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LA COMPLESSITA' IRRIDUCIBILE INDICA UNA PROGETTAZIONE

Ultimo Aggiornamento: 30/08/2022 23:35
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30/08/2022 23:35
 
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La complessità irriducibile


 Sono sempre stato un sostenitore accanito, come biologo, della teoria evoluzionistica di Darwin. Talvolta mi sono persino trovato coinvolto in violenti alterchi con alcuni che la mettevano in discussione. Poi, siccome il tempo non passa quasi mai invano, ho iniziato a riflettere ed a rendermi conto che la teoria evoluzionistica non poteva spiegare tutta la fenomenologia del vivente.
 
Mi sono poi imbattuto casualmente in una teoria di alcuni autori, in contrapposizione all’evoluzionismo, basata sul concetto della “complessità irriducibile”. Il loro pensiero è assai semplice e collima in parte con le mie riflessioni. All’inizio peraltro mi sono davvero sorpreso di come si possano generare certi parallelismi di pensiero.

Cosa sostengono questi signori? E' assai semplice. Dicono sostanzialmente che certi sistemi sono troppo complicati per essersi evoluti secondo le regole della teoria darwiniana. Piccola sintesi per chi non fosse a conoscenza della teoria dello sviluppo evolutivo (EvoDevo, dall'inglese: Evolutionary Development). In due parole. La teoria evoluzionistica afferma che avvengono mutazioni casuali nel genoma (DNA) degli esseri viventi. Quindi gli esseri viventi cambiano. Questi cambiamenti vanno visti in stretta associazione all’ambiente in cui gli stessi esseri viventi spendono la loro vita. L’ambiente eserciterà poi su di loro quella che si definisce pressione selettiva. Come? Semplice, premiando i più adatti a vivere in un certo ambiente e penalizzando tutti gli altri. Naturalmente è facile immaginare che qui spesso il premio è la vita e la pena è la morte, nella logica spietata della sopravvivenza del più adatto.

Torniamo però ai sostenitori della complessità irriducibile nonché oppositori della teoria evoluzionistica. Questi sostengono che una simile teoria non può essere vera perché la pressione selettiva può essere esercitata dall’ambiente sugli esseri viventi solo quando un organismo ha già raggiunto un elevato livello di complessità. Si pone pertanto, inevitabile, la domanda di come abbia fatto l’organismo in questione ed in virtù di quali meccanismi, a raggiungere tale complessità . Alcuni autori portano come metafora, per agevolare la comprensione, la trappola per topi. Si può migliorare un simile marchingegno? Certo, ma solo quando è già funzionante. Allora quale forza guida (o driving force) è stata la fautrice della trappola e l’ha portata al livello di complessità necessario da renderla operativa? Tali signori adducono l’ipotesi di un “disegno intelligente”, ossia di una qualche intelligenza cosmica che ha cosìpensato e voluto, non solo per certi organismi, ma anche e soprattutto per l’uomo, il più complesso di tutti. E’ naturale immaginare come da qui a immaginare legami con teologie varie, la strada sia assai breve.

Ognuno pensi ciò che vuole. La cosa che personalmente mi sorprende però è un’attitudine manichea assai comune ed assolutamente irriducibile negli esseri umani. Sembra proprio che non ci piacciano le sfumature di grigio. Ci piace invece pensare che tutto è nero oppure è bianco. Eppure già Orazio recitava “est modus in rebus”, c’è una misura, una giusta misura, direi, nelle cose. Mi sento decisamente di condividere questo pensiero. Tornando all’evoluzione. L’evoluzione è un fenomeno innegabile ed è sicuramente una delle tante dinamiche che regolano la complessa fenomenologia degli esseri viventi, almeno in parte, almeno alcuni. Un esempio banale. Senza l’adattamento evolutivo come potrebbero certi batteri sviluppare resistenze agli antibiotici? Naturalmente di qui a dire che tutto si può spiegare con questa teoria, è altra cosa. I signori della complessità irriducibile portavano l’esempio della trappola per topi. A me è sempre venuto in mente un altro esempio direttamente collegato al mondo animale.

Pensiamo ad un serpente velenosissimo. Ce n’è una specie, ad esempio, che vive nell’entroterra australiano e che possiede un veleno tale che potrebbe teoricamente uccidere cento uomini con un unico morso! Pensiamo anche che tali veleni non sono mai monovalenti, ma assai compositi. In altri termini svariate e diverse tossine concorrono alla tossicità estrema di un simile composto. Proviamo adesso ad immaginare, seguendo per un attimo la teoria evoluzionistica, come questo sia potuto accadere. Partiamo pertanto da mutazioni casuali che siano avvenute nella saliva dell’animale da renderla sempre un po’ più tossica sino al micidiale veleno finale. Questo avrebbe sicuramente premiato i portatori di questa mutazione generando una direzione di mutazioni privilegiate dall’ambiente e mirate ad aumentare la tossicità di questa saliva. Saliva più tossica = maggiori capacità predatorie e quindi maggiori capacità di procacciarsi il cibo con tutto quello che logicamente ne consegue. Fin qui tutto bene. Abbiamo un animale il cui morso produce un certo mescolamento di una saliva tossica con il sangue della vittima, facilitando l’uccisione e la cattura della stessa da parte del predatore.

Qui però incontriamo il primo problemino.
Quante mutazioni sono occorse per trasformare una saliva casualmente un po’ tossica in una micidiale mistura di tossine estremamente tossiche? Beh, difficile dare risposte precise ma di sicure diverse. Quante? Siamo molto “ottimisti” e diciamo almeno dieci. Domandiamoci anche: poiché le mutazioni avvengono a caso, quanto tempo è necessario perché avvenga una mutazione “vantaggiosa” per il predatore che aumenti la tossicità della propria saliva? Siamo adesso non ottimisti ma inverosimilmente ottimisti e diciamo una ogni cento anni. Bene allora siccome ogni mutazione si configura come un evento casuale ed indipendente dagli altri, si applica il teorema della probabilità composta, quindi la probabilità finale e complessiva del fenomeno (saliva estremamente tossica) è data dal prodotto delle probabilità di ciascun singolo evento (o mutazione). Quindi in anni: 10010 ossia 112. Tradotto in soldoni occorrerebbero 1000 miliardi di anni. E’ un lasso di tempo di gran lunga superiore a quello stimato per l’età dell’universo! (Stimato essere inferiore ai 14 miliardi di anni!)
 
Veniamo adesso all’altro problemino e qui forse si riprende un po’ il discorso della trappola per topi. Fermo restando che ad oggi nulla si sa circa la morfogenesi, ossia dove risieda l’informazione che genera le strutture anatomiche, è oltremodo chiaro che un dente cavo connesso a ghiandole velenifere è una struttura molto complessa su cui la pressione selettiva può operare solo a sistema sviluppato e funzionante. E’ difficile immaginare che tipo di vantaggi possa offrire un dente semicavo ed è parimenti difficile immaginare che un dente cavo si formi tutto d’un colpo come per magia.  Occorre in ultimo immaginare con quali dinamiche, con che tipo di meccanismo, possa essersi innescato il rapporto causa - effetto, mirato all’ottimizzazione funzionale fra dente cavo e ghiandole velenifere. I denti cavi potrebbero essersi sviluppati prima delle ghiandole velenifere, ma per quale motivo se non esisteva un deposito per il veleno? Del resto quali vantaggi potevano fornire al nostro proto-serpente velenoso, le ghiandole velenifere, in assenza di un dente cavo ad esse collegato, per iniettare il veleno nel sangue della preda? Al contrario, le ghiandole velenifere, incapsulando e relegando il veleno in un preciso distretto organico, lo avrebbero eliminato dalla saliva.   Eccoci arrivati al dunque, contateci su ancora qualche bella storiella per sostenere che nulla sfugge alla scienza e per pubblicare magari qualche mirabolante articolo su qualche prestigiosa rivista scientifica, con l’aiuto di qualche baronato accademico che possa poi avvalersi della immancabile compiacenza di qualche referee di turno.

fonte digilander.libero.it/dubert/complexity.htm


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