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LA NUBE DELLA "NON-CONOSCENZA"

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    00 07/09/2013 12:00

    La nube della non-conoscenza

     

     

    O Dio, che vedi i segreti dei cuori
    e conosci i nostri pensieri,
    infondi in noi il tuo Spirito santo,
    perché purificati nell’intimo,
    possiamo amarti con tutta l’anima
    e celebrare degnamente la tua lode.
    Amen.

     

     

    PROLOGO


    Nel nome del Padre
    e del Figlio
    e dello Spirito Santo.


    Chiunque tu sia a essere venuto in possesso di questo libro (forse è di tua proprietà o semplicemente l’hai in custodia o lo devi consegnare ad altri oppure lo tieni in prestito), con tutta l’energia e la forza compatibili con il vincolo della carità ti prego e ti scongiuro, per quel che sta alla tua volontà e saggezza, di non leggerlo e di non farne menzione ad alcuno, scrivendone o parlandone, e di fare in modo che nessuno lo legga, ne scriva o ne parli, a meno che si tratti di uno che, a tuo giudizio, è veramente intenzionato a seguire Cristo in maniera totale e perfetta. E a seguirlo non solo nella vita attiva, ma fino al punto massimo della vita contemplativa a cui può giungere in questa vita, per grazia di Dio, l’anima perfetta ma ancora legata a questo corpo mortale. Inoltre, dovrebbe essere uno che, a tuo avviso, già da molto tempo mette in pratica quelle virtù della vita attiva che lo rendono adatto alla vita contemplativa. In caso contrario, questo libro non gli si addice in alcun modo.
    E ancora ti prego e ti scongiuro con l’autorità che proviene dalla carità: se mai uno dovesse leggere, scrivere o parlare di questo libro oppure sentirlo leggere o sentirne parlare da altri, imponigli, come io faccio con te, di leggerlo in tutta la sua interezza. Può darsi, infatti, che ci sia qualche argomento, all’inizio come in mezzo, lasciato in sospeso e non trattato con la dovuta completezza in quel particolare contesto: sicuramente lo si farà più avanti, tutt’al più alla fine del libro. Cosicché, se uno dovesse vedere un certo brano e non un altro, potrebbe facilmente cadere in errore. Perciò, per evitare un simile errore, prego sia te che gli altri, per amore di Dio, di fare quanto ho detto.
    Non era affatto nelle mie intenzioni che i ciarloni, gli adulatori, i falsi modesti, i criticoni, i pettegoli, i maldicenti, i linguacciuti e ogni sorta di mettimale vedessero questo libro. Non è per essi che ho scritto. Per questo vorrei che ne facessero a meno loro e anche tutti quegli uomini, dotti o ignoranti, che sono semplicemente curiosi. Sì, fossero anche buone persone, eccellenti nella vita attiva, questo libro non fa per loro.
    Non così per quelli che, sebbene «attivi» come forma esteriore di vita, tuttavia per ispirazione dello Spirito di Dio, i cui giudizi sono insondabili, si trovano ben pronti per grazia ad avere parte, non di continuo, come nel caso dei veri contemplativi, ma di quando in quando, alle profondità della contemplazione. Se fossero uomini di tal genere a vedere questo libro, ne trarrebbero sicuramente, per grazia di Dio, un grande conforto.
    Questo libro si divide in 75 capitoli, l’ultimo dei quali indica dei segni ben sicuri attraverso cui l’anima può verificare se è veramente chiamata da Dio al lavoro della contemplazione, oppure no.
    Amico spirituale in Dio, ti prego e ti scongiuro di considerare, con la dovuta attenzione, le modalità e il cammino della tua vocazione. E ringrazia Dio di tutto cuore, così che tu possa, in forza della sua grazia, star ben saldo in quello stato, grado e modo di vita che hai intrapreso generosamente contro tutte le astuzie e gli assalti dei nemici materiali e spirituali, e possa così ottenere, in premio la corona della vita eterna.

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    00 07/09/2013 12:02
    CAPITOLO 1
    I quattro gradi della vita cristiana, e il cammino della
    vocazione di uno per il quale è stato scritto questo libro.

    Amico spirituale in Dio, devi sapere che secondo me (ed è una visione piuttosto semplificata) esistono quattro gradi o forme di vita cristiana: comune, speciale, solitaria e perfetta. Le prime tre iniziano e terminano in questa vita; la quarta può si cominciare qui, per grazia di Dio, ma continuerà per sempre nella beatitudine celeste. Avrai sicuramente notato che io le ho messe tutt’e quattro in una certa successione: prima la vita comune, poi quella speciale, quindi quella solitaria e infine quella perfetta.
    Penso infatti che Dio nella sua grande misericordia segue lo stesso ordine progressivo nel chiamarti e condurti a sé, attraverso il desiderio del tuo cuore.
    E tu sai bene che quando eri ancora nello stato comune della vita cristiana e vivevi in compagnia dei tuoi amici del mondo, Dio, nel suo amore eterno — grazie al quale Egli ti creò e plasmò quando non eri niente, e poi ti riscattò a prezzo del suo prezioso sangue quando eri ormai perso in Adamo —, non poté soffrire che tu fossi in quel tipo di vita così distante da Lui.
    Accese, allora, il tuo desiderio con la pienezza della sua grazia, lo rafforzò con la catena del fervore e ti condusse a quello stato di vita più speciale, qual è quello di servitore tra i suoi speciali servitori. E questo fece perché tu potessi imparare a servirlo in maniera più particolare e spirituale di quanto avevi mai potuto fare prima nel grado comune di vita.
    E c’è di più: tale è l’amore che ha sempre avuto per te, sin da quando tu non eri niente, che a quanto pare non si accontentò tanto facilmente che tu rimanessi in questo stadio.
    Che fece dunque? Non vedi con quale forza e con quali favori ti ha sollevato fino al terzo stadio, quello solitario? È proprio in questa forma di vita che puoi imparare a elevare più in alto i passi del tuo amore e incamminarti verso quella forma di vita che è l’ultima di tutte, quella perfetta.
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    00 07/09/2013 12:02

    CAPITOLO 2
    Breve esortazione all’umiltà e al lavoro di cui parla questo libro

    Ora alza gli occhi, miserabile creatura, e guarda la tua situazione. Che cosa sei tu, e che cosa hai mai fatto per meritare di essere chiamato a tanto da nostro Signore? Com’è spregevole quel cuore che, addormentato nella pigrizia, non si desta alle sollecitazioni del suo amore e alla voce della sua chiamata.
    A questo punto, o miserabile, devi stare ben attento al tuo nemico. Non devi ritenerti affatto più santo o migliore per la semplice ragione che sei stato chiamato alla dignità della vita solitaria. Al contrario, sei ancor più disgraziato e maledetto se non ti impegni al massimo a vivere in conformità alla tua vocazione, aiutato come sei dalla grazia e dalla direzione spirituale. E dovresti essere tanto più umile e affettuoso verso il tuo sposo spirituale, se pensi che Lui, Dio onnipotente, Re dei re, e Signore dei signori, si è abbassato umilmente fino al tuo livello e, tra tutte le pecore del suo gregge, ha scelto per sua grazia proprio te, perché tu fossi uno dei suoi intimi. Come se non bastasse, ti ha posto in ricchi pascoli e lì ti nutre con la dolcezza del suo amore, come pegno della tua eredità nel regno dei cieli.
    All’opera dunque, e senza indugio, te ne prego. Guarda avanti, ora, e lascia perdere ciò che ti sta dietro. Bada a quel che ancora ti manca, e non a quel che hai già; è questa la via più breve per acquistare e mantenere l’umiltà. Tutta la tua vita, d’ora in poi, deve essere presa da un unico desiderio, se vuoi veramente progredire nella perfezione. E questo desiderio deve venire dal profondo della tua volontà ed è opera della mano di Dio onnipotente, sempre se c’è il tuo consenso.
    Ma c’è una cosa che voglio dirti: egli è un amante geloso e non sopporta rivali; né accetta di agire sulla tua volontà se non è lui solo ad avere a che fare con te. Non chiede aiuto, cerca solo te. Vuole soltanto che tu gli presti attenzione e gli lasci fare a modo suo. Tocca a te, però, difendere la tua porta e le tue finestre dagli attacchi delle mosche e dei nemici. Se vuoi veramente far questo, basta che tu insista umilmente con Dio nella preghiera ed egli verrà presto in tuo aiuto. Insisti, dunque: fa’ vedere quali sono le tue disposizioni! Dio è prontissimo e ti sta aspettando.
    Ma che cosa devo fare, dirai, e come insistere?
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    00 07/09/2013 12:03

    CAPITOLO 3
    In che cosa consiste questo lavoro e la sua superiorità
    nei confronti di ogni altro lavoro

    Eleva il tuo cuore a Dio in uno slancio di umiltà e d’amore: pensa a lui solo, e non ai suoi benefici. Perciò considera ripugnante qualsiasi altro pensiero che non riguardi Dio stesso, così che niente operi nella tua mente o nella tua volontà se non lui solo. Fa’ del tuo meglio per dimenticare tutte le creature che Dio abbia mai fatto, e anche le loro opere, così che il tuo pensiero e il tuo desiderio non si orientino e non tendano verso queste cose, né in generale, né in particolare. Ma lasciale stare e non prestarvi più attenzione.
    Questa è il lavoro dell’anima che piace di più a Dio. Tutti gli angeli e i santi provano gioia per questo lavoro e si dànno da fare con tutte le loro forze per aiutarti. Tutti i demoni, al contrario, sono furibondi quando tu ti metti all’opera e cercano in tutti i modi di far naufragare il tuo lavoro. Inoltre tutti gli uomini di questo mondo, in una maniera meravigliosa e del tutto incomprensibile, risentono di un benefico influsso per quello che stai facendo. Certo, anche le anime del purgatorio trovano alleviata la loro pena. Quanto a te, non c’è nessun altro lavoro meglio di questo, che ti possa rendere puro e virtuoso. Tuttavia, è il lavoro più facile e più rapido che ci sia, quando l’anima è aiutata dalla grazia e vi si sente veramente portata. In caso contrario, il lavoro si rivela difficile ed è un vero miracolo se riesci a compierlo lo stesso.
    Non lasciarti andare, dunque, ma continua a lavorare finché non senti questo desiderio intenso. La prima volta che lo fai non trovi altro che oscurità, come se ci fosse una nube, la nube della non-conoscenza. Tu non ne sai niente, ma semplicemente senti dentro di te un puro anelito verso Dio. Qualunque cosa tu faccia, questa oscurità e questa nube restano sempre tra te e Dio, e non ti permettono né di vederlo chiaramente alla luce della comprensione razionale, né di sentirlo nel tuo cuore con la dolcezza del suo amore.
    Apprestati, dunque, a restare in questa oscurità più a lungo che puoi, e non smettere di sospirare per colui che ami. Infatti, se mai dovrai sentirlo o vederlo in questa vita, sarà senz’altro in questa nube e in questa oscurità. E se lavorerai sodo come ti ho raccomandato, son sicuro che per la sua misericordia giungerai a contemplarlo.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:03
    CAPITOLO 4
    Brevità di questo lavoro.
    Alla contemplazione non si giunge né attraverso la speculazione razionale
    né attraverso l’immaginazione

    Per far sì che tu non commetta errori e non fraintenda questa attività, lascia che te ne parli ancora un poco secondo il mio punto di vista.
    Al contrario di quanto pensano alcuni, non ci vuole molto tempo per portare a termine questo lavoro. In realtà, è il lavoro più breve che si possa mai immaginare. Non è né più lungo né più corto di un atomo. Ora l’atomo, secondo la definizione degli stessi studiosi di astronomia, è la più piccola frazione di tempo. È così piccolo che, per via della sua piccolezza, non lo si può dividere ulteriormente, e quasi quasi non lo si può immaginare. È proprio questo il tempo di cui è stato scritto: «di tutto il tempo che ti è dato, ti verrà chiesto come l’hai speso». Ed è giustissimo che tu debba renderne conto. Questo tempo non è né più lungo né più corto ma corrisponde esattamente a un semplice impulso della tua volontà, che è la principale facoltà dell’anima in ordine all’agire. Infatti, nello spazio di un’ora ci possono essere e ci sono tanti impulsi o desideri della volontà, quanti sono gli atomi in quello stesso arco di tempo.
    Orbene, se la grazia dovesse rendere la tua anima come quella di Adamo prima del peccato originale, tu saresti padrone, per via della stessa grazia, di tutti i tuoi impulsi. Allora nessuno di questi andrebbe per conto suo, ma tutti convergerebbero su Dio, somma di ogni desiderio e bene supremo. Egli scende al nostro livello, adattando la sua divinità alla nostra capacità di comprensione. D’altra parte, la nostra anima presenta qualche affinità con lui, dal momento che siamo stati creati a sua immagine e somiglianza. E lui solo, e nient’altro che lui, basta ad appagare in maniera piena e sovrabbondante la brama del nostro cuore. E in virtù di questa grazia risanatrice, l’anima è resa capace di comprenderlo pienamente attraverso l’amore. Dio resta incomprensibile a ogni essere razionale, uomo o angelo che sia, almeno per quanto riguarda la conoscenza intellettuale. Infatti con l’intelletto non lo si può conoscere, ma con l’amore sì.
    Tutti gli esseri razionali, uomini e angeli, possiedono dentro di sé, ciascuno per proprio conto, due facoltà operative principali: la capacità di conoscere e quella di amare. Dio, che le ha fatte entrambe, resta per sempre incomprensibile alla prima facoltà, l’intelletto, mentre per la seconda, l’amore, è conoscibile appieno, anche se in maniera diversa a seconda dei singoli individui. Capita così che una semplice anima ricca d’amore riesce da sola, in virtù di questo stesso amore, a comprendere dentro di sé colui che basta ad appagare in maniera incomprensibile e sovrabbondante tutte le anime e gli angeli che ci possono essere. Questo è il meraviglioso miracolo dell’amore, miracolo che non avrà mai fine, poiché per sempre Dio lo farà e non smetterà mai di farlo. Prendi in considerazione quanto detto, se la grazia di Dio te lo concede: in questa conoscenza d’amore consiste la beatitudine eterna; senza tale conoscenza non c’è che la pena eterna.
    Perciò chiunque fosse rinnovato dalla grazia di Dio così da badare continuamente a ogni impulso della volontà — dal momento che, per natura, non gli possono mancare questi impulsi —, costui pregusterebbe già in questa vita la dolcezza eterna, anche se il pieno godimento si ha solo nella beatitudine celeste. Non meravigliarti, dunque, se ti stimolo con insistenza a fare questo lavoro.
    Se l’uomo non avesse commesso il peccato originale, starebbe facendo ancor oggi questo stesso lavoro, come dirò più innanzi. Ed è per questo lavoro che l’uomo fu fatto, e ogni altra cosa ha il compito di aiutarlo a raggiungere questo scopo. E grazie a questo lavoro, infine, l’uomo può sperare di tornare allo stato primitivo di grazia. Ma se vien meno a questo lavoro, l’uomo cade sempre più giù nel peccato e si allontana sempre più da Dio. Al contrario, se vi si applica con diligenza e costanza, trascurando il resto, allora si rialza sempre più dal peccato e si avvicina sempre più a Dio. Perciò sta’ ben attento a come usi il tempo: infatti non c’è niente di più prezioso del tempo. Basta un attimo, una minima frazione di tempo per guadagnare o perdere il paradiso.
    A riprova che il tempo è prezioso, Dio, che ne è il dispensatore, non dà mai due momenti di tempo in una sola volta, ma sempre in successione. Diversamente, dovrebbe cambiare tutto l’ordine e il corso regolare della creazione. Il tempo è fatto per l’uomo, non l’uomo per il tempo. E Dio, che fissa le leggi di natura, ha voluto adattare il tempo alla natura dell’anima umana: infatti, gli impulsi naturali dell’uomo sorgono proprio uno alla volta. Perciò l’uomo non avrà scuse quando, nel giorno del giudizio, dovrà rendere conto a Dio di come avrà speso il suo tempo. Non potrà certo dire: «Tu mi dai due momenti in una volta sola, mentre io non ho che un solo impulso alla volta».
    Ma ora sei tutto preoccupato e pensi: «Che debbo fare? Se quello che stai dicendo è vero, come farò a rendere conto di ogni momento della mia vita? Eccomi qui a ventiquattro anni, senza aver mai dato peso al tempo. Anche se volessi cambiare rotta d’ora innanzi, sai perfettamente in base alle giuste parole che hai appena scritto, che non mi è più concesso alcun momento di tempo, né secondo il corso naturale, né ricorrendo alla grazia comune, per poter rimediare al mio passato mal speso. Posso solo contare su quei momenti di tempo che ho ancora davanti a me. Ma come se non bastasse, so benissimo che anche per questo tempo futuro, a causa della mia eccessiva fragilità e della mia pigrizia spirituale, non riuscirei a prestare attenzione che a un impulso su cento. Eccomi qui completamente disorientato di fronte a questi ragionamenti. Aiutami dunque, per amore di Gesù!».
    Come hai fatto bene a dire «per amore di Gesù!». Infatti è proprio nell’amore di Gesù che puoi trovare aiuto. L’amore è per sua natura condivisione. Ama Gesù, e tutto ciò che ha sarà tuo. Essendo Dio, egli ha fatto il tempo e ce l’ha donato. Essendo uomo, ha attribuito il giusto valore al tempo. Essendo sia Dio che uomo, è il miglior giudice dell’uso del tempo. Unisciti a lui con fede e amore: grazie a questa unione entrerai a far parte della comunità di vita che si stabilisce tra lui e tutti coloro che come te sono uniti a lui dall’amore. Sarai così in comunione con Maria santissima, che, piena di grazia, prestò attenzione a ogni momento della sua vita; con tutti gli angeli del cielo che non possono mai perdere tempo; con tutti i santi in cielo e in terra che con il loro amore, e per grazia di Gesù, tengono in giusto conto ogni momento. Tutto ciò è di grande conforto. Cerca di capirlo correttamente e di trarne adeguato profitto.
    Ma una cosa mi preme sottolineare: nessuno può rivendicare una vera comunione con Gesù, con Maria, sua vera madre, con i suoi angeli e con i suoi santi, se non fa di tutto, con l’aiuto della grazia, per badare a ogni momento di tempo. Solo così può venire in aiuto alla comunità, facendo anch’egli, al pari degli altri membri, la sua parte, per quanto piccola possa essere.
    Presta dunque attenzione a questo meraviglioso lavoro della grazia nella tua anima. Per chi lo capisce bene, non è altro che un impulso improvviso che sorge senza alcun preavviso e punta direttamente a Dio come una scintilla che si sprigiona dal fuoco. È incredibile il numero degli impulsi che sorgono nel breve spazio di un’ora nell’anima di chi è disposto a fare questo lavoro. E tuttavia basta una sola di queste fiammate per dimenticare completamente, e all’istante, il mondo esterno. Ma subito dopo ogni impulso, l’anima può ricadere, a causa della corruzione della carne, nei pensieri precedenti e nel ricordo delle cose fatte e non fatte. Ma non è finita ancora: in un batter d’occhio può riaccendersi di nuovo come prima.
    Questo è, in breve, il procedimento del nostro lavoro. Come si vede, è ben lontano da ogni visione ò falsa immaginazione o stranezza di pensiero. Tutto ciò non sarebbe certo frutto di un nudo slancio d’amore umile e devoto, ma di un’intelligenza orgogliosa, avida di sapere e ricca di immaginativa. E questo spirito d’orgoglio e di curiosità va sempre soffocato e calpestato senza pietà: a questo prezzo si può intendere il significato genuino della contemplazione.
    Chiunque, avendone letto o sentito parlare, pensa che il lavoro contemplativo consista in una attività mentale, e continua quindi a operare in questa direzione, è completamente fuori strada.
    Si inventa, infatti, un’esperienza che non è né materiale né spirituale, e corre il rischio di prendere lucciole per lanterne. Chi cade in questo abbaglio è in così grave pericolo, che se Dio nella sua grande bontà non interviene con un miracolo di misericordia per farlo smettere di colpo e indurlo ad ascoltare i consigli di contemplativi di grande esperienza, diventerà matto o comunque soffrirà qualche altra terribile forma di male spirituale o qualche inganno diabolico. In verità, può facilmente perdersi per sempre, anima e corpo. Quindi, per amore di Dio, fa’ attenzione e non cercare in alcun modo di compiere questo lavoro con le facoltà intellettuali, e tanto meno con l’immaginazione. Te lo dico con tutta sincerità: non riusciresti a combinare un bel niente! Smettila, dunque, di far uso delle tue facoltà.
    Quando parlo di «oscurità» o di «nube» non pensare ch’io voglia intendere quelle masse di vapori che vagano nel cielo o quell’oscurità che regna nella tua casa di notte quando la candela è spenta. Questo: tipo di oscurità e di nube te li puoi benissimo immaginare con gli occhi della tua mente anche nel più radioso meriggio d’estate, così come nella più buia notte invernale puoi figurarti una luce vivida e splendente. Non è certamente a questo che io faccio riferimento. Per «Oscurità» io intendo una mancanza di conoscenza, proprio come una cosa che non conosci o non ricordi è «oscura» per te, dal momento che non riesci a vederla con l’occhio del tuo spirito. Per questo motivo la chiamo «nube della non-conoscenza», e non nube del cielo: nube della non-conoscenza che si frappone tra te e il tuo Dio.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:09
    CAPITOLO 5
    Durante la contemplazione tutte le creature che ci sono
    state, ci sono e ci saranno vanno ricacciate sotto la nube d’oblio

    E se mai tu dovessi giungere in questa nube e restarvi a lavorare seguendo il mio consiglio, allora, come questa nube della non-conoscenza è al di sopra di te, tra te e il tuo Dio, allo stesso modo devi mettere al di sotto di te una nube d’oblio tra te e tutte le creature.
    Forse vai pensando di essere troppo lontano da Dio per via di questa nube della non-conoscenza tra te e il tuo Dio: in realtà è più giusto pensare che sei più lontano da lui quando non c’è nessuna nube d’oblio tra te e tutte le creature. Ogni volta che dico: «tutte le creature», mi riferisco non solo alle singole creature in se stesse, ma anche a tutte le loro opere e alle loro caratteristiche. Non faccio eccezione per nessuna creatura, sia materiale che spirituale, e per nessuna caratteristica o opera di qualsivoglia creatura, sia essa buona o cattiva. Insomma, ogni cosa va tenuta nascosta sotto questa nube d’oblio.
    Infatti, sebbene sia sommamente utile pensare talvolta a certe caratteristiche e azioni di talune creature particolari, in questo lavoro, tuttavia, è di poca o di nessuna utilità. L’atto di ricordare o pensare a quel che una cosa è o fa, costituisce una specie di luce spirituale: l’occhio della tua anima, infatti, vi si concentra come l’occhio del tiratore è fisso sul bersaglio a cui mira. E una cosa voglio dirti: tutto ciò a cui pensi, per tutto il tempo che ci pensi, se ne sta al di sopra di te, tra te e il tuo Dio. E tanto più sei lontano da Dio, se una cosa qualsiasi diversa da Dio occupa il tuo spirito.
    Sì, se è possibile dirlo senza essere irriverenti, in questo lavoro non serve a niente o a ben poco pensare alla bontà o alla perfezione di Dio, o alla Madonna, o ai santi e agli angeli in cielo, o ancora alle gioie celesti. Ti sbagli se pensi di poter nutrire e accrescere il tuo proposito con simili considerazioni: credo proprio che in questo caso non ti saranno di alcun aiuto. Anche se è bene meditare sulla bontà di Dio, e amarlo e glorificarlo per questo, tuttavia è molto meglio pensare al suo essere puro e semplice, e amarlo e glorificarlo per se stesso.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:12

    CAPITOLO 6
    Breve considerazione sul lavoro dei libro, a partire da una domanda

    Ma ora mi interroghi e dici: «Come faccio a pensare a Dio in se stesso, e che cos’è Dio?». In verità non posso risponderti che a questo modo: «Non ne so niente».
    Con questa domanda tu mi hai proprio buttato in quella stessa oscurità e in quella stessa nube della non-conoscenza in cui vorrei che ti trovassi tu. Infatti, di tutte le creature e delle loro opere — sì, certo, anche delle opere di Dio stesso — un uomo può benissimo avere una piena conoscenza per mezzo della grazia e su esse fare delle meditazioni; ma su Dio com’è in sestesso nessuno può fare delle meditazioni. Per questo lascerò da parte tutto ciò che posso pensare e sceglierò per il mio amore quella cosa che non posso pensare. Perché? Perché Dio lo si può amare, ma non pensare. Solo con l’amore lo si può afferrare e trattenere, non certo con il pensiero.
    Perciò anche se è bene talvolta pensare in particolare alla bontà e alla perfezione di Dio, e per quanto questo, possa rivelarsi illuminante e costituire una parte della contemplazione stessa, tuttavia nel nostro lavoro tutto ciò deve essere ricacciato in basso e ricoperto da una nube d’oblio. E tu devi camminarvi sopra con vigore e con zelo, sotto la spinta di un devoto e gioioso slancio d’amore, nell’intento di perforare quell’oscurità che ti sovrasta. Colpisci dunque questa fitta nube della non-conoscenza con la freccia acuminata del desiderio d’amore e non muoverti di lì, qualunque cosa capiti.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:13
    CAPITOLO 7
    Come ci si deve comportare nei riguardi dei propri pensieri,
    specie quelli che nascono dall’avidità di sapere e dall’intelligenza naturale

    E se per caso sorge dentro di te qualche pensiero e viene a intromettersi tra te e questa oscurità, ponendoti continuamente queste domande: «Cosa cerchi? E che cosa vorresti avere?», allora devi rispondere che è Dio che vorresti possedere: «È lui che desidero, lui che cerco, lui e nient’altro che lui».
    E se quel pensiero dovesse chiederti: «Che cos’è questo Dio?», rispondigli che è colui che ti ha creato e redento, e che per sua grazia ti ha chiamato al suo amore. E di lui — continua pure — tu non sai assolutamente niente.
    Digli dunque: «In basso, vattene giù in basso!», e non esitare a calpestarlo con uno slancio d’amore, anche se può sembrarti un pensiero santo e inteso ad aiutarti nella tua ricerca di Dio. Forse ti richiamerà alla mente aspetti diversissimi della sua meravigliosa bontà, e riaffermerà che Dio è in sommo grado dolcezza e amore, grazia e misericordia. Se ti metterai ad ascoltarlo, ricordati che non chiede di meglio. Infatti, andrà avanti a chiacchierare sempre più, e per finire ti ricondurrà, giù al pensiero della passione di Cristo. Lì ti mostrerà la meravigliosa bontà di Dio, e se vi presterai attenzione, non farai altro che il suo gioco. Subito dopo, infatti, ti farà vedere la tua misera vita passata, e nel ripercorrerla può darsi che riesca a fermare la tua attenzione su qualche posto in cui hai vissuto tanto tempo prima. Cosicché, senza nemmeno rendertene conto, eccoti ricacciato non si sa dove, nella dispersione. E quale ne è la causa? Il semplice fatto che dapprima hai prestato ascolto di buon grado a quel pensiero, poi gli hai risposto, l’hai accettato, e infine l’hai lasciato fare.
    Ciò nonostante, quel pensiero era buono e santo, sì, così santo che, paradossalmente, nessun uomo o donna può sperare di giungere alla contemplazione senza una buona base di dolci meditazioni sulla propria miseria, sulla passione di nostro Signore, sulla bontà di Dio, sulla sua magnanimità e perfezione. Tuttavia, quando uno ha fatto queste meditazioni per molto tempo, deve lasciarla e ricacciarle lontano sotto la nube d’oblio, se vuol veramente sperare di perforare un giorno quella nube della non-conoscenza che sta tra lui e Dio.
    Perciò, quando senti che Dio ti chiama, per sua grazia, a questo lavoro e che tu sei pronto a rispondervi, eleva il tuo cuore verso di lui con umile slancio d’amore. E per Dio, intendi colui che ti ha creato e redento, e che ti ha chiamato per sua grazia a questo stato di vita. Non ammettere alcun altro pensiero su Dio. Non è che tu debba pensare a tutto ciò anche se non ne hai voglia: una pura intenzione diretta a Dio, e a lui solo, è più che sufficiente.
    Se vuoi ripiegare e avvolgere questa intenzione in una sola parola così da tenerla più saldamente, prendi una parola corta, meglio se di una sola sillaba: più è corta, più si intona all’opera dello spirito. Una tale parola può essere «Dio» o ancora «Amore». Scegli una di queste due o un’altra di tuo gradimento, purché sia di una sola sillaba. E questa parola legala stretta al tuo cuore, così che non se ne stacchi più, qualunque cosa accada. Questa parola sarà il tuo scudo e la tua lancia, sia in pace che in guerra. Con questa parola picchierai sulla nube e sull’oscurità che ti sovrasta. Con questa parola sopprimerai ogni pensiero sotto la nube d’oblio. A tal punto che se qualche pensiero ti metterà sotto pressione chiedendoti cosa mai stai cercando, non gli risponderai se non con questa semplice parola. E se si farà avanti con la sua scienza per spiegarti il significato di quella stessa parola ed esporne le varie proprietà, gli dirai che vuoi conservarla intatta nella sua interezza, e non intendi ridurla in briciole.
    Se ti terrai ben saldo in questo proposito, ti assicuro che quel pensiero se ne andrà immediatamente. E perché? Perché tu non gli avrai dato modo di nutrirsi di quelle dolci meditazioni di cui ho parlato prima.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:13
    CAPITOLO 8
    Un chiarimento su alcuni problemi che possono presentarsi nel corso della contemplazione: il rifiuto della curiosità intellettuale propria dell’animo umano, e la distinzione dei gradi e delle parti tra la vita attiva e quella contemplativa

    Ma ecco che mi chiedi: «Che cos’è quella cosa che si intromette nel mio lavoro? È buona o cattiva?». Se, come dici, si trattasse di una cosa cattiva, allora resto sorpreso dal fatto che viene ad accrescere così tanto la devozione di un uomo. Infatti, talvolta ho la netta impressione che si ottenga grande conforto ad ascoltare le sue ispirazioni. Queste mi fan piangere amaramente, allorché mi muovono a compassione ora per la passione di Cristo, ora per la mia propria miseria o per altri motivi che mi sembrano senz’altro santi e di grande aiuto. Per questo ritengo che quella casa non può assolutamente essere cattiva. Ma se invece è buona, e per di più mi fa del gran bene con le sue dolci ispirazioni, allora mi sembra molto strano che tu mi ordini di ricacciarla, e così lontano poi, sotto la nube d’oblio».
    La tua mi pare proprio una domanda pertinente: per questo cercherò di risponderti meglio che posso, anche se in maniera sempre inadeguata.
    Innanzitutto, quando mi chiedi cosa sia quella cosa che vuole intromettersi a tutti i costi nel tuo lavoro, prestandosi perfino ad aiutarti, rispondo che si tratta di una visione chiara e penetrante da parte della tua mente, che è la facoltà razionale dell’anima.
    E quando mi chiedi se è una cosa buona o cattiva, dico che è fondamentalmente buona per sua natura, poiché la ragione è un raggio della rassomiglianza con Dio. Ma l’uso che se ne fa può essere buono o cattivo. Buono, quando la ragione riesce, per grazia, a farti aprir gli occhi sulla tua stessa miseria, sulla passione di nostro Signore, sulla bontà e sulle opere meravigliose di Dio nelle sue creature, sia quelle corporali che quelle spirituali. Allora non c’è da meravigliarsi se accresce a tal punto la tua devozione, come tu stesso dici.
    Ma vi è anche un cattivo uso della ragione, che si ha quando questa si gonfia d’orgoglio e di quella curiosità di sapere e di erudizione che si può ritrovare in certi uomini di chiesa. Questi si dan da fare per avere una reputazione non di umili scolari nelle cose divine e di maestri nell’umile devozione, ma di orgogliosi scolari del diavolo e di maestri di vanità e menzogne. Ma anche tutti gli altri uomini e donne, siano essi religiosi o secolari, fanno cattivo uso della ragione, quando questa li gonfia d’orgoglio e di curiosità per tutte le vanità terrene e li rende avidi di lodi, ricchezze, sfarzi inutili e popolarità di questo mondo.
    Se però mi chiedi il motivo per cui devi ricacciare tutto ciò sotto la nube d’oblio, dal momento che si tratta di una cosa fondamentalmente buona e che per di più, una volta usata bene, si rivela di grande aiuto nell’accrescere la tua devozione, ti rispondo prontamente in questo modo.
    Devi sapere che esistono due tipi di vita all’interno della santa chiesa: una è la vita attiva, l’altra è quella contemplativa. Delle due la prima è inferiore, la seconda è superiore.
    La vita attiva ha due gradi, uno inferiore e uno superiore, così come la vita contemplativa ha due gradi, uno inferiore e uno superiore.
    Ancora, queste due maniere di vita sono così strettamente legate. pur nella loro diversità, che non è possibile viverne Una senza una parte dell’altra. Tant’è vero che la parte superiore della vita attiva è ancora la stessa parte inferiore della vita contemplativa. Pertanto nessun uomo può dirsi pienamente attivo se non è, almeno in parte, contemplativo; allo stesso modo, non ci può essere un vero contemplativo, almeno in terra, che non sia in parte attivo.
    La vita attiva inizia e termina in questa vita, non così la vita contemplativa. Essa, infatti, inizia in questa vita, ma dura per sempre. Quella parte che Maria ha scelto non le sarà tolta mai. L’attivo si preoccupa e si affanna per molte cose; il contemplativo invece si accontenta di una sola.
    La parte inferiore della vita attiva consiste in opere di carità e misericordia corporale, tutte cose buone e oneste. La parte superiore della vita attiva, che è poi quella inferiore della vita contemplativa, è fatta di varie cose: efficaci meditazioni spirituali, una chiara coscienza della propria miseria, oltre a dolore e contrizione; una pietosa e compassionevole considerazione della passione di Cristo e dei suoi servi; un’immensa gratitudine e lode a Dio per i suoi doni meravigliosi, per la sua bontà e le sue opere in tutte le creature, materiali e spirituali.
    Ma la parte superiore della contemplazione, così come la si può vivere su questa terra, è tutta racchiusa in questa oscurità e in questa nube della non-conoscenza, con un impulso d’amore che spinge a cercare atastoni nel buio il puro essere di Dio; sì, lui e lui solo.
    Nella parte inferiore della vita attiva l’uomo agisce esteriormente e sta, per così dire, al di sotto di se stesso o. Nella parte superiore, che è poi quella inferiore della vita contemplativa, l’attività dell’uomo riguarda la sua interiorità, per cui egli si trova al suo stesso livello. Nella parte superiore della vita contemplativa, invece, l’uomo si innalza al di sopra di se stesso ed è inferiore, solamente a Dio. Sì, al di sopra di se stesso, perché è suo fermo proposito ottenere per grazia quello che non può conseguire per natura, cioè l’unione con Dio in spirito: essere una sola cosa con lui in conformità d’amore e volontà.
    E come è impossibile, dal nostro punto di vista terreno, giungere alla parte superiore della vita attiva senza aver lasciato per un poco di tempo quella inferiore, così non si può passare alla, parte superiore della vita contemplativa senza aver lasciato per un poco di tempo quella inferiore. Allo stesso modo, com’è sconveniente e dannoso per chi è impegnato nella meditazione fissare l’attenzione sulle proprie azioni esteriori — già fatte o da fare, per quanto possano essere sante in se stesse —, così è senz’altro sconveniente e dannoso, per chi lavora in questa oscurità e in questa nube della non-conoscenza con un affettuoso slancio d’amore verso Dio in se stesso, lasciare che si frapponga tra sé e il suo Dio qualche pensiero o meditazione sui doni meravigliosi di Dio, sulla sua bontà e sulle sue opere in tutte le creature, materiali e spirituali, per quanto questi pensieri possano essere santi, piacevoli, o comunque di grande conforto.
    Ed è per questo motivo che ti dico di sopprimere questi pensieri così sottili e insidiosi, e di ricoprirli con una fitta nube d’oblio, anche se sono santi e promettono fermamente di aiutarti a raggiungere la meta. È l’amore, infatti, che può portare a Dio già in questa vita, e non il sapere. E per tutto il tempo in cui l’anima dimora in questo corpo mortale, la nostra acuta comprensione nei riguardi delle cose spirituali, e in particolar modo di Dio, è contaminata da ogni sorta d’immaginazioni che rendono impuro il nostro lavoro u. Di conseguenza, ci sarebbe veramente da meravigliarsi se tutto questo non dovesse farci cadere in grave errore.
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    00 07/09/2013 12:14
    CAPITOLO 9
    Durante la contemplazione, ogni ricordo,
    anche se si tratta delle cose più sante, è più di ostacolo che di aiuto

    Perciò devi sempre sopprimere l’intensa attività della tua immaginazione che vien sempre a disturbarti allorché ti disponi a questa cieca contemplazione. Che se tu non la sopprimi, sarà lei a farlo con te. Così che quando sei convinto di trovarti in questa oscurità e di non aver altro pensiero all’infuori di Dio, se vi fai ben attenzione noterai che la tua mente non è affatto occupata da questa oscurità, ma dalla chiara considerazione di qualcosa al di sotto di Dio. In tal caso, questo qualcosa se ne sta per il momento al di sopra di te, in mezzo tra te e il tuo Dio. Fa’ dunque il serio proposito di rigettare simili considerazioni, per quanto possano essere sante e attraenti.
    Una cosa ti voglio dire: giova di più alla salvezza della tua anima, ha più valore, in se stesso e piace di più a Dio e a tutti gli angeli e i santi in cielo — sì, è di maggiore aiuto a tutti i tuoi amici nel corpo e nello spirito, vivi o morti — questo cieco slancio d’amore verso Dio in se stesso e questa continua e segreta pressione d’amore verso la nube della non-conoscenza. Meglio dunque sarebbe avere un simile atteggiamento e provarlo come fosse un sentimento spirituale, piuttosto che contemplare o fissare l’attenzione sugli angeli o i santi in cielo, o ancora ascoltare la gioiosa melodia che circonda beati.
    Non meravigliarti di quanto ti dico. Se tu potessi anche una sola volta percepire chiaramente questo slancio d’amore e questa segreta pressione, così da giungere per grazia a impossessartene e a sperimentarli in questa vita, la penseresti anche tu come me. Stai pur certo, però, che non potrai mai avere la chiara visione di Dio qui in questa vita. Puoi comunque aver coscienza di lui, se Dio stesso te lo concede per sua grazia. Eleva dunque il tuo amore fino a quella nube. O, per meglio dire, lascia che Ilio attiri il tuo amore su su fino a quella nube. E sforzati, con l’aiuto della sua grazia, di dimenticare tutto il resto.
    Se il semplice pensiero di qualcosa al di sotto di Dio, pensiero spontaneo e nient’affatto ricercato, ti allontana di più da Dio che se non ci fosse stato nemmeno, e ti danneggia a tal punto da renderti meno capace di sperimentare il frutto del suo amore, quanto più dannoso si rivelerà un pensiero deliberatamente preso in considerazione e assecondato. E se il ricordo di qualche santo in particolare o di qualche oggetto puramente spirituale ti ostacola così tanto nel tuo lavoro, che ne sarà del ricordo di qualcuno che ancora vive in questa vita miserabile, o di qualsiasi altra cosa materiale o mondana?
    Io non dico che quel pensiero improvviso e spontaneo, assolutamente involontario, pensiero riguardante una cosa buona e puramente spirituale che si trova al di sotto di Dio, o quell’altro pensiero suscitato appositamente per accrescere la propria devozione, siano di per se stessi un male, anche se sono di ostacolo in questo lavoro.
    Dio non voglia che tu mi fraintenda. Quello che voglio dire è che, per quanto possa essere buono e santo, quel pensiero è più di ostacolo che di aiuto, almeno per il momento. Infatti, chi cerca Dio nella perfezione non troverà mai il proprio riposo nel ricordo di qualche angelo o santo del cielo.
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    00 07/09/2013 12:16
    CAPITOLO 10
    Come si fa a sapere se un pensiero è da considerare peccato o meno;
    e se è peccato, quando è mortale e quando è veniale

    Ma questo non vale per qualsiasi ricordo di una persona vivente o, di qualunque altra cosa materiale o mondana. Quel pensiero spontaneo e improvviso che nasce dentro di te senza che tu lo abbia cercato o voluto, non ti può certo essere imputato a peccato. Lo si può sì considerare peccato, in un certo senso, in quanto è la conseguenza del peccato originale, che ti ha privato del dominio sui tuoi pensieri. Dal peccato originale però sei stato purificato nel battesimo.
    Diventa, invece, un vero e proprio peccato se questo impulso improvviso non lo metti subito a tacere. Il tuo cuore di carne è così fragile che ne sarebbe facilmente attratto o per una specie di compiacimento, se si tratta di qualcosa che ti piace o ti è piaciuto in passato, o per una specie di risentimento, se si tratta di qualcosa che ti fa soffrire o ti ha fatto soffrire in passato.
    Per coloro che già vivono in peccato mortale, l’attaccamento a questo impulso non è altro che un ulteriore peccato mortale; ma per te e per tutti coloro che hanno volontariamente lasciato il mondo per vivere devotamente, in un modo o nell’altro, in obbedienza alla santa chiesa (non importa se con voti pubblici o privati), intendendo così essere governati non dalla vostra volontà o opinione personale, ma dalla volontà e dai consigli dei vostri superiori, religiosi o secolari; per voi, dunque, un tale attaccamento del vostro cuore carnale, o per compiacimento, o per risentimento, non va certo al di là di un peccato veniale.
    La ragione di tutto questo è che la tua intenzione era già basata e radicata in Dio quando ancora eri all’inizio dello stato di vita in cui ora ti trovi, grazie anche all’assistenza e ai consigli di qualche buon padre spirituale. Ma se tu concedi ampio spazio a questo compiacimento o risentimento legato al tuo cuore carnale, senza far niente per reprimerlo, allora finisce per piantar radici nel tuo cuore spirituale, cioè nella tua volontà, e tutto questo con il tuo pieno consenso. In tal caso è peccato mortale.
    E questo accade ogni qualvolta tu, o uno di quelli di cui ho appena parlato, rievochi deliberatamente alla memoria qualche persona vivente o qualche oggetto materiale o mondano. Se si tratta di qualcosa o di qualcuno che ti fa soffrire o ti ha fatto soffrire in passato, allora nasce in te una passione furiosa e una sete di vendetta: ecco l’ira.
    Oppure ti mostri sdegnato e provi un certo disgusto nei confronti di quella persona, e fai dei giudizi severi e malevoli sul suo conto: ecco l’invidia.
    O ancora, si fa strada dentro di te una certa stanchezza e indifferenza di fronte a qualsiasi buona occupazione, sia materiale che spirituale: ecco l’accidia.
    Se invece si tratta di qualcosa che ti piace o ti è piaciuto in passato, allora provi uno smodato piacere ogni qualvolta ci pensi sopra, qualunque cosa sia, così che ti riposi all’ombra di questo pensiero, e finisci per legarvi il tuo cuore e la tua volontà, e per nutrire di questo solo pensiero il tuo cuore carnale. A questo punto non pensi di poter desiderare nient’altro di meglio se non di vivere e riposare in pace, in compagnia di questo piacevole pensiero. Ora, se questo pensiero che tu rievochi deliberatamente o a cui fai spazio quando viene o su cui ti soffermi con piacere, riguarda l’eccellenza della natura o del sapere, il fascino o la posizione sociale, i privilegi o la bellezza, allora ecco la superbia.
    Se invece si tratta di beni terreni, ricchezze o proprietà, o qualsiasi altra cosa si può possedere o di cui si può essere padroni, ecco la cupidigia.
    Se poi si tratta di cibi e bevande raffinati, o di qualsiasi altra forma di delizie del palato, ecco la golosità.
    Infine, se c’entra l’amore o il piacere, o una forma qualsiasi di impurità, di allettamento o di lusinga, verso gli altri o verso se stessi, allora ecco la lussuria.
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    00 07/09/2013 12:17
    CAPITOLO 11
    Occorre dare la giusta importanza a ogni pensiero e a ogni impulso,
    e stare attenti a non trascurare il peccato veniale

    Se dico questo non è perché ritengo che tu e tutti gli altri di cui ho fatto menzione siate colpevoli e gravati di tali peccati. Quel che io voglio è che tu dia la giusta importanza a ogni pensiero e a ogni impulso, e lavori alacremente per distruggerli alla radice, non appena fanno la loro comparsa, e ti dànno perciò l’occasione di peccare.
    Ho una cosa da dirti: chiunque non valuta attentamente o non dà troppo peso ai primi pensieri, e questo anche se non vi trova alcun motivo di peccato, si macchia sicuramente di trascuratezza nei confronti del peccato veniale. Nessun uomo riesce a sfuggire completamente al peccato veniale in questa vita mortale. Però, tutti i veri discepoli della perfezione devono evitare la trascuratezza nei confronti del peccato veniale. In caso contrario, non c’è da meravigliarsi se prima o poi questi cadono in peccato mortale.
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    00 07/09/2013 12:17
    CAPITOLO 12
    Con questo lavoro non solo si distrugge il peccato,
    ma si acquistano anche le virtù

    Perciò, se vuoi tenerti in piedi e non cadere, non recedere mai dal tuo fermo proposito: colpisci a più riprese la nube della non-conoscenza che si trova tra te e il tuo Dio, con la freccia acuminata del desiderio d’amore. Non aver l’ardire di pensare a qualsiasi cosa inferiore a Dio, e non venir via di lì qualunque cosa capiti. È solo grazie a questo lavoro che puoi sperare di distruggere il fondamento e la radice del peccato so
    Se anche dovessi digiunare oltre misura o vegliare fino a tarda notte o alzarti alle prime luci dell’alba o dormire su un tavolaccio e portare il cilicio — sì, se anche ti fosse permesso, ma non lo è!, di cavarti gli occhi o di tagliarti la lingua o di tapparti le orecchie o le narici o di amputarti le membra, insomma, di torturarti il corpo in maniera inverosimile —, tutto questo non ti servirebbe assolutamente a niente. Sentiresti ancora dentro di te gli stimoli e gli impulsi del peccato.
    E c’è di più: se anche dovessi piangere lacrime di dolore per tuoi peccati o per le sofferenze di Cristo, o pregustare le gioie del cielo, a che servirebbe? Certamente ricaveresti molto bene, un grande aiuto e giovamento e, in definitiva, molta grazia. Ma in confronto a questo cieco slancio d’amore è veramente ben poca cosa quel che può farti tutto ciò, se manca l’amore. Proprio in questo, e non in altro, consiste «l’ottima parte» che Maria ha scelto. Tutto il resto, senza di essa, è praticamente inutile. E questo amore non solo distrugge il fondamento e la radice del peccato, per quel che è possibile nella vita presente, ma in più suscita le virtù. Infatti, se c’è l’amore, tutte le altre virtù vi sono comprese in maniera vera, perfetta e sensibile, senza che nulla renda meno retta la nostra intenzione. Se manca l’amore, invece, si possono avere tante virtù quante se ne vogliono: saranno tutte in qualche modo viziate da un’intenzione non retta, e quindi imperfette.
    Infatti, la virtù non è altro che una tendenza dell’animo ben ordinata e misurata, rivolta direttamente a Dio per amor suo.
    Perché? Ma è lui, in se stesso, la pura causa di tutte le virtù! Tanto è vero che se qualcuno fosse spinto a ricercare una particolare virtù per motivi diversi, anche se Dio fosse il motivo principale, una virtù del genere sarebbe imperfetta. E questo lo si vedrà meglio prendendo come esempi una o due virtù, quali l’umiltà e la carità. Chiunque possiede veramente queste due virtù non ha bisogno d’altro: ha già tutto.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:17
    CAPITOLO 13
    In che cosa consiste l’umiltà;
    quando è perfetta e quando è imperfetta

    Esaminiamo innanzitutto la virtù dell’umiltà.
    Vedremo che questa è imperfetta quando è originata da motivi diversi da Dio, anche se Dio è quello principale; è invece perfetta quando trae origine da Dio, e da lui solo.
    Iri primo luogo dobbiamo sapere che cos’è l’umiltà, se vogliamo intenderla adeguatamente: solo allora saremo in grado di stabilire con maggior verità da dove trae origine. In se stessa, l’umiltà non è nient’altro che la vera conoscenza e la piena coscienza del proprio io, così com’è. Poiché, senz’altro, chiunque riesce a vedere e sentire se stesso così com’è, in verità di spirito, costui è veramente umile.
    Due sono le cause dell’umiltà.
    La prima è la degradazione, la miseria e la fragilità dell’uomo, conseguenze dirette del peccato d’origine: di queste cose dobbiamo aver coscienza per tutto il tempo della nostra vita mortale, quand’anche fossimo dei santi.
    La seconda è l’amore sovrabbondante e la perfezione di Dio in se stesso: nel contemplarlo tutta la natura trema, tutti i dotti diventano stolti, tutti gli angeli e i santi, ciechi. Che se egli, nella sua saggezza divina, non avesse ben dosato la loro contemplazione a seconda della capacità naturale e del progresso nella grazia, non ci sarebbero parole per dire quello che potrebbe capitare a essi.
    La seconda delle cause che stiamo considerando è perfetta: durerà per sempre. La prima, invece, è imperfetta. Infatti non solo vien meno alla fine della nostra esistenza, ma ancora può capitare che un’anima, non importa se è santa o miserabile, mentre vive in un corpo mortale, perda completamente e improvvisamente ogni conoscenza e coscienza del proprio essere; e tutto questo avviene allorché la grazia di Dio accresce a dismisura il suo desiderio, con una frequenza e una durata che dipendono solo da Dio.
    Sia che capiti spesso o raramente a un’anima che vi è ben preparata, non penso che quest’esperienza duri più di un brevissimo istante.
    Ma in quell’istante l’anima è perfettamente umile, poiché non conosce e non sente nessun’altra causa se non quella principale che è Dio stesso. Ma ogniqualvolta sa e sente che vi è qualche altra causa oltre a Dio, anche se questi è la ragione principale, allora la sua umiltà è ancora imperfetta. Nonostante tutto anche questa è buona, ed è sempre necessario averla. Dio non voglia che tu mi abbia a fraintendere.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:18
    CAPITOLO 14
    È impossibile che un peccatore giunga all’umiltà perfetta
    in questa vita senza passare prima per quella imperfetta

    Anche se la chiamo umiltà imperfetta, tuttavia è solo attraverso questa vera conoscenza e coscienza di me stesso, così come sono, che posso giungere alla causa perfetta e alla virtù stessa dell’umiltà. E penso proprio che si faccia più presto in questo modo, che non se tutti gli angeli e i santi in cielo, in unità con tutti gli uomini e le donne della santa chiesa in terra, sia religiosi che secolari, di ogni ordine e grado, si mettessero tutti insieme per quest’unico scopo: pregare Dio perché mi dia la perfetta umiltà. Sì, è veramente impossibile che un peccatore riesca a ottenere, o a conservare quando già ce l’ha, la virtù perfetta dell’umiltà senza quella imperfetta.
    Perciò sgobba e suda più che puoi per conoscerti a fondo e costatane la tua miseria. Penso proprio che in tal caso non passerà troppo tempo che tu potrai avere una vera conoscenza ed esperienza di Dio, così com’è. Naturalmente non così com’è in se stesso, poiché nessuno può giungere a tanto, se non Dio solo; e nemmeno così come lo conoscerai in cielo, anima e corpo. Ma nella misura in cui può conoscerlo e farne esperienza un’anima umile che ancora vive in un corpo mortale, sempre se Dio stesso lo concede.
    E adesso non pensare che per il semplice fatto che ho individuato due cause dell’umiltà, una perfetta e l’altra imperfetta, io voglio che tu smetta di lavorar dietro all’umiltà imperfetta per concentrarti interamente su quella perfetta. No di certo, in questo modo non riusciresti mai ad acquistarla. Ma se ti ho dato queste indicazioni è perché voglio che tu ti renda conto della preminenza di quest’esercizio spirituale nei confronti di qualsiasi altro esercizio, fisico o spirituale, anche se vien fatto per ispirazione della grazia. Voglio anche che tu sappia che quest’amore segreto che preme continuamente sulla nube della non-conoscenza frapposta tra te e il tuo Dio, se nasce da uno spirito puro contiene veramente e perfettamente dentro di sé la virtù perfetta dell’umiltà, dal momento che non va alla ricerca di niente altro in particolare all’infuori di Dio. Voglio insomma che tu sappia in che cosa consiste l’umiltà perfetta, perché una volta capìta, tu la possa amare, a vantaggio sia mio che tuo; e attraverso questa conoscenza tu possa diventare più umile.
    Spesso, infatti, accade che l’ignoranza è causa di molto orgoglio; almeno, questo è il mio parere. Con ogni probabilità, se tu non sapessi qual è l’umiltà perfetta, ti basterebbe avere un po’ di conoscenza e di esperienza di quella che io chiamo umiltà imperfetta, per credere di aver quasi acquisito l’umiltà perfetta. E così inganneresti te stesso, credendo di essere totalmente umile, quando invece sei divorato da un orgoglio ripugnante e puzzolente. Cerca dunque di lavorare a più non posso per acquistare l’umiltà perfetta. Chi l’ha, infatti — e per tutto il tempo che l’ha —, non commette alcun peccato. E anche quando non l’avrà più, non commetterà molti peccati.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:18
    CAPITOLO 15
    Breve argomentazione contro l’errore di coloro che sostengono
    che l’umiltà perfetta deriva dalla coscienza della propria miseria

    Devi credere fermamente a questo: che esiste un’umiltà perfetta così come io te l’ho spiegata, e che la si può conseguire, per grazia di Dio, già su questa terra. Questo discorso io lo faccio per confutare l’errore di chi sostiene che non vi è causa più perfetta di umiltà, se non quella che nasce dal ricordo della nostra miseria e dei peccati commessi.
    Sono pienamente d’accordo sul fatto che per i peccatori incalliti come me, il modo più necessario ed efficace per ottenere l’umiltà sta nel ricordo della nostra miseria e dei peccati commessi, almeno fin quando non sia stata in gran parte raschiata la spessa ruggine del peccato, testimoni la nostra coscienza e il nostro direttore spirituale. Ma per quelli che potremmo definire giusti, che non hanno cioè mai commesso un peccato mortale con piena avvertenza e deliberato proposito, ma solo per debolezza e ignoranza, e che ora si fanno contemplativi — e anche per noi due, se la nostra coscienza e il nostro direttore spirituale attestano che abbiam fatto debita ammenda dei nostri peccati attraverso la contrizione, la confessione e la penitenza secondo la procedura stabilita dalla santa chiesa, sempre se ci sentiamo chiamati grazia a diventare contemplativi —; per tutti costoro, dunque, c’è un’altra causa che li renderà umili.
    Questa causa è a tal punto superiore a quella imperfetta, come la vita della Madonna è superiore a quella del più accanito peccatore che conduce vita penitente nella santa chiesa, o come la vita di Cristo è superiore a quella di ogni altro uomo al mondo, o come la vita di un angelo in cielo, il quale non ha mai conosciuto né mai conoscerà la fragilità umana, è superiore a quella dell’uomo più fragile qui su questa terra.
    Che se non ci fosse una causa più perfetta di umiltà se non quella di vedere e sentire la nostra miseria e debolezza, allora vorrei proprio sapere da coloro che la pensano a questo modo, che cos’è che rende umili quelli che non hanno mai conosciuto né mai conosceranno l’assalto del peccato o la miseria umana. Mi riferisco a nostro Signore Gesù Cristo, alla Madonna e a tutti gli angeli e i santi in cielo. Che noi dobbiamo essere perfetti, in questo come in tutte le cose, è nostro Signore Gesù Cristo che ce lo ricorda nel vangelo, quando ci ordina di essere perfetti per grazia cosa come lui lo è per natura.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:18
    CAPITOLO 16
    Grazie a questo lavoro, un peccatore veramente convertito
    e chiamato alla contemplazione giunge prima alla perfezione
    che non facendo qualsiasi altro lavoro;
    e perdi più in brevissimo tempo può ottenere da Dio il perdono dei peccati

    Che nessuno accusi di presunzione chi, fosse anche il più miserabile peccatore di questo mondo, dopo aver fatto debita ammenda dei propri peccati e aver sentito dentro di sé la vocazione alla vita contemplativa, con pieno consenso del suo direttore spirituale e della propria coscienza, osa offrire a Dio il suo umile slancio d’amore e premere in segreto quella nube della non-conoscenza che sta tra lui e il suo Dio.
    Quando nostro Signore disse a Maria, tipica rappresentante di tutti i peccatori chiamati alla vita contemplativa: «Ti sono rimessi i tuoi peccati», ella non fu perdonata né per il semplice ricordo dei suoi peccati, né per il grande dolore che ne aveva, e neppure per L’umiltà che aveva acquistato nel considerare la propria miseria. Perché allora? Fu senz’altro perché amava tanto.
    Ecco! Qui si può vedere quel che riesce a ottenere da nostro Signore una segreta pressione d’amore; ed è ben al di là di ogni altra cosa che possiamo fare o immaginare. Tuttavia devo riconoscere che grande era il suo dolore e versava lacrime amare per i suoi peccati ed era veramente ricolma d’umiltà al pensiero della sua miseria. Allo stesso modo anche noi, che siamo dei miserabili e dei peccatori incalliti per tutto il tempo della nostra vita, dovremmo provare un immenso dolore per i nostri peccati e diventare veramente umili al pensiero della nostra miseria.
    Ma come? Certamente come ha fatto Maria. Ella non poteva non sentire un sincero e profondo dolore per i suoi peccati, poiché in tutta la sua vita li portava con sé dovunque andasse, legati assieme come in un fardello riposto nell’intimo del suo cuore, così da non scordarli mai. Ciò nonostante, secondo quanto afferma la bibbia, Maria aveva un dolore ancora più vivo, una brama più penosa, un sospiro più profondo, e ancor più si struggeva quasi a morte, perché voleva amare Dio in misura maggiore: era questo ad angosciarla più che non il ricordo dei suoi peccati. E tutto ciò, quando già grande era il suo amore per Dio. Non devi però meravigliarti, poiché a chi ama sui serio capita veramente così: più ama e più vorrebbe amare.
    Tuttavia, ella era pienamente cosciente di essere la più infame tra tutti i peccatori e sentiva dentro di sé con rigorosa verità l’abisso che i suoi peccati avevano creato tra lei e quel Dio che tanto amava. Ed erano proprio i suoi peccati la causa principale per cui era debole e non riusciva ad amare Dio come avrebbe voluto.
    E allora? Forse che discese dall’alto del suo desiderio nell’abisso della sua vita peccaminosa, per frugare nel letamaio e nelle acque luride e stagnanti dei suoi peccati? E si mise forse a tirarli fuori accuratamente uno alla volta, così da rimuginare, dolersi e piangere sopra ciascuno di essi? No di certo! Perché? Perché Dio, per sua grazia, le aveva dato di comprendere nell’intimo del proprio cuore che non ne sarebbe mai venuta a capo in questo modo. Se avesse agito così, avrebbe ripreso con ogni probabilità a peccare prima ancora di ottenere con ciò il perdono di tutti i suoi peccati. Ecco perché appese il suo amore e il suo ardente desiderio a questa nube della non-conoscenza e imparò ad amare quel che non sarebbe mai riuscita a vedere chiaramente in questa vita alla luce della ragione, né a gustare pienamente nell’intimo con la dolcezza del suo affetto.
    E amava a tal punto, che spesso non si ricordava nemmeno più di essere stata una peccatrice. Per la maggior parte del tempo era così presa dall’amore per Dio che, penso, non faceva più caso alla bellezza e alla grazia del corpo fisico di Cristo, per quanto fosse santo e prezioso, quando egli sedeva a parlare con lei; e non badava a nessun’altra cosa, né materiale né spirituale. Questo sembra essere l’insegnamento del vangelo su questo punto.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:19
    CAPITOLO 17
    Il vero contemplativo non ama interessarsi della vita attiva,
    né di quanto si dice o si fa nei suoi confronti, e non sta a confutare i suoi detrattori

    Nel vangelo secondo s. Luca sta scritto che mentre nostro Signore si trovava nella casa di Marta, sorella di Maria, per tutto il tempo in cui Marta si affaccendava a preparargli da mangiare, Maria se ne stava seduta ai suoi piedi. E mentre ascoltava la sua parola, non si curava né dell’affanno della sorella (anche se era un affanno del tutto buono e santo: non è, infatti, la prima parte della vita attiva?), né della preziosità del sacro corpo di Cristo, né della dolcezza umana della sua voce e delle sue parole (anche se tutto ciò sta a indicare un progresso, poiché si tratta della seconda parte della vita attiva, ovvero della prima parte di quella contemplativa).
    Ma quel che le interessava era la suprema saggezza della divinità del Signore velata dalle parole della sua umanità: a questo mirava con tutto l’amore del suo cuore. Con tutto quello che vedeva intorno a sé o si diceva o si faceva nei suoi confronti, non voleva assolutamente staccarsi di lì: se ne stava seduta senza batter ciglio e indirizzava un segreto anelito e molti, dolcissimi slanci d’amore verso quell’alta nube della non-conoscenza che si frapponeva tra lei e Dio. Voglio dirti questo: non c’è mai stata e non ci sarà mai in questa vita una creatura, per quanta pura ed estasiata nel contemplare e amare Dio, che non abbia sempre tra sé e Dio questa nube della non-conoscenza così alta e misteriosa. Proprio in questa nube Maria era tutta presa dai molti slanci segreti del suo amore. Perché? Perché è la parte migliore della contemplazione, e la più santa che ci possa essere su questa terra. Per niente al mondo ella avrebbe la sciato questa sua occupazione. Tant’è vero che quando sua sorella Marta si lamentò di lei con nostro Signore e lo pregò di dirle di alzarsi ad aiutarla e di non lasciarla sola a servire, ella se ne restò seduta senza dire una parola e non mostrò alcun segno di risentimento, né protestò nei confronti della sorella, come invece avrebbe potuto fare. Niente di strano: ella era intenta a fare un altro lavoro, di cui Marta non si rendeva conto. Per questo non si curò di ascoltarla, né di rispondere alle sue lamentele.
    Vedi, amico mio: tutto quel che avvenne tra nostro Signore e queste due sorelle, in opere, parole e gesti, vale come esempio per tutti gli attivi e i contemplativi che da allora sono sorti nella santa chiesa e che ancora vi saranno fino al giorno del giudizio.
    Maria impersona tutti i contemplativi, perché questi devono modellare la loro vita sulla sua; allo stesso modo e per le stesse ragioni Marta raffigura tutti gli attivi.
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    00 07/09/2013 12:19
    CAPITOLO 18
    Anche ai nostri giorni gli attivi si lamentano dei contemplativi,
    così come Marta fece con Maria.
    Causa di tutte queste lamentele è l’ignoranza

    Proprio come allora Marta si lamentò di sua sorella Maria, così ancor oggi gli attivi si lamentano dei contemplativi. Infatti, ammettiamo che ci sia uno — non importa se uomo o donna, secolare o religioso: non faccio eccezioni — che si sente portato dalla grazia di Dio e da una buona direzione spirituale ad abbandonare ogni attività esteriore per dedicarsi completamente alla vita contemplativa, secondo le sue attitudini e la sua coscienza, non senza il permesso del suo direttore spirituale: in men che non si dica ecco i suoi fratelli e le sue sorelle, i suoi migliori amici e molti altri ancora che non sanno niente del suo forte desiderio interiore o del tipo di vita a cui si consacra, levare contro. di lui ogni genere di lamentele, rimproverarlo aspramente e dirgli a chiare lettere che sta perdendo tempo. Ed eccoli poi raccontare un mucchio di storie, alcune vere, altre false, sulla caduta di uomini o donne, che si eran votati anch’essi a tal genere di vita in passato. Mai una volta, però, che parlino di chi è riuscito a perseverare.
    Sì, lo riconosco: molti di quelli che hanno abbandonato il mondo solo in apparenza, sono poi caduti, e questo càpita ancor oggi. Siccome non hanno voluto lasciarsi guidare da un vero direttore spirituale, invece di diventare servi di Dio e suoi contemplativi, sono divenuti servi e contemplativi del diavolo, si sono rivolti all’ipocrisia e all’eresia, oppure sono caduti nella follia e in molti altri mali, a scandalo di tutta la santa chiesa.
    Ma non è di questo che voglio continuare a parlare, altrimenti, ci allontaneremmo troppo dal nostro argomento. Semmai più in là, se Dio vuole ed e necessario, potremo: osservare qualche aspetto della loro condizione e trovare la ragione della loro caduta. Ma ora basta: dobbiamo andare avanti nel nostro argomento.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:20
    CAPITOLO 19
    Una breve giustificazione dell’autore del libro sul fatto
    che tutti i contemplativi dovrebbero scusare pienamente
    gli attivi che parlano o agiscono contro di loro

    Qualcuno potrebbe pensare che io porto poco rispetto a Marta, questa santa del tutto particolare, paragonando le sue parole di rimprovero nei confronti della sorella a quelle degli uomini del mondo o viceversa. Sia ben chiaro che io non intendo affatto mancare di rispetto né a lei né a essi. Dio non voglia che io dica in questo libro qualcosa che possa gettar discredito su qualcuno dei servi del Signore, a qualunque grado appartenga, e in special modo su questa sua santa del tutto particolare.
    Penso, infatti, che si debba comprendere e scusare appieno la sua lamentela se si considera il momento e il modo in cui la fece. La causa prima di tutto quel che disse, era la sua ignoranza. Non c’è da stupirsi se in quel momento. Marta non sapeva in qual modo Maria era occupata: credo proprio che non avesse sentito parlar molto in precedenza di una simile perfezione. Inoltre, quel che disse, lo disse in maniera cortese e succinta. Perciò la si deve considerare pienamente scusata.
    Allo stesso modo, penso che questi uomini e queste donne del mondo che vivono nella vita attiva, hanno tutte le buone ragioni per essere scusati delle loro parole di rimprovero, cui si è accennato poco sopra. E non importa se si esprimono in maniera rude: bisogna tener conto della loro ignoranza. Come Marta sapeva ben poco di quel che sua sorella Maria stava facendo, quando lei si lamentava con nostro Signore, così le persone del nostro tempo sanno anch’esse ben poco o niente di quel che si propongono i giovani discepoli di Dio quando lascian da parte gli affari di questo mondo e si sforzano di diventare servi speciali di Dio in spirito di santità e giustizia. Che se invece lo sapessero, son proprio sicuro che non parlerebbero e non agirebbero a quel modo. Perciò penso che dobbiamo ritenerli scusati in qualsiasi caso: non conoscono alcun genere di vita migliore di quel che essi stessi vivono.
    Inoltre, quando penso alle innumerevoli colpe che io ho commesso in passato, sia in parole che in opere, a causa della mia ignoranza, allora mi viene in mente che se voglio essere scusato da Dio per questi miei peccati d’ignoranza, anch’io devo aver pietà e misericordia per gli altri, scusando sempre quelle parole e azioni che derivano dalla loro ignoranza. Altrimenti, non farei certo agli altri quel che vorrei che essi facessero a me.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:20
    CAPITOLO 20
    La bontà di Dio onnipotente che risponde per conto di tutti quelli che, piuttosto che difendersi dalle accuse, non smettono di amarlo

    Penso, dunque, che quanti intendono diventare contemplativi non solo dovrebbero scusare gli altri per le loro parole di rimprovero, ma dovrebbero altresì essere così occupati spiritualmente da prestare poca o addirittura nessuna attenzione a ciò che si va dicendo o facendo nei loro confronti. È quel che fece Maria, nostro esempio in tutto questo, quando sua sorella Marta si lamentò di lei con nostro Signore. E se noi faremo altrettanto, nostro Signore non mancherà di fare per noi oggi quel che fece allora per Maria.
    Ecco quanto fece, nella sua bontà, nostro Signore Gesù Cristo, a cui non può sfuggire nessun segreto. Quando Marta gli chiese di far da giudice e di dire a Maria di alzarsi per aiutarla a servire, siccome vedeva che Maria era tutta spiritualmente intenta ad amare la sua divinità, con grande cortesia e correttezza rispose lui al suo posto. Ella, infatti, non se la sentiva di lasciar da parte il suo amore per lui, per poter così discolparsi. E come rispose nostro Signore? Certo non come, giudice, secondo quanto aveva invocato Marta; ma come avvocato prese legittimamente le difese di colei che lo amava e disse: «Marta, Marta!». Per ben due volte pronunciò il suo nome, e questo fece per il suo bene, perché voleva che ella lo sentisse e prestasse attenzione alle sue parole. «Tu ti preoccupi — le disse — e ti affanni per molte cose». Gli attivi, infatti, devono sempre occuparsi e interessarsi di una gran varietà di cose, dapprima per provvedere ai loro bisogni, e poi per fare delle opere di misericordia verso il prossimo, come richiede la carità cristiana. Così disse a Marta perché voleva farle comprendere che il suo affanno era cosa buona e utile alla salute dell’anima. Ma perché non pensasse che il suo lavoro fosse il migliore che si potesse fare, aggiunse: «Ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno».
    Qual è dunque questa cosa? Certamente che si ami e lodi Dio per se stesso, al di sopra di ogni altra attività, materiale o spirituale, che l’uomo possa fare. E affinché Marta non pensasse di poter amare e lodare Dio al di sopra di ogni altra attività materiale o spirituale, e contemporaneamente occuparsi delle necessità di questa vita, per liberarla dunque dal dubbio di poter servire Dio in maniera perfetta attraverso le attività materiali e spirituali nello stesso tempo — poteva sì farlo, ma in maniera imperfetta aggiunse che Maria aveva scelto «l’ottima parte» che non le sarebbe mai stata tolta.
    Infatti, quel perfetto slancio d’amore che inizia qui sulla terra è ancora lo stesso che durerà per sempre nella beatitudine del cielo: l’uno e l’altro sono una sola cosa.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:20
    CAPITOLO 21
    L’esatta interpretazione di questa frase del Vangelo:
    «Maria ha scelto l’ottima parte»

    Cosa significa questa frase: «Maria ha scelto l’ottima parte»? Ogni qualvolta si stabilisce o si nomina una cosa come «ottima», si presume l’esistenza di altre due prima di essa: l’una «buona», l’altra «migliore», cosicché vi sia «l’ottima», che è terza per numero. Ma quali sono queste tre cose buone di cui Maria ha scelto «l’ottima»? Tre tipi di vita, no di certo, poiché la santa chiesa ne conosce soltanto due: la vita attiva e quella contemplativa. E questi due tipi di vita sono allegoricamente raffigurati nel brano evangelico dove si parla delle due sorelle, Marta e Maria. Marta rappresenta la vita attiva, Maria quella contemplativa. Nessun uomo si può salvare senza l’una o l’altra di queste vite; d’altra parte, è impossibile scegliere quale sia l’ottima, dal momento che fra due cose soltanto se ne dà unicamente una migliore dell’altra.
    Ma sebbene ci siano solo due tipi di vita, tuttavia in essi sono comprese tre parti, ognuna superiore all’altra. Di queste tre parti si è già parlato prima in questo libro e ciascuna è stata. messa secondo un certo ordine.
    La prima parte, come si è detto, consiste in opere di carità e di misericordia corporale, tutte cose buone e oneste. Questo è il primo stadio della vita attiva.
    La seconda parte di questi due tipi di vita è composta da efficaci meditazioni spirituali sulla nostra miseria., sulla passione di Cristo e sulle gioie celesti. Se la prima parte e buona, questa e ancora migliore, poiché e il secondo stadio della vita attiva e il primo di quella contemplativa. In questa seconda parte, la vita attiva e quella contemplativa sono unite insieme in una sorta di parentela spirituale, e fatte sorelle come Marta e Maria. Fino a tale altezza di contemplazione può giungere un attivo, e non più in alto, tranne in rarissime occasioni e per una grazia tutta particolare. Fino a tale profondità può scendere verso la vita attiva un contemplativo, e non più in basso, se non in casi rarissimi e per grave necessita.
    La terza parte di questi due tipi di vita e tutta racchiusa nella nube della non-conoscenza ed è fatta di innumerevoli slanci d’amore rivolti a Dio così com’è, nel segreto del proprio cuore.
    La prima parte è buona, la seconda è migliore, la terza è ottima sotto ogni aspetto. Questa è «l’ottima parte» di Maria. Di qui si può facilmente comprendere perché nostro Signore non disse che Maria aveva scelto «l’ottima vita», dal momento che ci son solo due vite e che tra le due non si può scegliere l’ottima, ma solo la migliore. Di questi due generi di vita «Maria ha scelto — disse — l’ottima parte, quella che non le sarà tolta mai».
    La prima e la seconda parte sono sì buone e sante, ma terminano con questa vita. Infatti, nell’altra vita non ci sarà bisogno, come adesso, delle opere di misericordia, né di piangere per la nostra miseria o per la passione di Cristo. E nessuno soffrirà la fame o la sete, come invece su questa terra; nessuno morirà di freddo, né sarà ammalato o senza casa o in prigione; e nessuno avrà bisogno di essere seppellito, perché nessuno dovrà più morire. Ma la terza parte che Maria ha scelto, la scelga chi per grazia di Dio si sente chiamato a seguirla. O meglio, chiunque è scelto da Dio per quella parte, segua con lena e con gioia la sua inclinazione. Quella parte non gli sarà tolta mai: infatti, anche se comincia in questa vita, durerà per sempre.
    Lasciate, dunque, che la voce del Signore si levi contro questi attivi, come se stesse parlando loro in questo momento in nostro favore, così come fece allora con Marta per difendere Maria, dicendo: «Marta, Marta!». «Attivi, attivi!, datevi da fare più che potete nella prima e nella seconda parte, ora nell’una, ora nell’altra, o se proprio volete e vi sentite pronti, in tutt’e due contemporaneamente. Ma non impicciatevi degli affari dei contemplativi. Voi non sapete niente del loro travaglio interiore. Lasciateli stare, seduti nel loro riposo a godersi la terza e ottima parte scelta da Maria».
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:21
    CAPITOLO 22
    L’amore meraviglioso di Cristo per Maria, che rappresenta tutti i peccatori
    sinceramente pentiti e chiamati alla grazia della contemplazione

    Davvero dolce era l’amore tra nostro Signore e Maria. Ella lo amava tanto, ma ancor più grande era il suo amore per lei. Chiunque si mettesse a esaminare attentamente il rapporto stabilito tra loro due, non secondo quanto può riferire un ciarlatano qualsiasi, ma secondo la testimonianza che deriva dal racconto del vangelo, in cui non vi può essere niente di falso, troverebbe che l’amore di Maria per Cristo era così vivo che nessuna cosa al di sotto di Lui riusciva a soddisfarla o ad allontanare il suo cuore da Lui.
    Colei di cui stiamo parlando, è la stessa Maria che non volle essere consolata dall’angelo, quando cercava il Signore al sepolcro tutta piangente. Nonostante le dolci e amorevoli parole degli angeli: «Non piangere, Maria; colui che cerchi, nostro Signore, è risorto; potrai averlo e vederlo vivo in tutta la sua bellezza tra i suoi discepoli in Galilea, così come aveva preannunciato», ella non smise di piangere. Infatti pensava che chiunque intende veramente cercare il Re degli angeli, non vuol fermarsi a dei semplici angeli.
    Che c’è ancora? Indubbiamente chi esamina con attenzione i racconti evangelici riguardanti Maria, vi può trovare molti altri episodi meravigliosi di amore perfetto, scritti sul suo conto a nostra edificazione e in così stretta armonia con l’insegnamento di questo libro, come se fossero stati redatti a tal proposito. E certamente è così. Chi ha orecchie per intendere, intenda.
    E se qualcuno vuol vedere scritto nel vangelo quell’amore meraviglioso e particolare che nostro Signore aveva verso Maria, figura di tutti i peccatori abituali sinceramente pentiti e chiamati alla grazia della contemplazione, costui troverà che nostro Signore non permise a nessuno, uomo o donna che fosse, e nemmeno a Marta, di pronunciare una sola parola contro la sorella; anzi, si mise a difenderla lui stesso. Ancora, rimproverò Simone il lebbroso nella sua stessa casa per aver pensato male di lei. Questo sì che è un grande amore; un amore davvero impareggiabile.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:21
    CAPITOLO 23
    Dio risponde e provvede in modo spirituale
    a favore di coloro che per amor suo dimenticano se stessi

    Indubbiamente, se avremo un vero desiderio e ci sforzeremo, almeno per quanto sta a noi e con l’aiuto della grazia e della direzione spirituale, di conformare il nostro amore e il nostro modo di vivere a quello di Maria, nostro Signore non mancherà di rispondere in maniera spirituale anche per noi, oggi e sempre, nell’intimo del cuore di coloro che dicono o, pensano male di noi.
    Con questo non intendo dire che per tutto il tempo che passiamo in questa vita piena di affanni, non avremo più detrattori o criticoni, come li ebbe invece Maria. Dico piuttosto che se non presteremo orecchio alle loro critiche e non lasceremo a metà il nostro interiore lavoro spirituale a causa delle loro parole e dei loro pensieri — seguendo così l’esempio di Maria —, allora nostro Signore risponderà a essi in spirito, se avranno parlato o pensato senza pregiudizi, così che nel giro di pochi giorni si vergogneranno delle loro parole e dei loro pensieri.
    E come risponderà per noi in spirito, così indurrà altri in maniera tutta spirituale a darci il necessario per vivere: cibo, vestiti, e cosa via, sempre se vedrà che noi non abbiamo alcuna intenzione di smettere di amarlo per attendere a queste cose. Questo dico per confutare l’errore di quanti sostengono che non è giusto mettersi a servire Dio nella vita contemplativa, se prima non ci si è assicurati il necessario per il proprio sostentamento. Essi dicono: «Aiutati che Dio ti aiuta». In realtà sparlino di Dio, e lo sanno bene. Infatti, chiunque tu sia ad aver abbandonato con tutta sincerità il mondo per volgerti a Dio, sta’ pur certo che egli ti manderà, indipendentemente dai tuoi sforzi personali, l’una o l’altra di queste due cose: una gran quantità di beni o la forza fisica e la pazienza spirituale per sopportare.
    Che importa quale delle due si ottiene? Per il vero contemplativo non c’è alcuna differenza.
    Per chi ha dei dubbi a questo proposito, si dovrà dire che ha in cuore il diavolo che gli impedisce di credere, oppure non si è ancora convertito cosa sinceramente come dovrebbe, per quanto possano essere ingegnose e pie le scuse da lui addotte. Perciò, tu che ti proponi di diventare un contemplativo al pari di Maria, accetta di buon grado di essere umiliato dall’incomparabile grandezza e perfezione di Dio (questa è l’umiltà perfetta), piuttosto che dalla tua miseria personale (questa è l’umiltà imperfetta). In altre parole, fissa in maniera speciale la tua attenzione più sull’eminenza di Dio che sulla tua pochezza. A quelli che possiedono l’umiltà perfetta non manca assolutamente niente, né di materiale né di spirituale. Essi, infatti, hanno Dio, in cui sta tutta la pienezza, e chi possiede lui, come questo libro va continuamente dicendo, non ha bisogno di nient’altro in questa vita.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:22
    CAPITOLO 24
    Che cos’è la carità, e come è veramente e perfettamente
    contenuta nella contemplazione

    Abbiamo parlato dell’umiltà, di come essa è tutta racchiusa, in maniera vera e perfetta, in quello slancio d’amore così piccolo e cieco che va a colpire l’oscura nube della non-conoscenza, dopo aver soppresso e rigettato, nell’oblio ogni altra cosa. Questo vale, tuttavia, per tutte le virtù, e in particolare per la carità.
    La carità, infatti, consiste unicamente (e tu non dovresti intenderla in altro modo) nell’amare Dio in se stesso, al di sopra di ogni creatura, e nell’amare il prossimo come se stessi, per amore di Dio.
    Ora, che nella contemplazione si debba amare Dio in se stesso, al di sopra di ogni creatura, mi sembra abbastanza evidente: come ho già detto prima, in sostanza questo lavoro non è nient’altro che un puro anelito diretto a Dio in se stesso, e a lui solo. Sì, l’ho chiamato puro anelito, perché in quest’opera chi sta diventando vero contemplativo non pretende né una riduzione della pena, né un aumento della ricompensa, ma per dirla in breve, non chiede altro che Dio. Cosicché non gli importa più niente se è afflitto o contento: la sua unica preoccupazione è che sia fatta la volontà di colui che egli ama. Ecco come in questo lavoro si arriva ad amare Dio in se stesso, al di sopra di ogni creatura e in maniera perfetta. Chi compie alla perfezione il lavoro, non permetterà mai che il semplice ricordo di una creatura, fosse anche la più santa che Dio abbia mai creato, venga ad occupare la sua attenzione.
    Nella contemplazione si realizza in maniera perfetta anche il secondo aspetto della carità, quello relativo al prossimo. Che ciò sia vero non ci vuol molto a dimostrarlo. Infatti il perfetto contemplativo non tiene in particolare considerazione nessun uomo in quanto tale, parente o estraneo, amico o nemico che sia. Tutti gli uomini sono suoi fratelli in egual misura e nessuno gli è estraneo; tutti gli uomini sono suoi amici e nessuno è suo nemico: ecco come la pensa. E giunge al punto di considerare come suoi amici carissimi proprio quelli che gli fan del male o che lo fanno soffrire, e si sente spinto ad augurar loro lo stesso bene che si augura all’amico più caro.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:22
    CAPITOLO 25
    Durante la contemplazione l’anima perfetta
    non si interessa di nessuna persona in particolare

    Naturalmente non intendo dire che in questo lavoro il contemplativo debba avere un particolare riguardo nei confronti di chicchessia su questa terra, amico o nemico, parente o estraneo. Questo, infatti, non può assolutamente avvenire nella contemplazione perfetta, quando ogni cosa, tranne Dio, deve essere rigettata nell’oblio più completo.
    Ma quel che voglio dire è che, grazie a questo lavoro, egli sarà reso così virtuoso e caritatevole, che anche quando scenderà dalle sue altezze per conversare o pregare per il suo prossimo, si mostrerà sollecito in egual misura verso il suo amico come verso il suo nemico, verso gli estranei come verso i parenti. Sì, e talvolta più verso i suoi nemici che verso i suoi amici. Non è che per fare questo egli smetta di contemplare, il che sarebbe peccato grave. Ma di tanto in tanto è bene che discenda in fretta dalle sue altezze, per soddisfare le esigenze della carità.
    In questo lavoro d’amore non ha tempo di considerare chi è amico o nemico, parente o estraneo. Non voglio negare che a volte, e anche frequentemente, sente un affetto più intenso verso alcuni piuttosto che verso altri: si tratta di una cosa del tutto legittima, e per molte ragioni. È la carità stessa che lo richiede. Anche Cristo, infatti, sentiva un affetto più intenso verso Giovanni e Maria e Pietro, piuttosto che verso molti altri. Ma quando uno tutto preso da questo lavoro, allora, qualsiasi persona gli è ugualmente cara, poiché non trova altro motivo d’amore se non Dio stesso. Così che egli ama tutti come se stesso, in maniera piena e semplicemente per amore di Dio.
    Tutti gli uomini sono sulla via della perdizione in Adamo, ma quelli che testimoniano con le opere il loro desiderio di salvezza sono salvati in virtù della passione di Cristo, e di nessun altro. Ora, in maniera non troppo dissimile, un’anima dedita totalmente alla contemplazione, e quindi unita a Dio in spirito, fa tutto il possibile (ne è prova questo stesso lavoro) per rendere gli altri perfetti come lei. Se un membro del nostro corpo e malato, tutte le altre membra ne risentono e soffrono con lui; se invece un membro è sano, gioiscono con lui tutte le altre membra. La stessa cosa vale spiritualmente per le membra della santa chiesa. Cristo, infatti, è il nostro capo, e noi. siamo le membra, sempre se restiamo nella carità. E chiunque vuol farsi discepolo perfetto di nostro Signore, deve compiere ogni sforzo in questo lavoro spirituale per la salvezza, di tutti coloro che per natura sono a lui fratelli e sorelle, cosa come nostro Signore diede la sua vita sulla croce. E non la diede solo per i suoi amici più intimi o per i suoi parenti più prossimi, per tutta l’umanità in generale, senza alcuna particolare attenzione nei confronti dell’uno o dell’altro. Cosicché quanti intendono rinunciare al peccato e invocare la misericordia di Dio saranno salvati in virtù della passione di Cristo.
    Quanto è stato detto a proposito dell’umiltà e della carità vale anche per tutte le altre virtù. Queste, infatti, sono tutte veramente racchiuse in quel piccolo slancio d’amore a cui si è già fatto cenno.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:22
    CAPITOLO 26
    Senza una grazia del tutto speciale o una lunga pratica nella grazia comune,
    la contemplazione si rivela un lavoro molto faticoso.
    E in questo lavoro qual è il compito dell’anima,
    aiutata dalla grazia, e quello di Dio

    Perciò lavora sodo, almeno per il momento, e picchia a più non posso su quest’alta nube della non-conoscenza. Ti riposerai più tardi. È un lavoro duro, è inutile nasconderlo, per chiunque voglia intraprendere la strada della contemplazione. Sì, è davvero un lavoro faticoso, a meno che non sia reso più agevole da una grazia del tutto speciale o dal fatto che ormai uno vi si è abituato da lungo tempo.
    Ma in che cosa consiste la fatica che accompagna questo lavoro? Certo, non in quel devoto slancio d’amore che sgorga senza sosta dall’animo del contemplativo, non per sua propria virtù, ma per mano di Dio onnipotente. Egli, infatti, è sempre pronto a suscitare questo forte desiderio in ogni anima volonterosa, che fa tutto il possibile, e già da molto tempo, per prepararsi adeguatamente a un simile lavoro.
    Ma in che cosa consiste, allora, questa fatica? Senz’altro nel soffocare il ricordo di tutte le creature che Dio ha creato e nel ricacciarle sotto quella nube d’oblio di cui abbiamo già parlato. Qui sta tutta la fatica, poiché essa è opera dell’uomo, anche se è aiutato dalla grazia di Dio. Quello invece a cui si è fatto cenno prima, lo slancio d’amore, è opera di Dio, e di lui solo. Continua, dunque, a fare la tua parte; ti assicuro che egli non mancherà di fare la sua.
    Su, datti da fare, e in tutta fretta! Vediamo come te la cavi. Non vedi che è lì ad aspettarti? Vergognati! Basta che tu ti metta a lavorar sodo per un momento, e ben presto ti accorgerai che il tuo lavoro non è così immane e difficile. Infatti, anche se all’inizio, quando la tua devozione è ancora scarsa, risulta difficile e arduo da compiere, tuttavia in seguito, una volta che la tua devozione sarà giunta a buon punto, quel che prima era così duro e gravoso diventerà soave e leggero. Può darsi che in certi momenti tu non abbia più niente da fare,. o comunque pochissimo, dal momento che Dio, talvolta compirà egli stesso tutto il lavoro. Non sempre però, né per lungo tempo, ma quando vuole lui e come vuole lui. In questo caso, sarai tutto contento di lasciargli fare a modo suo.
    A questo punto può anche darsi che, di tanto in tanto, egli emani un raggio di luce spirituale cosa da trapassare la nube della non-conoscenza che sta tra te e lui, e ti sveli parte dei suoi segreti, dei quali l’uomo non ha né il permesso né la facoltà di parlare. Allora sentirai ardere in cuore la fiamma del suo amore più di quanto io non riesca a dire in questo momento. Non mi arrischio infatti a parlare, con la mia lingua carnale così balbuziente, di quel lavoro che spetta a Dio, e a lui solo; e in definitiva, se anche potessi farlo, non lo farei ugualmente. Ma del lavoro che spetta all’uomo, quando si sente stimolato e aiutato dalla grazia, di questo parlo volentieri, poiché è meno rischioso che parlare del lavoro di Dio.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:23

    CAPITOLO 27
    Chi dovrebbe impegnarsi in questo lavoro di grazia

    Per prima cosa ti voglio indicare chi deve darsi al lavoro contemplativo, e poi quando e come, e infine con quale moderazione.
    Se mi domandi chi deve assumersi questo lavoro, ecco la mia risposta: tutti coloro che hanno veramente abbandonato il mondo cori decisione per dedicarsi non alla vita attiva, ma alla vita contemplativa. Sono proprio costoro che dovrebbero impegnarsi in questo lavoro di grazia, chiunque essi siano, peccatori incalliti o meno.

    CAPITOLO 28
    Nessuno dovrebbe presumere di poter diventare
    un contemplativo senza aver prima debitamente purificato
    la propria coscienza da tutte le azioni peccaminose

    Ma se vuoi sapere quando devono dedicarsi al lavoro contemplativo, allora ti rispondo a questo modo: non prima di aver purificato la loro coscienza da tutti i peccati commessi in precedenza, secondo la comune disciplina della santa chiesa.
    In questo lavoro l’anima fa seccare completamente le radici e le fondamenta del peccato, che ancor restano anche dopo la confessione, a dispetto di tutto l’impegno che uno vi può mettere. Perciò chiunque vuol compiere ogni sforzo per diventare contemplativo, deve innanzitutto purificare la sua coscienza, e solo in seguito, dopo aver fatto debita ammenda dei propri peccati, può disporsi alla contemplazione con coraggio, sì, ma anche con umiltà. E farebbe bene a ricordarsi di tutto il tempo in cui ha fatto tutt’altro.
    Infatti, è questo il lavoro in cui l’anima dovrebbe impegnarsi per tutta la vita, anche se non avesse mai commesso un peccato grave. E per tutto il tempo in cui abiterà in questo corpo mortale, l’anima avvertirà sempre la presenza ingombrante della nube della non-conoscenza tra sé e Dio. Inoltre, come conseguenza del peccato originale, vedrà e sentirà costantemente dentro di sé qualcuna delle creature che Dio ha fatto, o qualche loro opera, tutte protese a intromettersi tra sé e Dio.
    Anche questo fa parte della saggezza e della giustizia di Dio: l’uomo, quand’era signore e padrone di tutte le altre creature, si rese volontariamente schiavo dei suoi stessi sudditi, disubbidendo al comando di Dio, suo creatore, cosicché ora, ogniqualvolta vuol eseguire quel comando, vede e sente ergersi al di sopra di sé e intromettersi di prepotenza tra sé e Dio, quelle stesse creature che dovrebbero star sotto di lui.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:23
    CAPITOLO 29
    Bisogna impegnarsi continuamente in questo lavoro,
    sopportarne pazientemente le sofferenze, e non giudicare nessuno

    Perciò chi vuol veramente riacquistare la purezza persa con il peccato e conseguire quello stato salutare in cui non vi è, più dolore, deve impegnarsi continuamente in questo lavoro, sopportandone pazientemente le conseguenze: questo vale sia per un peccatore incallito che per chiunque altro.
    Tutti trovano estremamente, faticoso questo lavoro: sia i peccatori, sia i giusti che non hanno mai commesso un peccato mortale.
    Ma in definitiva è molto più gravoso per i primi che non per gli altri, ed è anche giusto che sia così. Tuttavia, capita spesso che alcuni peccatori incalliti, colpevoli di peccati orribili, giungano alla contemplazione perfetta prima di altri che non han mai peccato gravemente. Questo è un miracolo della misericordia di nostro Signore, il quale dona loro la sua grazia particolare per riempire di stupore il mondo intero. Ma non ci sarà certo stupore al giorno del giudizio — almeno, io credo —, quando potremo vedere Dio e tutti i suoi doni con chiarezza. Alcuni che ora sono disprezzati e che non godono la minima stima, poiché sono comuni peccatori o forse anche peccatori incorsi in orribili mancanze, in quel giorno siederanno a buon diritto al cospetto di Dio in compagnia dei santi. Altri, invece, che ora sembrano aver raggiunto la perfezione della santità, che son venerati dagli uomini al pari degli angeli e che forse non hanno mai commesso un peccato mortale, troveranno posto negli abissi dell’inferno, là dov’è pianto e stridor di denti.
    Di qui si può vedere come nessun uomo dovrebbe giudicare un altro in questa vita, né in bene; né in male. Le azioni, quelle sì, possono essere legittimamente giudicate buone o cattive, ma non gli uomini.

    CAPITOLO 30
    Chi può biasimare e condannare le colpe degli altri

    Ma chi potrà giudicare le azioni degli uomini?
    Senza alcun dubbio quelli che hanno in cura le loro anime e che sono investiti della debita autorità: non importa se ufficialmente, secondo gli ordinamenti della santa chiesa, oppure privatamente e spiritualmente, per una particolare ispirazione dello Spirito santo, in carità perfetta. Ciascuno, dunque, stia attento a non arrogarsi la facoltà di biasimare e condannare le colpe altrui, a meno che non vi si senta veramente stimolato dentro di sé dallo Spirito santo. Diversamente; potrebbe incorrere in errore con sorprendente facilità nel dare dei giudizi. Perciò, fa’ attenzione: giudica te stesso se vuoi, con l’aiuto di Dio o del tuo padre spirituale, ma lascia stare gli altri.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:24
    CAPITOLO 31
    Come si deve comportare il principiante nei confronti
    dei pensieri e degli impulsi peccaminosi

    Quando avrai la sensazione di aver fatto tutto il possibile per correggere adeguatamente i tuoi peccati, secondo quanto stabilisce la santa chiesa, da quel momento mettiti subito a lavorare con decisione in questo lavoro. A questo punto, se tra te e Dio si intromette continuamente il ricordo delle tue azioni passate, o qualche nuovo pensiero o impulso peccaminoso, devi camminarvi sopra con passo fermo, in un fervente slancio d’amore, calpestarli sotto i piedi. E cerca di ricoprirli con una fitta nube d’oblio, come se non avessero niente da spartire né con te né con nessun altro. Se anche si fan vivi spesso, non avere indecisioni: ogniqualvolta alzano la testa, tu ricacciali in basso.
    E se pensi di non potercela fare normalmente, niente t’impedisce di ricorrere a ogni sorta di trucchi, sotterfugi e stratagemmi spirituali per eliminarli. E questi espedienti te li insegnerà molto meglio Dio per esperienza che non qualsiasi altro uomo su questa terra.

    CAPITOLO 32
    Due stratagemmi spirituali che possono essere di aiuto al principiante

    Tuttavia, penso di poterti suggerire alcuni di questi stratagemmi spirituali. Prova a metterli in pratica e vedi di trovare qualcosa di meglio, se ci riesci. Fa’ in modo di comportarti come se non sapessi niente della continua pressione esercitata da quei pensieri tra te e Dio. Prova a guardare, come dire?, sopra le loro spalle, quasi a cercare qualcosa d’altro: e questo qualcosa è Dio, avvolto nella nube della non-conoscenza. Se fai così, ti assicuro che in pochissimo tempo ti sentirai sollevato nel tuo lavoro. Credo proprio che questo stratagemma, se lo si considera nella giusta luce, non è nient’altro che un ardente desiderio di gustare e vedere Dio, per quanto è possibile quaggiù. Tale desiderio è la carità, che riesce sempre a ottenere un certo appagamento.
    Ed ecco un altro stratagemma spirituale che puoi benissimo adottare, se vuoi. Quando ti accorgi di non potercela fare in nessun modo a ricacciare quei pensieri, mettiti tutto accovacciato dinanzi a loro, come un soldato povero e debole sopraffatto in battaglia, e ragiona così dentro di te: «È da pazzi continuare a lottare con loro, ormai sono perduto per sempre». In questo modo ti abbandoni a Dio, mentre sei nelle mani dei tuoi nemici. Ti prego di prestare molta attenzione a questo espediente. Infatti, se tu lo metti in pratica, va a finire, secondo me, che ti sciogli in lacrime. Sono peraltro certo che questo stratagemma, se lo si intende bene e per il verso giusto, non è altro che la vera conoscenza e la piena coscienza di quel che sei in realtà: un essere miserabile e corrotto, ancor peggio che niente. Una tale conoscenza e coscienza di sé è l’umiltà stessa. E quest’umiltà fa sì che Dio in persona, nella sua potenza, scenda a vendicarti dei tuoi nemici, e che nel suo amore infinito ti risollevi a sé per asciugare i tuoi occhi spirituali, così come fa un padre con il proprio figlio che sta per finire, nelle fauci dei cinghiali o di orsi inferociti.
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