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VITA di s.Teresa D'Avila

Ultimo Aggiornamento: 09/08/2013 17:49
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09/08/2013 16:14
 
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CAPITOLO 5
Prosegue nel parlare delle gravi malattie che ebbe, della pazienza che il Signore in esse le diede, e in che modo trasse dal male il bene, come si vedrà da un fatto che le accadde nel luogo dove si recò per curarsi.
1. Dimenticavo di dire che nell’anno del noviziato soffrii grandi inquietudini per cose in se stesse di poca importanza; ma è che, molte volte, venivo ripresa senza avere alcuna colpa. Io lo sopportavo a mala pena e con assoluta imperfezione, anche se la grande gioia di essere monaca finiva con il farmi sopportare tutto. siccome mi vedevano cercare la solitudine e talvolta piangere, a causa dei miei peccati, pensavano che si trattasse di scontentezza e se lo dicevano fra loro. Ero attaccata a tutte le pratiche religiose, ma non potevo soffrirne nessuna che comportasse disprezzo. Godevo di essere stimata, ero accurata in quel che facevo. Tutto mi sembrava virtù, anche se questo non mi servirà di discolpa, perché sapevo bene come cercare in tutto la mia soddisfazione, e poi l’ignoranza non annulla la colpa. Di qualche scusa mi può essere il fatto che il monastero non aveva basi di molta perfezione; io, da misera creatura, me ne andavo dove stava la mancanza e trascuravo ciò che v’era di buono.
2. Vi era, allora, una monaca affetta da una gravissima malattia assai dolorosa, perché si trattava di alcune fistole che le si erano aperte nel ventre a causa di un’ostruzione intestinale, attraverso le quali mandava fuori ciò che mangiava. Ne morì presto. Io vedevo tutte aver paura di quel male; a me destava grande invidia la sua pazienza e chiedevo a Dio che, se mi dava la stessa pazienza, mi mandasse pure tutte le malattie che volesse. Mi sembra che non ne temesse alcuna, essendo così disposta a guadagnare beni eterni, che ero decisa a conquistarmeli con qualunque mezzo. E ciò mi stupisce, non avendo ancora, a mio avviso, un amor di Dio quale mi sembra d’averlo avuto dopo che incominciai a praticare l’orazione, ma solo una luce che mi faceva apparire di poca stima tutto quanto finisce, e di molto pregio i beni che si possono guadagnare con il sacrificio di quanto ha fine, perché sono beni eterni. Anche in questo mi diede ascolto Sua Maestà, perché prima che fossero trascorsi due anni ero in tali condizioni che, sebbene non si trattasse di un male di quel genere, non credo che sia stata meno penosa e tormentosa la malattia da me sofferta per tre anni, come ora dirò.
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Stretta è la porta e angusta la Via che conduce alla Vita (Mt 7,14)
 
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