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INTRODUZIONE ALL'ANTICO TESTAMENTO

Ultimo Aggiornamento: 24/07/2019 14:10
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24/08/2015 16:04
 
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 IL PROFETISMO


11.A - Il profetismo extra-biblico


Se Mosè rappresenta, nella tradizione biblica, la figura profetica più splendida, Balaam è in certo modo il profeta per eccellenza dei pagani idolatri. Questo modo di considerare Balaam si imporrà nella tradizione giudaica e giungerà fino al N.T. (2Pt 2,15, dove si parla della "via di Balaam di Bosor che amò un salario d'iniquità"). Balaam era probabilmente un indovino babilonese o di Mari, la famosa città sull'Eufrate dove esistevano figure paragonabili ai profeti biblici, come vedremo più avanti. Egli è descritto come un indovino (Nm 23,3.15), che ha dei sogni rivelatori, interpreta il comportamento degli animali per predire il futuro (Nm 22,23-30), trae auspici dai fenomeni atmosferici e astronomici. 1 Re ricorda altri profeti pagani come quelli di Baal, che sfidarono Elia in "singolar tenzone" (1 Re 18,20-40).


La Bibbia stessa riconosce, dunque, che il profetismo non è un fenomeno esclusivamente israelitico: anche gli altri popoli semiti contemporanei di Israele conoscono infatti un fenomeno che è stato paragonato al profetismo biblico. Qui possiamo fare solo qualche cenno al profetismo extra-biblico, in particolare nella tradizione egizio-cananea, sumero-accadica e in quella semitica occidentale di Mari.


Dall'ambiente egizio-cananeo possiamo ricordare il caso dell'egiziano Wenamon, addetto al tempio del dio Amon e vissuto verso il 1100 a.C. Egli andò a Biblos per incarico del faraone d'Egitto, per chiedere forniture di legname per il suo tempio. Il principe di Biblos, Zachir, si rifiutò di riceverlo e gli intimò di andarsene dalla città, ma Wenamon fece rispondere che non si sarebbe allontanato di lì se non fosse stata messa a sua disposizione una nave di Biblos. Mentre il principe stava compiendo un sacrificio ai suoi dei, uno dei suoi servi fu rapito in estasi e diceva: "Prendi l'idolo accogli il messaggero che lo ha con sé, Amon è il dio che lo ha inviato, egli l'ha fatto venire". Quel giovane ebbe un fenomeno d'estasi profetica. Dopo quel fatto il principe Zachir chiamò a corte Wenamon e concluse le trattative. L'estasi e il messaggio sono elementi che si ritrovano anche nel profetismo biblico.


Nel 1906 il console francese ad Aleppo Henri Pognon scoprì a 40 Km. da Aleppo, in Siria, una stele scritta in aramaico che racconta avvenimenti databili intorno all'805 a.C. circa. Questa stele oggi si trova al museo parigino del Louvre. Essa parla di un certo re Zachir di Hamat, il quale racconta che il dio Baal-Shamain, per mezzo di veggenti e indovini, gli disse: "Non temere perché io ti ho fatto re e ti sosterrò, ti libererò da tutti questi re che hanno posto l'assedio contro di te". Questi veggenti ed indovini avevano parlato in nome della divinità, alla stregua dei profeti biblici. Fra i documenti egiziani vanno ancora ricordati il papiro "Westcar 3033" di Berlino, insieme di racconti popolari favolosi e magici che risalgono alla XII dinastia, una specie di "Mille e una notte"; ed il papiro "Ipuwer I, 344" di Leinden, manifesto politico risalente alla XIX dinastia.


Nella letteratura sumero-accadica, lacunosa e ancora molto mal conosciuta, manca ogni testimonianza di profetismo intuitivo; compaiono invece la divinazione, l'oniromanzia e le lamentazioni storiche. Per quanto attiene alla divinazione e ai presagi, purtroppo non possediamo ancora nessun testo.


I Sumeri ignoravano l'augure, mentre conoscevano l'aruspice che prevedeva il futuro esaminando le interiora dei caproni. Già nel III millennio a.C. Urnanse di Lagash chiama a corte un gran sacerdote che aveva quest'ufficio ed all'epoca di Ur esiste il "mash-su gid-gid", cioè "colui che allunga le mani nelle interiora del capretto". I Sumeri praticavano anche l'oniromanzia e veneravano ben quattro dei addetti ai sogni. Questi sogni potevano essere simbolici, mitici, storici o semplicemente dei messaggi.


Altro ambito era quello delle lamentazioni; la città sumerica era una città-tempio, sacra, costruita dalla divinità. La sua distruzione per opera di nemici, costituì sempre un grosso problema religioso: come spiegare questa tragedia? Si rispondeva ricorrendo alla filosofia religiosa del peccato.


Famose sono le lamentazioni ancora conservate sulla distruzione di Lagash, Ur, Nippur, e la maledizione di Akkad, in cui si risentono molti temi svolti nelle "Lamentazioni di Geremia su Gerusalemme (Bar 4,5 ss).


Dall'ambiente semita-occidentale possiamo proporre come esempio l'archivio di Mari. Tra le rovine del palazzo dell'ultimo re, Zimri-Lim, di questa città, conquistata e distrutta da un suo ex alleato, Hammurabi di Babilonia, furono ritrovate circa 20.000 tavolette d'argilla. Una trentina contengono 35 oracoli divini. L'esempio più spesso citato è una tavoletta il cui testo è stato pubblicato nel 1950 da A. Lods: si tratta di un oracolo con minacce e promesse indirizzate al re e condizionate alla condotta che egli terrà. I testi di Mari presentano fondamentalmente due forme di comunicazione divina: le profezie pubbliche e private e i sogni.


Fra le profezie di Mari e il profetismo biblico ci sono innegabili somiglianze e analogie: il profeta è un inviato del dio, usa il formulario proprio dell'araldo, appare il fenomeno dell'estasi profetica come nei gruppi dei profeti estatici di cui parla la Bibbia (1 Sam 19.20).


Ma, al di là di queste convergenze, il profetismo biblico è molto diverso, sia per certe caratteristiche letterarie (nella Bibbia, a differenza di Mari, esiste una vigorosa tradizione letteraria d'origine profetica) sia soprattutto per i contenuti. Quasi un millennio separa i testi di Mari (1700 a.C.) dai profeti classici della Bibbia (secolo VIII-V a.C.). Gli oracoli di Mari erano quasi tutti diretti al re, furono salvati dall'oblio perché custoditi nell'archivio di corte, in loro non si trova per nulla l'appello alla conversione del cuore che occupa il centro della profezia biblica. A Mari non si parla di speranza escatologica o messianica; il quadro religioso è politeista, si praticano purificazioni magiche, manca il senso del peccato personale. Niente, dunque, a che vedere con l'attacco di Osea contro i riti pagani della fertilità, l'appello di Amos per la giustizia sociale, la teologia della fede di Isaia o le prediche di Ezechiele al popolo che corre verso la propria rovina: tutto questo è semplicemente inimmaginabile a Mari.


Da questo sguardo d'insieme al mondo extrabiblico possiamo concludere che il profetismo biblico ha avuto una lunga preistoria, di cui conosciamo solo alcune manifestazioni nel mondo dell'antico vicino Oriente, manifestazioni che ci aiutano a comprendere il tessuto culturale di quello biblico.


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11.B - Veri e falsi profeti


La Bibbia racconta il conflitto e lo scontro fra profeti: per esempio fra Michea e Sedecia (1 Re 22), fra Geremia ed Anania(Ger 28), ma gli uni non trattano mai gli altri come falsi profeti; addirittura nella lingua ebraica manca il termine per designare un falso profeta! Tuttavia se un profeta come Ezechiele è mandato a profetizzare contro i profeti d'Israele (Ez 13,1), si impone il problema circa l'autentica profezia e quella falsa. Come distinguere, allora i veri dai falsi profeti? La Bibbia stessa suggerisce alcuni criteri relativi sia al messaggio sia alla persona dei profeti.


A) Criteri relativi al messaggio:




  • La vera profezia deve realizzarsi (Dt 18,21-22), i contemporanei, dunque, o la storia giudicano della realizzazione di una profezia.




  • La vera profezia deve essere fedele alla tradizione (Dt 13,1-4). I profeti veri non negano mai l'autentica tradizione religiosa, perché ne fanno parte.




  • Gli oracoli di sventura sono veri, quelli di salvezza esigono la garanzia dell'attuazione (Ger 28,8-9). Questo criterio, per essere biblico, va riformulato in questa maniera: i profeti veri annunciano sempre il giudizio di Dio, che è di sventura o salvezza in dipendenza dell'atteggiamento di fede o infedeltà dell'uomo a Dio.




B) Criteri relativi alla persona:




  • Il vero profeta è un inviato di Dio, parla in suo nome. Quello che dice sulla sua vocazione è attendibile? Anche i falsi profeti possono rivendicare di essere inviati.




  • Il vero profeta è disinteressato, non agisce per desiderio di successo, di denaro o di gloria personale.




  • Il vero profeta vive coerentemente con ciò che predica. Tuttavia anche il vero profeta può peccare: Geremia mente ai ministri del re (Ger 38,24-27).




Come si può facilmente capire, questi criteri hanno un certo valore, ma non possono essere presi come regole matematiche da applicare rigidamente. Nessuno di essi rappresenta un criterio assoluto per discernere un vero da un falso profeta. Tuttavia sembra impossibile ammettere che sia vero profeta quello il cui messaggio o la cui vita personale non corrisponde a nessuno dei criteri enumerati. Un vero profeta deve realizzare almeno uno dei criteri esposti.


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11.C - Le epoche del profetismo


Abramo rappresenta la sorgente della storia israelitica, ed è naturale che la tradizione giudaica ne abbia fatto il primo grande profeta al quale è rivolta la parola di Dio. Anche Mosè fu considerato un profeta: "Non è più sorto in Israele un profeta come lui, con il quale il Signore parlava a faccia a faccia" (Dt 34,1). Nell'epoca precedente alla monarchia, "tutto Israele, da Dan a Bersabea, seppe che Samuele era costituito profeta del Signore" (1 Sam 3,20).


A) Dal 1000 al 750 a.C.
Questo periodo è caratterizzato da quello che potremmo definire "profetismo primitivo". I profeti di quest'epoca non scrivono nulla e noi conosciamo ben poco di loro. A parte il fatto che il N.T. designi anche Davide come profeta (Mt 22,43), ricordiamo alcuni nomi: Natan (2 Sam 7), Gad (2Sam 24,1l), Achia di Silo (1 Re 14), Semeia (1 Re 12, 21-24), e soprattuttoElia ed Eliseo. È molto difficile dire con precisione sia quale fosse l'esperienza religiosa di questi uomini, sia quale fosse la loro funzione specifica. Si appellano tutti ad una speciale comunicazione divina; alcuni vivono a corte, altri presso santuari come Silo, Galgala, Mizpa, Betel, ecc. dove conducono vita comunitaria, altri ancora sono del tutto autonomi. Spesso, magari con l'aiuto della danza, della musica o dei movimenti ritmici del corpo, entrano in uno stato di eccitazione irresistibile e pronunciano canti, grida, parole sconnesse, oracoli e predizioni. È questo il caso dei profeti estatici. Questo fenomeno non è esclusivo di questo periodo, tuttavia è in esso abbastanza comune, come nel caso del gruppo capitanato da Samuele (1 Sam 19,20). L'esperienza estatica faceva "diventare un altro uomo" (1 Sam 10,6), tanto che a volte la gente riteneva che un simile profeta fosse un matto (2 Re 9,11). Solitamente questi uomini profetavano in gruppo e formavano delle specie di corporazioni o associazioni profetiche, i cui membri erano chiamati "figli dei Profeti" (1 Re 20,35). Questi profeti si preoccupano delle istituzioni d'Israele (come Natan), della pace in seno alle tribù (come Semeia), della lotta contro l'idolatria (come Elia ed Eliseo).

B) Dal 750 al 587 a.C. (profeti pre-esilici).
È questo il periodo dei "profeti scrittori", così chiamati perché i loro discepoli ci hanno conservato dei resoconti della loro predicazione. Ciò non significa che questi profeti avessero anzitutto il compito di scrivere. Il profeta è sempre inviato anzitutto per proclamare a voce, né si vuole affermare che i profeti scrittori abbiano scritto di loro pugno i libri che sono stati loro attribuiti e che si sono formati attraverso un processo normalmente molto lungo, all'inizio del quale sta la persona, l'attività e la predicazione del profeta. Questi profeti non sono professionisti; non sono estatici e neanche sono legati ad un santuario. È l'epoca di Amos, del protoIsaia (Is 1-23.28-33.36-39), di Osea.

C) Dal 586 al 538 a.C. (profeti esilici).
I due grandi profeti dell'esilio sono Ezechiele e il deuteroIsaia (Is 40-55). Tema ricorrente di questi profeti è la speranza nel futuro, l'annuncio della consolazione per il popolo umiliato dalla prova dell'esilio.

D) Dal 538 al 150 a.C. (profeti post-esilici).
Di questo periodo sono il tritoIsaia (Is 24-27.34-35.56-66), Abdia, Aggeo. È un periodo in cui Israele si trova come sperduto in mezzo agli altri popoli, perché non costituisce più una nazione indipendente. I profeti di questo periodo invitano il popolo a risorgere non tanto per recuperare un ruolo politico nei confronti degli altri popoli, ma per prendere coscienza della funzione religiosa di Israele per il mondo intero.

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11.D - Il senso del profetismo

La nomenclatura sopra presentata di date e di nomi non ha soltanto uno scopo pedagogico- nozionistico, ma serve a capire come ogni profeta sia uomo del suo tempo. Il profeta, infatti, non è tanto l'uomo del futuro, quanto piuttosto l'uomo del presente. Egli è sempre coinvolto, nelle vicende politiche, sociali, economiche, religiose della società del suo tempo cui annuncia la parola del Signore. L'annuncio profetico è, dunque, sempre storicamente datato e muta da un profeta ad un altro, variando le situazioni storiche concrete. Il profeta, infatti, non è un uomo della teoria, non è un filosofo o un teologo che costruisce o spiega sistemi astratti, ma colui che legge in profondità la storia a lui contemporanea e pronuncia su di essa il giudizio di Dio. Profeta non è, dunque, come a volte si intende, colui che predice il futuro. I profeti annunciano anche eventi futuri, ma quegli eventi sono visti spesso come conseguenza del presente. Il profeta è in primo luogo la coscienza storica, civile e sociale del popolo d'Israele; anche per questo spesso fecero una brutta fine. È ovvio, dopo queste considerazioni, concludere che per capire i profeti è necessario collocarli nel loro tempo, conoscere l'ambiente socio-politico, culturale e religioso in cui operano, cercare di scoprire quali erano i problemi cui essi davano una risposta. Il profeta è sempre in dialogo con il suo tempo: bisogna cercare di ricostruire qual era il suo interlocutore. Capire i profeti è necessariamente capire la storia da loro vissuta e nella quale sono immersi.

Il Regno di Giuda e il Regno d'Israele dopo lo Scisma


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