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L’APOSTOLICITÀ DELLA CHIESA E LA SUCCESSIONE APOSTOLICA*

Ultimo Aggiornamento: 10/01/2013 16:35
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08/01/2013 20:47
 
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V. La successione apostolica e la sua trasmissione

Poiché la Parola divina fatta carne è essa stessa l’annunzio e il principio della comunicazione della vita divina che ci si manifesta in essa, il ministero della Parola nella sua pienezza è anche ministero dei sacramenti della fede, prima di tutto dell’Eucaristia, nei quali la Parola, il Cristo, non cessa d’essere per gli uomini avvenimento attuale di salvezza. L’autorità pastorale è la responsabilità del ministero apostolico verso l’unità della Chiesa e il suo sviluppo, di cui la Parola è sorgente e di cui i sacramenti sono al tempo stesso manifestazione e luogo fondamentale di realizzazione.

La successione apostolica è dunque quest’aspetto della natura e della vita della Chiesa, che mostra la dipendenza attuale della comunità in rapporto a Cristo attraverso i suoi inviati. Il ministero apostolico è in tal modo il sacramento della presenza operante di Cristo e dello Spirito in seno al popolo di Dio, senza che però venga minimizzato l’influsso immediato del Cristo e dello Spirito su ogni fedele.

Il carisma della successione apostolica è ricevuto nella comunità visibile della Chiesa. Esso suppone che colui che viene inserito nel corpo dei ministri abbia la fede della Chiesa. Ma questo non basta. Il dono del ministero viene accordato in un’azione che è segno visibile ed efficace del dono dello Spirito, azione che ha come strumenti uno o alcuni degli stessi ministri già inseriti nella successione apostolica.

La trasmissione del ministero apostolico avviene dunque mediante l’ordinazione, che comprende un rito con un segno sensibile e un’invocazione a Dio (epiclèsi) affinché voglia accordare all’ordinando il dono del suo Spirito Santo insieme coi poteri necessari all’adempimento del suo compito. Fin dal Nuovo Testamento questo segno sensibile è l’imposizione delle mani (cf. Lumen Gentium, n. 21). Il rito dell’ordinazione sta a manifestare che quanto avviene in colui che è ordinato non è di origine umana, e che la Chiesa non dispone a suo piacimento del dono dello Spirito.

Consapevole che la propria esistenza è legata all’apostolicità, e che il ministero trasmesso mediante l’ordinazione inserisce l’ordinato nella confessione apostolica della verità del Padre, la Chiesa ha giudicato necessaria alla successione apostolica nel senso stretto della parola l’ordinazione data e ricevuta nella fede che essa stessa vi ripone.

La successione apostolica del ministero riguarda tutta la Chiesa, ma non procede dalla Chiesa presa globalmente, bensì da Cristo agli Apostoli e, negli Apostoli, a tutti i vescovi sino alla fine dei tempi.

VI. Elementi per una valutazione dei ministeri non cattolici

Questa sintesi finora compiuta del modo come i cattolici comprendono la successione apostolica ci consente di presentare le linee generali per una valutazione dei ministeri non cattolici. In tale contesto è indispensabile avere sott’occhi le differenze di origine, le evoluzioni di queste Chiese e Comunità, è la concezione che esse hanno di se stesse.

1. Malgrado la diversa valutazione che esse fanno dell’ufficio di Pietro, la Chiesa cattolica, la Chiesa ortodossa e le altre Chiese che hanno conservata la realtà della successione apostolica, sono unite in una medesima comprensione fondamentale della sacra mentalità della Chiesa, sviluppatasi fin dal Nuovo Testamento attraverso i Padri comuni, in particolare sant’Ireneo. Queste Chiese considerano l’inserimento sacramentale nel ministero ecclesiale, realizzato attraverso l’imposizione delle mani con l’invocazione dello Spirito Santo, come la forma indispensabile per la trasmissione della successione apostolica, che sola fa perseverare la Chiesa nella dottrina e nella comunione. Questa unanimità nella coerenza mai interrotta tra Scrittura, Tradizione e sacramento, costituisce il motivo per cui la comunione tra queste Chiese e la Chiesa cattolica non è mai cessata del tutto e può essere oggi ravvivata.

2. Dialoghi fruttuosi si continuano con le Comunioni anglicane che hanno conservata l’imposizione delle mani, la cui interpretazione è cambiata. Non è qui possibile anticipare gli eventuali risultati di questo dialogo che indaga in quale misura gli elementi costitutivi dell’unità sono inclusi nella conservazione del rito dell’imposizione delle mani e delle correlative preghiere.

3. Le Comunità uscite dalla Riforma del sec. XVI si differenziano tra loro al punto che la descrizione dei loro rapporti con la Chiesa cattolica dev’essere considerata secondo le sfumature di ogni caso particolare. Tuttavia si possono individuare alcune linee comuni.

Il movimento comune della Riforma ha negato il legame tra la Scrittura e la Tradizione della Chiesa in favore della normatività della sola Scrittura. Anche se in seguito ci si richiama in diversa maniera alla Tradizione, tuttavia non si riconosce ad essa la medesima dignità di cui godeva nell’antica Chiesa. Poiché il sacramento dell’ordine è l’espressione sacramentale indispensabile della comunione nella Tradizione, la proclamazione della sola Scriptura ha comportato l’oscuramento dell’antica nozione della Chiesa e del suo sacerdozio. E così, di fatto, attraverso i secoli si è spesso rinunziato all’imposizione delle mani sia da parte di uomini già ordinati, sia da parte di altri. Là dov’è stata praticata, non sempre ha avuto il medesimo significato che nella Chiesa della Tradizione. Questa divergenza nel modo di introdurre nel ministero e di interpretarlo non è che il sintomo più rilevante della differente comprensione delle nozioni di Chiesa e di Tradizione.

Numerosi promettenti approcci [2] hanno cominciato a ristabilire dei contatti con questa Tradizione, anche se la rottura non è ancora effettivamente superata. In tali circostanze l’intercomunione eucaristica resta per il momento impossibile [3], perché la continuità sacramentale nella successione apostolica fin dalle origini costituisce per le Chiese ortodosse, come pure per la Chiesa cattolica, un elemento indispensabile della comunione ecclesiale.

Questa costatazione non significa affatto che le qualità ecclesiali e spirituali dei ministeri e delle Comunità protestanti siano per questo da tenere in poco conto. I ministri hanno edificato e nutrito le comunità. Mediante il battesimo, mediante lo studio e la predicazione della Parola, mediante la preghiera comune e la celebrazione della Cena, col loro zelo, essi hanno guidato gli uomini verso la fede nel Signore, aiutandoli così a trovare la via della salvezza. Ci sono dunque in queste comunità elementi che certamente appartengono all’apostolicità dell’unica Chiesa di Cristo [4].

Anche se l’unione con la Chiesa cattolica non può effettuarsi se non sacramentalmente — e mai con mezzi puramente giuridici o amministrativi [5] —, è evidente che la qualità spirituale di questi ministeri non può mai essere trascurata. Un tale atto sacramentale dovrebbe integrare nella Catholica i valori esistenti, e il suo rito dovrebbe indubbiamente esprimere che vengono assunti carismi già reali.

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