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VITA di s.Teresa D'Avila

Ultimo Aggiornamento: 09/08/2013 17:49
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09/08/2013 17:08
 
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3. La via più sicura è quella (che seguo, senza la quale non avrei pace, com’è per tutte noi donne che non abbiamo istruzione), poiché in essa non può esservi alcun danno, bensì molto vantaggio, come mi ha detto più volte il Signore, e consiste nel non tralasciare di aprire tutta la mia anima e comunicare tutte le grazie che egli mi fa a un confessore che sia dotto, e poi obbedirgli ciecamente. Avevo un confessore che mi mortificava molto e alcune volte mi affliggeva e mi procurava grande sofferenza, per la viva inquietudine che destava in me; eppure fu quello, mi pare, che più mi giovò. Benché l’amassi molto, a volte ero tentata di lasciarlo, sembrandomi un impedimento all’orazione quelle pene ch’egli mi cagionava. Ma ogni volta che mi decidevo a far questo, udivo subito una voce che mi diceva di non farlo, con un rimprovero così acerbo che mi abbatteva più di quanto non facesse il confessore. Alcune volte ne ero stremata: tormenti da una parte e rimproveri dall’altra, e di tutto avevo bisogno, perché la mia volontà non era ancora domata. Una volta il Signore mi disse che non sarei riuscita ad obbedire se non ero disposta a patire, che guardassi a ciò che egli aveva patito e tutto mi sarebbe stato più facile.
4. Una volta un confessore, dal quale mi ero confessata in principio, mi consigliò, visto che si trattava dello spirito buono, di tacere e non farne parola con nessuno, essendo ormai meglio tacere. A me il consiglio non dispiacque, perché soffrivo tanto nel dire tali cose al confessore e ne provavo tale vergogna che a volte mi costava molto più che confessare peccati gravi, specialmente quando le grazie erano grandi e mi sembrava che non sarei stata creduta e sarei diventata oggetto di burla. Soffrivo tanto a questo pensiero, temendo fosse una mancanza di rispetto alle meravigliose grazie di Dio, che per questo volevo tacere. Ma poi capii che ero stata mal consigliata da quel confessore, che in nessun modo dovevo tacere nulla a chi mi confessava, essendo questa la via più sicura mentre, facendo il contrario, poteva darsi che a volte mi ingannassi.
5. Sempre, quando il Signore mi ordinava qualche cosa nell’orazione, se il confessore me ne imponeva un’altra, lo stesso Signore tornava a dirmi di ubbidire al confessore, poi Sua Maestà gli faceva cambiare parere, così che ci tornasse su, uniformando il comando al suo volere. Quando si proibì la lettura di molti libri in lingua volgare, io ne soffrii molto, perché la lettura di alcuni mi procurava gioia, e non potendo ormai più leggere perché quelli permessi erano in latino, il Signore mi disse: «Non darti pena, perché io ti darò un libro vivente». Io non riuscivo a capire che cosa quelle parole potessero significare, non avendo ancora avuto visioni; in seguito, di lì a pochissimi giorni, lo capii molto bene, perché ebbi tanto da pensare e da raccogliermi in quello che vedevo, e il Signore mi ha dimostrato tanto amore nell’istruirmi in varie maniere, che ho avuto ben poca, anzi quasi nessuna necessità di libri. Sua Maestà è stato il solo libro dove ho letto le supreme verità. Benedetto sia tale libro che lascia impresso quello che si deve leggere e praticare, in modo che non si può dimenticare! Chi, vedendo il Signore coperto di piaghe e afflitto da persecuzioni, non abbraccia le sue pene, non le ama e non le desidera? Chi, vedendo qualcosa della gloria che dà a coloro che lo servono, non riconosce che tutto quanto possiamo fare e patire è nulla, in attesa di tale premio? Chi, vedendo i tormenti che soffrono i dannati, non considera gioia, al loro confronto, i tormenti di questa terra e non riconosce il molto che deve al Signore per essere stato liberato tante volte da quella situazione?3. La via più sicura è quella (che seguo, senza la quale non avrei pace, com’è per tutte noi donne che non abbiamo istruzione), poiché in essa non può esservi alcun danno, bensì molto vantaggio, come mi ha detto più volte il Signore, e consiste nel non tralasciare di aprire tutta la mia anima e comunicare tutte le grazie che egli mi fa a un confessore che sia dotto, e poi obbedirgli ciecamente. Avevo un confessore che mi mortificava molto e alcune volte mi affliggeva e mi procurava grande sofferenza, per la viva inquietudine che destava in me; eppure fu quello, mi pare, che più mi giovò. Benché l’amassi molto, a volte ero tentata di lasciarlo, sembrandomi un impedimento all’orazione quelle pene ch’egli mi cagionava. Ma ogni volta che mi decidevo a far questo, udivo subito una voce che mi diceva di non farlo, con un rimprovero così acerbo che mi abbatteva più di quanto non facesse il confessore. Alcune volte ne ero stremata: tormenti da una parte e rimproveri dall’altra, e di tutto avevo bisogno, perché la mia volontà non era ancora domata. Una volta il Signore mi disse che non sarei riuscita ad obbedire se non ero disposta a patire, che guardassi a ciò che egli aveva patito e tutto mi sarebbe stato più facile.
4. Una volta un confessore, dal quale mi ero confessata in principio, mi consigliò, visto che si trattava dello spirito buono, di tacere e non farne parola con nessuno, essendo ormai meglio tacere. A me il consiglio non dispiacque, perché soffrivo tanto nel dire tali cose al confessore e ne provavo tale vergogna che a volte mi costava molto più che confessare peccati gravi, specialmente quando le grazie erano grandi e mi sembrava che non sarei stata creduta e sarei diventata oggetto di burla. Soffrivo tanto a questo pensiero, temendo fosse una mancanza di rispetto alle meravigliose grazie di Dio, che per questo volevo tacere. Ma poi capii che ero stata mal consigliata da quel confessore, che in nessun modo dovevo tacere nulla a chi mi confessava, essendo questa la via più sicura mentre, facendo il contrario, poteva darsi che a volte mi ingannassi.
5. Sempre, quando il Signore mi ordinava qualche cosa nell’orazione, se il confessore me ne imponeva un’altra, lo stesso Signore tornava a dirmi di ubbidire al confessore, poi Sua Maestà gli faceva cambiare parere, così che ci tornasse su, uniformando il comando al suo volere. Quando si proibì la lettura di molti libri in lingua volgare, io ne soffrii molto, perché la lettura di alcuni mi procurava gioia, e non potendo ormai più leggere perché quelli permessi erano in latino, il Signore mi disse: «Non darti pena, perché io ti darò un libro vivente». Io non riuscivo a capire che cosa quelle parole potessero significare, non avendo ancora avuto visioni; in seguito, di lì a pochissimi giorni, lo capii molto bene, perché ebbi tanto da pensare e da raccogliermi in quello che vedevo, e il Signore mi ha dimostrato tanto amore nell’istruirmi in varie maniere, che ho avuto ben poca, anzi quasi nessuna necessità di libri. Sua Maestà è stato il solo libro dove ho letto le supreme verità. Benedetto sia tale libro che lascia impresso quello che si deve leggere e praticare, in modo che non si può dimenticare! Chi, vedendo il Signore coperto di piaghe e afflitto da persecuzioni, non abbraccia le sue pene, non le ama e non le desidera? Chi, vedendo qualcosa della gloria che dà a coloro che lo servono, non riconosce che tutto quanto possiamo fare e patire è nulla, in attesa di tale premio? Chi, vedendo i tormenti che soffrono i dannati, non considera gioia, al loro confronto, i tormenti di questa terra e non riconosce il molto che deve al Signore per essere stato liberato tante volte da quella situazione?3. La via più sicura è quella (che seguo, senza la quale non avrei pace, com’è per tutte noi donne che non abbiamo istruzione), poiché in essa non può esservi alcun danno, bensì molto vantaggio, come mi ha detto più volte il Signore, e consiste nel non tralasciare di aprire tutta la mia anima e comunicare tutte le grazie che egli mi fa a un confessore che sia dotto, e poi obbedirgli ciecamente. Avevo un confessore che mi mortificava molto e alcune volte mi affliggeva e mi procurava grande sofferenza, per la viva inquietudine che destava in me; eppure fu quello, mi pare, che più mi giovò. Benché l’amassi molto, a volte ero tentata di lasciarlo, sembrandomi un impedimento all’orazione quelle pene ch’egli mi cagionava. Ma ogni volta che mi decidevo a far questo, udivo subito una voce che mi diceva di non farlo, con un rimprovero così acerbo che mi abbatteva più di quanto non facesse il confessore. Alcune volte ne ero stremata: tormenti da una parte e rimproveri dall’altra, e di tutto avevo bisogno, perché la mia volontà non era ancora domata. Una volta il Signore mi disse che non sarei riuscita ad obbedire se non ero disposta a patire, che guardassi a ciò che egli aveva patito e tutto mi sarebbe stato più facile.
4. Una volta un confessore, dal quale mi ero confessata in principio, mi consigliò, visto che si trattava dello spirito buono, di tacere e non farne parola con nessuno, essendo ormai meglio tacere. A me il consiglio non dispiacque, perché soffrivo tanto nel dire tali cose al confessore e ne provavo tale vergogna che a volte mi costava molto più che confessare peccati gravi, specialmente quando le grazie erano grandi e mi sembrava che non sarei stata creduta e sarei diventata oggetto di burla. Soffrivo tanto a questo pensiero, temendo fosse una mancanza di rispetto alle meravigliose grazie di Dio, che per questo volevo tacere. Ma poi capii che ero stata mal consigliata da quel confessore, che in nessun modo dovevo tacere nulla a chi mi confessava, essendo questa la via più sicura mentre, facendo il contrario, poteva darsi che a volte mi ingannassi.
5. Sempre, quando il Signore mi ordinava qualche cosa nell’orazione, se il confessore me ne imponeva un’altra, lo stesso Signore tornava a dirmi di ubbidire al confessore, poi Sua Maestà gli faceva cambiare parere, così che ci tornasse su, uniformando il comando al suo volere. Quando si proibì la lettura di molti libri in lingua volgare, io ne soffrii molto, perché la lettura di alcuni mi procurava gioia, e non potendo ormai più leggere perché quelli permessi erano in latino, il Signore mi disse: «Non darti pena, perché io ti darò un libro vivente». Io non riuscivo a capire che cosa quelle parole potessero significare, non avendo ancora avuto visioni; in seguito, di lì a pochissimi giorni, lo capii molto bene, perché ebbi tanto da pensare e da raccogliermi in quello che vedevo, e il Signore mi ha dimostrato tanto amore nell’istruirmi in varie maniere, che ho avuto ben poca, anzi quasi nessuna necessità di libri. Sua Maestà è stato il solo libro dove ho letto le supreme verità. Benedetto sia tale libro che lascia impresso quello che si deve leggere e praticare, in modo che non si può dimenticare! Chi, vedendo il Signore coperto di piaghe e afflitto da persecuzioni, non abbraccia le sue pene, non le ama e non le desidera? Chi, vedendo qualcosa della gloria che dà a coloro che lo servono, non riconosce che tutto quanto possiamo fare e patire è nulla, in attesa di tale premio? Chi, vedendo i tormenti che soffrono i dannati, non considera gioia, al loro confronto, i tormenti di questa terra e non riconosce il molto che deve al Signore per essere stato liberato tante volte da quella situazione?
6. Poiché, con la grazia di Dio, si parlerà più a lungo di queste cose, voglio andare avanti col racconto della mia vita. Piaccia al Signore che io abbia saputo spiegarmi in quello che ho detto! Sono certa che chi ne ha esperienza mi capirà e vedrà che in qualche cosa ho colto nel segno; a chi non l’ha, non mi meraviglio se tutto possa sembrare una pazzia; basta che l’abbia detto io perché ne resti scusato, né farò mai di questo colpa a nessuno. Il Signore mi consenta di riuscire a compiere la sua volontà! Amen.
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Stretta è la porta e angusta la Via che conduce alla Vita (Mt 7,14)
 
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