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COMPENDIO DI TEOLOGIA SPIRITUALE

Ultimo Aggiornamento: 24/10/2013 13:41
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22/10/2013 11:31
 
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IV. La pratica dell'umilta`.

1140. Gl'incipienti, come abbiamo indicato ai n. 838-844,
combattono soprattutto l'orgoglio. I proficienti si studiano d'imitar
l'umilta` di Nostro Signore.

1141. 1^ Si studiano di attirare in se` i sentimenti di Gesu` umile. E`
quello che dice S. Paolo: "Hoc enim sentite in vobis quod et in
Christo Jesu: qui, cum in forma^ Dei esset... exinanivit
semetipsum..." 1141-1. "La vita di Nostro Signore, commenta
S. Vincenzo de' Paoli 1141-2, fu come un continuo atto di stima e
di affetto del disprezzo; il suo cuore ne era cosi` pieno che, se se ne
fosse fatta anatomia (come si fece di certi santi che vennero aperti
per vedere che cosa avevano nel cuore, ove spesso si trovarono i segni
di cio` che avevano maggiormente amato in vita), si sarebbe certamente
trovato nell'adorabile cuore di Gesu` che la santa umilta` vi era in
particolar modo scolpita, e forse non direi troppo affermando che vi
era scolpita a preferenza di tutte le altre virtu`. -- O mio Salvatore,
quanto eravate innamorato di questa virtu`! E perche` abbandonarvi a
cosi` estremi avvilimenti? Egli e` che voi conoscevate bene l'eccellenza
delle umiliazioni e la malizia del peccato contrario, il quale non
solo aggrava gli altri peccati ma rende viziose le opere che di per se`
non sarebbero cattive, anzi quelle stesse che son buone e perfino le
piu` sante". Bisogna quindi meditar spesso, ammirare e sforzarsi di
imitare gli esempi di umilta` datici da Gesu` nella vita nascosta, nella
vita pubblica, nella vita sofferente e che continua a darci nella vita
eucaristica.

A) Nella vita nascosta Gesu` pratica specialmente l'umilta` di
nascondimento. a) La pratica prima di nascere, col chiudersi per nove
mesi nel seno di Maria, ove nasconde i divini suoi attributi nel modo
piu` completo: "exinanivit semetipsum"; col sottomettersi all'editto di
Cesare "exiit edictum a Caesare" 1141-3; col soffrire senza
lagnarsi le ripulse fatte a sua madre: "non erat eis locus in
diversorio" 1141-4; specialmente col tollerar l'ingratitudine
degli uomini che non pensano a preparargli un posto nel loro cuore:
"in propria venit et sui eum non receperunt" 1141-5. b) La
pratica nella nativita`, ove ci appare come povero bambino, avvolto
nelle fasce, posto in una mangiatoia, steso sopra poca paglia:
"invenietis infantem, pannis involutum, positum in
praesepio" 1141-6. Eppure questo bambinello e` il Figlio di Dio,
l'Eguale del Padre, la Sapienza increata!

c) La pratica in tutte le circostanze che seguono alla sua nascita:
viene circonciso e riscattato a prezzo di due tortorelle come fosse un
bambino comune; e` obbligato a fuggire in Egitto per scansar la
persecuzione di Erode, egli che con una parola sola poteva ridurre in
polvere quel crudele tiranno! d) E qual nascondimento nella vita di
Nazareth! Sepolto in un paesucolo della Galilea, aiuta la madre nelle
faccende domestiche, garzone e operaio; passa trent'anni a obbedire,
egli, Padrone del mondo, "et erat subditus illis" 1141-7. Or si
capisce l'esclamazione di Bossuet: 1141-8 "O Dio, io rimango di
nuovo attonito! Vieni, o orgoglio, e muori dinanzi a questo
spettacolo! Gesu`, figlio d'un falegname, falegname egli stesso, noto
da questo mestiere, senza che si parli d'alcun altro impiego ne`
d'alcun'altra azione".

1142. B) Nella vita pubblica Gesu` continua a praticar l'obli`o di se`,
fin dove e` compatibile con la sua missione. E` obbligato, e` vero, a
proclamar colle parole e coi fatti di esser Figlio di Dio; ma lo fa in
modo discreto, misurato, con sufficiente chiarezza perche` gli uomini
di buona volonta` possano capire, ma senza quel fulgore che sforza
l'assenso. La sua umilta` appare in tutta la sua condotta.

a) Si circonda di apostoli ignoranti, poco colti e quindi poco
stimati: alcuni pescatori e un pubblicano! Mostra spiccata preferenza
per quelli che il mondo disprezza: i poveri, i peccatori, gli
afflitti, i fanciulli, i disereditati di questo mondo. Vive di
limosine e non ha casa propria. b) Semplice e` il suo insegnamento,
alla portata di tutti; i suoi paragoni e le sue parabole sono tolti
dalla vita comune; non cerca di farsi ammirare ma di istruire e di
muovere i cuori. c) Raramente opera miracoli, spesso raccomandando ai
guariti di non dir nulla ad alcuno. Non affettate austerita`: mangia
come gli altri, assiste alle nozze di Cana e ai banchetti a cui viene
invitato. Fugge la popolarita`, ne` teme di disgustare anche i discepoli
(durus est hic sermo); 1142-1 e, quando vogliono farlo re, si
dilegua. d) Se entriamo nei piu` intimi suoi sentimenti, vediamo che
vuol vivere in dipendenza dal Padre suo e dagli uomini: nulla giudica
da se` ma prende consiglio dal Padre: "Ego non judico
quemquam" 1142-2; non parla che per esporre la dottrina di Colui
che l'ha mandato: "A meipso non loquor 1142-3... Mea doctrina non
est mea, sed ejus qui misit me" 1142-4; nulla fa da se` ma
unicamente per deferenza al Padre: "Non possum a meipso facere
quidquam... Pater autem in me manens ipse facit opera" 1142-5.
Non cerca quindi la gloria sua ma quella del Padre; non visse sulla
terra che per glorificarlo: "Ego non quaero gloriam meam 1142-6...
Ego te clarificavi super terram" 1142-7. Anzi, egli, Padrone del
mondo, si fa servo degli uomini: "Non venit ministrari sed
ministrare" 1142-8. In una parola, dimentico di se`, si sacrifica,
costantemente per Dio e per gli uomini.

1143. C) Il che appare anche piu` nella vita sofferente, in cui
pratica l'umilta` di abiezione.

Gesu`, che e` la stessa santita`, volle caricarsi del peso delle nostre
iniquita` e subirne la pena, come se fosse stato colpevole: "Eum, qui
non noverat peccatum, pro nobis peccatum fecit" 1143-1. a) Onde
quei sentimenti di tristezza, di abbattimento, di noia provati nel
giardino degli Ulivi, vedendosi coperto dei nostri peccati: "coepit
pavere, taedere, maestus esse... Tristis est anima mea usque ad
mortem" 1143-2.

b) Quindi gl'insulti onde fu ricolmo: tradito da Giuda, ha pur sempre
per lui accenti d'amicizia: Amice, ad quid huc venisti 1143-3;
abbandonato dagli apostoli, continua ad amarli; catturato, legato come
un malfattore, guarisce Malco ferito da Pietro. Dato in bali`a del
servidorame, ne tollera i vituperii senza lagnarsi; ingiustamente
calunniato, non si giustifica, e non apre bocca che per rispondere
allo scongiuro del sommo sacerdote in cui rispetta l'autorita` di Dio;
sa che la sua risposta gli fruttera` la pena di morte, ma dice la
verita` a qualunque costo. Trattato da pazzo da Erode, non dice parola,
non fa miracoli per vendicare il suo onore. Il popolo, da lui tanto
beneficato, gli preferisce Barabba, e Gesu` continua a soffrire per la
sua conversione! Ingiustamente condannato da Pilato, tace, si lascia
flagellare, coronare di spine, vilipendere da re da burla; accetta
senza lamento la pesante croce caricatagli sulle spalle e si lascia
crocifiggere senza dir parola. Ai sarcasmi dei nemici risponde
pregando per loro e scusandoli presso il Padre. Privo di celesti
consolazioni, abbandonato dai discepoli, ferito nella dignita` d'uomo,
nella fama, nell'onore, subi`, si puo` dire, tutte le umiliazioni
immaginabili, onde puo` ripetere con maggior ragione del salmista: "Sum
vermis et non homo, opprobrium hominum et abjectio
plebis" 1143-4. Per noi peccatori, in vece nostra, tollero` Gesu`
cosi` eroicamente tutti quegli insulti senza lamento: "Qui cum
malediceretur, non maledicebat; cum pateretur, non comminabatur;
tradebat autem judicanti se injuste" 1143-5. Come dunque potremmo
lagnarci noi che siamo tanto colpevoli, anche se in qualche
circostanza fossimo accusati ingiustamente?

1144. D) La sua vita eucaristica ripete questi vari esempi d'umilta`.

a) Gesu` vi e` nascosto piu` ancora che nel presepio, piu` che sul
Calvario: "in cruce latebat sola deitas, at hic latet simul et
humanitas" 1144-1. Eppure e` lui che, dal fondo del tabernacolo, e`
causa prima e principale di tutto il bene che si fa nel mondo, lui che
ispira, fortifica, consola i missionari, i martiri, le vergini... E
vuole star nascosto, nesciri, pro nihilo reputari.

b) E quanti affronti, quanti insulti non riceve nel sacramento
dell'amore, non solo da parte degli increduli che rifiutano di
crederne la presenza, degli empi che ne profanano il sacro corpo, ma
anche dei cristiani che, per debolezza e vilta`, fanno comunioni
sacrileghe, e perfino delle anime a lui consacrate che talora lo
dimenticano lasciandolo solo nel tabernacolo: "non potuistis una^ hora^
vigilare mecum?" 1144-2. E in cambio di lagnarsi, non cessa di
ripeterci: "Venite ad me omnes qui laboratis et onerati estis et ego
reficiam vos" 1144-3.

Si`, la` vi sono veramente tutti gli esempi di cui abbiamo bisogno per
sorreggerci e fortificarci nella pratica d'ogni genere di umilta`; e
riflettendo che ci ha nello stesso tempo meritato la grazia
d'imitarlo, come esitare a seguirlo?

1145. 2^ Vediamo dunque in che modo possiamo a suo esempio praticar
l'umilta` verso Dio, verso il prossimo e verso noi stessi.

A) Verso Dio l'umilta` si manifesta specialmente in tre modi:

a) Con lo spirito di religione, che onora in Dio la pienezza
dell'essere e della perfezione. Lo facciamo riconoscendo
affettuosamente e lietamente il nostro nulla e il nostro peccato,
godendo di proclamare cosi` la pienezza e la santita` dell'essere
divino. Di qui nascono i sentimenti d'adorazione, di lode, di timor
filiale e di amore; di qui quel grido del cuore: Tu solus Sanctus, tu
solus Dominus, tu solus Altissimus. Sentimenti che ci sgorgano dal
cuore non solo quando preghiamo, ma anche quando contempliamo le opere
di Dio: opere naturali ove si riflettono le perfezioni del Creatore,
opere soprannaturali ove l'occhio della fede ci scopre una vera
somiglianza, una partecipazione della vita divina.

1146. b) Con lo spirito di riconoscenza, che vede in Dio la fonte di
tutti i doni naturali e soprannaturali che ammiriamo in noi e negli
altri. Allora noi, come l'umile Vergine e con lei, glorifichiamo Dio
per tutto il bene messo in noi: "Magnificat anima mea Dominum... Fecit
mihi magna qui potens est, et sanctum nomen ejus". Cosi`, invece di
insuperbirci di questi doni, ne riferiamo a Dio tutti l'onore,
riconoscendo che ne abbiamo spesso usato male.

1147. c) Con lo spirito di dipendenza, che ci fa confessar la nostra
incapacita` a far nulla di bene da soli. In tal persuasione non
cominciamo mai un'azione senza metterci sotto l'influsso e la
direzione dello Spirito Santo e senza implorarne la grazia che sola
puo` rimediare alla nostra incapacita`. E` quello che fanno specialmente
i direttori di anime, i quali, nell'esercizio del delicato loro
ufficio, in cambio di prevalersi della confidenza mostrata loro dalle
anime dirette, confessano ingenuamente la propria incapacita` prendendo
quindi consiglio da Dio prima di dare i propri avvertimenti.

1148. B) Verso il prossimo il principio che deve guidarci e` questo:
vedere in lui cio` che Dio vi ha posto di bene tanto sotto l'aspetto
naturale come soprannaturale; ammirarlo senza invidia e senza gelosia;
stendere invece un velo sui suoi difetti scusandoli per quanto e`
possibile, ogni volta almeno che per dovere del nostro stato non siamo
obbligati a correggerli.

In virtu` di questo principio: a) si gode delle virtu` e dei buoni
successi del prossino, essendo cose che glorificano Dio, "dum omni
modo... Christus annuntietur" 1148-1. Si puo` certamente
desiderarne le virtu`, ma allora bisogna rivolgersi allo Spirito Santo
che si degni darcene una partecipazione; onde sorge una nobile
emulazione: "consideremus invicem in provocationem caritatis et
bonorum operum" 1148-2.

b) Vedendo il prossimo cadere in qualche fallo, in cambio di
sdegnarsene, si prega per la sua conversione; pensando sinceramente
che, senza la grazia di Dio, noi saremmo caduti in falli anche
peggiori, n. 1129.

1149. c) Onde uno viene a considerarsi come inferiore agli altri,
"in humilitate superiores sibi invicem arbitrantes" 1149-1. Si
puo` infatti considerar principalmente, se non esclusivamente, cio` che
vi e` di bene negli altri e cio` che vi e` di male in noi.

Ecco il consiglio che dava S. Vincenzo de' Paoli au suoi
discepoli 1149-2: "Se ci studiamo di conoscerci bene, vedremo che
in tutto cio` che pensiamo, diciamo e facciamo, sia nella sostanza come
nelle circostanze, siamo pieni e circondati di motivi di confusione e
di disprezzo; e se non vogliamo illuderci, ci vedremo non solo piu`
cattivi degli altri uomini, ma peggiori in qualche modo dei demonii
dell'inferno: perche`, se questi sciagurati spiriti avessero a loro
disposizione le grazie e i mezzi largiti a noi per diventar migliori,
ne farebbero mille e mille volte miglior uso di noi".

A chi chiedesse come si possa giungere a questa persuasione, che in
se`, obiettivamente, non e` sempre conforme alla verita`, si puo` prima di
tutto rispondere che si trova in tutti i santi, onde deve avere un
sodo fondamento. E il fondamento e` questo: di fronte a se` l'uomo e`
giudice, e quando si conosce a fondo, vede chiaramente che e` molto
colpevole e che per di piu` ci sono in lui molte tendenze cattive; onde
conchiude che deve disprezzarsi. Ma di fronte agli altri non e`
giudice, ne` puo` esserlo, perche` non ne conosce le intenzioni, che sono
uno degli elementi piu` essenziali per giudicarne la condotta; come non
conosce la misura di grazia che Dio loro distribuisce e di cui bisogna
tenere pur conto nel giudizio della loro condotta. Giudicando dunque
severamente se`, e gli altri giudicando con benignita`, si giunge alla
persuasione pratica che, tenendo conto di tutto, dobbiamo porci al di
sotto di tutti.

1150. C) Verso noi stessi ecco il principio da seguire: pur
riconoscendo il bene che e` in noi per ringraziarne Dio, dobbiamo
soprattutto considerare cio` che abbiamo di difettoso, il nostro nulla,
la nostra incapacita`, i nostri peccati, a fine di tenerci abitualmente
in sentimenti di umilta` e di confusione.

Con l'aiuto di questo principio, si pratichera` piu` facilmente
l'umilta`, che deve estendersi a tutto l'uomo: alla mente, al cuore,
all'esteriore.

a) L'umilta` di mente comprende principalmente quattro cose:

1) Una giusta diffidenza di se`, che induce a non esagerare i propri
talenti ma ad umiliarsi per aver trafficato cosi` male i doni ricevuti
da Dio. E` il consiglio del Savio: "Non cercare cio` che e` troppo
difficile per te e non scrutare cio` che oltrepassa le tue forze:
altiora te ne quaesieris"; 1150-1 ed e` pure cio` che raccomandava
S. Paolo ai Romani: "Dico dunque, in virtu` della grazia che mi fu
data, a ognuno che e` tra voi di non troppo sentire di se`, oltre quel
che deve sentirne, ma sentirne modestamente, ognuno secondo la misura
della fede compartitagli da Dio: "non plus sapere quam oportet, sed
sapere ad sobrietatem" 1150-2.

2) Nell'uso che si fa dei propri talenti, non cercar di brillare e di
farsi stimare, ma di essere utile e far del bene.

Tal era la raccomandazione di S. Vincenzo de' Paoli ai suoi missionari
e aggiungeva: 1150-3 "Fare altrimente sarebbe un predicar se
stesso e non Gesu` Cristo; e una persona che predica per farsi
applaudire, lodare, stimare, fare parlar di se`, che cosa fa questa
persona?... Un sacrilegio, si`, un sacrilegio! Ecche`? servirsi della
parola di Dio e delle cose divine per acquistare onore e riputazione!
si`, e` un sacrilegio!"

1151. 3) Praticar la docilita` intellettuale, non solo
sottomettendosi ai decreti ufficiali della Chiesa ma accettando pure
cordialmente le direzioni pontificie, anche quando non sono
infallibili, memori che in queste prescrizioni vi e` maggior saviezza
che nei nostri giudizi.

4) Cotesta docilita` fara` schivare l'ostinazione nelle proprie idee in
punti controversi. Si ha certo il diritto, nelle cose liberamente
discusse, di abbracciare il sistema che ci pare piu` fondato; ma non e`
pur giusto lasciare la stessa liberta` anche agli altri?

1152. b) L'umilta` di cuore vuole che, invece di desiderare e di
cercare la gloria e gli onori, uno si contenti dello stato in cui e` e
preferisca la vita nascosta agli uffici appariscenti: ama nesciri et
pro nihilo reputari. Va anzi piu` oltre: nasconde, come nota
S. Vincenzo de' Paoli nel terzo grado di umilta`, tutto cio` che puo`
farci amare e stimare, e desidera l'ultimo posto non solo nei gradi
sociali ma anche nella stima degli uomini: "recumbe in novissimo
loco" 1152-1. Desidera perfino che la nostra memoria perisca
intieramente sulla terra.

Ascoltiamo S. Vincenzo de' Paoli: 1152-2 "Non dobbiamo mai posar
gli occhi ne` fissarli su cio` che e` di bene in noi, ma studiarci di
conoscere cio` che vi e` di male e di difettoso: gran mezzo e` questo per
conservar l'umilta`. Il dono di convertir le anime e tutti gli altri
talenti esteriori che sono in noi, non sono per noi, noi non ne siamo
che i facchini, e possiamo con tutti questi doni bravamente dannarci.
Onde nessuno deve gonfiarsi o compiacersi di se` ne` concepire di se`
alcuna stima, vedendo che Dio opera grandi cose per mezzo suo; ma deve
tanto piu` umiliarsi, riconoscendosi un meschino strumento di cui Dio
si degna servirsi".

1153. c) L'umilta` esteriore non dev'essere che la manifestazione dei
sentimenti interiori; si puo` peraltro osservare che gli atti esterni
d'umilta` reagiscono sulle interne disposizioni per rassodarle e
intensificarle. Onde non bisogna trascurarli ma accompagnarli con veri
sentimenti d'umilta`, abbassando l'anima nell'abbassare il corpo.

1) Un'abitazione povera, vesti modeste, mezzo logore e rattoppate,
purche` siano pulite, inclinano all'umilta`; un'abitazione e vesti
ricche suggeriscono facilmente sentimenti contrari a questa virtu`.

2) Il contegno, l'andatura, la fisionomia, il modo di fare modesto ed
umile, senza affettazione, aiutano a praticar l'umilta`; 1153-1 le
umili occupazioni, come il lavoro manuale, il rammendarsi le vesti,
producono lo stesso effetto.

3) Lo stesso vale della condiscendenza che si mostra verso gli altri,
dei segni di deferenza e di cortesia.

4) Nelle conversazioni, l'umilta` ci porta a far parlare gli altri
delle cose che li interessano e a parlar poco noi. Impedisce
specialmente che parliamo di noi e di tutto cio` che ci riguarda:
bisognerebbe essere santo per poter parlare male di se` senza secondi
fini 1153-2; parlar bene di se` e` millanteria. -- Non bisogna
pero`, sotto pretesto d'umilta`, fare delle stranezze. "Se, come dice
S. Francesco di Sales 1153-3, vi furono grandi servi di Dio che
si finsero pazzi a fine di rendersi piu` abietti agli occhi del mondo,
bisogna ammirarli ma non imitarli, perche` per tali eccessi essi ebbero
motivi tanto speciali e straordinari che nessuno deve trarne
conseguenza per conto proprio".

L'umilta` e` dunque virtu` molto pratica e molto santificante, che
abbraccia tutto l'uomo, e ci aiuta a praticar le altre virtu`,
pricipalmente la dolcezza.

sez. III. La mansuetudine o dolcezza 1154-1.

1154. Nostro Signore giustamente associa la dolcezza o mansuetudine
all'umilta`; perche` questa non puo` praticarsi senza di quella.
Tratteremo:
* 1^ della natura;
* 2^ della eccellenza;
* 3^ della pratica della dolcezza.
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