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27/03/2015 12:46
 
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Il caso Dolce&Gabbana 




Un autogol clamoroso, come mostrammo allora, che aprì gli occhi di molti sul fenomeno che abbiamo definito “omofascismo”, ovvero l’incredibile capacità delle associazioni gay di produrre altissimi livelli di odio contro chi osa esporre pubblicamente un’idea contraria alle loro convinzioni, sopratutto se si tratta di persone con una certa notorietà. Smascherati, dunque, molti ipocriti proclamatori della libertà di pensiero e del noto “Je suis Charlie”, come è stato spiegato. Ricordiamo, ad esempio, i tentativi di Arcigay dibloccare perfino lo svolgimento del Festival di Sanremo pur di impedire al cantante Povia di esibirsi con il brano “Luca era gay” (diventato poi un successo vincendo il Premio Mogol 2009, a proposito di azioni controproducenti).


In questi giorni è riaccaduto: gli stilisti omosessuali Dolce&Gabbana hanno rilasciato un’intervista a “Panorama”, parlando del loro ultimo progetto basato sulla famiglia: «La famiglia è un senso di appartenenza sovrannaturale», hanno spiegato. «Non abbiamo inventato mica noi la famiglia. L’ha resa icona la Sacra famiglia, ma non c’è religione, non c’è stato sociale che tenga: tu nasci e hai un padre e una madre. O almeno dovrebbe essere così, per questo non mi convincono quelli che io chiamo i figli della chimica, i bambini sintetici. Uteri in affitto, semi scelti da un catalogo. E poi vai a spiegare a questi bambini chi è la madre. Ma lei accetterebbe di essere figlia della chimica? Procreare deve essere un atto d’amore». Domenico Dolce aggiunge: «Sono gay, non posso avere un figlio. Credo che non si possa avere tutto dalla vita, se non c’è vuol dire che non ci deve essere. È anche bello privarsi di qualcosa. La vita ha un suo percorso naturale, ci sono cose che non vanno modificate. E una di queste è la famiglia».


Queste parole hanno incendiato il web, qualche militante Lgbt ha (giustamente) parlato di “decine di anni di battaglie gay bruciati in un attimo”. Molto peso lo ha avuto il commento del cantante gay Elton John«Come vi permettete di dire che i miei meravigliosi figli sono ‘sintetici’? Dovete vergognarvi per aver puntato i loro ditini contro la fecondazione in vitro. Il vostro pensiero arcaico è fuori tempo: proprio come le vostre creazioni di moda», unendosi alla campagna di boicottaggio del marchio D&G. Peccato che il giorno dopo sia stato fotografato con una borsa proprio di Dolce&Gabbana, ipocritamente alla faccia della coerenza. Il cantante inglese rivendica il fantomatico diritto di acquistare gli uteri delle donne (meglio se povere) per produrre artificialmente i figli che la natura non permette di avere. Eppure, nel 2010 proprio lui si pentì -incapace di consolare il disperato pianto del bimbo-, di aver violentemente reso orfano di madre il bambino che aveva strappato dalle braccia di chi lo aveva partorito: «Sarà straziante per lui crescere e realizzare che non ha una mamma»disse in un attimo di lucidità.


Ad accodarsi al “fondamentalismo gay di Elton John”come è stato definito, anche un pugno di alieni miliardari, come Sharon Stone, Ricky Martin, Victoria Beckham, la fidanzatina berlusconiana Francesca Pascale, la cantante Courtney Love (“voglio bruciare i loro vestiti”, ha detto) e altri vaghi quanto inutili personaggi mediatici.


A sostegno dei due stilisti, oltre tante persone normali, sopratutto lontane da questi dibattiti (basta leggere i commenti sui social network per verificarlo), anche profili di un certo peso come quello dell’omosessuale Enrico Oliari, presidente di GayLib, che ha scritto«Gli stilisti Dolce&Gabbana sono stati gli unici, sia pure con parole forse troppo forti, a trovare il coraggio di dire no a un pensiero unico fuorviante e mistificatorio che una parte del movimento gay vorrebbe imporre a tutti gli omosessuali. Per questa ragione noi siamo assolutamente contrari alla campagna internazionale liberticida di boicottaggio della nota griffe e anzi, senza la necessità di condividere ogni parte del pensiero espresso dagli stilisti in materia ma in una ferma e convinta difesa del bene supremo e primario che è la libertà d’espressione, lanciamo un altro hashtag: #SiamoTuttiDolce&Gabbana e siamo pronti a consegnare ai due stilisti la tessera onoraria della nostra associazione».


Anche l’omosessuale e scrittore Aldo Busi è intervenuto (sul “Corriere della Sera”, che ha pubblicato anche un ottimo commento del sociologo Mauro Magatti) ammettendo di provare «un istintivo orrore per quegli uomini» che affittano «uteri di donne […]. Gli appagati e trionfanti papà, diciamo pure contronatura e contro ogni buonsenso, di questi bambini con una madre senza come possono essere poi tanto appagati? Come possono questi padri surrogati di madri surrogate guardare questi figli amatissimi e doppiamente idolatrati quali premi di una hybris vittoriosa senza provare ribrezzo per se stessi al pensiero di quella mammifera incosciente, dolente, abbandonata a se stessa che glieli ha forniti e si è tolta di mezzo, anzi, che è stata di fatto tolta di mezzo magari con un bonifico conclusivo a sigillo di una lettera di credito iniziale? Di un credito di sangue mai più esigibile, estinto – come l’utero che l’ha pompato per nove mesi come se pompasse la ruota sgonfia di una bicicletta non sua? Voi, cantanti, stilisti e ormai anche droghieri, prefetti e borghesi gay, sapete chi sono queste donne da voi degradate a bestie produttrici di placenta? Qualche dovuto passaggio nella maturazione sentimentale e civile bisogna proprio averlo saltato per essere dei padri e degli educatori felici sulla pelle di madri alienate, lontane, allontanate, vive e morte a sé: vive in vitro». Molto più sintetico l’intervento dell’omosessualeCristiano Malgioglio«Credo che la presenza femminile sia fondamentale per la buona crescita di un bambino. Io ho adottato tre figli a distanza e sono felice così. E comunque se penso a una famiglia, resto fedele al modello tradizionale, formato da un uomo e da una donna”».


In difesa di D&G anche sei persone cresciute con genitori gay o lesbiche, che hanno sperimentato sulla loro pelle il disagio del crescere in questo modo. Nella loro lettera si legge: «Vogliamo ringraziarvi per aver dato voce a quanto abbiamo appreso dall’esperienza: ogni essere umano ha una mamma e un papà ed eliminare uno dei due dalla vita di un bambino significa privarlo della dignità, dell’umanità e dell’uguaglianza. Se tornerete indietro e vi scuserete per quanto avete detto, renderete ancora più vulnerabili e discreditati i bambini che vivono nelle case gay. Per il nostro bene, così come per quello di tutti i bambini italiani, è importante che non vi scusiate né che vi arrendiate».


Sembra comunque che non ci sia questo rischio, Dolce e Gabbana non sono certo il “cedevole” Guido Barilla. Anzi, hanno rincaratola dose: «Non me l’aspettavo da una persona che ritenevo — sottolineo: ritenevo — intelligente come Elton John. Ma come? Predichi comprensione, predichi tolleranza, e poi aggredisci? Tutto perché qualcun altro la pensa in modo diverso da te? E’ un modo autoritario di vedere le cose: se sei d’accordo con me bene, altrimenti ti attacco. E glielo ho scritto, nei commenti di Instagram:fascista. Vedo che ci sono, specialmente in Rete, anche i gay omofobi: quelli che offendono altri gay che esprimono idee diverse». Sorridendo hanno anche ridicolizzato la campagna di boicottaggio: ««Forse perderemo qualche fan di Elton John, forseguadagneremo qualche mamma, chi lo sa…». Questo ironico realismo è qualcosa di magico.


CitizenGo ha lanciato con grande successo una petizione on-line, che in poche ore ha già raggiunto le 40mila firme, così come l’hastag: #SupportDolceGabbana«Quando si tocca il mondo gay si alzano sipari su nervi scoperti, sollevando reazioni spropositate»,è stato invece il commento di “Panorama”, rivista su cui è partito il tutto.


Se purtroppo esiste il pregiudizio che il mondo gay sia un universo di immaturità, bisogna riconoscere che i militanti Lgbt sono bravissimi ogni volta a diffonderlo e confermarlo. Torniamo così alla citazione iniziale comparsa sul “Fatto Quotidiano”: «I nemici più pericolosi dei gay, spesso, sono i gay stessi. E’ il momento di crescere».



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