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CANTICO SPIRITUALE (s.Giovanni della Croce)

Ultimo Aggiornamento: 02/08/2013 18:38
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02/08/2013 18:22
 
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STROFA 2
Pastori, voi che andrete
lassù, per gli stabbi al colle,
se mai colui vedrete
che più d’ogni altro amo,
ditegli che languo, peno e muoio.
SPIEGAZIONE
1. In questa strofa l’anima vuole servirsi di buoni intermediari presso il suo Amato, chiedendo loro di informarlo del suo profondo dolore. Infatti è proprio di chi ama comunicare con l’Amato servendosi dei mezzi migliori a sua disposizione, quando non può farlo di persona. Qui l’anima vuole servirsi dei suoi desideri, affetti e gemiti come di messaggeri che possono manifestare molto bene i segreti del cuore al suo Amato. Per questo chiede loro di andare, dicendo: Pastori, voi che andrete.
2. Chiama pastori i suoi desideri, affetti e gemiti, in quanto essi pascono l’anima di beni spirituali: pastore, infatti, vuol dire colui che pasce. Per loro tramite Dio si comunica all’anima dandole un pasto divino, mentre senza di essi le si comunica poco. E dice: voi che andrete, come a dire: voi che procedete da amore puro, perché tra gli affetti e i desideri arrivano a Dio solo quelli che scaturiscono da vero amore. Lassù, per gli stabbi al colle.
3. Chiama stabbi le gerarchie e i cori degli angeli, che di coro in coro portano i nostri gemiti e le nostre preghiere a Dio. Lassù designa Dio in quanto somma altezza e perché in lui, come dalla cima, si esplorano tutte le cose e le dimore superiori e inferiori; a lui vanno le nostre preghiere, offerte dagli angeli, come si diceva e come notificò l’angelo a Tobia: Quando pregavi tra le lacrime, io presentavo la tua preghiera davanti alla gloria del Signore (Tb 12,12). Per pastori dell’anima si possono intendere qui anche gli angeli stessi, perché non solo portano a Dio i nostri messaggi, ma portano anche quelli di Dio alle nostre anime, nutrendole, da buoni pastori, di dolci comunicazioni e ispirazioni divine; Dio trasmette queste ultime anche tramite loro ed essi ci difendono dai lupi, che sono i demoni. Or dunque, che per pastori intendiamo sia gli affetti sia gli angeli, l’anima desidera sempre che le facciano da intermediari presso l’Amato. Per questo a tutti si rivolge con queste parole: se mai colui vedrete.
4. È come se dicesse: se per mia fortuna arrivaste alla sua presenza, in modo che egli vi veda e vi ascolti. Occorre osservare che, com’è vero che Dio tutto sa e conosce, vede e nota persino i pensieri dell’anima, come dice Mosè (Dt 31,21), è altrettanto vero che vede le nostre necessità e ascolta le nostre preghiere quando le esaudisce. Non tutte le necessità e le richieste arrivano al punto d’essere esaudite da Dio; deve arrivare il tempo opportuno ed esse devono raggiungere il numero adeguato perché si possa dire che Dio le vede e le ascolta, come si legge nel libro dell’Esodo: solo dopo quattrocento anni che i figli d’Israele avevano sofferto nella schiavitù d’Egitto Dio disse a Mosè: Ho visto la miseria del mio popolo in Egitto… Sono sceso per liberarlo (Es 3,7-8), sebbene la conoscesse da sempre. Anche san Gabriele disse a Zaccaria di non temere, perché Dio aveva ascoltato la sua preghiera e gli concedeva il figlio che da molti anni continuava a chiedergli (Lc 1,13), anche se l’aveva da sempre udita. Così ogni anima deve capire che Dio, pur non venendo subito incontro alle sue necessità e preghiere, non mancherà di soccorrerla al momento opportuno. Colui che è un riparo, come afferma Davide, e in tempo di angoscia un rifugio sicuro (Sal 9,10), interverrà se l’anima non si scoraggia né si stanca di chiedere. Infatti questo vuole dire l’anima quando afferma: se mai colui vedrete, cioè: se per caso è giunto il momento in cui egli ritiene giusto esaudire le mie richieste. Che più d’ogni altro amo.
5. Cioè colui che amo più d’ogni altra cosa. Questo si verifica quando nell’anima non vi è nulla che le impedisca di fare e soffrire qualsiasi cosa per il suo servizio. Quando l’anima può dire veramente ciò che esprime il verso seguente, è segno che lo ama sopra tutte le cose. Ecco il verso: ditegli che languo, peno e muoio.
6. L’anima presenta tre necessità, cioè languore, sofferenza e morte. L’anima che ama davvero Dio d’un amore che vuole giungere alla perfezione, quando egli è assente soffre abitualmente in tre modi, secondo le tre facoltà dell’anima: l’intelletto, la volontà e la memoria. Quanto all’intelletto, l’anima dice che langue perché non vede Dio, che è la salvezza dell’intelletto, come Dio stesso afferma per bocca di Davide: Sono io la tua salvezza (Sal 34,3). Quanto alla volontà, l’anima dice di soffrire perché non possiede Dio che è il refrigerio e la delizia della volontà, come dice ancora Davide: Li disseti al torrente delle tue delizie (Sal 35,9). Quanto alla memoria, l’anima dice di morire perché, ricordandosi che manca di tutti i beni dell’intelletto, che consistono nel vedere Dio, e della delizie della volontà, ossia del possesso di Dio, aggiunge che è più che mai possibile perderlo per sempre in mezzo ai pericoli e alle tentazioni di questa vita. Con tale ricordo soffre una sensazione simile alla morte, perché si rende conto di non avere un sicuro e perfetto possesso di Dio, che è vita dell’anima, come dichiara Mosè: È lui la tua vita (Dt 30,20).
7. Queste tre forme di necessità vengono molto bene espresse da Geremia a Dio nel libro delle Lamentazioni con queste parole: Il ricordo della mia miseria e del mio vagare è come assenzio e veleno (Lam 3,19). La miseria si riferisce all’intelletto, perché ad esso appartengono le ricchezze della sapienza del Figlio di Dio, nel quale, come dice san Paolo, sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza di Dio (Col 2,3). L’assenzio, erba amarissima, si riferisce alla volontà, perché a questa facoltà appartiene la dolcezza del possesso di Dio. Se viene a mancarle, resta con l’amarezza. Che l’amarezza appartenga, in senso spirituale, alla volontà, ce lo insegna l’Apocalisse quando l’angelo dice a san Giovanni: Mangia il libro, ti riempirà di amarezza le viscere (Ap 10,9), intendendo per viscere la volontà. Il veleno non si riferisce solo alla memoria, ma a tutte le facoltà e forze dell’anima, perché il veleno significa la morte dell’anima, come lascia intendere Mosè parlando, nel Deuteronomio, dei ripudiati da Dio in questi termini: Tossico di serpenti è il loro vino, micidiale veleno di vipere (Dt 32,33), che in questo caso significa non avere Dio, il che equivale alla morte dell’anima. Queste tre necessità e sofferenze sono fondate sulle tre virtù teologali: la fede, la carità e la speranza, che corrispondono alle tre facoltà suddette, nell’ordine che ho proposto: intelletto, volontà e memoria.
8. Occorre osservare che l’anima, nel verso riportato, non fa che presentare i suoi bisogni e la sua sofferenza all’Amato, perché chi ama con discrezione non si preoccupa di chiedere ciò che gli manca oppure desidera, ma espone semplicemente i suoi bisogni affinché l’Amato faccia ciò che vuole. Così, infatti, si comportò la beata Vergine con il Figlio amato che alle nozze di Cana in Galilea, non chiedendogli direttamente il vino, ma dicendogli: Non hanno più vino (Gv 2,3). Allo stesso modo, le sorelle di Lazzaro non gli mandarono a dire di guarire il fratello, ma lo informarono che colui che egli amava era malato (Gv 11,3). Questo per tre motivi: anzitutto perché il Signore sa meglio di noi ciò che ci serve; in secondo luogo perché l’Amato ha più compassione vedendo i bisogni di chi lo ama e la sua rassegnazione; infine perché l’anima è più al riparo dall’amor proprio e dall’egoismo nel presentare i suoi bisogni piuttosto che nel chiedere ciò che, a suo avviso, le manca. È esattamente quanto fa qui l’anima manifestando le sue tre necessità. È come se dicesse: dite al mio Amato che, poiché languo e lui solo è la mia salvezza, mi conceda la salvezza; poiché soffro, e lui solo è la mia gioia, mi conceda la gioia; poiché muoio, e lui solo è la mia vita, mi conceda la vita.
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