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VITA di s.Teresa D'Avila

Ultimo Aggiornamento: 09/08/2013 17:49
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09/08/2013 17:12
 
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12. Altre volte mi era causa di grande tormento, e lo è tuttora, il vedere che si fa molta stima e si dice molto bene di me, specialmente se si tratta di persone autorevoli. Di questo ho sofferto e soffro molto, perché rivolgo subito lo sguardo alla vita di Cristo e dei santi e, vedendo che essi non conoscevano altra via se non quella del disprezzo e delle ingiurie, mi sembra di camminare alla rovescia. E ne provo tale smarrimento che non oso alzare la testa e non vorrei farmi vedere, cosa che invece non mi accade quando sono oggetto di persecuzioni, in cui, anche se il corpo ne soffre e da una parte io ne sia afflitta, l’anima è tanto padrona di sé che io non so come questo possa essere, ma è così: l’anima sembra allora che stia proprio nel suo regno e tenga tutto sotto i suoi piedi. La pena di cui parlo m’assaliva e mi durava a volte molti giorni; credevo che fosse virtù e, in un certo senso, umiltà, ma ora vedo chiaramente che era una tentazione. Me lo spiegò bene un padre domenicano, dottissimo. Al pensiero che queste grazie elargitemi dal Signore si sarebbero venute a sapere pubblicamente, il tormento era così grande da sconvolgermi l’anima. Giunsi a tali estremi che, ripensandoci, credo che sarei stata disposta, anziché sopportarlo, a essere seppellita viva. E così, quando cominciarono quei grandi raccoglimenti e rapimenti ai quali nemmeno in pubblico potevo resistere, rimanevo in seguito talmente piena di vergogna che non avrei voluto farmi più vedere da nessuno.
13. Trovandomi, una volta, in una grande pena per questo motivo, il Signore mi domandò di che temessi, visto che gli effetti non potevano essere che due: o che mormorassero di me o che lodassero lui, facendomi così intendere che quanti avessero creduto al suo intervento l’avrebbero glorificato, e quanti non vi credevano mi avrebbero condannato senza colpa; essendo entrambe le cose di vantaggio per me, non dovevo angustiarmi. La tentazione giunse a tal punto che volevo andarmene da questa città e portare la mia dote in un altro monastero in cui la clausura era molto più stretta che in quello dove mi trovavo in quel momento. Avevo sentito parlare del grande rigore a cui s’informava; apparteneva anche esso al mio Ordine ed era molto lontano, e proprio questo mi avrebbe dato serenità: stare dove nessuno mi conoscesse, ma il mio confessore non me lo permise mai.12. Altre volte mi era causa di grande tormento, e lo è tuttora, il vedere che si fa molta stima e si dice molto bene di me, specialmente se si tratta di persone autorevoli. Di questo ho sofferto e soffro molto, perché rivolgo subito lo sguardo alla vita di Cristo e dei santi e, vedendo che essi non conoscevano altra via se non quella del disprezzo e delle ingiurie, mi sembra di camminare alla rovescia. E ne provo tale smarrimento che non oso alzare la testa e non vorrei farmi vedere, cosa che invece non mi accade quando sono oggetto di persecuzioni, in cui, anche se il corpo ne soffre e da una parte io ne sia afflitta, l’anima è tanto padrona di sé che io non so come questo possa essere, ma è così: l’anima sembra allora che stia proprio nel suo regno e tenga tutto sotto i suoi piedi. La pena di cui parlo m’assaliva e mi durava a volte molti giorni; credevo che fosse virtù e, in un certo senso, umiltà, ma ora vedo chiaramente che era una tentazione. Me lo spiegò bene un padre domenicano, dottissimo. Al pensiero che queste grazie elargitemi dal Signore si sarebbero venute a sapere pubblicamente, il tormento era così grande da sconvolgermi l’anima. Giunsi a tali estremi che, ripensandoci, credo che sarei stata disposta, anziché sopportarlo, a essere seppellita viva. E così, quando cominciarono quei grandi raccoglimenti e rapimenti ai quali nemmeno in pubblico potevo resistere, rimanevo in seguito talmente piena di vergogna che non avrei voluto farmi più vedere da nessuno.
13. Trovandomi, una volta, in una grande pena per questo motivo, il Signore mi domandò di che temessi, visto che gli effetti non potevano essere che due: o che mormorassero di me o che lodassero lui, facendomi così intendere che quanti avessero creduto al suo intervento l’avrebbero glorificato, e quanti non vi credevano mi avrebbero condannato senza colpa; essendo entrambe le cose di vantaggio per me, non dovevo angustiarmi. La tentazione giunse a tal punto che volevo andarmene da questa città e portare la mia dote in un altro monastero in cui la clausura era molto più stretta che in quello dove mi trovavo in quel momento. Avevo sentito parlare del grande rigore a cui s’informava; apparteneva anche esso al mio Ordine ed era molto lontano, e proprio questo mi avrebbe dato serenità: stare dove nessuno mi conoscesse, ma il mio confessore non me lo permise mai.12. Altre volte mi era causa di grande tormento, e lo è tuttora, il vedere che si fa molta stima e si dice molto bene di me, specialmente se si tratta di persone autorevoli. Di questo ho sofferto e soffro molto, perché rivolgo subito lo sguardo alla vita di Cristo e dei santi e, vedendo che essi non conoscevano altra via se non quella del disprezzo e delle ingiurie, mi sembra di camminare alla rovescia. E ne provo tale smarrimento che non oso alzare la testa e non vorrei farmi vedere, cosa che invece non mi accade quando sono oggetto di persecuzioni, in cui, anche se il corpo ne soffre e da una parte io ne sia afflitta, l’anima è tanto padrona di sé che io non so come questo possa essere, ma è così: l’anima sembra allora che stia proprio nel suo regno e tenga tutto sotto i suoi piedi. La pena di cui parlo m’assaliva e mi durava a volte molti giorni; credevo che fosse virtù e, in un certo senso, umiltà, ma ora vedo chiaramente che era una tentazione. Me lo spiegò bene un padre domenicano, dottissimo. Al pensiero che queste grazie elargitemi dal Signore si sarebbero venute a sapere pubblicamente, il tormento era così grande da sconvolgermi l’anima. Giunsi a tali estremi che, ripensandoci, credo che sarei stata disposta, anziché sopportarlo, a essere seppellita viva. E così, quando cominciarono quei grandi raccoglimenti e rapimenti ai quali nemmeno in pubblico potevo resistere, rimanevo in seguito talmente piena di vergogna che non avrei voluto farmi più vedere da nessuno.
13. Trovandomi, una volta, in una grande pena per questo motivo, il Signore mi domandò di che temessi, visto che gli effetti non potevano essere che due: o che mormorassero di me o che lodassero lui, facendomi così intendere che quanti avessero creduto al suo intervento l’avrebbero glorificato, e quanti non vi credevano mi avrebbero condannato senza colpa; essendo entrambe le cose di vantaggio per me, non dovevo angustiarmi. La tentazione giunse a tal punto che volevo andarmene da questa città e portare la mia dote in un altro monastero in cui la clausura era molto più stretta che in quello dove mi trovavo in quel momento. Avevo sentito parlare del grande rigore a cui s’informava; apparteneva anche esso al mio Ordine ed era molto lontano, e proprio questo mi avrebbe dato serenità: stare dove nessuno mi conoscesse, ma il mio confessore non me lo permise mai.12. Altre volte mi era causa di grande tormento, e lo è tuttora, il vedere che si fa molta stima e si dice molto bene di me, specialmente se si tratta di persone autorevoli. Di questo ho sofferto e soffro molto, perché rivolgo subito lo sguardo alla vita di Cristo e dei santi e, vedendo che essi non conoscevano altra via se non quella del disprezzo e delle ingiurie, mi sembra di camminare alla rovescia. E ne provo tale smarrimento che non oso alzare la testa e non vorrei farmi vedere, cosa che invece non mi accade quando sono oggetto di persecuzioni, in cui, anche se il corpo ne soffre e da una parte io ne sia afflitta, l’anima è tanto padrona di sé che io non so come questo possa essere, ma è così: l’anima sembra allora che stia proprio nel suo regno e tenga tutto sotto i suoi piedi. La pena di cui parlo m’assaliva e mi durava a volte molti giorni; credevo che fosse virtù e, in un certo senso, umiltà, ma ora vedo chiaramente che era una tentazione. Me lo spiegò bene un padre domenicano, dottissimo. Al pensiero che queste grazie elargitemi dal Signore si sarebbero venute a sapere pubblicamente, il tormento era così grande da sconvolgermi l’anima. Giunsi a tali estremi che, ripensandoci, credo che sarei stata disposta, anziché sopportarlo, a essere seppellita viva. E così, quando cominciarono quei grandi raccoglimenti e rapimenti ai quali nemmeno in pubblico potevo resistere, rimanevo in seguito talmente piena di vergogna che non avrei voluto farmi più vedere da nessuno.
13. Trovandomi, una volta, in una grande pena per questo motivo, il Signore mi domandò di che temessi, visto che gli effetti non potevano essere che due: o che mormorassero di me o che lodassero lui, facendomi così intendere che quanti avessero creduto al suo intervento l’avrebbero glorificato, e quanti non vi credevano mi avrebbero condannato senza colpa; essendo entrambe le cose di vantaggio per me, non dovevo angustiarmi. La tentazione giunse a tal punto che volevo andarmene da questa città e portare la mia dote in un altro monastero in cui la clausura era molto più stretta che in quello dove mi trovavo in quel momento. Avevo sentito parlare del grande rigore a cui s’informava; apparteneva anche esso al mio Ordine ed era molto lontano, e proprio questo mi avrebbe dato serenità: stare dove nessuno mi conoscesse, ma il mio confessore non me lo permise mai.12. Altre volte mi era causa di grande tormento, e lo è tuttora, il vedere che si fa molta stima e si dice molto bene di me, specialmente se si tratta di persone autorevoli. Di questo ho sofferto e soffro molto, perché rivolgo subito lo sguardo alla vita di Cristo e dei santi e, vedendo che essi non conoscevano altra via se non quella del disprezzo e delle ingiurie, mi sembra di camminare alla rovescia. E ne provo tale smarrimento che non oso alzare la testa e non vorrei farmi vedere, cosa che invece non mi accade quando sono oggetto di persecuzioni, in cui, anche se il corpo ne soffre e da una parte io ne sia afflitta, l’anima è tanto padrona di sé che io non so come questo possa essere, ma è così: l’anima sembra allora che stia proprio nel suo regno e tenga tutto sotto i suoi piedi. La pena di cui parlo m’assaliva e mi durava a volte molti giorni; credevo che fosse virtù e, in un certo senso, umiltà, ma ora vedo chiaramente che era una tentazione. Me lo spiegò bene un padre domenicano, dottissimo. Al pensiero che queste grazie elargitemi dal Signore si sarebbero venute a sapere pubblicamente, il tormento era così grande da sconvolgermi l’anima. Giunsi a tali estremi che, ripensandoci, credo che sarei stata disposta, anziché sopportarlo, a essere seppellita viva. E così, quando cominciarono quei grandi raccoglimenti e rapimenti ai quali nemmeno in pubblico potevo resistere, rimanevo in seguito talmente piena di vergogna che non avrei voluto farmi più vedere da nessuno.
13. Trovandomi, una volta, in una grande pena per questo motivo, il Signore mi domandò di che temessi, visto che gli effetti non potevano essere che due: o che mormorassero di me o che lodassero lui, facendomi così intendere che quanti avessero creduto al suo intervento l’avrebbero glorificato, e quanti non vi credevano mi avrebbero condannato senza colpa; essendo entrambe le cose di vantaggio per me, non dovevo angustiarmi. La tentazione giunse a tal punto che volevo andarmene da questa città e portare la mia dote in un altro monastero in cui la clausura era molto più stretta che in quello dove mi trovavo in quel momento. Avevo sentito parlare del grande rigore a cui s’informava; apparteneva anche esso al mio Ordine ed era molto lontano, e proprio questo mi avrebbe dato serenità: stare dove nessuno mi conoscesse, ma il mio confessore non me lo permise mai.12. Altre volte mi era causa di grande tormento, e lo è tuttora, il vedere che si fa molta stima e si dice molto bene di me, specialmente se si tratta di persone autorevoli. Di questo ho sofferto e soffro molto, perché rivolgo subito lo sguardo alla vita di Cristo e dei santi e, vedendo che essi non conoscevano altra via se non quella del disprezzo e delle ingiurie, mi sembra di camminare alla rovescia. E ne provo tale smarrimento che non oso alzare la testa e non vorrei farmi vedere, cosa che invece non mi accade quando sono oggetto di persecuzioni, in cui, anche se il corpo ne soffre e da una parte io ne sia afflitta, l’anima è tanto padrona di sé che io non so come questo possa essere, ma è così: l’anima sembra allora che stia proprio nel suo regno e tenga tutto sotto i suoi piedi. La pena di cui parlo m’assaliva e mi durava a volte molti giorni; credevo che fosse virtù e, in un certo senso, umiltà, ma ora vedo chiaramente che era una tentazione. Me lo spiegò bene un padre domenicano, dottissimo. Al pensiero che queste grazie elargitemi dal Signore si sarebbero venute a sapere pubblicamente, il tormento era così grande da sconvolgermi l’anima. Giunsi a tali estremi che, ripensandoci, credo che sarei stata disposta, anziché sopportarlo, a essere seppellita viva. E così, quando cominciarono quei grandi raccoglimenti e rapimenti ai quali nemmeno in pubblico potevo resistere, rimanevo in seguito talmente piena di vergogna che non avrei voluto farmi più vedere da nessuno.
13. Trovandomi, una volta, in una grande pena per questo motivo, il Signore mi domandò di che temessi, visto che gli effetti non potevano essere che due: o che mormorassero di me o che lodassero lui, facendomi così intendere che quanti avessero creduto al suo intervento l’avrebbero glorificato, e quanti non vi credevano mi avrebbero condannato senza colpa; essendo entrambe le cose di vantaggio per me, non dovevo angustiarmi. La tentazione giunse a tal punto che volevo andarmene da questa città e portare la mia dote in un altro monastero in cui la clausura era molto più stretta che in quello dove mi trovavo in quel momento. Avevo sentito parlare del grande rigore a cui s’informava; apparteneva anche esso al mio Ordine ed era molto lontano, e proprio questo mi avrebbe dato serenità: stare dove nessuno mi conoscesse, ma il mio confessore non me lo permise mai.12. Altre volte mi era causa di grande tormento, e lo è tuttora, il vedere che si fa molta stima e si dice molto bene di me, specialmente se si tratta di persone autorevoli. Di questo ho sofferto e soffro molto, perché rivolgo subito lo sguardo alla vita di Cristo e dei santi e, vedendo che essi non conoscevano altra via se non quella del disprezzo e delle ingiurie, mi sembra di camminare alla rovescia. E ne provo tale smarrimento che non oso alzare la testa e non vorrei farmi vedere, cosa che invece non mi accade quando sono oggetto di persecuzioni, in cui, anche se il corpo ne soffre e da una parte io ne sia afflitta, l’anima è tanto padrona di sé che io non so come questo possa essere, ma è così: l’anima sembra allora che stia proprio nel suo regno e tenga tutto sotto i suoi piedi. La pena di cui parlo m’assaliva e mi durava a volte molti giorni; credevo che fosse virtù e, in un certo senso, umiltà, ma ora vedo chiaramente che era una tentazione. Me lo spiegò bene un padre domenicano, dottissimo. Al pensiero che queste grazie elargitemi dal Signore si sarebbero venute a sapere pubblicamente, il tormento era così grande da sconvolgermi l’anima. Giunsi a tali estremi che, ripensandoci, credo che sarei stata disposta, anziché sopportarlo, a essere seppellita viva. E così, quando cominciarono quei grandi raccoglimenti e rapimenti ai quali nemmeno in pubblico potevo resistere, rimanevo in seguito talmente piena di vergogna che non avrei voluto farmi più vedere da nessuno.
13. Trovandomi, una volta, in una grande pena per questo motivo, il Signore mi domandò di che temessi, visto che gli effetti non potevano essere che due: o che mormorassero di me o che lodassero lui, facendomi così intendere che quanti avessero creduto al suo intervento l’avrebbero glorificato, e quanti non vi credevano mi avrebbero condannato senza colpa; essendo entrambe le cose di vantaggio per me, non dovevo angustiarmi. La tentazione giunse a tal punto che volevo andarmene da questa città e portare la mia dote in un altro monastero in cui la clausura era molto più stretta che in quello dove mi trovavo in quel momento. Avevo sentito parlare del grande rigore a cui s’informava; apparteneva anche esso al mio Ordine ed era molto lontano, e proprio questo mi avrebbe dato serenità: stare dove nessuno mi conoscesse, ma il mio confessore non me lo permise mai.vvvvvvvvv
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