 34; Benedetto XVI, Enc. Spe salvi, 30-XI-2007, n. 5
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