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LE PROVE ONTOLOGICHE DELL'ESISTENZA DI DIO

Ultimo Aggiornamento: 22/01/2019 11:33
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14/02/2010 00:03
 
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R.G. Timossi, Prove logiche dell’esistenza di Dio da Anselmo d’Aosta a Kurt Gödel.

La pubblicazione di Rimossi con le sue quasi 500 pagine ricostruisce oltre nove secoli di storia della prova logica dell’esistenza di Dio; scritto con linguaggio molto chiaro ma anche con grande rigore scientifico, questo libro costituisce un prezioso strumento di lavoro nell’ambito della teologia naturale.
Il problema di Dio non è solo una questione personale o riguardante esclusivamente chi crede in Dio, ma investe tutti coloro che con obiettività cercano una risposta alla questione del senso delle cose, che si domandano la ragione per cui esiste questo complesso ordine cosmico piuttosto che il nulla (cf 17). In particolare, poiché nessuno può sperare di conseguire delle prove empiriche dirette dell’esistenza di Dio, l’alternativa, secondo l’autore, è tra una percezione soggettiva di tipo mistico e le dimensioni logiche, senza con questo voler privare di valore le prove “a posteriori” come quelle cosmologiche, neocosmologiche e antropologiche; il testo di concentra sulle prove logiche che procedono da verità logiche o da puri concetti a priori e seguono una dimostrazione logica, ovvero «una serie concatenata di proposizioni derivate coerentemente le une dalle altre, secondo un ordine nel quale siano ben riconoscibili delle premesse vere che implicano una conclusione necessariamente vera» (19). Alle caratteristiche fondamentali della logica e alla nozione di dimostrazione razionale sono dedicate le pagine conclusive dell’introduzione (45-62).
Dopo la lunga e fondamentale introduzione, l’autore inizia nei capitoli del testo il lungo itinerario storico. La prima tappa (“La fede che cerca l’intelligenza”, pp. 63-110) è dedicata in particolare alla figura di Anselmo e al suo argomento ontologico (ratio Anselmi). In oltre 45 pagine l’autore ricostruisce la vicenda umana, le ragioni e il contesto da cui nascono Monologion e Proslogion, nonché una minuziosa analisi di quest’ultima opera, dei suoi presupposti, della struttura logica dell’argomentazione anselmiana, dei contenuti e delle obiezioni. Colpisce come nonostante la novità e il rigore della ratio Anselmi, per quasi tutti il sec. XII l’argomento non sia rientrato nelle discussioni del tempo; probabilmente questo nuovo modo di dimostrare l’esistenza di Dio col il suo uso speculativo della dialettica per confermare al verità di fede, appariva lontano dalla tradizione filosofica dei padri della Chiesa e dunque fin troppo audace. È con Bonaventura da Bagnoregio che la ratio Anselmi viene di nuovo valorizzata anche se maggiore interesse riveste G. Duns Scoto che introduce una modifica sostanziale nella struttura logica dell’argomento, nota come coloratio. La prova ontologica torna nell’oblio soprattutto col il predominio di Tommaso d’Aquino che l’aveva categoricamente rifiutata. A parte il Cusano, è nel Seicento che si assiste ad una reale ripresa del tema, ripresa che avviene in tre autori: Cartesio, Spinoza, Malebranche, ai quali è dedicata buona parte del cap. II “L’idea innata di Dio” (pp. 121-168).
L’autore in particolare ricostruendo anche le contestazioni riguardo a Cartesio ritiene che non solo il sistema dimostrativo del filosofo francese rimane viziato da una petitioprincipii (relativa al voler fondare la validità delle idee chiare e distinte con la certezza di un Essere perfettissimo garante della verità, Essere la cui esistenza però viene fondata sulle stesse idee chiare e distinte) ma che anche i postulati da cui dipende l’argomentazione cartesiana sarebbero ben lungi dall’essere autentici postulati cioè verità di per sé note (cf pp. 142-145). Da Cartesio procedono Spinoza e Malebranche; di essi «il primo percorse la via razionalistica fino alle sue estreme conseguenze panteistiche; il secondo accentuò invece il carattere trascendente della nozione di “Essere perfettissimo” fino ad accostarsi ad una visione del divino tipica del misticismo» (p. 145).
Il cap. III (“Se Dio è possibile, allora esiste”, pp. 169-232) ripercorre i tentativi fatti per “affinare” l’argomentazione cartesiana che aveva come cardine non più la dialettica ma il metodo matematico e il procedimento assiomatico geometrico e soprattutto non si basava più
sulla definizione anselmiana desunta dalla Scrittura ma sul concetto di “essere necessario”; in particolare con la critica della teoria delle idee innate propugnata da J. Locke, si presentò «l’esigenza di giustificare meglio il carattere di essere necessario attribuito a Dio e di trovare nuovi argomenti logici in grado di provarne l’esistenza necessaria anche facendo a meno dei concetti innati» (p. 170), trovandosi in questi ultimi il punto debole della prova. A questa esigenza risposero due tra i neoplatonici di Cambridge, H. More e R. Cudworth la cui riflessione sui concetti di possibilità e di necessità per quanto non brillante quanto a rigore logico ha aperto in epoca moderna un nuovo itinerario delle prove logiche che ha come figure eminenti G.W. Leibniz e K. Gödel. L’autore analizza quindi la posizione di Leibniz con le sue tre esposizioni dell’argomento ontologico collocate al crocevia tra la sua logica e la sua metafisica e contenute nelle opere L’essere perfettissimo esiste, Sulla dimostrazione cartesiana dell’esistenza di Dio del R. P. Lamy e nei §§ 44 e 45 della Monadologia. Infine dopo la presentazione delle posizione di tre figure eminenti dell’illuminismo tedesco (Wolff, Baumgarten, Mendelsshon), l’autore discute e critica la versione dell’argomento ontologico basta sulla proposizione “se Dio è possibile, allora esiste”; in particolare l’analisi di questa formulazione condotta con le regole della logica modale risulta scorretta in più punti: sul versante logico siamo in presenza dal punto di vista formale di un errore logico poiché una proposizione subalterna (“Dio è possibile”) implica erroneamente una proposizione ad essa superiore; sul versante ontologico si confonde il piano delle idee con il piano delle realtà effettive passando illegittimamente dall’ordine del pensiero o del possibile all’ordine dell’essere reale.
Il capitolo IV (“Dubbi, critiche e stroncature”, pp. 233-297) presenta una rassegna delle critiche alle prove logiche. Capostipite fu Gaunilone ma certo il critico più famoso è stato Tommaso d’Aquino che ha messo in discussione l’universalità della nozione di Dio da cui muoveva Anselmo, ha cioè ribadito la non evidenza per noi (ma non in sé) dell’essenza divina – bisognosa quindi di essere dimostrata con argomenti a posteriori - e soprattutto ha contestato la possibilità stessa di un salto dall’ordine delle idee (logica) all’ordine della realtà (ontologia). Ancora più radicali le critiche di Ockham per il quale appare impraticabile il provare l’esistenza di Dio per via razionale. È in epoca moderna che con la rifioritura d’interesse per l’argomento ontologico crescono anche i critici: l’autore esamina le critiche di Hobbes, Locke, Gassendi, S. Parker, S. Clarke ed altri per poi concentrarsi su Hume (cf pp. 260-268) e soprattutto su I. Kant (cf pp. 269-297) i cui strali nei confronti della prova ontologica, l’unico argomento razionale atto a dimostrare l’esistenza di Dio ebbero un peso enorme e una portata nuova. Tuttavia l’indirizzo preso dalla filosofia nel periodo dell’idealismo, segnò una ripresa della prova dell’esistenza di Dio fondata sul puro pensiero, soprattutto in un pensatore come Hegel per il quale vige l’identità fra reale e razionale, tra pensiero ed essere.
Siamo così nel cap. V (“Ragione assoluta e fede rivelata”, pp. 299-359) nei cui primi tre paragrafi vengono ricostruite le posizioni di Hegel, Schelling e Rosmini. Se negli orientamenti filosofici dei neokantiani e dei positivisti vi fu una sostanziale indifferenza verso la dimostrazione logica dell’esistenza di Dio, la figura di Brentano al contrario riveste un notevole interesse. È però nel 1931 con la pubblicazione del Fides quaerens intellecutm. La prova dell’esistenza di Dio secondo Anselmo e il suo programma teologico di K. Barth che l’argomento ontologico viene rilanciato. L’autore ricostruisce la Wirkungsgeschichte dell’interpretazione barthiana che ha acceso il dibattito sulla natura della ratio anselmi (se filosofica, teologica o mistica) esaminando le posizioni di Grabmann, Stolz, Weischedel, Gilson, F.S. Schmitt, Söhngen, Kolping, S. Vanni Rovini. Tuttavia il Novecento segna anche la nascita della controversia sulla validità storico-linguistica degli argomenti ontologici che interessò studiosi di matematica ed esponenti del neopositivismo seguiti poi dai filosofi analitici sotto l’influsso di L. Wittgenstein. L’autore presenta di questo filone le posizioni di
B. Russell, L. Frege, A.J. Ayer, W.C. Kneale, J.N. Findlay, N. Malcolm, A. Plantinga. La rassegna delle posizioni si sposta sul versante dei filosofi cosiddetti “continentali” i quali, però, si sono occupati molto meno della prova ontologica sia per il rifiuto della metafisica scolastica, sia per il disinteresse verso le argomentazioni rigorosamente formalizzate: K. Jaspers, E. Lévinas, J. Seifert. Infine viene esposta l’ultima formulazione della prova ontologica, quella di K. Gödel.
Nella conclusione (pp. 447-473) l’autore ripercorre in modo sincronico i risultati della sua puntuale analisi di quasi mille anni di storia degli argomenti ontologici: riassume le diverse forme della prova, i procedimenti logici maggiormente utilizzati (metodo elenctico, assiomatico, modale), illustra le critiche (che classifica in logiche, gnoseologiche, ontologiche, empiristiche, nominalistiche e semantiche), getta un breve sguardo sulla post-modernità dove dell’argomento ontologico non rimane quasi nulla. Un’ampia bibliografia e un quanto mai opportuno indice dei nomi concludono il volume.
Questa pubblicazione nonostante la sua ampiezza si legge bene e l’autore coniuga molto bene chiarezza espositiva e rigore nella ricostruzione del tema, mostrando che le prove logiche dell’esistenza di Dio sono ben altro da un gioco infantile per la ragione come sostiene S. Landucci nel suo I filosofi e Dio (Roma-Bari 2005, p. VII).
Antonio Sabetta
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