“Narrate tra i popoli la gloria del Signore; a tutte le nazioni dite i suoi prodigi; grande è il Signore e degno di ogni lode" (Sal 95,3-4).
So che molte religioni (cristiane e non), possono parlare, e con verità, di fatti straordinari, e di persone così rette e buone da potersi - in qualche modo - paragonare ai nostri santi. Il miracolo nella Chiesa Cattolica - e solo nella Chiesa Cattolica - molto spesso assume l'aspetto del "Dito di Dio” che ci indica la Verità. Anzi, molti miracoli avvengono proprio a prova della Verità. A questo punto posso dirti con fraterno affetto, ma con assoluta certezza ed anche con molta umiltà, che non tutti sono bene informati. Leggi e studia senza pregiudizi, e troverai prove schiaccianti dei grandi e soprannaturali fatti avvenuti, e che continuamente avvengono nella Chiesa Cattolica. Su questo argomento si possono trovare e scrivere molti volumi. Pensa che a Lourdes su circa 40 grandi miracoli che in media si verificano ogni anno, la Chiesa ne approva soltanto uno o due; e questo solo perchè non tutti i medici, scienziati, atei e scettici che li constatano sono d'accordo sulla loro straordinarietà o su qualche altra presumibile ragione che possa essere oggetto di contestazione. A dimostrarti il rigore che usa l'autorità ecclesiastica nel giudizio dei miracoli, valga questo esempio.
“Il cardinale Lambertini (che fu poi Papa col nome di Benedetto XIV, 1740-1758) ricevette un giorno la visita di un protestante studioso e dotto. Dovendo egli assentarsi per un'udienza grave, disse al protestante di aspettarlo, e intanto gli presentò l’incarto dei miracoli proposti per la canonizzazione di San Francesco Regis. Tornato il cardinale, il protestante, che aveva letto ed esaminato per più di un'ora, gli restituì l'incartamento dichiarando: “E' davvero un santo; se tutti i miracoli della Chiesa fossero provati come questi, neppure, noi avremmo difficoltà ad ammetterli!”. E il cardinale rispose: “Noi siamo più rigorosi ancora, perchè non abbiamo ammesso nessuno di questi miracoli, non ritenendoli sufficientemente provati: e Francesco Regis, se non opera altri miracoli più dimostrabili, non sarà canonizzato...”. Pensate lo stupore del protestante!" (Dauberton, “Vita di San Francesco Regis").
Forse è proprio in base a questi fenomeni che un gruppo di teologi luterani si è cosi espresso in quello che è chiamato il "Manifèsto di Dresda"', pubblicato qualche anno fa nella Germania Orientale. "Noi non possiamo passare davanti a questi fatti senza fermarci per un serio esame. Questo atteggiamento comporterebbe una grave responsabilità. Un cristiano evangelico non ha il diritto di ignorare queste realtà per partito preso, ossia per la sola ragione che essi si presentano nella Chiesa Cattolica. Questi fatti debbono piuttosto indurci a riportare la Madre di Dio nella Chiesa Evangelica.... Tutti questi fatti (il documento si riferisce non solo ai miracoli, ma anche alle apparizioni della Vergine a Lourdes e a Fatima) sono una prova irrefutabile dei ruolo decisivo che Maria è chiamata a svolgere oggi, per la nostra salvezza" (Da “Il Sacro Monte di Varallo”, n. 1, Anno 58° Feb. 1982).
Quel gruppo di Luterani sa che:
a) a Lourdes arrivano ogni anno oltre quattro milioni di pellegrini, tra cui oltre 60.000 ammalati; b) tra i miracolati molti, per vane ragioni, non si presentano neppure all'Ufficio di Constatazioni Mediche;
c) tra quelli che si presentano all'Ufficio Medico, soltanto uno su quattro viene preso in considerazione; d) l'esame dei fatti ritenuti straordinari spesso dura per anni;
e) i medici sono di tutte le estrazioni e tutti (credenti, miscredenti, atei...) sono ammessi a dare il proprio giudizio;
f) c'è una Presidenza ed una équipe di circa 1.800 medici;
g) dall'istituzione di tale Ufficio ai giorni nostri, i casi di guarigioni "certe, definitive, inspiegabili" raggiungono, la cifra di 5.000; h) l'autorità ecclesiastica, molto più rigorosa dei medici, ha dichiarato finora "miracolose” soltanto 64 guarigioni;
i) la funzione fondamentale di Maria (come ha scritto Giannino Piana "è quella di umanizzare il Cristianesimo. Creatura come noi, Ella ha vissuto in pienezza l'esperienza umana, nella semplicità e nel nascondimento" (dalla "Domenica", Ed. Paoline, III Dom. di Pasqua). Inoltre, per chi senza pregiudizi e animato da buona volontà volesse accertare e approfondire la Verità, affidata da Gesù alla "Sua Chiesa” e che Dio dimostra al mondo per mezzo della religione rivelata, è ancora disponibile la possibilità di constatare centinaia di casi permanenti esistenti nella nostra Chiesa. Ne cito solo alcuni accennandoli appena e rimandando il lettore di buona volontà alle fonti.
1. Il più grande miracolo eucaristico della storia.
Permane evidente e incontestabile da 12 secoli in Lanciano (Chieti - Italia). Il 4 marzo 1971 i due scienziati, Proff. Lindi e Bertelli, dopo rigorose ricerche fatte in laboratorio, hanno così concluso: a) La carne è veramente carne; il sangue è veramente sangue. b) L’una e l'altro sono carne e sangue umani. c) La carne e il sangue hanno, lo stesso gruppo sanguigno (AB = degli uomini del Medio Oriente).
d) La carne e il sangue sono di persona vivente.
e) Il diagramma di questo sangue corrisponde a quello di sangue umano prelevato su un corpo umano nel giorno stesso.
f) La carne è costituita dal tessuto muscolo del cuore (miocardio). g) La conservazione di queste reliquie lasciate allo stato naturale per lunghi secoli, esposte all'azione di agenti fisici, atmosferici, ecc., rimane un fatto straordinario. La conclusione dei due professori fu comunicata ai francescani, che conservano la reliquia, con questo telegramma: Et Verbum caro factum est (E il Verbo si è fatto Carne).
2. Il Corporale di Bolsena religiosamente custodito nel Duomo di Orvieto.
Il fatto miracoloso avvenne nel 1263. Ancora oggi sono visibili i segni di 83 gocce di sangue, in 12 delle quali, più dense e meglio conservate, si vede l'immagine di Cristo in forma di "Ecce Homo" (Enc. Catt. T. II Colonna 1819, Roma 1949)
3. Sprizza sangue da un'ostia serrata in breviario. Il prodigio avvenne a Siena nel 1330. La reliquia è conservata a Cascia. In essa appare chiara e distinta la figura del volto di Cristo con i capelli un poco arruffati e con la barba (Adolfo Morini, La reliquia dei corpo di Cristo di Cascia, pp. 1-3; 53-54, Firenze 1930).
4. Il miracolo eucaristico di Siena.
In una delle cappelle della Chiesa di S. Francesco in Siena, in un ostensorio gotico, sono racchiuse 223 Particole consacrate nella lontanissima estate dell'anno 1730. La fama e la devozione si accrebbero per un nuovo prodigio che gli anni aggiunsero alla singolarità del rapimento e ritrovamento: capovolgendo tutte le leggi fisiche e chimiche, che decretano l'inevitabile corruzione della materia, le Sacre Particole si mantengono bianche, incorrotte e freschissime. Anche qui, come in tutti gli altri casi, i fatti sono scientificamente accertati. (Dagli Annali della Chiesa di S. Francesco in Siena e dagli Archivi della Curia). I miracoli eucaristici sono innumerevoli, data l'importanza dell'istituzione fatta da Gesù nell'Ultima Cena. Egli che era Dio, Bontà e Onnipotenza infinita, potè realizzare in maniera molto semplice quanto era desiderio del suo Cuore divino: rimanere sempre in mezzo a noi per non lasciarci orfani (cfr Gv 14,18). Superando tutte le umane aspettative, Gesù poteva darci la più bella e strabiliante realizzazione della legge dell'alimentazione. Sappiamo, infatti, che ogni vita si mantiene, si ripara, si sviluppa, con un alimento proporzionato alla vita che deve sostenere. Cosi la pianta affonda le sue radici nel suolo e ne trae alimento per la crescita; l'essere animato, (bestia o uomo che sia) per poter crescere deve fare, mi si consenta il termine, la "comunione" con un cibo adatto alla sua natura. Anche la vita affettiva ed intellettiva vengono alimentate da un cibo proporzionato: il cuore dall'affetto (comunione d'affetti), l'intelligenza dal pensiero (comunione della parola scritta, pensata, parlata). Era logico, quindi, che Gesù, avendoci elevati con l'innesto in Lui, alla vita soprannaturale (cfr 2 Pt 1,4), ci mettesse nella possibilità di alimentarla, ripararla, sostenerla, con un cibo proporzionato alla vita divina. Ed ecco l'Eucaristia! Diceva Lutero: “Io vorrei trovare un uomo abbastanza desto da persuadermi che nell'Eucaristia c'è solo pane e vino; egli mi renderebbe un grande servizio. Ho sudato studiando questa materia, ma mi sento incatenato: il testo del Vangelo è troppo chiaro".
5. Il miracolo del sangue di S. Gennaro.
Due volte all'anno, e per otto giorni di seguito, nel Duomo di Napoli, si può constatare il miracolo del sangue (si ravviva e si liquefa) del vescovo e martire San Gennaro. Scienziati di tutte le estrazioni hanno scritto molto tentando di demolire l'evidenza dei fatti. Tutte le obiezioni sono state ritenute puerili, infondate, ascientifiche dagli scienziati seri.
6. Cieca che vede.
A Ribera (AG), in via Fratelli Cervi n. 5, abita la signorina Gemma Di Giorgi, (da me personalmente conosciuta), infermiera all'ospedale di Ribera, la quale, per la scienza e per i medici, è clinicamente cieca. Ella però, nata cieca, dopo diverse volte che la nonna, con fiduciosa insistenza, l'aveva portata a S. Giovanni Rotondo (FG) da Padre Pio da Pietrelcina, si sentì dire: “Vattene e non venire più perchè la bambina presto vedrà". E così fu! Questo miracolo è unico al mondo. Mi è stato detto che ce n'è un altro simile di una persona che, cieca, a Lourdes, ha ottenuto la grazia di vedere, pur rimanendo clinicamente cieca. Di questo secondo fatto non so dare particolari perchè non lo conosco personalmente.
N.B. Tra i miracoli che ho chiamati "permanenti" se ne potrebbero citare ancora tanti altri come quello della lingua di S. Antonio che si conserva incorrotta a Padova nella Basilica dedicata al Santo; quello del corpo incorrotto di S. Chiara ad Assisi, ecc. Ai mira coli ricordati voglio aggiungere due di mia conoscenza (verificabili da chiunque) dei quali, però, non esistono documenti strettamente storici.
7. L'immagine miracolosa della Madonna di Guadalupe (Messico). (Dalla Rivista “Informatore di Urio", n. 53, Nov.-Dic. 1981, Via A. Stradivari, 7, 20131 Milano, p. 30-31). Sapevo qualche cosa, ma non sapevo nè bene nè sufficientemente le cose. Questo secondo caso è veramente unico nel suo genere ed ha l'avallo rigoroso e particolareggiato degli scienziati. Esso è davvero sconvolgente. Se leggendo questi fatti, c'è qualcuno che riuscirà a smentirli seriamente, io gliene sarò grato perchè mi metterebbe in condizione di rivedere meglio alcune mie posizioni e di essere molto più cauto nel dare certe notizie.
Anche per questo secondo caso, leggiamo e meditiamo le meraviglie di Dio.
Le straordinarie scoperte scientifiche recentemente fatte, e che tuttora si continuano a fare, intorno all'immagine messicana della Madonna di Guadalupe hanno letteralmente stupito quanti ne sono venuti a conoscenza. Per comprendere l'importanza di tali scoperte è necessario riassumere brevemente ciò che un'antica e pia tradizione dice a proposito della miracolosa effigie, non dipinta da mano umana, ma prodigiosamente impressa sulla tunica di un indio chiamato Juan Diego, nel 1531. Il racconto che narra l'avvenimento è scritto in nàhualt (la lingua degli Aztechi) con caratteri latini, e fu edito in lingua originale e in spagnolo nel 1649, all'incirca un secolo dopo la sua primitiva redazione, per iniziativa di un baccelliere, tal Luis Lasso de la Vega. La storia racconta che Juan Diego importunò più volte il primo vescovo dei Messico, il francescano Fray Juan do Zumàrraga, per manifestargli il desiderio espresso dalla Madre di Dio in diverso apparizioni: la costruzione di un eremo in una località denominata Cerro de Tepeyac. Per liberarsi del visionario, il buon vescovo gli chiese di fornire, una prova convincente della sua asserzione; in caso contrario, smettesse di importunarlo. Pochi giorni dopo Juan Diego ritornò dal vescovo portando come prova alcune "rose di Castiglia”, la cui fioritura era impossibile in quella stagione (si era in dicembre); l'indio affermò che era stata la Vergine a dargliele perchè le mostrasse al vescovo. Il giovane portava le rose raccolte nella tunica (tilma), e quando la dispiegò facendo cadere a terra i fiori, ecco apparire la Vergine Maria a tutti i presenti, otto-dieci persone. Immediatamente la celestiale visione s'impresso sul rozzo tessuto dell'indumento che aveva contenuto i fiori. Spaventato e stupito da ciò che aveva visto, il vescovo eresse l'eremo sul picco di Tepeyac e li fu esposta, come immagine da venerare, la tunica miracolosamente impressa dell'indio Juan Diego. Questa la succinta narrazione del racconto, scritto in lingua nàhualt quando era ancora in vita Hernàn Cortés, il conquistatore del Messico. La devozione che l'effigie suscitò fin dai primi tempi della pacificazione del Messico fu così insolita, e i pellegrinaggi spontanei degli indi che accorrevano da ogni parte ad onorare la Vergine così numerosi, che di ciò si occupa perfino Bernal Diaz del Castillo nella sua celebre cronaca della conquista della Nuova Spagna. E giungiamo ai nostri giorni - o meglio, al nostro secolo - in cui si costituisce una Commissione di studio per indagare su non pochi inspiegabili fenomeni della famosa tunica di Juan Diego. A richiamare l'attenzione dei periti tessili è innanzitutto la sorprendente conservazione del rozzo panno. Oggigiorno è protetto da vetri. Ma per secoli fu esposto alla mercé di Dio, alle incurie, al caldo torrido, alla polvere e all'umidità senza che si sfilacciasse o che scolorisse la sua non comune policromia. Il materiale su cui l'immagine rimase impressa è una trama costituita di fibra tessile ricavata da un particolare tipo di agave messicana (agave maguey), una fibra che si disgrega per marcescenza dopo circa 20 anni come è stato accertato con numerosi esperimenti fatti di proposito. La tunica del contemporaneo di Cortés ha invece 450 anni; non si è né rotta né disgregata, e per cause incomprensibili ai suddetti periti è refrattaria all'umido e alla polvere. Questa sua peculiarità fu attribuita al tipo di pittura che ricopre la tela, e che potrebbe benissimo costituire un eccellente materiale protettivo. Pertanto. s'inviò un campione di pittura allo scienziato tedesco Richard Kuhn, premio Nobel per la chimica, perchè lo analizzasse. Il verdetto lasciò attoniti coloro che l'avevano consultato. I coloranti dell’immagine di Guadalupe - rispose lo scienziato tedesco - non appartengono al regno vegetale, né tanto meno a quello minerale o animale. Si pensò che forse il tessuto era stato trattato con un procedimento speciale. Le grandi pitture dell'antichità sono potute arrivare fino a noi perchè le pareti (o i muri per ricevere gli affreschi) sono stati previamente "preparati” ricoperti con una colla o uno stucco particolari. Ma a quale straordinaria tecnica preparatoria si sarebbe fatto ricorso perchè la pittura potesse aderire e conservarsi integra su un materiale tessile così fragile e caduco? Due studiosi nordamericani - il Dr. Callagan dell'equipe scientifica della Nasa, e il Prof. Jody B.Smith, ordinario di Filosofia della Scienza al Pensacolla College - furono incaricati di sottoporre l'immagine di Guadalupe all'analisi fotografica con raggi infrarossi. Le loro conclusioni sono state le seguenti: Prima. La tela rada di filo ricavato dall'agave maguey è immune da qualsiasi preparazione; il che rende inspiegabile, alla luce delle conoscenze umane, come i coloranti abbiano potuto impregnare una fibra così delicata, e tuttora si conservino. Seconda. Non vi sono abbozzi preliminari come quelli scoperti col medesimo procedimento sui quadri di Velàzquez, Rubens, il Greco e Tiziano. L’immagine fu "dipinta” direttamente, così come la si vede, senza prove né correzioni. Terza. Non vi sono pennellate. La tecnica impiegata è sconosciuta nella storia della pittura: è insolita incomprensibile e irripetibile. Parallelamente a questo, un famoso oculista ispano-francese, Torija Lauvoignet, esaminò con un oftalmoscopio di alta potenza la pupilla dell'immagine e osservò con meraviglia che nell'iride si vedeva riflessa una piccolissima figura, che sembrava il busto di un uomo. Ciò fu l'antecedente immediato che condusse alla ricerca di cui sto per parlare: la "digitalizzazione" degli occhi della Vergine di Guadalupe. E' noto che nella cornea dell'occhio umano si riflette tutto ciò che si vede in un determinato istante. Il dottor Aste Torismann fece fotografare (senza essere presente) gli occhi di una sua figlia e utilizzando una particolare tecnica chiamata “processo per digitizzare immagini" potè verificare puntualmente tutto quello che sua figlia vedeva al momento di essere fotografata. Il medesimo scienziato, che attualmente lavora a captare le immagini della terra trasmesse dallo spazio attraverso i satelliti artificiali, "digitalizzò" lo scorso anno l'immagine di Guadalupe e i risultati cominciano a essere ora conosciuti. Il procedimento consiste nel suddividere l'immagine in microscopici quadretti al punto che su una superficie di un millimetro quadrato si contino 27.778 piccolissimi, infimi quadratini. Dopo questa operazione, ogni mini-quadratino può ampliarsi, moltiplicandolo per duemila, consentendo l'osservazione di dettagli impossibili a essere percepiti con i soli occhi. E i dettagli che si osservarono nell'iride dell'immagine di Guadalupe furono: un indio nell'atto di dispiegare la sua tunica davanti a un francescano, sul cui viso si vede scendere una lacrima; un contadino assai giovane, con una mano sul mento ad esprimere sbigottimento; un indio con il torso nudo in atteggiamento quasi di preghiera; una donna dai capelli crespi, probabilmente una negra della servitù del vescovo; un uomo adulto, una donna e alcuni bambini con la testa rapata; infine, altri religiosi in abito francescano. In altri termini, quello stesso episodio narrato in lingua nàhualt da uno scrittore indigeno anonimo nella prima metà del XVI sec. ed edito in nàhualt e in spagnolo da Lasso de la Vega nel 1649 al quale ci siamo dianzi riferiti! Si stanno ora conducendo studi iconografici per confrontare queste figure con i ritratti conosciuti del vescovo Zumàrraga e delle persone del suo tempo e del suo ambiente. Quello che risulta del tutto impossibile è che in uno spazio così piccolo come la cornea di un occhio, situata su una immagine di grandezza assai prossima al naturale, un miniaturista abbia potuto dipingere ciò che è stato necessario ampliare duemila volte perchè fosse percepito. "Inspiegabile!", esclamarono i membri della Commissione di studio quando conobbero il verdetto dello scienziato tedesco Richard Kuhn, a giudizio del quale la policromia dell'immagine di Guadalupe non era dovuta a colori minerali, vegetali o animali. “Inspiegabile!”, dichiararono per iscritto i nordamericani Smith e Callagan, quando per mezzo dei raggi infrarossi si avvidero che il "dipinto" non denunciava pennellate, e che la misera tela della tunica di Juan Diego era immune da qualsiasi preparazione. Infine il dottor Aste Tonsmann, raccontando nelle sue numerose conferenze la scoperta delle figure umane di infinitesimale dimensione nell'iride della Vergine, non si stanca di ripetere: "Inspiegabile! Assolutamente inspiegabile!" Torcuato Luca de Tow (da Interpress, n. 164. pp.5-8) Fratello e sorella che mi avete letto, proviamo a recitare insieme con fede e riconoscenza a Dio e alla Vergine Maria la preghiera che il protestante prof. Roberts nel 1938 scopriva e pubblicava con altri papiri egiziani. “Sotto la tua protezione troviamo rifugio, santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, e liberaci da ogni pericolo. o Vergine gloriosa e benedetta". La preghiera scoperta dal suddetto professore è del Il sec., ma non è detto che non la recitassero già da tempo i nostri antenati cristiani.
8. Quel che avviene a Camposampiero
Ho letto in un libro sulla vita di S. Antonio di Padova che a Camposampiero (Padova), ove S. Antonio morì, esiste un albero di noce (veramente oggi sono tre) che verso la fine di maggio e durante i primi tredici giorni di giugno, mette fiori e foglie e in poco tempo si ristabilisce con gli altri noci. Gli scienziati non sanno spiegare il fatto. C'è un'ipotesi da essi avanzata: uno strano incrocio, eseguito nei secoli scorsi, produrrebbe questo effetto. Ma come si può credere ad una ipotesi così poco scientifica? La tradizione invece ci dice che S. Antonio, ammalato di idropisia, presagendo la sua prossima fine, volle prepararsi al transito per l'altra vita, facendosi una specie di celluzza su di un noce per essere più staccato dalle cose terrene e unirsi al suo Dio in più intima e continua preghiera, attendendo così sorella morte. Passata la sua benedetta anima al cielo, il noce seccò, mentre gli altri noci dello stesso campo continuarono a vivere. Alla fine di maggio l'albero secco, improvvisamente mise foglie e fiori e, a suo tempo, portò anche i frutti. Il fenomeno si è ripetuto per molti anni invariabilmente. Oggi restano tre alberi di noci, provenienti da tre polloni dello stesso albero sul quale S. Antonio si era costruita la cella, i quali invariabilmente, ogni anno, ripetono lo stesso fenomeno: sono secchi durante l'anno, ma alla fine di maggio fioriscono, mettono le foglie e al 13 giugno (festa del Santo) sono alla pari con gli altri della stessa zona e, a suo tempo, portano anche i frutti.
9. Il faggio di San Francesco
Molto viva è nel paese di Rivodutri (Rieti) la leggenda del faggio di S. Francesco e del sasso che porta impressa l'orma del piede del Poverello di Assisi. Si racconta che il Santo, lasciato Poggio Bustone e diretto nelle Marche, fosse sorpreso, nelle vicinanze dei paese, da un violento temporale. Egli cercò riparo sotto un faggio e l'albero, tuttora visibile, piegò i suoi rami che, sono rimasti perennemente chinati quasi a ricordare il grande onore ricevuto. Un signore di Rivodutri - che mi ospitò in macchina per un tratto di strada - (venivo da Poggio Bustone ed ero diretto, in autostop, a Fabriano (AN) - mi diceva che li dov'è il detto “Faggio di S. Francesco" c'è una selva di faggi, ma tutti con i rami disposti normalmente. Quelli del luogo hanno provato a tagliare i rami del “Faggio" sperando che ricrescendo si disponessero in posizione normale, ma tutti i tentativi sono stati inutili perchè i rami del “Faggio di S. Francesco” crescono e si dispongono nella maniera suddetta, cioè ad ombrello, come per ricordare il servizio di protezione reso al Santo quando passò da Rivodutri... (cfr Storia di Rivodutri, Opuscolo fatto stampare dal Sindaco di Rivodutri; basta rivolgersi al Municipio per averne copia).