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Ultimo Aggiornamento: 26/01/2020 19:42
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23/03/2010 11:47
 
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Dalla prolusione tenuta dal Card.Angelo Bagnasco

C’è bisogno allora di conversione e di preghiera per raccogliere i messaggi intrinseci agli accadimenti, per maturare ogni volta comportamenti più congrui e solidali, in grado di creare sintonia con chi soffre, e per essere meno indegni nella domanda di intercessione. Ebbene, mentre comincia qua e là a farsi largo la convinzione che la comunità internazionale debba attrezzarsi per rispondere in modo non improvvisato né episodico alle tragedie che si presentano in questa o quella parte del mondo, va sottolineato come la nostra comunità nazionale e la sua opinione pubblica in occasione degli eventi menzionati siano state in debita allerta, e certo sollecite negli interventi. Non di meno la nostra comunità ecclesiale ha prontamente reagito con stanziamenti sostenuti e poi rafforzati attraverso raccolte assai significative di mezzi indispensabili per offrire – in via diretta e attraverso la Caritas – l’aiuto che serve nell’immediato e quello, forse più meritorio ancora, del post-emergenza. I credenti, le loro famiglie, le nostre comunità continuino a sentire il morso della disperazione altrui e si facciano prossimi ai loro bisogni. L’aver noi, come popolo italiano, ripetutamente sperimentato in prima persona le conseguenze di dolore e disagi collegate alle calamità naturali, come l’essere tuttora sotto sforzo per il terremoto che un anno fa ha colpito l’Aquila e l’Abruzzo, mentre gravi smottamenti hanno, nell’ultimo inverno e fino ad oggi, colpito numerose località in particolare del Meridione, fa sì che non possiamo farci trovare mai estenuati, bensì attenti e solleciti quando un fratello è nel bisogno.

Ma c’è un’altra tipologia di situazioni dolenti, che ci interpella anzitutto sul piano interiore, ed è quella delle popolazioni tormentate perché sono calpestati i diritti umani fondamentali, primo dei quali la libertà religiosa. Nelle ultime stagioni si registra una recrudescenza degli attacchi ai cattolici. Non sono finiti ad esempio in India, paese in cui nonostante tutto la comunità cattolica cresce grazie alla stima di cui gode, ma dove ultimamente si è giunti a manifestazioni blasfeme dell’immagine di Gesù, così da umiliare e forse anche provocare i nostri fratelli di fede, già sotto tiro con chiese bruciate e sacerdoti e credenti fatti oggetto di persecuzione. Ma pensiamo anche agli scontri molto gravi avvenuti in Nigeria e in precedenza in Malaysia, in Egitto e in Algeria. Nelle ultime settimane, in vista delle elezioni locali, era tornata a salire la tensione in Iraq, e i cristiani sono scesi in piazza per manifestare la loro mite resistenza a fronte di incursioni condotte a loro danno. A motivo delle perduranti discriminazioni, costituiscono oggi una ancor più ridotta minoranza, senza tuttavia che possa mutare lo status di componente religiosa certo non estranea a quella regione, avendo lì il cristianesimo radici quasi bimillenarie. La mitezza che contrassegna in generale la risposta cattolica non può essere però fraintesa: nessuno ha il diritto di farsi padrone degli altri in nome di Dio. Noi siamo effettivamente vicini a questi nostri fratelli di fede, solidali con il loro patire, ammirati della loro perseveranza, impegnati a far sì che la politica a livello internazionale voglia assumere con crescente autorevolezza iniziative urgenti ed efficaci per assicurare a tutti gli uomini, entro qualunque confine, il sacrosanto rispetto della libertà di credo e di culto. Ai missionari, alle suore, ai volontari laici che, come è accaduto anche di recente, di fronte a discriminazioni e violenze di ogni tipo non si staccano dalla terra in cui operano, va la nostra assidua vicinanza: sono nel cuore della nostra preghiera. Vogliamo, anzi, essere degni di loro, e per questo non cesseremo di interrogarci sul nostro vivere la fede, perché crescano in noi la testimonianza e l’annuncio evangelico nel segno di una gioia più limpida e di una convinzione più coraggiosa.
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