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I SURROGATI DELLA FEDE

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    00 17/01/2014 14:29

    I surrogati della religione      di P. ARCHAMBAULT


    CAPITOLO I. -

    IMPOSTAZIONE DEL PROBLEMA

    La tendenza a darsi un Dio.

    - Se, come dice san Paolo, è vero che " tutto il creato geme e soffre i dolori del parto... anelando all'adozione in figli "; se è certo, come dice sant'Agostino, che " il nostro cuore è fatto per Dio ", che esso " riposa solo in Dio " e che inoltre lo ama sempre " cercandolo anche senza saperlo "; se è vero, come dice san Tommaso, che nell'uomo c'è un desiderio naturale di " vedere Dio nella sua essenza "; se è vero, come dice san Francesco di Sales, che il peccato originale ha lasciato sussistere in noi " un'inclinazione naturale ad amare Dio sopra tutte le cose "; se e vero, come dice Pascal, che " tutto ciò che non è Dio non può colmare la mia attesa "; se è vero, come dice Blondel scavando ed esplorando in tutti i sensi l'insegnamento tradizionale, che, di fronte all' " Unico Necessario ", sono possibili solo due partiti: a voler essere Dio senza Dio e contro Dio, e voler essere Dio per mezzo di Dio e per Dio ", allora quello che noi, cosi grossolanamente chiamiamo ancora " il fatto religioso " o " il bisogno di Dio " deve intervenire nella nostra vita in modo completamente diverso da un dato puramente accidentale ed estrinseco: avvenimento imprevisto, conformismo sociale, aspirazione sentimentale curiosità intellettuale o prodigio sconcertante. È certamente un dato, ma non fortuito e semplicemente subito; è un dato irriducibile e ineliminabile, presente in qualche modo in ogni manifestazione della nostra attività razionale; dato penetrante e insinuante, usato anche quando sembra ripudiato. Nell'ordine spirituale, c'è qualcosa d'analogo alle attrattive subite dai corpi nell'ordine materiale, che agiscono anche quando restano invisibili, che sono efficaci anche quando non producono nessun effetto apparente.

    Infatti, è caratteristica universale ed essenziale dell'attività umana tendere, dove manca l'unico vero Dio, a darsi un Dio, a farsi un Dio, a fare se stessi Dio.


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    00 17/01/2014 14:30
    Come si cerca di sostituire il vero Dio. -

    Negli stadi inferiori del pensiero e della condotta, tra i primitivi, tra coloro che sono ancora nello stato infantile, tra gli uomini bizzarri e sconcertanti, questo si chiama superstizione. È cosa ridicola e commovente insieme. Ridicola, perché la ragione rimane confusa di fronte alla sproporzione tra il desiderio e il gesto, tra il significato che imponiamo all'oggetto della superstizione e il suo valore reale e la sua efficacia; è anche commovente, perché attesta perlomeno la nostra impossibilità di prendere il mondo e la vita tali e quali sono, nella loro immediata e ovvia realtà e il nostro sforzo per raggiungere per loro tramite una realtà che, nello stesso tempo, li contiene e li supera.


    Le stesse osservazioni valgono per gli stadi superiori. L'elenco degl'idoli e dei feticci partoriti dall'immaginazione dei deboli e dei semplici è lungo; ma non meno lungo è quello dei surrogati della religione, mediante i quali coloro che diciamo i " forti noia dotti ", in forme meno ridicole, cercano anch'essi di' saziare la loro fame e occupare la stessa attesa.

    Surrogati della religione sono l'amore e l'amicizia quando arrivano a farri dire: " Tu solo mi basti per tutta l'eternità ", come se ci fosse una creatura capace di portare questo carico di confidenza, di adorazione e di responsabilità.

    Sono surrogati della religione lo sposo, il bambino, la casa, il mestiere quando limitano l'orizzonte d'un'anima anche ardente e generosa, tutta dedita, che non si è procurata nessun alibi.

    Surrogato della religione è la patria per chi considera intollerabile come un sacrilegio il minimo dubbio sul suo avvenire, la minima critica sul suo passato.

    Surrogati della religione sono il partito, la classe, il proletariato per il militante che gioca tutta la sua vita su una Città futura che non vedrà mai né lui né i suoi discendenti.

    Sono surrogati della religione l'umanità, il servizio sociale, la carità del filantropo, del benefattore, dell'apostolo che non potrà essere fermato da nulla finché non avrà dato tutto.

    Surrogato della religione l'onore per chi parla della " superstizione della virtù ", che in questo modo sottolinea la formidabile maggiorazione, elio deve subire anche il sentimento più nobile per giustificare certi sacrifici.

    Surrogato della religione la Verità per chi crede nella scienza o nella speculazione, che, davanti al puro diamante d'un'evidenza irrefragabile, vede impallidire tutte le grandezze della carne e perfino quelle della carità.

    Surrogato della religione la Bellezza che, con la creazione o il possesso di una grande opera, compensa sufficientemente l'artista di tutte le incomprensioni, di tutti gli scacchi, di tutte le miserie, compresa quella del " tempo perduto ".

    Surrogato della religione il Diritto nell'uomo abbastanza candido e audace per fare affidamento sulla, fedeltà della " Giustizia immanente n, anche se comincia estinguendo tutte le stelle del cielo.

    Surrogato della religione le Idee, lo Spirito, la Sostanza infinita e tutte le grandi entità che i filosofi innalzarono per colmare o almeno mascherare il vuoto dovuto all'assenza del Dio vivo.

    Surrogato della religione la Vita in quelli che, davanti a queste due sìllabe, entrano in uno stato ipnotico, fino a diventare indifferenti al contenuto, all'uso di questa vita insostituibile, " Purché io non muoia senz'aver vissuto! "

    Surrogato della religione il Mistero, l'Ignoto, l'Inconoscibile in chi, rigorosamente parlando, può fare a meno di tutto il resto, ma non di desiderare, di attendere, di sperare, di sognare.

    Qui ci limitiamo ai surrogati religiosi più comuni e meno irragionevoli; ma che cosa non dovremmo nominare se volessimo darne un elenco completo? Quale cosa non è stata adorata dall'uomo nel giorno del pericolo o dell'aberrazione?

    Surrogato della religione, e alla fin fine superstizione, è, come disse M. Blondel, tutto ciò che vogliamo infinitamente senza deciderci a volere l'Infinito.

    Qui, non possiamo nemmeno pensare di studiare in particolare ciascuno

    degli esempi che abbiamo dato, e specialmente che ancora potremmo dare. Ci limitiamo ad alcuni casi tipici, che hanno il duplice privilegio di essere stati elaborati con sufficiente precisione dottrinale e di corrispondere a stati di spirito comunemente e attualmente vivi attorno a noi.
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    00 17/01/2014 14:35
    CAPITOLO II. - ALCUNI CASI TIPICI

    Kant e la religione del dovere.

    - Kant non era affatto un ateo confesso o camuffato; era anzi un bravo protestante pietista, che prendeva molto sul serio le credenze e i riti della sua confessione, ai quali perciò cercava di trovare un senso razionale. Anche se parte da un metodo che, ai nostri occhi, 6 assolutamente inadeguato, la sua opera: La religione nei limiti della ragione non è puramente negativa, come fu detto spesso. Vi permangono le nozioni di Verbo, di peccato, di Chiesa con alcuni corollari essenziali, tanto che il suo pensiero, sotto le due forme, è dominato dalla considerazione dell'Assoluto: " totalità incondizionata " per la ragion pura, a bene sovrano " per la ragion pratica.

    Pero Ratti, da una parte, come filosofo, pretende di aver stabilito l'impossibilità di tiare ai problemi metafisici una soluzione di carattere dommatico dimostrativo, perché le conclusioni legittime della ragione non vanno oltre il campo dei fenomeni. Dal fatto che l'idea di Dio rappresenta un'esigenza reale e inevitabile del pensiero, non se ne può concludere l'esistenza di un essere corrispondente a quest'esigenza. D'altra parte, Kant, come moralista, tiene costantemente desta la diffidenza per ogni specie di utilitarismo e perfino di eudemonismo. Azione moralmente buona è quella fatta non solamente in conformità, ma per la sua conformità col dovere; e qui importa non l'opera, ma la buona volontà. Ogni considerazione estrinseca, compresa quella della ricompensa e dei castighi d'oltre tomba, intervenendo nell'azione morale, mette perlomeno in pericolo la purezza dell'intenzione e il valore dell'atto.

    In questo modo, Kant iniziò un surrogato della religione (la religione del dovere) che potè sedurre un certo numero di anime incontestabilmente nobili, specialmente tra quei cristiani di tradizione e di aspirazione che una coscienza e una filosofia male intese allontanavano dai dommi.

    La dissero una morale indipendente da ogni metafisica definita, come pure da ogni dommatica confessionale, e quindi, suscettibile di venir proposta, negli ambienti più diversi e più lontani; morale autonoma, dove la volontà è forzata solo dalla ragione, dai suoi principi e dalla sua logica; morale disinteressata, per cui facciamo il dovere per il dovere stesso, senz'altra ricompensa che una gioiosa fedeltà alla legge che ci costituisce spiritualmente.

    La pretesa di restare così fuori d'ogni speculazione o influsso religioso, assolutamente parlando, sarebbe sostenibile se si trattasse soltanto di una morale, come dice Goyau, " senz'obbligazione e senza sanzione ", in cui, per usare le parole di Fouillée, che hanno senso equivalente, " L"imperativo categorico" cede il posto "all'ottativo supremo" ".

    Ma una coscienza, per quanto poco esigente, non può contentarsi di cosi poco di fronte a se stessa e a quello a cui, nonostante tutto, si sente legata. Questo almeno non è il caso dei discepoli di Kant di cui parliamo, per i quali le nozioni di obbligazione e di sanzione conservano un senso, forse rinnovato, ma irriducibile.

    Ammettiamo che si giudichino un po' semplicisti e sbrigativi certi modi filosofici e teologici di identificare senz'altro l'idea d'obbligazione morale e quella di comandamento divino, ma resta sempre che non possiamo separare l'idea d'obbligazione da quella di valore, né l'idea d'imperativo categorico da quella di valore incommensurabile a qualsiasi altro valore. Ma non si può nemmeno separare l'ordine dei valori da quello delle verità, come l'ordine della verità da quello dell'essere: ciò che non è affatto, non agisce affatto, nemmeno come attrattiva e appello, e quindi, la stessa idea di valore comporta quella di essere in sé. Entrati in quest'ingranaggio dialettico, pare difficile sfuggirvi senza accettare l'illogismo e la contraddizione. Ma questo non rientra certamente nelle prospettive kantiane.

    Ammettiamo che si ritengano grossolani certi modi di ridurre l'idea di sanzione a quella di ricompensa e di castigo; rimane però, come nota espressamente Kant stesso, che chi non agisce interessatamente, cioè direttamente e immediatamente preoccupato di un utile personale, non accetta per questo che il bene e il male non abbiano conseguenze e che queste possano essere le stesse per l'uno e per l'altro. Kant vuole che virtù e felicità alla fine si uniscano; ma come potranno unirsi se non c'è Qualcuno al principio e alla fine, abbastanza santo per voler sempre questa riconciliazione finale, abbastanza potente per poterla sempre attuare? E se non c'è una vita superiore, dove si potrà compiere e perfezionare ciò che non è compiuto sulla terra?

    Il kantiano certamente aderisce a queste affermazioni solo per un postulato, poiché ritiene impossibile darne la prova; ma il sistema non offre forse qui uno dei suoi punti più fragili? Il nesso delle idee che abbiamo delineato non ha il carattere d'una dimostrazione adattata alla natura particolare del problema? D'altronde, il postulato non ammette nessuna dimostrazione, ma può venir dimostrato indirettamente attraverso l'intelligibilità e la fecondità del sistema di pensiero e di condotta che esso, ed esso solo, rende possibile; e questo genere di dimostrazione non pare inconciliabile con la critica più esigente.

    Concludendo, diciamo che l'affermazione categorica e incondizionata del dovere è gravida di una concezione religiosa del mondo e della vita, e prima di tutto, dell'idea d'una Perfezione sussistente, e questa è la definizione meno equivoca del nostro Dio.

    Augusto Comte e la religione dell'Umanità. - La religione dell'Umanità è una specie molto generale, che comporta numerose varietà (1);

    (1) La religione dell'Umanità si può presentare come un umanitarismo (culto dell'umanità come collettività degli uomini, insieme degli esseri umani nati o nascituri) o come umanismo (culto dell'umanità come essenza e natura dell'uomo, complesso dei valori umani).

    La nostra esposizione, che non intende dire tutto e che si limita, come abbiamo detto, ad alcuni casi tipici, si pone dal primo punto di vista.

    Mettendoci al secondo punto di vista, si troverebbe ad esempio, dal lato dei filosofi, un Brunschvicg e il suo idealismo immanentista (dove lo spirito in fondo non è altro che lo sforzo dell'uomo che costituisce la scienza e la moralità) ; dal lato dei militanti, un Guéhenno e la sua " conversione all'umano ".

    L'argomento da opporre resta in sostanza lo stesso. Si tratti di soddisfare la nostra intelligenza o di condurre e stimolare la nostra condotta, l'umanismo svolse e svolge spesso l'ufficio di una religione di sostituzione, in nome e in forza di principi impliciti che superano le sue affermazioni esplicite. L'uomo può essere oggetto di culto per l'uomo solo in quanto supera l'uomo.e consideriamo la forma datale da Comte in un clima che non era tanto favorevole, e quindi, in condizioni particolarmente istruttive.

    È noto che l'idea appare nella seconda filosofia di Comte, la quale, a prima vista, sembra radicalmente opposta alla prima. Da una parte, la constatazione positiva, l'oggettività rigorosa e impassibile; dall'altra, una sintesi del sapere umano tentata dal punto di vista soggettivo, dal punto di vista dei bisogni e delle aspirazioni dell'uomo; qui, la scienza, la dimostrazione, la ragione da sole; là, un primato riconosciuto al cuore, all'intuizione, all'aspirazione; da un lato la concezione dell'azione e della pratica tutte rivolte all'utile, dall'altro l'accentuazione della simpatia, dell'amore disinteressato, della bontà; qui, se non il disprezzo, almeno il disdegno del passato metafisico e teologico dell'umanità; là, una costruzione religiosa calcata anche nei minimi particolari sulla dommatica. sulla disciplina, sulla liturgia della Chiesa cattolica.

    Che cos'è avvenuto tra il Cours de Pkilosophie positive e il Système de Politique positive! Si dice: Ci fu di mezzo l'amore e la morte di Clotilde de Vaux, tutto un dramma passionale che riaperse in Augusto Comte le fonti troppo chiuse della sensibilità e delle lacrime, che contribuì ad aggravare i turbamenti mentali di cui aveva già sofferto; un fenomeno patologico, almeno nella misura in cui è patologico il predominio della sensibilità sulla ragione.

    Certamente questo ci fu: ma ci fu anche un'altra cosa assai più significativa.

    Fin dalla prima lezione del Cours, lo stesso Comte ammette che il bisogno d'unità è uno dei più profondamente sentiti dal pensiero umano. Ora, nonostante le generalizzazioni cui si abbandona il pensiero e per poco che la conoscenza scientifica rispetti i principi, questa non soddisfa il bisogno d'unità. Con i suoi principi e metodi specializzati, la scienza è fatta di scienze che non si con-giungono o si congiungono soltanto da un punto di vista superiore.

    D'altra parte, il grande problema della vita morale consiste nel superare l'egoismo con l'altruismo, nel a fare prevalere gradualmente la socialità sulla personalità, anche se questa è spontaneamente preponderante " (Catéchisme positivisle); e anche qui, bisogna mettersi da un punto di vista superiore per capire che vivere per gli altri è ancora il miglior modo di vivere per sé.

    Altro aspetto delle stesse idee. L'uomo non potrebbe rassegnarsi a un genere di esistenza che lo lasci esteriore e come estraneo all'ordine universale, come pure a un sapere inorganico. La religione dell'Umanità, con la sua Trinità (il Grande Essere, il Grande Feticcio, il Grande Ambiente) ristabilisce ovunque la continuità e la solidarietà e fa affluire in noi " l'essere, il movimento, la vita n da un piano più grande di noi.

    Anche Comte venne a chiedere alla religione (religare: legare di nuovo) uno stato di unità completa, in cui tutte le potenze del nostro essere materiale e spirituale cooperano a uno stesso fine, in cui tutti gli uomini s'incontrano in uno stesso compito e per una felicità comune; un'armonia dell'uomo con se stesso, con gli altri, con l'universo.

    Non diciamo che la scossa affettiva sofferta da Comte non abbia avuto una parte meccanica nel far scivolare il suo pensiero, ma dobbiamo ammettere anche che questo fu finalizzato da tendenze più profonde, che la ragione può confessare pienamente; dobbiamo pure logicamente ammettere che questo doveva portarlo ancor più lontano, se è vero, come dice Boutròux commentando questi fatti (Science et Réligion dans la philosophie contemporaine, p. 77-79) che, a nella stessa umanità, ci sono i gemi d'una religione che supera l'umanità " e che le stesse nozioni di reale e di utile, fondamento della filosofia positiva, a a noi sono un incitamento alla ricerca del Vero, del Bello, del Bene ".
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    00 17/01/2014 14:36
    Proudhon e la religione della Giustizia.

    - " Proudhon non è ateo; è un nemico di Dio a, diceva il Cardinal Matthieu, arcivescovo di Besanc,on, nella lettera ad Eugenio de Mirecourt, che è all'origine de La Justice dans la Révolution et dans l'Eglise. Proudhon accetta la definizione in quanto sottolinea realmente la sua posizione personale.

    Per dirsi ateo, bisognerebbe che egli considerasse in realtà il problema di Dio come risolto metafisicamente; ma non è così, poiché dell'esistenza e della natura di Dio " noi ne sappiamo positivamente nulla ".

    Il filosofo Proudhon non sa nulla di Dio; ma il sociologo Proudhon nell'idea religiosa vede il prodotto e anche il mezzo di due cose che egli detesta: da una parte l'affermazione categorica dell'assoluto, mentre lo spirito critico e il senso del relativo gli sembrano condizionare ogni sforzo di pensiero fecondo; d'altra parte, l'esaltazione dell'autorità e della costrizione, mentre l'autonomia umana gli sembra condizionare ogni progresso sociale e ogni vita morale.

    Perciò, ai dommi della Chiesa, erede dell'assoluto e complico dei poteri, egli opporrà i principi della Rivoluzione e le esigenze della Giustizia.

    La Giustizia — " facoltà di sentire e di affermare la nostra dignità, e quindi, di volerla e difenderla tanto nella persona altrui come nella nostra " — è la salvaguardia dell'onore e il vero legame sociale; e solo la Giustizia può " equilibrare ", dal punto di vista economico, la proprietà e la a comunità "; dal punto di vista politico, la libertà e l'autorità; dal punto di vista familiare, l'amore e la disciplina dei sensi; solo la Giustizia, con l'educazione e la cultura veramente umana, ci assicura l'affetto e il rispetto altrui, il godimento pacifico della natura e del mondo, la serenità di fronte al dolore e alla morte; solo alla Giustizia appartiene sanzionare interiormente e intrinsecamente la regola che essa decreta.

    Ma come potrebbe la Giustizia essere capace di tutto questo, se fosse soltanto una costruzione mentale e un sogno soggettivo? Onde permetterle di reggere l'enorme fardello che le impone, Proudhon vede come non potrà mai dare troppa realtà concreta e solidità ontologica alla Giustizia, che considera come ideale nello stesso tempo che reale, norma e fatto, facoltà spirituale e forza cosmica che regge tutte le cose: la morale col nome di diritto e di dovere, la logica e la matematica col nome di eguaglianza, l'immaginazione e l'arte col nome di armonia, la natura col nome di equilibrio. " L'Universo è stabilito conforme alle leggi della Giustizia che è organizzata conforme alle leggi dell'Universo ". La Giustizia non ha nulla che l'uomo non possa trovare in se stesso: a essa è umana, nient'altro che umana, tutta umana"; i filosofi la riconobbero e la celebrarono con i nomi di Idea, di Assoluto, di Dio. Essa è il sostegno di ogni esistenza autentica, la sorgente di tutte le forze, il principio di qualsiasi valore; ad essa sola appartiene, pienamente, dire : Egp sum qui sum. E che cosa significa questo, se non che Proudhon non le rifiutò nessuno dei nomi di Dio?

    Dopo ciò, egli potrà opporre quanto vuole immanenza e trascendenza come termini d'un'antinomia irriducibile, l'unica che, apparentemente, non a si bilancia ". Anche Proudhon pone nell'immanenza della vita umana sinceramente vissuta una trascendenza irriducibile; anch'egli apporta la sua pietra all'edificio pascaliano e cristiano: a Noi siamo pieni di cose che ci gettano al di fuori... Il bene universale è in noi, è noi stessi, e non è noi " (Pensées, ed. Br., 464 e 485).
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    00 17/01/2014 14:36
    Nietzsche e l'orgoglio della vita.

    - Nietzsche, ecco un altro nemico di Dio, e cosi violento, che mai nessuno spinse così avanti la negazione. Sotto i colpi della " volontà di potenza ", crolla l'idea del vero insieme con quella del bene; aldilà di ogni Chiesa, Nietzsche colpisce lo stesso Vangelo. L'ingiuria non si era mai spinta così lontano, e alla fine, è pura frenesia, " Schiacciate l'infame! Mi avete capito? Dioniso contro il Crocefisso! "

    Ma, prima di tutto, bisognerebbe sapere se Nietzsche non appartiene alla razza di quegli uomini nei quali la violenza stessa è un'oscura questua di amore: così almeno pensano quelli che l'hanno meglio conosciuto, come Mine Lou Salomé: " Ogni volta che Nietzsche perseguita o demolisce con un odio particolare, è perché questa cosa è profondamente ancorata nel cuore della sua filosofìa e della sua vita. E questo è vero non soltanto riguardo alle teorie e agli esseri umani " (Frèdéric Nietzsche, Trad. Benoist-Méchin, 1932, p. 240).

    Bisognerebbe pure sapere se del cristianesimo Nietzsche non detesti meno gli autentici insegnamenti che non certe limitazioni e anche deformazioni che essi hanno subito, come la facilità nell'obbedienza, una certa paura del rischio nell'umiltà, un certo orrore della vita nell'ascetismo, il sentimentalismo nella pietà.

    Bisognerebbe infine sapere se, facendo l'analisi del preteso amoralismo di Nietzsche, in definitiva non si riduca — come d'altronde pare ridursi ogni amoralismo sistematico — a un moralismo capovolto o invertito, in cui il superuomo ritrova i suoi imperativi categorici, cioè la durezza invece della pietà, il rifiuto del limite invece dell'accettazione. " Tutte le passioni finiranno col divenire tutte le virtù ". Lo stesso autore di Cosi parlò Zarathustra presenta la sua opera ora come una sovversione, ora come una trasvalutazione dei valori. I posteri hanno preso soprattutto questo secondo aspetto, vedendo in Nietzsche colui che a su nuove tavole scolpì nuovi valori ". a Ed è veramente un nuovo Bene e un nuovo Male ".

    Ammettiamo che le interpretazioni benigne del pensiero di Nietzsche, che oggi tendono a prevalere (anche tra cristiani come Carlo Du Bos), hanno molte cose che si devono ribattere. Non dimentichiamo con che insistenza e forza questo pensiero in rivolta ci riconduce al te senso della terra ", e guardiamoci dal prendere alla leggera, nel senso stesso che qui è posta, l'opposizione dell'" io voglio " e del " tu devi ".

    Ma, tutto ben ponderato, Nietzsche resta nella zona d'attrazione dello spirituale e del divino sia per la fede ostinata, sempre vinta e sempre rinascente, in una possibile " redenzione ", sia per il bisogno di "superamento ".

    Nietzsche prima, nel periodo romantico e wagneriano, che più tardi rinnegherà con violenza, attese questa redenzione dall'arte; poi, fu affascinato dal Sapere, dal Sapere esatto, lucido, critico, implacabile tanto al bisogno e alle esigenze dell'azione quanto a quelle della sensibilità. Il vero vale tutti i sacrifici: Fiat Veritas, pereat Vita. Poi, sopraggiunge un dubbio: Che cos'è il vero, se non una creazione della vita anch'esso? e con che diritto il creato può rivoltarsi contro il suo creatore? Anche la legge del vero è illusione e schiavitù, e solo la vita può essere legge a se stessa: Fiat Vita, pereat Ventasi Ormai, Nietz-sche non modificherà più la sua posizione, e dirà si alla vita e a tutto ciò che la l'appoggia e l'esalta; dirà no a tutto ciò che la nega o la limita, e quindi, al bene e al vero, perché ormai ne vede solo più le costrizioni. E se qualche destino spaventoso lo accascia, se qualche atroce visione lo incalza (come l'idea del " ritorno eterno " al quale credette doversi collegare, ma non poteva parlarne senza spavento), proprio da essi trarrà forza e gioia. Nella storia delle idee, non c'è nulla più patetico di questo inno alla gioia di un malato, di un miserabile, che si sentiva oscurare nella follia, e che raccoglieva le sue ultime forze per poter dire ancora una volta: " Vale la pena di vivere sulla terra ".

    Ma la vita merita quest'onore, è capace di reggere questa fiducia, permette di sfidare cosi il dolore e la morte se sopportasse solo se stessa, i suoi rischi, le sue metamorfosi? D'accordo che qui bisogna guardarsi da facili controsensi; ma è un fatto che egli ha scritto: " Io v'insegno il sovrumano. L'uomo è qualcosa che dev'essere superato "; e questo fatto è tale, che ha ben poco senso fuori d'una concezione religiosa del mondo e della vita, e non ci sorprende più questa dichiarazione rapitale della signora Lou Salomé: " La vita e il pensiero di Nietzsche furono sempre guidati da un istinto religioso; le sue diverse teorie non sono altro che tentativi per sostituire Dio, palliativi con cui spera di sopportare l'assenza dell'ideale divino " (O. e, p. 170).

    Si può quindi sostenere la tesi clic Nietzsche teina più i falsi dèi di quanto rifiuti Dio. D'altronde, qualsiasi cristiano 6 pronto a firmare questa formula commovente: " Nel mondo, non c'è abbastanza amore e bellezza, perché noi abbiamo il diritto di sviarne la minima particella per donarla ad esseri immaginar! " (Umano, troppo umano, i, 129).
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    00 17/01/2014 14:37
    Marx e il messianismo proletario.

    - Più di tutte le filosofie di cui abbiamo parlato, il marxismo sembra a prima vista chiuso a ogni preoccupazione religiosa. " La religione è la coscienza e il sentimento dell'uomo che non si è ancora trovato o che si è già riperduto... È l'oppio dei popoli... Qualsiasi critica dev'essere preceduta dalla critica della religione... La critica della religione conduce alla dottrina che l'uomo è l'essere supremo per l'uomo e ha l'imperativo di rovesciare tutte le relazioni sociali in cui egli è un essere degradato, asservito, abbandonato, miserabile ". Questo il punto di vista di Marx (La Sacra Famiglia, 1845; cf. Morceaux choisis de Nizan et Duret, pp. 222-223); e gli sembra rosi naturale e inevitabile, che non si da pensiero di giustificarlo.

    Però, non ci fermiamo a queste enunciazioni astratte, e consideriamo i loro commentar! e gli sviluppi concreti. Altro sono le formule e altro le appli-zioni che se ne fanno; altro il sistema, altra cosa gli uomini che lo vivono; altra la volontà voluta e altra la volontà volente. Infatti, visto da questo punto di vista, il marxismo vivo non ha cessato di manifestare contraddizioni intime notate con forza specialmente da Berdiaeff (2).

    (2) Vedute analoghe, in Giacomo Maritain, Humanisme integra!, pp. 43 ss. trad. it. pp. 40 e 58. " La fede nella rivoluzione comunista in roaltà presuppone un universo totale di fede e di religione in seno al quale essa si edifica ". Perché questa religione ha preso una forma antireligiosa e atea? Prima di tutto, per colpa di un mondo cristiano infedele ai suoi principi, fenomeno di " risentimento " che determina un processo di " sostituzione". Processo in tre tempi: la causaliià materiale diventa la causalità puramente e semplicemente primaria ; viene attribuito alla materia il dinamismo della dialettica hege-liana; il proletariato assume la missione redentrice. In tutto questo appare ancora una volta che l'ateismo non può « essere vissuto n. Inoltre, 0 il rifiuto pratico d'ordinare la propria vita a quel medesimo Dio del quale non conoscono più il nome... Sotto nomi qualunque, che non sono quello di Dio. può darsi (e Dio solo lo sa) che l'atto intcriore di adesione volontaria prodotto da un'anima conduca su una realtà che di %tto sia vera-mcnie Dio ».


    Il marxismo che è e si lascia chiamare materialista, dal lato dello spirito vede solo riflesso e inerzia, soprastruttura ideologica di un'infrastruttura economica, ti emanazione di un certo comportamento materiale "; e tuttavia esso è nato, e agisce solo grazie a uno sforzo di pensiero costantemente rinnovato, la cui originalità non è mai stata più visibile .

    Il marxismo si crede ateo e parla realmente da ateo, dichiarando che la " radice " e " l'essenza " dell'uomo è l'uomo stesso, e intanto parla ora dell'uomo ora della collettività umana come d'un valore incondizionato e incommensurabile a ogni nitro; e questo, in un naturalismo puro, è almeno un'affermazione audace.

    Il marxismo professa il determinismo e " considera il movimento sociale come una catena naturale di fatti storici... sottomesso a leggi che non solo sono indipendenti dalla volontà, dalla coscienza e dai suoi disegni, ma che anzi ne determina la volontà, la coscienza e i disegni "; ma da quando volle e nella misura in cui volle attuare il movimento sociale, si appellò all'energia della libera volontà, ora distruttive e ora creatrice; e oggi, in Russia, insegna che, per trasformare il mondo, bisogna trasformare l'uomo.

    Considerando le idee come semplici " epifenomeni " e riflessi d'interessi e di bisogni contingenti, esso comporta una concezione completamente relativistica della verità; e intanto, parla e agisce come se risultasse da una verità prima di esso sconosciuta, nata con esso, che gli da un fondamento e dev'essere accettata senza discussione.

    Il marxista, molto logicamente, non lascia nessun posto all'apprezzamento morale, al giudizio del valore etico; ma intanto, e spesso più di chiunque altro, s'indigna contro il disordine e l'ingiustizia dell'alienazione e dello sfruttamento umano e si appella a una giustizia riparatrice e salvatrice.

    Non c'è nulla di più pessimistico della concezione che il marxismo si fa della storia; e tuttavia esso dalla storia attende la vittoria della ragione insieme con la vittoria del proletariato; questa vittoria sarà definitiva, perché metterà fine alla dominazione delle cose sull'uomo e assicurerà il dominio dell'uomo sulle cose.

    Il marxismo arrossirebbe se dovesse discutere superstizioni come il domma del peccato originale o quello della redenzione; e intanto, anch'esso è compenetrato di elementi escatologici come il peccato radicale del capitalismo, il messianismo del proletariato, l'avvento di una terra nuova sotto cieli nuovi.

    Concludiamo: questa dottrina tanto severa contro tutte le religioni è virtualmente essa stessa una religione e agisce sugli uomini e sulla storia solo' in quanto viene accettata questa legge del suo destino. Perfino la propaganda dei " Senza-Dio ", con le sue violenze e con le sue oltranze, prova a suo modo che, di fronte a Dio, è impossibile restare indifferenti ed estranei.

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    00 17/01/2014 14:38
    CAPITOLO III. - INTERPRETAZIONE APOLOGETICA

    Dal nostro punto di vista, qual è il significato esatto delle dottrine di cui abbiamo parlato e delle constatazioni che abbiamo fatto?

    Insufficienza delle dottrine esaminate.

    - L'apologetica, ordinariamente, si occupa di queste dottrine per trionfare, con più o meno comprensione o severità, sulle loro insufficienze teoriche o pratiche, da una parte indicandone le incoerenze e le contraddizioni, parlando per esempio dei " valori n ai quali esse si riferiscono (il dovere, la giustizia, ecc), alle volte come di realtà che trascendono l'universo sensibile, alle volte come di forze immanenti all'universo, senza giungere a dare loro una forma di esistenza ben definita e precisa; dall'altra parte, dimostrandole moralmente e socialmente affatto o troppo poco efficaci e impotenti, eccetto in qualche caso privilegiato e grazie alle sopravvivenze cristiane, a muovere la sensibilità e a vincere le volontà, incapaci di assolvere la funzione che a questo riguardo fu sempre svolta dalla religione.

    Queste considerazioni non sono certo indifferenti. La coerenza interna e la fecondità non bastano a definire la verità, ma valgono almeno come segno e criterio che ce la possono far conoscere, poiché la dottrina che non riesce affatto a concordare con se stessa e che lascia continuamente trasparire una contraddizione mascherata, ma non superata, che impegna l'azione in un vicolo cieco e non riesce a uscirne, è perlomeno incompleta e troppo sistematica, non risponde alle esigenze della verità, adeguamento del pensiero con l'oggetto e anche, anzi prima ancora, (per noi) adeguamento dell'essere con se stesso nell'insieme delle sue condizioni d'esistenza. Se si trattasse di abbatterla o di metterla da parte, basterebbe questa constatazione.

    Ma l'apologetica non è l'arte del massacrare e nemmeno una battaglia, poiché non vogliamo la morte del peccatore, ma la conversione e la vita; e quindi, non basta snidarlo dalle posizioni dov'è rifugiato con la sua debolezza e miseria, ma dobbiamo impegnarlo nelle vie della liberazione, dove alla fine troverà tutta la forza e la luce. Avremmo il miglior pegno della vittoria decisiva se riuscissimo a dimostrargli che egli, pur senza saperlo e senza osare spingersi molto lontano, è già impegnato in questa via, che deve vincere la timidita e non abbandonare l'orientamento; che in definitiva gli chiediamo soltanto di accettare integralmente proprio quelle conseguenze delle esigenze e aspirazioni che l'hanno messo in cammino, facendogliene prendere intera coscienza.

    È certo possibile trarre un grande vantaggio dall'analisi, dalla meditazione, dalle nozioni d'assenza o di vuoto, purché in esse si veda non un puro e semplice nulla, e si lasci nel mondo dei fantasmi la pseudo-idea del nulla. In questa logica concreta e viva, che Blondel, per distinguerla dalla logica astratta e formale del pensiero puro, proponeva di chiamare a normativa ", la negazione è privazione, e a questo titolo, comporta degli effetti positivi; l'assenza è assenza d'una presenza che può rimanere irraggiungibile e inattingibile, ma non per questo cessa di esercitare un'azione effettiva, e lascia un vuoto di forma e dimensioni indefinite, te il cui fondo è certamente indeterminabile, ma i suoi margini e contorni intanto prefigurano le virtualità d'un'eventuale soluzione " (M. Blondel, La Pensée, II, p. 327). La ragione ha il compito assai più di scavarlo che di colmarlo, sia pure nel solo campo ideale e ipotetico, e inoltre, di fronte a quest'Ignoto che per noi non sarà mai più come se non esistesse, essa non è condannata alla completa ignoranza e ridotta al silenzio.

    Perciò, non è sacrilegio temerario cercare di scorgere almeno qualcosa dell'autentico Dio e della vera religione in questi idoli più o meno grossolani, in questi surrogati di religione, nei quali hanno tuttavia lasciato il loro segno come nella cera molle e fluida l'immagine incavata del rilievo del sigillo. Non possiamo dirci soddisfattti quando li abbiamo costretti a confessare la loro insufficienza; ma proprio in quest'insufficienza, dobbiamo cercare l'unica cosa che può bastare; e proprio nel fondo di queste idee ìnadegute, conservando tutta la riverenza verso i dati propri della rivelazione e della grazia, dobbiamo seguire attentamente l'anima di verità che fa vivere questi surrogati, anima che tuttavia essi mutilano e ripudiano.
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    Credente
    00 17/01/2014 14:39
    Implicazione d'una trascendenza.

    - Consideriamo nuovamente le dottrine di cui abbiamo parlato. Sarebbe una constatazione di mediocre interesse vedere come esse scivolino quasi fatalmente ad affermazioni di carattere trascendente e ben presto specifìcnmenle religioso, se questo fosse soltanto l'effetto d'un'attrazione secolare, d'un'attrazione gregaria, d'una necessità sentimentale, o anche d'un imperioso bisogno che però resterebbe artificiale. Ma non è cosi, perché questi surrogati scivolano in tali affermazioni per una necessità intelligibile, propria dell'ordine razionale, costretti da una legge che chiameremmo volentieri legge di trascendenza inevitabile: l'uomo impegna e implica qualcosa che supera l'uomo, qualcosa da cui egli da solo non sarebbe capace di dedurre rigorosamente la natura né di verificarne direttamente l'esistenza, e meno ancora assicurarsene il godimento; qualcosa la cui privazione lo lascia in disaccordo e come ostile con se stesso, qualcosa da cui il rifiuto e perfino la negazione non possono distaccarlo del tutto.

    La volontà dell'uomo supera l’uomo, non ne eguaglia mai le realizzazioni ai progetti, né questi alle ambizioni. Le volizioni coscienti della " volontà voluta " non occupano né soddisfano completamente lo slancio misterioso della a volontà volente n. In tutto quello che facciamo e vogliamo, diceva Malebranche, vi è k movimento per andare più lontano " (Blondel, Action, ed. 1893, passim).

    Il pensiero dell'uomo supera l'uomo.

    " II nostro pensiero, lungi dal terminare in se stesso, viene da profondità maggiori e sale più alto della coscienza del pensiero stesso " (Blondel, La Pensée, II, 165). Noi pensiamo le stesse cose dello spazio e del tempo dominando lo spazio e il tempo, riferendoci a una verità indipendente dal fenomeno e dall'accidente. Ogni operazione razionale implica l'affermazione dell'assoluto, et Pensare, significa pensare Dio " (Ivi, I, 175).

    L'essere dell'uomo supera l'uomo. L'uomo come creatura, esiste non solo per la totalità degli esseri che ne condizionano l'esistenza e finalmente per l'Essere in sé e per sé che lo causa e lo sostiene, ma, come creatura ragionevole e come persona, non si consolida e non si compie nell'essere e, in senso esatto, non si attua che rispondendo all'appello e cooperando all'attività creatrice, unificatrice, divinizzatrice di quest'Unico necessario (Blondel, L'Etre et les étres, passim).

    Bisogno, aspirazione, esigenza, attrazione, sollecitudine, stimolazione, implicazione, partecipazione, presenza: con quale di questi nomi dobbiamo indicare la costrizione liberatrice che intanto non dipende da noi subire o non subire? Come un medesimo fatto scientifico in teorie e sistemi che hanno note diverse, viene escluso solo da punti di vista filosofici differenti, cosi questa costrizione può essere legittimamente riconosciuta e formulata in diversi modi. A nostro avviso, bisogno e aspirazione non dicono abbastanza, e il soggettivismo proprio di queste nozioni ci lascia in una posizione dialettica troppo vulnerabile. Ci pare che presenza dica ancora troppo, e c'è pericolo che risvegli le seriissime difficoltà sollevate dalla nozione realmente equivoca d'esperienza religiosa. Blondel preferisce dire implicazione, e negli ultimi suoi libri, ci spiega che, anche se è condotto a rivedere un certo numero di formule déil'Action, non rinnega né il metodo d'implicazione che aveva definito genialmente, né le conclusioni alle quali tale metodo lo aveva condotto. Quindi, anche noi, con Blondel, diciamo " implicazione ". Questo punto di vista comporta un certo genere di rigore e d'oggettività che troppo spesso manca realmente all'apologetica detta interna, alla quale è ormai tempo di annetterlo, poiché d'altronde non pare andare oltre le affermazioni di una teologia prudente e avveduta.

    Perciò, compito non solo naturale ma indispensabile e più di tutto fecondo dell'apologetica, che non si balocca con se stessa, che non mentisce a se stessa, ma accetta di " diventare quello che osa 6 ", e svelare in inevitabili implicazioni trascendenti del pensiero o della vita umana. L'interesse di una tale apologetica non è soltanto utilitario o prammatico, come quello d'un'argomentazione ad kominem, riguardo alla quale si può dubitare si: sia irrefutabile in sé, ma di cui si sa bene clic l'avversario non la con fu toni. Come abbiamo fatto per dilucidare il caso dei " surrogali della religione ", noi pensiamo che si possa proporre quest'apologetica in perfetto accordo con la ragione più esigente e con l'analisi psicologica più minuziosa.