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LA NUBE DELLA "NON-CONOSCENZA"

Ultimo Aggiornamento: 07/09/2013 13:03
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07/09/2013 12:59
 
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2. [È necessario raggiungere il punto più eccelso dello spirito e offrire il proprio essere a Dio, che ci guarisce dalle piaghe del male].

Quindi ti prego di non far altro in questo frangente, se non pensare al semplice fatto che tu sei così come sei: non importa quanto tu sia immondo o miserabile. Naturalmente, do per scontato che tu abbia già fatto debita ammenda di tutti i tuoi peccati, in particolare e in generale, secondo le giuste regole stabilite dalla santa chiesa. Altrimenti, né tu né nessun altro potete pretendere di avere il mio consenso nell’affrontare con tanta impudenza un simile lavoro. Ma se tu senti in coscienza di aver fatto tutto il possibile, allora puoi pure intraprendere questo lavoro. E anche se ti senti ancora così vile e miserabile da considerare il tuo io come un peso, e da non sapere nemmeno tu che cosa fare di te stesso, allora segui le mie indicazioni..
Prendi il buon Dio così com’è nella sua grande misericordia, e ponilo, proprio come se fosse un balsamo, su quell’essere malato che è il tuo io. O per dirla in altri termini, leva in alto il tuo io, malato com’è, e con il desiderio cerca di toccare Dio così com’è, buono e dispensatore di grazie. Chi arriva a toccarlo, ne riceve salute eterna, come testimonia la donna del vangelo, quando dice: «Si tetigero vel fimbriam vestimenti eius, salva ero; Se solo arriverò a toccare il lembo del suo mantello, sarò guarita». A maggior ragione tu sarai sanato dalla tua malattia a questo meraviglioso contatto celeste con il suo stesso essere: bada bene, con il suo stesso io. Allora, avvicinati a lui con decisione e usa quel medicamento. Eleva il tuo essere, malato com’è, verso il buon Dio così com’è in se stesso, senza fare particolari considerazioni o disquisizioni su nessuna delle qualità proprie del tuo essere o di quello di Dio: che si tratti di purezza o miseria, grazia o natura, divinità o umanità, poco importa. Per il momento basta che tu offra con gioia e in trepidazione d’amore, questo sguardo cieco sul tuo essere, nudo com’è, perché sia strettamente unito in grazia e spirito all’essere prezioso di Dio, cosa com’è in se stesso, né più né meno.
È vero, le tue facoltà sempre inquiete ed errabonde non troveranno alimento in questa maniera d’agire; perciò si lamenteranno con te e insisteranno perché tu tralasci questo lavoro e ti metta invece a fare qualcosa che possa soddisfare la loro curiosità. A sentir loro, tu non stai facendo niente di valido: d’altra parte non riescono a capir niente del tuo lavoro. Eppure io lo amo ancor di più, perché questo è un segno che esso è manifestamente superiore alla loro attività. Infatti, perché non dovrei preferirlo, quando non c’è nessun altro lavoro che possa fare io o che possano compiere i miei sensi esterni e interni sotto lo stimolo della curiosità, che sia in grado di condurmi così vicino a Dio e così lontano dal mondo, come invece è capace di fare questa nuda coscienza di me stesso e la semplice offerta del mio cieco essere?
Perciò, anche se le tue facoltà non trovano alcun alimento nel tuo modo di agire, e quindi cercano di distoglierti da quel che vai facendo, bada di non abbandonare il tuo lavoro per causa loro; al contrario, tienile sottomesse. E non tornare ad alimentarle, anche se dovessero diventar furiose. Quando permetti alle tue facoltà di divagare in sottili disquisizioni e approfondite ricerche sulle qualità del tuo essere, è come se tu tornassi indietro a nutrirle. Tali riflessioni, anche se sono del tutto buone e proficue, tuttavia, in confronto all’offerta della cieca coscienza del tuo essere, non servono ad altro che a dissiparti e a distrarti dall’unità perfetta che dovrebbe regnare tra Dio e la tua anima.
Pertanto resta aggrappato al punto più eccelso del tuo spirito, cioè alla coscienza del tuo stesso essere; e non tornare indietro per niente al mondo, per quanto possa sembrare buono e santo l’oggetto a cui vorrebbero trascinarti le tue facoltà.

3. [L’offerta del proprio essere, compiuta in purezza di spirito, chiede il silenzio delle nostre facoltà discorsive].

Segui il consiglio e l’insegnamento che Salomone diede a suo figlio: «Honora Dominum de tua substantia, et de primitiis frugum tuarum da pauperibus; et impiebuntur horrea tua saturitate, et vino torcularia tua redundabunt; Onora il Signore con la tua sostanza e da’ nutrimento ai poveri con le primizie dei tuoi frutti: allora i tuoi granai saranno ricolmi, i tuoi tini traboccheranno di vino». Queste parole Salomone le disse a suo figlio in senso letterale, ma è come se avesse voluto farti comprendere in senso figurato quel che sto per dirti a nome suo: amico spirituale in Dio, vedi se hai lasciato perdere tutte le attività discorsive delle tue facoltà naturali, e rendi a Dio, tuo Signore, un culto perfetto con la tua sostanza. Offri a lui in tutta semplicità tutto te stesso, tutto quel che sei e così come sei, come un tutt’uno e non in frammenti: in altri termini, senza considerare in dettaglio quello che sei. A questo modo, il tuo sguardo non resterà disperso e la tua coscienza non perderà il suo candore, niente potrà impedirti di essere uno con il tuo Dio in purezza di spirito.
«E da’ nutrimento ai poveri con le primizie dei tuoi frutti», cioè con il meglio delle qualità spirituali e corporali che sono cresciute con te dal momento della tua creazione fino a oggi. Chiamo frutti, tutti quei doni di natura e di grazia che Dio ti ha elargito. Con essi sei tenuto a nutrire e a sfamare in questa vita, nel corpo e nello spirito, tutti i tuoi fratelli e sorelle secondo natura e, secondo la grazia, proprio come devi fare con te stesso.
È il primo di questi doni che io chiamo «le primizie dei tuoi frutti». In ciascuna creatura il primo dono è semplicemente quello dell’essere. È vero che le qualità dell’essere sono così intimamente legate all’essere stesso da non potersene separare; tuttavia, siccome dipendono dall’essere, si può dire con certezza che è questo il primo dei tuoi doni. Quindi le primizie dei tuoi frutti sono costituite dal semplice fatto che tu sei. In effetti, se frantumerai il tuo cuore in molteplici considerazioni sulle complesse, qualità e sulle splendide caratteristiche dell’essere umano, che è la più nobile di tutte le creature, troverai che il punto focale a cui mira ogni tua considerazione, quale che essa sia, è sempre il tuo essere, nudo e semplice.
Ogniqualvolta ti metterai a meditare e ti sentirai spronato ad amare e lodare il Signore tuo Dio, non solo per il dono dell’essere, ma anche per la nobiltà del tuo essere, come attesteranno le eccelse qualità che avrai riscontrato in te, sarà come se tu dicessi in cuor tuo: «Io sono, so e sento che io sono; e non solo che io sono, ma che sono così, così, così e così». In questo modo farai passare una dopo l’altra tutte le qualità del tuo essere. E poi, se vuoi fare ancora meglio, riuniscile tutte in un sol fascio e di’ così: «Il mio essere e il mio modo di essere, secondo natura e secondo la grazia, tutto ciò io l’ho ricevuto da te, Signore, ed è il tuo stesso essere. Io lo offro tutto a te, innanzitutto per lodarti, e poi per venire in aiuto di tutti i miei fratelli nella fede, e infine per me stesso». Puoi così notare come il punto focale di ogni tua considerazione deve consistere sostanzialmente nella visione nuda e nella coscienza cieca del tuo stesso essere. Quindi è semplicemente il tuo essere a costituire le primizie dei tuoi frutti.
Ma anche se il tuo essere è il primo dei tuoi frutti e tutti gli altri dipendono da lui, al momento attuale non conviene rivestire questa considerazione e ammantarla di tutte le sue varie qualità e caratteristiche (che nel nostro caso sono i frutti), sulle quali hai già fatta tutte le tue elucubrazioni in precedenza.
Per ora basta che onori Dio in maniera completa con tutta la tua sostanza e offra a lui il tuo essere nudo, cioè le tue primizie, in un continuo sacrificio di lode a Dio, per te e per tutti gli uomini, come carità comanda. Non rivestirlo, dunque, di nessuna qualità o particolarità propria del tuo essere o dell’essere di qualcun altro, quasi che con queste considerazioni tu volessi sopperire ai bisogni, promuovere il bene e accrescere la perfezione del tuo stesso io o del tuo prossimo.
Lascia stare: un simile atteggiamento non gioverebbe affatto in questo caso. Invece è molto più consona alle tue necessità, più efficace per il tuo avanzamento e la perfezione tua e degli altri, questa meditazione cieca e generale, fatta nella purezza dello spirito, che non qualsiasi altra considerazione particolare, per quanto possa apparire santa.
La verità delle mie parole è confermata dalla testimonianza delle Scritture, dall’esempio di Cristo e dalla perspicacia della ragione. Tutti, gli uomini furono perduti in Adamo, poiché egli si staccò dall’amore che lo legava a Dio. E ora, tutti gli uomini che testimoniano con i fatti, secondo la loro specifica vocazione, la volontà di essere salvati, lo sono e lo saranno solo in virtù della passione di Cristo. Egli offrì se stesso come sacrificio più vero, tutto se stesso e non solo in parte; e per tutti gli uomini, non per qualcuno in particolare, ma per tutti in generale, senza distinzione. Analogamente, chi offre se stesso in sacrificio reale e perfetto per il bene di tutti, fa tutto il possibile per unire a Dio tutti gli uomini nella stessa maniera reale con cui egli è unito a Dio. Nessuno ha amore più grande di chi si sacrifica per tutti i fratelli e le sorelle secondo la carne o secondo lo spirito. Poiché l’anima è più preziosa del corpo, è meglio unire l’anima a Dio (che ne è la vita), con il pane celeste della carità, piuttosto che unire il corpo all’anima (che ne è la vita), nutrendolo con qualsiasi cibo materiale. Quest’ultima attività è buona in se stessa, ma senza l’altra è quanto mai incompleta. Se si uniscono entrambe, va già meglio; ma la prima da sola, è l’ottimo. La seconda da sola non è in grado di meritare la salvezza; mentre la prima, anche se viene a mancare completamente quell’altra, non solo merita la salvezza, ma conduce alla perfezione più alta.
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Stretta è la porta e angusta la Via che conduce alla Vita (Mt 7,14)
 
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