I surrogati della religione di P. ARCHAMBAULT
CAPITOLO I. -
IMPOSTAZIONE DEL PROBLEMA
La tendenza a darsi un Dio.
- Se, come dice san Paolo, è vero che " tutto il creato geme e soffre i dolori del parto... anelando all'adozione in figli "; se è certo, come dice sant'Agostino, che " il nostro cuore è fatto per Dio ", che esso " riposa solo in Dio " e che inoltre lo ama sempre " cercandolo anche senza saperlo "; se è vero, come dice san Tommaso, che nell'uomo c'è un desiderio naturale di " vedere Dio nella sua essenza "; se è vero, come dice san Francesco di Sales, che il peccato originale ha lasciato sussistere in noi " un'inclinazione naturale ad amare Dio sopra tutte le cose "; se e vero, come dice Pascal, che " tutto ciò che non è Dio non può colmare la mia attesa "; se è vero, come dice Blondel scavando ed esplorando in tutti i sensi l'insegnamento tradizionale, che, di fronte all' " Unico Necessario ", sono possibili solo due partiti: a voler essere Dio senza Dio e contro Dio, e voler essere Dio per mezzo di Dio e per Dio ", allora quello che noi, cosi grossolanamente chiamiamo ancora " il fatto religioso " o " il bisogno di Dio " deve intervenire nella nostra vita in modo completamente diverso da un dato puramente accidentale ed estrinseco: avvenimento imprevisto, conformismo sociale, aspirazione sentimentale curiosità intellettuale o prodigio sconcertante. È certamente un dato, ma non fortuito e semplicemente subito; è un dato irriducibile e ineliminabile, presente in qualche modo in ogni manifestazione della nostra attività razionale; dato penetrante e insinuante, usato anche quando sembra ripudiato. Nell'ordine spirituale, c'è qualcosa d'analogo alle attrattive subite dai corpi nell'ordine materiale, che agiscono anche quando restano invisibili, che sono efficaci anche quando non producono nessun effetto apparente.
Infatti, è caratteristica universale ed essenziale dell'attività umana tendere, dove manca l'unico vero Dio, a darsi un Dio, a farsi un Dio, a fare se stessi Dio.
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