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COSA SAPPIAMO DEL PARADISO ?

Ultimo Aggiornamento: 21/04/2021 17:00
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21/06/2016 18:02
 
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LE ORIGINI E LA CONCLUSIONE





Mi mostrò poi un fiume d'acqua viva limpida come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell'Agnello. In mezzo alla piazza della città e da una parte e dall'altra del fiume si trova un albero di vita che dá dodici raccolti e produce frutti ogni mese; le foglie dell'albero servono a guarire le nazioni.
E non vi sarà più maledizione.
Il trono di Dio e dell'Agnello
sarà in mezzo a lei e i suoi servi lo adoreranno;
vedranno la sua faccia 
e porteranno il suo nome sulla fronte.
Non vi sarà più notte
e non avranno più bisogno di luce di lampada,
né di luce di sole,
perché il Signore Dio li illuminerà 
e regneranno nei secoli dei secoli.

La terza visione propone le idee principali già ribadite dalle prime due. La simbologia richiama chiaramente il cap. 2 della Genesi: il paradiso terrestre. Le origini della storia umana e la conclusione si ricongiungono. Ma la visione di Giovanni si ricollega a Gen 2 passando attraverso la rielaborazione che ne ha fatto Ezechiele (cap. 47): dal tempio scaturisce la sorgente di acqua viva che cresce fino a trasformarsi in un fiume maestoso, tra due rive di alberi lussureggianti.

C’è un’idea di fondo molto chiara: l’acqua scaturisce dal tempio, cioè da Dio. È da Dio che viene la vita e il mondo nuovo, non da altri.

Abbiamo detto che l’inizio e la fine si congiungono, le prime pagine della Bibbia fluiscono nelle ultime. La Bibbia si apre con il racconto di un paradiso perduto: Adamo ed Eva hanno perso la comunione con Dio, l’amicizia tra di loro e l’armonia con la terra. Gli uomini di fede che hanno scritto quelle antichissime pagine hanno compreso che il mondo così come oggi lo troviamo è un mondo decaduto, è la conseguenza del peccato. Per darsi una spiegazione hanno guardato indietro, verso il passato. La nostra pagina invece, che non solo conclude l’Apocalisse, ma la Bibbia intera, rovescia la prospettiva: non la nostalgia verso il paradiso perduto, ma la speranza verso un mondo nuovo che sta nascendo. Lo sguardo è in avanti, non all’indietro. Il mondo, così com’è, è frutto del peccato (questo l’Apocalisse lo dice con molto vigore), ma è anche un mondo in cui la forza della presenza di Dio sta operando. È un mondo che soffre nel travaglio del parto, e le crisi che l’attraversano sono momenti di crescita, e non semplicemente castighi per le molte idolatrie commesse. Un mondo degno dell’uomo non è un sogno svanito, anche se è vero che il peccato sembra sciupare ogni cosa. La conclusione a cui ci porta l’Apocalisse è questa: il mondo nuovo, il mondo degno dell’uomo non è un sogno, ma è una certezza. Il mondo nuovo è una realtà sicura come è sicura la promessa di Dio.

Il paragone con le prime pagine della bibbia può essere ulteriormente approfondito. Là un movimento che andava dalla pace al travaglio (dal paradiso terrestre alla fatica del lavoro, alla morte, alle lotte fratricide, al diluvio, alla schiavitù dell’Egitto ... ), e dall’universale al particolare (dall’intera umanità al popolo di Abramo). Qui invece è tutto alla rovescia: dal travaglio della storia umana alla pace di Dio, dalle comunità cristiane (a cui sono rivolte le sette lettere e l’intero libro) all’umanità intera.

Ma L’Apocalisse non è solo una visione di consolazione, neppure nelle sue pagine conclusive. È anche un drastico avvertimento. Dal mondo nuovo di Dio ci possono essere anche degli esclusi, dei quali l’Apocalisse tenta di tracciare una descrizione, quasi un elenco: una descrizione che però deve essere compresa alla luce di tutto il discorso apocalittico per non essere fraintesa. Che ci possano essere degli esclusi è ribadito con forza due volte: 21,8.27. Come si vede da questi due passi, le mancanze che l’uomo commette sono molte, ma ciò che è più importante capire è che tutte sono indicative di una scorrettezza più profonda, che possiamo chiamare "menzogna" o anche "idolatria". È qui la radice di tutto. Più volte l’Apocalisse ci ha fatto capire che la menzogna non è semplicemente la mancanza di sincerità, come il dire bugie, ma è una falsità esistenziale, un modo scorretto di impostare l’intera vita e la società: cioè una vita impostata su falsi valori, su ideali che pretendono servire l’uomo e in realtà lo distruggono, pretendono appellarsi alla verità, ma in realtà sono a vantaggio di interessi di parte, possono perfino presentarsi in nome di Dio, ma in realtà non fanno che idolatrare l’uomo. Tutto questo è la menzogna e l’idolatria, cioè una filosofia e un’impostazione pagana dell’esistenza.

Non tutto conduce alla novità di Dio e alla Gerusalemme celeste. Soltanto la strada dei martiri, che sono coloro che rifiutano l’idolatria e impostano la vita sulla parola di Dio, vi conduce.

*****

vv. 1–5. Con la venuta della nuova Gerusalemme è tornato il paradiso anticamente perduto. Un fiume limpido come il cristallo sgorga dal trono di Dio e dell’Agnello (Gen 2,10-14; Ez 47; GI 4,18; Zc 14,8). Le sue acque donano la vita; ne deriva una crescita rigogliosa e un’abbondante benedizione. La fine dei tempi corrisponde ai tempi delle origini: l’albero della vita, che era al centro del paradiso terrestre (Gen 2,9; 3,22) verdeggia anche nel nuovo mondo di Dio (2,7; 22,14.19).

Siccome la visione si avvicina al testo di Ez 47,7.12, dove il profeta osserva le piante sulle due rive del fiume, forse l’albero della vita in questa pagina va inteso come un singolare collettivo: sulle due rive del fiume ci sono alberi della vita. Le loro radici attingono alle acque della vita del fiume e i rami fruttificano, con abbondanza paradisiaca, dodici volte all’anno. Le foglie danno guarigione ai popoli che accorrono (21,3), perché nel nuovo mondo di Dio non ci sarà più né malattia, né dolore, né morte (21,4). Secondo la promessa di Zc 14,11 nella città non vi sarà più nulla di maledetto, perché il peccato sarà stato definitivamente eliminato insieme al diavolo e alla morte. Il luogo della presenza divina nella nuova Gerusalemme non sarà più il tempio, ma il trono di Dio e dell’Agnello, e i suoi servi lo serviranno e avranno comunione con Dio e con Cristo. Sulla terra nessun uomo aveva potuto vedere Dio perché al cospetto della santità divina avrebbe dovuto morire (1,17). Ma adesso i servi di Dio, che portano il suo nome sulla fronte e sono quindi segnati come sua proprietà, possono vederlo com’è (Mt 5,8; 1Gv 3,2). Lo splendore di Dio li illumina in ogni tempo (21,23-25) ed essi parteciperanno al governo di Dio sull’universo (1,6; 5,10). Come la condanna che ha colpito i dannati rimane eternamente valida (20,10), così i beati regneranno con Dio e saranno con lui per tutta l’eternità.


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