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CRITICA STORICA ALLA BIBBIA

Ultimo Aggiornamento: 26/10/2014 21:29
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01/05/2013 18:37
 
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ALLA RICERCA DEL SIGNIFICATO PROFONDO 

Un libretto, edito dalla Paideia di Brescia (1966), sul Vangelo dell'In­fanzia - tra i tanti scritti sul delicato argomento - costituisce un'utile occasione di approfondimento del problema particolare e di critica generale a un moderno tipo, alquanto sbrigativo, di esegesi biblica. 

Essendo edito a Brescia, mi aspettavo che il libretto portasse l'Imprimatur di là. Tale recente Introduzione ai Vangeli dell'Infanzia, del dotto biblista Cappuccino Prof. Ortensio da Spinetoli, ha scelto invece l'Imprimatur di Loreto. Persona seria mi ha detto che a Brescia esso non gli sarebbe stato concesso. Ciò, se fosse vero, farebbe onore a quel revisore, soprattutto per il fatto che l'argomento stesso e l'agile edizione ne fanno prevedere una rapida e disorientante diffusione nei Seminari e tra il Clero. Dopo la lettura ripenso con sorpresa alla lusinghiera presentazione dell'Osservatore Romano (le cui recensioni di S. Scrittura avevano la fama di essere molto ponderate e sicure) e dellaSettimana del Clero (ma questa veramente senza molta sorpresa) (11). 

Arditezze stimolanti. - L'Editore, ad apertura del libro, spiega i criteri che animano la sua collana biblica: «Novità di impostazione... arditezza delle soluzioni vogliono solo stimolare il benevolo Lettore a un ripensamento personale... delle soluzioni prospettate... invito alla ricerca...». Quanto alla benevolenza del lettore - che egli onora con la lettera maiuscola - ne sia pur sicuro perché oggi é di moda il conformismo dell'antitradizionalismo. Quanto al vezzo invece di chiamare ardite le soluzioni che con disinvolta superficialità (come farò vedere) fanno un fascio delle più solide dottrine, mi chiedo se non abbiano più diritto di chiamarsi tali le soluzioni che sanno invece approfondire e sviluppare la sana dottrina tradizionale, con coraggiosa e leale adesione al magistero ecclesiastico.
 
Sono queste che esprimono il vero anticonformismo e ripensamento personale, contro lamoda di allinearsi ai così detti progressisti, i quali spesso non fanno che copiarsi e citarsi tra loro, che riesumare antiche difficoltà e antichi errori tante volte confutati, che preoccuparsi di «togliere dalla nostra fede quanto il pensiero moderno, privo spesso di luce razionale, non comprende e non gradisce» (Paolo VI a Fatima, 13 giugno 1967). Certo non possono chiamarsi nobilmente ardite «persone e pubblicazioni, che avrebbero la missione d'insegnare e di difendere la fede [e che] non mancano purtroppo anche da noi di far eco a quelle voci sovvertitrici, per la celebrità più che per il valore scientifico dei loro fautori; la moda fa legge più della verità» (Paolo VI, alla riunione plenaria Episcopale Italiana, 8 aprile 1967). 

Arricchimento del Vangelo. - Anche l'Autore mette le mani avanti. E' una caratteristica costante in questi scrittori: prevenire la reazione dei lettori e velare le reali distruzioni che essi compiono, con espressioni di grande ossequio e fede in ciò che colpiscono e con prospettive di approfondimento, dove non si trova invece che svuotamento. Sono espressioni continuamente capovolte (12). Eccone dei saggi. 

«Sono le pagine più edificanti di tutto il N. T.... delizia dei nostri primi anni... indelebili...intramontabili» (7). - Romanticismo inutile, che nasconde l'urgente quesito: Tali pagine sono vere o no? Perché non sappiamo che farcene di pagine «intramontabili» false. 

«I primi a essere colpiti dalla soavità del mistero natalizio furono... i narratori evangelici. I fatti... erano troppo grandi per essere trasmessi come semplici note di cronaca... Attraverso i continui ripensamenti... il profondo significato... si è venuto svelando. Le scene hanno preso pian piano... ad arricchirsi... di riflessioni teologiche, di note polemiche e apologetiche... Mentre la tradizione apostolica si arrestava a questa approfondita, ma sobria ricomposizione degli avvenimenti, la predicazione... devozionale (gli Apocrifi) continuava ad arricchire il quadro» (7-8). ­ 

In parole povere l'arricchimento e l'approfondimento consisterebbero nella adulterazionedei fatti, i quali, mentre sono da Matteo e Luca presentati con spiccato tono di impersonale obiettività (sottolineata dalla scarna semplicità della descrizione e dalla esplicita assicurazione di S. Luca di avere «investigato accuratamente ogni cosa sin dall'inizio», di volerne «scrivere per ordine», per fornire «esatta cognizione dei fatti»: Lc 1, 3-4), risulterebbero invece una mescolanza, praticamente inestricabile e priva quindi di autenticità documentaria, di fatti obiettivi e di invenzioni didascaliche dei narratori. Va anche notato che queste ultime sono poste nella stessa linea degli Apocrifi, i quali avrebbero soltanto proseguito ad «arricchire il quadro». 

Tutto ciò soprattutto equivale praticamente a dimenticare che gli agiografi si trovavano nella privilegiata posizione di autori infallibilmente ispirati, così da trasmettere, come ha ribadito il Vaticano II, «con certezza, fedelmente e senza errore la verità» (R, 11: deh. 890), e precisamente, nei Vangeli, trasmettere «fedelmente quanto Gesù Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente operò e insegnò...» «in modo tale da riferire su Gesù con sincerità e verità» [senza distinzione di parti e quindi anche la fondamentale fase dell'infanzia] (R, 19: deh. 901). 

«La nostra preoccupazione è quella di leggere i racconti della infanzia senza lasciarci fuorviare dalle sue segnalazioni superficiali, ma anche senza perdere nulla del suoprofondo contenuto» (8), «a meglio comprendere, non a distruggere il contenuto del Vangelo dell'infanzia» (63). - Nell'ingannevole linguaggio di questi illustri scrittori, i pochi, ma circostanziati episodi narrati per es. da S. Luca, dopo «accurata investigazione» (proprio quelli che danno alla narrazione dei fatti fondamentali la concretezza, illuminano i fatti stessi, svelano i meravigliosi disegni e interventi di Dio, e costituiscono il sigillo caratteristico della veridicità del narratore) sono catalogati tra le «segnalazioni superficiali». 

E' invece catalogata come costituente il «profondo contenuto» del quale non si deve «perdere nulla» la pura sostanza del fatto dogmatico, mentre in realtà questa risulta enormemente impoverita e anzi obiettivamente perduta, sia perché non si sa dove cominci questa sostanza, variamente interpretata, a sentimento, dai vari autori, sia perché essa viene privata della sicurezza storica. In cambio viene proposto tutto un complesso di ipotetiche interpretazioni delle presunte amplificazioni dello Evangelista, estremamente incerte: esse vengono irragionevolmente preferite alla certezza dei dati storici. 

«Accanto ai testi della passione, i racconti dell'infanzia sono le parti più omogenee e piùdistanti dal resto del vangelo di cui fanno parte... Il primitivo annunzio evangelico... si apriva... con la presentazione del Battista» (11). - Tutto ciò è naturale conseguenza della natura di tali racconti. Le fonti accuratamente ricercate da S. Luca, di prima mano - avendo attinto, probabilmente, alla Madonna stessa - spiegano anche benissimo le particolarità filologiche e stilistiche. Era anche naturale che nella prima predicazione fosse presentata la parte pubblica della vita di Gesù, a tutti nota (cfr. At 1, 22; 2, 22; Me 1, 2). 

L'INFANZIA IN S. MATTEO 

A p. 19 del libretto di P. O. troviamo un riassunto degli argomenti che porrebbero «in termini seri il problema del genere narrativo di Mt 1-2 ». Ivi si troverebbero «tratti che non si addicono a un'opera strettamente storica». - Nel prossimo paragrafo vedremo, anche per S. Luca, vari altri sorprendenti rilievi. Ecco ora gli argomenti sinteticamente presentati dal ch.mo Autore contro la piena storicità di questi due primi cap. di S. Matteo. Si tratta cioè di alcune caratteristiche di questa narrazione che in firmerebbero tale storicità. Dopo i singoli enunciati porrò immediatamente le facili risposte. 

«Colorito aneddotico». - E' la prima difficoltà, addotta da P. O. Ma chi ha mai detto che il genere aneddotico suggerisca poca obiettività? Quando specialmente gli aneddoti si riferiscono a persone o eventi di grande importanza essi mirano a caratterizzare tali persone e cose, e proprio per questo il narratore coscienzioso (anche a prescindere dalla ispirazione) cerca con cura di evitare ogni inesattezza. 

Comunque il carattere aneddotico o episodico è comune a tutti i Vangeli. Esso riflette bensì una certa disorganicità e rudimentalità di metodo storico; ma non inganno. Anzi tale rudimentalità sottolinea la spontaneità della stesura e accresce la garanzia di veridicità. 

«Abbondanza di meraviglioso (sogni, apparizioni angeliche)». ­ Questa è un'obiezione degna del modernismo razionalista di A. Loisy (ripetutamente citato da P. O.) e dei moderni esegeti «indipendenti» (come P. O. chiama i non cattolici, quasi che essi non abbiano la stretta dipendenza dalla loro pregiudiziale anticattolica) e demitizzatori. Non si tratta, in realtà, che di una cornice di circostanze mirabili, opportunamente volute dalla Provvidenza per il ben più meraviglioso quadro dell'incarnazione del Verbo.

Anche le analogie, su alcuni punti, con altri avvenimenti vetero testamentari, suggerivano per questo culminante divino evento (non più in qualche modo prefigurato, ma reale) il rinnovamento e l'amplificazione di quelle circostanze prodigiose (tali analogie sono una conferma, anziché una difficoltà, come vorrebbero questi esegeti). 

Apparisce inoltre l'opportunità che la congiunzione tra cielo e terra, avvenuta nell'Incarnazione, fosse incorniciata da incontri premonitori, anch'essi tra cielo e terra; e ciò, convenientemente, secondo gradi diversi. Essi avvennero infatti nel sonno per S. Giuseppe. Avvennero invece in apparizione angelica visibile per Zaccaria, essendo capitato durante la sua azione sacerdotale, e in apparizione pure visibile per Maria, in vista della sua dignità di preordinata Madre di Dio, e anche (come per Zaccaria) per permettere il dialogo. 

«Inverosimiglianze (soprattutto nel racconto dei Magi)». - Tra queste inverosimiglianze il ch.mo P. O. elencherà, in seguito, per es. il contegno di Erode, ma soprattutto la stella, la cui apparizione rientrerebbe nella suddetta, criticata «abbondanza di meraviglioso». Ma abbondante sembra che sia piuttosto la solita incoerenza della obiezione: dovrebbero infatti ritenere tanto più inverosimile l'Incarnazione di un Dio (13). E' vero quanto osserva P. O., che anche nelle manifestazioni miracolose Iddio segue sapienti criteri di discrezione. Ma chi può pretendere, antecedentemente ai fatti, di stabilire la giusta misura di discrezione? Se non si vuol cadere in una esegesi acritica e puramente guidata da elastiche e arbitrarie intuizioni personali, bisogna partire dal dato scritturale per scoprire tale misura giusta. Questi autori invece partono da una personale valutazione di essa per mettere in forse il dato scritturale. 

Quanto, in particolare, alla stella, è ovvio che non va intesa come una vera stella del cielo, bensì come un fenomeno miracoloso, che abbia avuto tale apparenza, ma che sia avvenuto a non molta altezza dalla terra, così da poter guidare i Magi. 

Tale genere di miracolo rientra, d'altra parte, ottimamente nel simbolismo scritturale (cfr. Nm 24, 17), essendo stato il Messia profetizzato come luce che sorge (cfr. Is 42, 6; 49,6; 60, 1-3; Gv 1, 5). Gesù stesso si è chiamato «stella splendida e mattutina» (Ap 22, 16). Nella scrittura cuneiforme il re e la divinità sono espressi con una stella. Anche la cultura pagana guardava ai segni dal cielo. Comunque - e questo è il rilievo più importante - questo tipo di difficoltà non nasce minimamente da nuovi apporti critici dell'esegesi, ma da considerazioni generali già accuratamente vagliate dagli antichi esegeti, che le avevano ottimamente superate. Solo la moderna, preconcetta ripugnanza al soprannaturale le ripropone. Ma questa ripugnanza, essendo preconcetta, tradisce la ristrettezza di vedute di questo tipo di esegesi di moda. 

«Scarsezza di segnalazioni storico-topografiche». - Ciò conferma la spontaneità della narrazione, fedele alle fonti d'informazione, in una concezione della storia, quanto all'inquadramento narrativo, conforme ai tempi. 

Sono istantanee episodiche: la fotografia non riproduce nomi e inquadramenti topografici. 

«Preoccupazioni apologetiche (ogni avvenimento accade in ordine alle profezie del V. T.)». - Non è che la conferma teologica, scritturale e profetica della verità storica, che doverosamente lo storico ha voluto sottolineare. 

«Assenza di intento informativo (la stessa nascita del Salvatore è appena affermata, v. 18 o solo interpretata, v. 20-25). Il v. 18, per es. dice: Ora la nascita di Gesù avvenne così. La Madre di lui, Maria, ecc.». - E questa non è informazione? Come si sa tuttavia i Vangeli non sono una storia organicamente e completamente svolta, avendo un carattere prevalentemente episodico. Ma da ciò si può solo logicamente dedurre che proprio su tali circostanziati episodi si è concentrato l'impegno di esattezza obiettiva del narratore. 

Questa obiezione è un tipico saggio delle evanescenti considerazioni, apparentemente sottili, ma in realtà insignificanti, con cui spesso questi esegeti pretendono infirmare il «genere letterario» pienamente storico del Vangelo, con noncuranza della vecchia e fondamentale norma di S. Agostino, riportata nella Enc. Providentissimus: «a litterali et veluti obvio sensu minime discedendum, nisi qua eum vel ratio tenere prohibeat vel necessitas cogat dimittere» (EB 112; cfr. 328, 525). 

«Infine totale divergenza da Lc. 1-2». - L'affermazione è grave e riflette la suddetta caratteristica di questo tipo di esegesi progressista, di riesumare cioè ed accogliere vecchie difficoltà, già tante volte risolte. 

Anziché divergenza, ogni lettore imparziale non può non rilevare tra Matteo e Luca, pur così diversi, una mirabile complementarietà, che trasforma la diversità da apparente difficoltà in mirabile conferma e sicurezza di obiettività. Se infatti i due racconti si affiancassero nella narrazione dei medesimi episodi, combaciando perfettamente, ciò farebbe pensare ad una unica fonte d'informazione, riducendo il valore della duplice testimonianza ad una sola. Notandosi invece che un racconto segue una trama e l'altro un'altra, ma che le due trame, sovrapposte, armonizzano perfettamente, una integrando l'altra, così da fornire un coerente succedersi degli eventi, si ha un doppio segno di obiettività delle rispettive narrazioni e un doppio valore di autenticità. 

Le diverse fonti testimoniali che le hanno ispirate non possono infatti armonizzare così tra loro se non perché entrambe combaciano con la realtà. La ragione del perché un evangelista ha preso un itinerario e l'altro un'altro è del tutto secondaria e non crea alcuna difficoltà in un genere di narrazioni come quelle evangeliche, nessuna delle quali ha la pretesa della completezza, limitandosi ognuna a descrizioni episodiche. Il caso massimo è quello di S. Giovanni che ha inteso integrare le narrazioni dei sinottici. Nei vangeli dell'infanzia si nota che S. Luca ha integrato S. Matteo, sviluppando gli aspetti più intimi e mariani, avendo Matteo presentato invece gli aspetti più esteriori e giuseppini. La delicatezza degli aspetti toccati da Luca, che altrimenti sarebbero restati nascosti, è, d'altra parte, quanto mai conforme all'intento di chi «ha investigato accuratamente ogni cosa fin dall'inizio» (Lc  l, 3). Darò ora qualche esempio di questa complementarità di narrazioni. 

Quanto al verginale concepimento, da Mt 1, 18 si sa solo il fatto: «Si trovò incinta per virtù dello Spirito Santo». Tutto quanto poi Matteo ulteriormente dice in 1, 18-25 è agaranzia del fatto: «prima che venissero a stare insieme»; ansie di S. Giuseppe e assicurazione dell'angelo: «ciò che in lei è stato concepito è opera dello Spirito Santo»; «non la conosceva finché diede alla luce un figlio». Niente però Matteo dice dello svolgimento storico circostanziato. Ora ecco che Lc 1, 5-80.2, 6-7 dà il prezioso e particolareggiato racconto inedito di tali circostanze, a cominciare dal Precursore.

Quanto alla sorprendente nascita a Betlemme (tanto sorprendente che tale luogo sembrerà poi nei Vangeli dimenticato), Mt 2, l presenta ancora il fatto, incidentalmente. Lc 2, 1-6 ne dà la particolareggiata motivazione storica. 

Quanto al modo e alle circostanze relative alla nascita e ai primi quaranta giorni della vita di Gesù, Matteo non aggiunge parola, passando subito alla narrazione degli eventi avvenuti molti mesi (oltre un anno) dopo, a cominciare dalla venuta dei Magi fino al ritorno dall'Egitto e alla sistemazione definitiva a Nazaret (Mt 2, 1-23). Lc 2, 7-38 descrive invece particolareggiatamente proprio gli avvenimenti dei primi quaranta giorni. Luca omette poi tutti gli avvenimenti successivi fino alla dimora di Nazaret, riassumendo tutto quell'ulteriore periodo, analizzato da S. Matteo, con la semplice affermazione: «ritornarono in Galilea, nella loro città di Nazaret» (Lc 2, 39). 

Quanto alla vita nascosta a Nazaret, Matteo non dice niente, riprendendo la narrazione con la predicazione del Battista (3, l ss.). Le. 2, 40-­52, coerentemente al suo intento, ne dà invece poche, ma preziose, intime notizie. 

Suggestivi sono pure i confronti dei particolari episodici e di carattere. Per es. in entrambi v'è l'intervento angelico, che si proporziona tuttavia rispettivamente alla personalità di Giuseppe (in sogno, Mt) e di Maria (visibilmente, Lc). La pensosità della vergine che tace con S. Giuseppe (adeguatamente corrisposta, in Mt stesso, da quella di Giuseppe) e la sua fede nel rimettere la soluzione del dramma alla Provvidenza (Mt), corrispondono alla medesima pensosità del suo colloquio con l'angelo e del suo ascolto di Gesù dodicenne e alla sua fede nel grande annuncio, glorificata da Elisabetta (Lc). La prontezza della fuga in Egitto (Mt) corrisponde alla prontezza della visita a S. Elisabetta (Lc). E così via. 

Dov'è dunque la «totale divergenza»? Apparisce solo una meravigliosa armonia. 

Questa Introduzione ai Vangeli dell'Infanzia del P. Ortensio da Spinetoli per le proprie affermazioni e per le numerose citazioni, è ricca inoltre di ben altri motivi di riflessione. Restiamo ancora nei primi due capitoli di Matteo. 

Genere «storico-artistico-midrashico». - Ecco come viene scoperto il genere letterarionon storico, ma «storico-artistico-midrashico» [cioè di libera investigazione - secondo il significato del vocabolo ebraico «midrash» - meditazione e interpretazione dei fatti, come facevano i rabbini per l'A. T.] (22). (Come al solito i sottolineati sono miei). 

«Se per storia si intende una narrazione impersonale, disinteressata, in questo sensoobiettiva dei fatti, i racconti di Mt 1-2 non appartengono al genere storico... le mire polemiche e apologetiche... parenetiche trapelano di tanto in tanto... è un libro di fede» (22). - Se l'obiezione fosse giusta se ne dedurrebbe questa incredibile dottrina: un testimone che, alla luce dei fatti personalmente constatati, abbia aderito pienamente a Gesù e senta tutto l'ardore e tutta la responsabilità di comunicare agli altri quei fatti stessi per far conoscere la verità di Gesù, un tale testimone, dico, anche se, come nel caso degli evangelisti, sottolinei la sua imparzialità con la scarna modestia della narrazione (che, in definitiva, anche P. O. riconosce: 23) tutt'altro che caldamente parenetica, sarebbe nell'impossibilità di fare una storia obiettiva! 

Invano egli potrebbe dire come S. Giovanni: «Quello che abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che abbiamo osservato e toccato con le nostre mani... lo annunziamo anche a voi, affinché anche voi siate in comunione con noi» (l Gv l, 1-3). Anzi, proprio col dare questa assicurazione, egli rivelerebbe «mire apologetiche» e quindi non sarebbe un obiettivo narratore e, più o meno, ingannerebbe i lettori! 

L'affermazione è sorprendente, anche prescindendo del tutto dalla garanzia di obiettività data dalla ispirazione dello Spirito Santo. 

P. O. incalza e spiega: «Se uno storico ha bisogno di fatti e di obiettività, un apologeta,... un pastore ha bisogno di... pathos, di immaginazione... tratti commoventi e sconvolgenti al posto della precisione episodica. La preoccupazione principale di un evangelista non è quella di cercare i particolari più obiettivi quanto quelli più idonei a... stimolare...» (ivi). CosÌ pensano, pur con diverse gradazioni, gli esegeti che non ammettono la piena storicità dei Vangeli, assimilandone, più o meno, il «genere letterario» a quello realmente ammissibile (per ben diversi motivi) in certe narrazioni dell'A. T. 

Ma l'errore di tale concezione sta proprio in quella assimilazione d'un evangelista a un qualunque approssimativo predicatore e «pastore» (alle cui inesattezze si può indulgere, anche se non si possono lodare nemmeno in lui). Il predicatore parla di cose già storicamente, nella loro sostanza, garantite; l'evangelista invece le garantisce con la suatestimonianza, la quale traballerebbe tutta se non fosse tutta veritiera. I precisi episodi che l'evangelista adduce vogliono costituire ovviamente una garanzia della verità della narrazione, proprio in quanto particolareggiati e obiettivi. D'altra parte quel modo dimesso di esporli esclude qualsiasi ragionevole sospetto che siano stati narrati per ottenere il colpo di effetto. 

Il genere artistico tuttavia risulterebbe - spiega P. Ortensio: 25 ss. - dalla scoperta di una preordinata disposizione dei fatti, collegati ad altrettanti testi dell'A. T.: genealogia, nascita verginale, nascita a Betlemme, fuga in Egitto, strage degli innocenti, ritorno a Nazaret, con i rispettivi richiami profetici dell'A. T.: Mt 1, 22-23; 2, 5-6. 15.17-18. 23. Questo sarebbe il segno di qualcosa di artificioso, al di fuori della pura obiettività storica. 

E perché? Niente invece di più naturale che in una narrazione episodica pienamente obiettiva, ma molto ristretta, il narratore scelga e ordini le sue descrizioni e, sapendo che l'A. T. è preparazione del Nuovo, cerchi in esso il preannuncio profetico dei nuovi eventi e, trovatolo, lo enunci. 

Il carattere midrashico - così chiamato dal suddetto vocabolo ebraico «midrash» che esprime il concetto di «investigare» e si riferisce al ripensamento della Scrittura, fatto dai rabbini, con libere analogie, interpretazioni e amplificazioni, a scopo di ammaestramento - risulterebbe infine dalle analogie con i fatti dell'A. T. e con i relativi commenti rabbinici (29 ss.). Per es. i sogni di Giuseppe trovano riscontro nei patriarchi del V. T., la venuta dei Magi ricorda quella della regina di Saba a Gerusalemme, i drammatici eventi che ne seguirono ricordano quelli dell'Esodo, ecc. (e tutto ciò tanto più nei commenti rabbini ci midrashici). 

Ma questo modo di ragionare riflette la vecchia tentazione sempli­ficatrice dell'esegesi, di identificare le cose rassomiglianti. Chi è che non può trovare, volendo, grandi rassomiglianze tra personalità ed eventi pur diversissimi? Tanto più è da attendersi che vi siano analogie tra gli eventi dell'A. T. e del N. T., di cui l'Antico è preparazione e figura. Insieme comunque alle analogie vi sono spiccate differenze, ben concretizzate nelle circostanziate descrizioni.

Ogni sospetto quindi sulla natura fittizia delle narrazioni evangeliche, come se fossero fatte a modello prestabilito, risulta privo di fondamento. 

Circa le obiezioni per le pretese inverosimiglianze e per la sovrabbondanza del meraviglioso, già ne vedemmo l'infondatezza e l'incoerenza. 

Questi esegeti si preoccupano però - come è noto - di avvertire che da tutto ciò non segue alcun danno per la sicurezza del messaggio evangelico. Esso anzi ci guadagnerebbe. Ma questa non è che una involuzione logica, la quale costituisce l'aspetto più drammatico e penoso di tale tipo di esegesi moderna. Non si tratta solo di P. O., ma di tutti gli autori, non di minor grido, che egli largamente cita. 

Si stia tranquilli - essi dicono -: le integrazioni immaginate dall'evangelista hanno il solo scopo di far risaltare l'«avvenimento storico fondamentale» (23). Matteo è «quindisostanzialmente storico. Alla base dei racconti vi è un nucleo... che non può essere messo seriamente in discussione... Perfino il racconto dei Magi... non viene rigettato,almeno in blocco» (ivi). Si tratta di una «storia che nelle sue linee essenziali è intrinsecamente probabile» (24). «Storia vera, senza dubbio, ma popolare e religiosa... gli abbellimenti... pseudo-soprannaturali (sogni e apparizioni) ecc. .. non compromettono l'essenza dei fatti» (ivi). 

E' vero, «la fuga in Egitto e il ritorno in patria fanno pensare alla fuga di Mosè dalla presenza del Faraone... richiamano avvenimenti ancora più antichi... la partenza in massa del popolo dell'Esodo... [e le tradizioni, ossia invenzioni edificanti midrashiche] che illustrano ulteriormente il racconto di S. Matteo [così la immaginaria persecuzione di Labano a Giacobbe può avere ispirato la figura di Erode che perseguita Gesù, ecc.]... Così il fondo di Matteo 1-2 va spostandosi dalla vita di Mosè agli avvenimenti... di Israele [con il risultato di] arricchire, approfondire la portata dei fatti che apparentemente non eccedono le dimensioni di un comune aneddoto... acquistando le proporzioni dell'intera fase preparatoria della salute... La preoccupazione dell'autore... è che l'episodio si accosti aimodelli preesistenti oltre e più che alla realtà [ricollegandosi] alla esegesi edificante, omiletica, teologica, folcloristica degli scrittori ascetici, degli oratori sacri, dei Padri, dei maestri medievali, come con le ricostruzioni dei narratori popolari... [il che] non contrasta con la dignità del libro sacro e non compromette la realtà dei fatti annunziati» (37 ss.).

«Questa introspezione del fondo di Mt 1-2 sorprenderà più di uno, ma non può essere... rigettata a priori, soprattutto perché si è ancora ai primi tentativi. [Ma, come è logico, il metodo non può restare riser­vato a questi due soli primi capitoli). Anche nel resto del vangelo di S. Matteo si hanno esempi del genere (cfr. il racconto delle tentazioni, della trasfigurazione, della morte di Giuda, del sogno della moglie di Pilato, ecc.)» (42).

Certo non se ne sorprende il ch.mo Léon Dufour, citato in nota dal P. O. (p. 42), il quale, circa i racconti di Mt 1-2, con disinvolta sicurezza afferma: «senza dubbio... appartengono a questo genere edificante ed esplicativo, strettamente riallacciato alla Scrittura»; «senza timore di errare si può affermare che il midrash di Mosè ha suscitato un reale influsso sulla fonte del racconto di Matteo».

A me sorprende invece soprattutto un fatto: che questi studiosi facciano mostra di non accorgersi che con tali criteri - a parte il loro con­trasto con la bene intesa ispirazione biblica - quella famosa base, quel famoso fondo, quel famoso nucleo della narrazione evangelica si dissolvono, in realtà, nella indeterminatezza di valutazioni elastiche e incerte quanto elastiche e incerte sono le presunte intenzioni, i presunti spunti scritturali o favolosi, che l'uno o l'altro esegeta, in modo diverso, sulla scorta di pure analogie e di personali intuizioni e preferenze, crede di potere attribuire all'agiografo. 

Con questi criteri, come si può sicuramente affermare che in un certo punto finisce l'amplificazione favolosa e comparisce il nucleo storico? Perché, più coerentemente, non affermare che il tutto rientra nel genere letterario mitico? Perché mai, infatti, per es., ritener favoloso l'intervento angelico e non la maternità verginale (che infatti il nuovo catechismo olandese non ha voluto proclamare), o non, addirittura, la incarnazione del Verbo? 

Non è quindi ragionevole qualificare come approfondimenti e arricchi­menti esegetici queste analisi disgregatrici. E si dimostrano di ben facile accontentatura quei critici che, chiamati «comuni aneddoti» da svalutare (cfr. 41) le poche, ma precise e preziose circostanze dell'infanzia di Gesù, si appagano poi d'un fondo storico essenziale soltanto «intrinsecamente probabile» (24) e argomentano su così grandi eventi soprannaturali in base a evasivi concetti come quelli di «inverosimiglianza» o «verosimiglianza» (36, 48, 49, ecc.). 

Ma terminerò il paragrafo con qualche saggio particolare di questi  esegeti. Il citato M. Iglesias (37) non potendo ammettere che la stella dei Magi sia stata «una vera costellazione che si sposta da una parte all'altra del cielo» ne deduce senz'altro che l'«astro è un elemento immaginario, un simbolo». Metodo molto sbrigativo. Ci voleva tanto a supporre invece che si sia trattato di un fenomeno miracoloso presentatosi vicino alla terra, che aveva l'apparenza di una stella? 

Léon Dufour, pure citato in nota da P. O., per difendere la verità essenziale dei fatti osserva che per negare la storicità di un racconto bisognerebbe dimostrare che esso è storicamente impossibile e che sia stato inventato integralmente dall'autore. Benissimo. Ma perché ciò dovrebbe valere solo per il racconto integralmente considerato e non ano che per le circostanze così accuratamente descritte? Almeno si limitasse a dubitare della non autenticità di queste circostanze! Macché! Egli abbandona al riguardo ogni moderazione critica, e dice: «senza dubbio», «senza timore di errare» (42).

Ecco ora un saggio critico di P. O., a riguardo del «racconto della concezione e nascita del Salvatore» (44 s.). Egli vuol dimostrare che la drammatizzazione, ossia l'adornamento fittizio, non può aver «creato di sana pianta l'intero racconto». Il famoso fondo storico sembra dunque potersi ridurre a una piccola radichetta (essendo esclusa solo la «sana pianta» fittizia). Di fatto però questa radichetta corrisponderebbe a tutto «il fatto centrale», ossia a «la genesi miracolosa del Messia», sulla quale «nessun dubbio è possibile». 

Tale dubbio sarebbe invece possibile quanto ai «contorni descrittivi» (come «la crisi di Giuseppe, il sogno, l'apparizione angelica, ecc.») dei quali si potrebbe escludere la storicità. Questo significa che la certezza storica può essere esclusa da tutta l'ampia descrizione, eccetto l'affermazione primaria del v. 1, 18. Ma tutta la descrizione non rientra organicamente in un chiaro intento di precisazio­ne, espresso dall'evangelista con queste esplicite parole: «la nascita di Gesù avvenne così»? Esclusa l'autenticità per quei «contorni descrittivi», perché essa andrebbe invece affermata per quel «fatto centrale»? Quali sono le misteriose ragioni per affermare la privilegiata autenticità di quel «fatto centrale»? 

Sarebbero due. La prima è che l'evangelista «ribadisce la notizia [della miracolosa nascita]ripetute volte (1, 16. 18. 20. 23. 25)»: ma non si capisce perché il ribadire la notizia, mescolandola con fantasiosi racconti, aggiunga valore alla notizia stessa, anziché infirmarla. La seconda è costituita dalle «prove» addotte, tra cui, in prima linea, la particolareggiata «esperienza di Giuseppe» (45): proprio quella esperienza la cui autenticità P. O. afferma di potersi mettere in serio dubbio! Sicché la prova principale del fatto nascerebbe da una invenzione! 

P. O. insiste tuttavia su questo punto. L'evangelista - dice P. O. - vuole effettivamentedimostrare la soprannaturale nascita di Gesù, senza preoccuparsi della verità del raccontocirca S. Giuseppe. Il fatto è garantito «dalle affermazioni dell'evangelista» e non da quelle di San Giuseppe e d'altra parte «una dimostrazione può basarsi anche... su fatti fittizi». Questi, nel caso, servirebbero solo a confermare l'«affermazione dell'evangelista». Similmente la verità storica della «caduta dei progenitori... non perde nulla... se è basata su una ricostruzione immaginaria». 

Qui le confusioni si accavallano alle confusioni. L'analogia con la narrazione della caduta è infondata. A parte che quella narrazione non viene fatta - a differenza dei Vangeli - da testimoni diretti o quasi diretti (da cui è ovvio che si debba aspettare la precisione dei particolari), un ipotetico simbolismo di alcune circostanze della caduta originale non sarebbe che un modo popolare per affermare semplicemente il fatto, senza alcun valore diprova del fatto stesso. 

L'«esperienza di Giuseppe» invece è presentata con il carattere di una probante con­ferma della verità del concepimento verginale, sicché una sua ipotetica finzione costituirebbe un gravissimo inganno per il lettore. Si tratta cioè di sapere se il miracoloso concepimento può appoggiarsi o meno sulla importantissima esperienza e testimonianza di S. Giuseppe. In caso affer­mativo, questa rientra in maniera fondamentale nei piani della Provvidenza per la sicura rivelazione al mondo della Incarnazione del Verbo e fa indissolubile blocco con il fatto essenziale stesso; in caso negativo, la sua affermazione sarebbe un gravissimo falso. E un tale ipotetico gravissimo falso distruggerebbe ogni ragionevole fiducia nella veridicità del narratore e quindi nell'autenticità del fatto stesso essenziale: l'«affermazione dell'evangelista», a riguardo del fatto stesso essenziale, non avrebbe cioè più alcun peso di valida «dimostrazione». 

Inutile d'altra parte sarebbe, in sede critica, rivendicare la validità dell'essenziale affermazione dell'evangelista, in base alla infallibile tradizione e all'infallibile ispirazione. E' ciò che questi esegeti sembra che stentino a comprendere. 

L'accettazione di tale infallibile tradizione e ispirazione suppone, infatti, in sede critica, l'antecedente dimostrazione della verità dell'Uomo-Dio Gesù, della sua rivelazione e della sua Chiesa, intesa, quest'ultima, come infallibile trasmettitrice della rivelazione, e come capace di definire l'infallibilità della ispirazione biblica. Ma la verità storica di Cristo, dalla quale tutto dipende, suppone la veridicità dei testimoni e dei biografi, sintomaticamente garantita dall'obiettività dell'inquadramen­to circostanziato degli eventi. Se un testimone, diretto o quasi, narrasse un fatto senza alcun inquadramento circostanziato, potrebbe ancora meri­tare fede, pur dando minore segno della sua testimonianza di prima mano; ma se lo narra con un inquadramento circostanziato essenzialmente falso, criticamente, non merita più fede. 
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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